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Mistificazioni

Come si usa dire, il troppo stroppia. Già, circa un anno fa, Giulio Giorello, dichiarò che l’Illuminismo non è nato in Occidente ma nell’Islam. Divertente. E, per una volta, passi. Ha anche più volte insistito sul fondamentale apporto dell’Islam alla nascita della scienza moderna. Affermazione che, messa giù così, richiede non poche precisazioni. E passi ancora. Ma quel che abbiamo letto giorni fa suscita la domanda se Giorello abbia perso la trebisonda oppure stia facendo un lavoro sistematico di disinformazione.
Egli scrive: “per quanto riguarda le conquiste della scienza e della tecnica, mi sembra che il Cristianesimo sia ampiamente battuto da religioni come il Buddhismo”. Affermazione cui evidentemente soggiace una revisione storiografica epocale, poiché a noi miseri ignoranti non era giunta mai notizia di una grande scienza sviluppatasi in contesto buddista, né avevamo mai sentito parlare di Galilei e Newton buddisti. Restiamo in attesa di documentazione bibliografica, perché in questa corta vita c’è sempre da imparare qualcosa.
E Giorello così continua: “per non dire che nei due altri grandi monoteismi non c’è stato un caso Galileo, anche se c’è stato un caso Spinoza per l’Ebraismo, ma qui si trattava non tanto di scienza quanto di filosofia”. In quanto ebreo, ringrazio per la cortesia, ma la respingo al mittente. In primo luogo, perché non si vede perché l’intolleranza filosofica sia meno grave di quella scientifica. In secondo luogo, perché distinguere tra scienza e filosofia nell’epoca dell’autore dell’“Ethica more geometrico demonstrata”, di Leibniz (creatore del calcolo differenziale) o di Descartes, è alquanto bizzarro. Che il caso Spinoza sia stato meno grave del caso Galileo, perché non si trattò di una condanna della comunità di Amsterdam e non di tutto il mondo ebraico (in cui non esiste un’unica autorità), può esser vero. Ma è meglio non cercare scusanti: si trattò di una bruttissima pagina, e si potrebbe raccontarne altre analoghe.
Ma veniamo ora all’Islam, in cui non ci sarebbe mai stato alcun caso Galileo. Lasciamo perdere Maimonide, che per salvare la pelle dalla persecuzione dei principi Almohades dovette tagliar la corda in tutta fretta e tanti altri episodi analoghi di intolleranza. Parliamo piuttosto di Averroé che dal 1195 fu bandito e perseguitato nell’ambito del suo mondo musulmano per le sue idee filosofico-scientifiche. Non risulta che sia stato vittima della Santa Inquisizione. I suoi libri furono dati alle fiamme e, anche se negli ultimi anni ebbe un po’ di pace, il suo insegnamento fu cancellato nel mondo islamico e venne tramandato piuttosto nell’Occidente cristiano, dove le sue opere vennero tradotte in latino e in ebraico. Sul tema è stato fatto pure un film (“Il destino” di Youssef Chahine), ma evidentemente a Giorello il cinema non piace.
Il caso Averroé come il caso Galileo? Peggio. Perché, se Galileo è stato riabilitato nel mondo occidentale – e molto molto prima della riabilitazione ufficiale da parte della Chiesa –, la vicenda di Averroé rappresenta una sorta di pietra miliare del divorzio dell’Islam dalla modernità perché uno dei capisaldi del pensiero integralista islamico è il rifiuto del razionalismo di cui era intriso il pensiero averroistico. Senza andar troppo sul sofisticato, consiglierei la lettura dell’articolo di una studiosa musulmana, Farida Faouzia Charfi, comparso sulla rivista “Prometeo” nel 1996 (“Islamismo e progresso tecnologico”), in tempi in cui ancora non si rischiava una fatwa per scrivere certe cose. Charfi richiamava la figura di Averroé in quanto, a suo avviso, “riattingere alle idee dei pensatori più illuminati rappresenta una possibilità di apertura per le società musulmane”, e ne ricordava la tesi secondo cui “niente prova la saggezza divina meglio dell’ordine del cosmo. L’ordine del cosmo può essere provato dalla ragione. Negare la causalità è negare la saggezza divina … e colui che nega la causalità nega e disconosce la scienza e la conoscenza”. Parole scritte nel testo “Autodistruzione dell’autodistruzione”, in risposta all’“Autodistruzione dei filosofi” di Ghazali (profeta ante litteram dell’integralismo islamico, vissuto nel XI secolo). Ghazali sosteneva che “il cosmo è volontario. È creazione permanente di Dio e non obbedisce ad alcuna norma. … la natura è al servizio dell’Onnipotente: essa non agisce in modo autonomo, ma è utilizzata al servizio del suo creatore. … Benché non abbiano rapporto con la religione, le scienze matematiche sono alla base delle altre scienze, dai cui vizi lo studioso rischia di rimanere contagiato. Sono pochi coloro che se ne occupano senza sottrarsi al pericolo di perdere la fede.”
Si può dire, in sintesi, che il mondo islamico ha finito col scegliere Ghazali contro Averroé e, in tal modo, si è autoescluso dal processo fondante del pensiero scientifico moderno, rifiutandone radicalmente l’idea portante e cioè il concetto di “legge naturale”. Nessuno può seriamente contestare lo straordinario apporto del mondo musulmano alla nascita della scienza moderna, sia per il contributo alla riscoperta dei classici greci, sia per gli originali apporti alla matematica, all’astronomia e alla tecnica. Ma tale contributo, per quanto importante, non fu decisivo perché – come osserva Charfi – “gli Arabi non hanno proposto nuovi modelli di rappresentazione del mondo, non hanno rimesso in discussione il modello tolemaico: il loro contributo all’evoluzione della scienza del cosmo si è dunque mantenuto modesto”. E Charfi prosegue osservando che “un modo di reagire a questa lacuna consiste nel dare un eccessivo rilievo all’apporto degli Arabi in campo scientifico e nel manifestare riserve circa il reale contributo degli occidentali ai progressi della scienza.”
Per ragioni politiche fin troppo evidenti siamo in piena esplosione di questo tipo di campagna propagandistica, contro cui occorrerebbe ricordare l’osservazione del celebre storico della scienza Alexandre Koyré, secondo cui la rivoluzione scientifica è avvenuta nell’Occidente cristiano, e non altrove, e il mondo musulmano si è semplicemente ritirato ed estraniato da questo sviluppo. E non si venga a dire che questo è avvenuto perché l’Europa cristiana ha espulso i musulmani. Ben peggio avvenne per gli ebrei, i quali tuttavia non hanno mai smesso di intrattenere il loro rapporto preferenziale con l’Europa cristiana, per quanto esso fosse drammaticamente difficile. I grandi sviluppi della mistica ebraica medioevale si sono avuti principalmente nel mondo cristiano, in Provenza, in Spagna, in Italia e nell’Europa dell’Est, e anche gli sviluppi avvenuti in terra palestinese non risentirono di un influsso o rapporto col mondo musulmano circostante. Del resto, è opportuno notare che le interazioni più proficue tra le tre culture nella Spagna medioevale si sono avuti soprattutto nelle terre amministrate dai re cristiani, che a lungo hanno difeso un regime di tolleranza, anche resistendo alle pressioni dell’Inquisizione. È in questo contesto, e non in altri, che si sono sviluppate le celebri scuole di traduzioni, come quella di Toledo, che hanno trasmesso i testi dell’antichità greca alla nascente Europa moderna.
L’analisi delle origini del concetto di legge naturale è tema infinitamente complesso e comunque le ricerche convergono verso l’individuazione delle radici giuridiche e teologiche di questo concetto. Legge naturale non vuol dire affatto che la natura obbedisce a regole sue proprie, bensì a un ordine stabilito da Dio e che, tuttavia, non è arbitrio puro, ma ordine. Perciò, le origini della scienza moderna non hanno niente a che fare con una filosofia “naturalista” nel senso moderno (materialista e antireligioso) del termine, bensì – come ha osservato efficacemente Amos Funkenstein – di “un modo nuovo ed originale di affrontare i problemi teologici, una sorta di teologia laica, secolare. … Galileo e Descartes, Leibniz e Newton, Hobbes e Vico, non erano degli ecclesiastici … eppure trattarono ampiamente di problemi di natura teologica. La loro era una teologia secolare, anche nel senso che era orientata verso il mondo terreno”. La nascita della scienza moderna non è stata la discesa di un gruppo di extraterrestri atei e naturalisti in un mondo di bigotti che l’ha prontamente perseguitato: è stata piuttosto il risultato e la germinazione di un lungo processo di riflessioni filosofiche, teologiche e religiose (inclusi gli aspetti mistici di queste ultime) in una forma di teologia secolare, volta a scoprire le leggi del disegno divino di costruzione della natura. Non c’è dubbio che anche il mondo musulmano abbia contribuito a porre le basi di questi sviluppi, ma altri ne hanno tratto i frutti, mentre l’Islam si è ritirato dal processo della formazione della scienza e della filosofia moderne.
Ché poi quell’Europa cristiana che aveva posto le premesse per la rivoluzione scientifica e filosofica sia stata anche il luogo in cui ne sono stati perseguitati i principali protagonisti, è indiscutibile. Come ha osservato Frances Yates, la rivoluzione scientifica progrediva proprio mentre avanzava un cupo periodo di caccia alle streghe. Tuttavia, della complessità e delle contraddizioni degli sviluppi storici occorre farsi carico, e non risolvere le difficoltà con semplificazioni di comodo, come quella di inventare un’inesistente contrapposizione fra scienza e religione, di principio e fin dalle origini.
Nessuno mette in discussione il diritto di essere atei, e magari di avere pure in antipatia la religione. Figuriamoci. Ma di qui a dire amenità come quella secondo cui “si è religiosi per caso (per esempio, per l’accidente della nascita), ma si diventa illuministi nel senso genuino della parola solo per scelta”, ne corre. Anche perché, in tal modo, si da mostra di un rifiuto intollerante a capire le esperienze altrui che è la negazione di quella tolleranza illuminista di cui si mena vanto. Ma forse è proprio questo l’illuminismo figlio dell’integralismo islamico… Si da invece il caso che c’è chi diventa religioso attraverso un processo di scoperta e di scelta, e chi nasce fanatico integralista (ateo o credente che sia) e resta tale per tutta la vita.


Giorgio Israel