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martedì 30 gennaio 2007

La legge Mastella non sfiora Ahmadinejad ma condannerebbe Lévi-Strauss

(pubblicato sul Foglio del 30 gennaio 2007)

La vicenda del disegno di legge cosiddetto Mastella sul negazionismo e il razzismo fornisce alcuni insegnamenti basilari.
Il primo è che meno appelli si fanno e si firmano, meglio è. Una parte dei firmatari dell’appello dei 200 storici era certamente ispirata all’idea che combattere il negazionismo per via legislativa (più di quanto sia già possibile) sia controproducente e apra la via alla pratica disgraziata della storiografia di stato. È assai probabile che altri firmatari, di notori sentimenti anti-israeliani e anti-americani, fossero animati da intenzioni meno commendevoli. Basta navigare in rete per rendersi conto di quanto certi circoli di estrema sinistra abbiano paventato il “rischio” che la legge sul negazionismo impedisse di “condannare i crimini israeliani”.
Ma questa preoccupazione è stata prontamente placata. La versione finale della legge, approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri, non contiene più alcun riferimento al negazionismo e se la prende genericamente con la “diffusione di idee sulla superiorità razziale” o gli atti discriminatori per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, sessuali o di genere. Del negazionismo, a volerlo cercare col lanternino, è rimasto soltanto l’accenno fumoso a un aumento di pena per chi istighi a commettere quei delitti “negando in tutto o in parte l’esistenza di genocidi o di crimini contro l’umanità per i quali vi sia stata una sentenza definitiva di condanna da parte dell’autorità giudiziaria italiana e internazionale”. Si noti, di passaggio, che la maggior parte dei crimini – ad esempio, il Gulag staliniano o la persecuzione degli ebrei nei paesi arabi, per i quali non vi è mai stata alcuna sentenza definitiva di condanna – passa in cavalleria.
Da questa solenne scornata, presa da coloro che speravano di mettere al bando il negazionismo della Shoah, discende il secondo insegnamento: mai scendere sul terreno minato dei reati d’opinione e della loro proscrizione per legge. Si sa dove si comincia e si sa anche dove si finisce: in una condizione peggiore di quella di partenza e con la vittoria delle posizioni più liberticide.
Quale sarà il risultato di questa legge, se verrà approvata e applicata? Per esempio, che sarà più difficile di prima attaccare il negazionismo alla Ahmadinejad. Difatti, a chi se la prendesse con le campagne antisioniste-antisemite e negazioniste che dilagano nel mondo dell’estremismo islamico e tentasse di trascinare di fronte alla legge coloro che le sostengono o le giustificano, si opporrà che i veri atti discriminatori per motivi razziali, etnici e nazionali sono quelli compiuti da Israele contro i palestinesi e che dovrebbe essere punito chi li avvalla, e non chi – sia pure con qualche eccesso di difesa – combatte il “razzismo sionista”.
Il Foglio ha ampiamente illustrato i reati di opinione che potrebbero essere puniti con questa legge. Mi limiterò ad aggiungere un esempio.
Circa mezzo secolo fa l’Unesco invitò il celebre antropologo Claude Lévi-Strauss a tenere due conferenze su “razza e storia” e “razza e cultura” come contributo alla lotta contro i pregiudizi razziali. In conclusione, Lévi-Strauss denunciava i pericoli del multiculturalismo e dell’idea secondo cui è illecito affermare la preferenza, se non addirittura la superiorità della propria cultura. Sosteneva (con quale preveggenza!) che per tale via si sarebbero accumulate «tensioni tali che gli odî razziali avrebbero offerto una misera immagine del regime di intolleranza esacerbata che rischia di instaurarsi domani». Ed ecco un saggio della sua prosa: «Se l’umanità non si rassegna a diventare la sterile consumatrice dei soli valori che ha saputo creare nel passato, capace soltanto di dare alla luce opere bastarde e invenzioni grossolane e puerili, occorre apprendere di nuovo che ogni vera creazione implica una certa sordità all’appello dei valori altrui, fino al loro rifiuto, se non addirittura alla loro negazione».
Lévi-Strauss è vivo e vegeto e gli consigliamo vivamente di non affacciarsi nella penisola dopo la promulgazione della legge Mastella. Qualche buontempone potrebbe celebrare il suo centenario tentando di sbatterlo in galera per aver istigato alla superiorità razziale o etnica con le sue conferenze Unesco contro il razzismo…
La lezione finale è che battaglie come queste si conducono sul terreno politico, culturale e dell’educazione, come hanno rilevato le voci più sagge della maggioranza (valga per tutti Piero Fassino). Se chi costruisce questo tipo di tagliole fosse il solo a finirvi dentro con tutti e due i piedi, peggio per lui. Il guaio è che rischiamo di farci male tutti.

Giorgio Israel

lunedì 15 gennaio 2007

Prima di dire “buon 2007”, decidete se subirete gli schiaffoni dell’islamismo

(Tempi, 11 gennaio 2007)

Buon anno! È d’obbligo dirlo, non per formalità o per esprimere una generica speranza, ma per manifestare la volontà di operare per il meglio. Ma di qui a credere che il 2007 sarà un “buon” anno ne corre. Sarà un anno molto difficile. Non potrà essere altrimenti. Quel che possiamo augurarci è che le difficoltà e gli eventi drammatici cui ci troveremo comunque di fronte non siano vissuti come tappe di un piano inclinato verso il peggio, ma che la nostra società sia capace di guardarli ad occhi aperti.
Cosa ci attende l’hanno spiegato chiaramente gli auguri del presidente iraniano Ahmadinejad all’Occidente: «Vi prenderemo a schiaffoni»… Ed ha aggiunto: «Voglio che sappiate che la nazione iraniana vi ha già umiliato più volte e lo farà ancora in futuro». Non è detto che ci riesca ma il guanto di sfida è lanciato e i fatti insegnano che non si tratta di chiacchiere. Guardare ad occhi aperti le difficoltà significa vedere la sfida mondiale dell’integralismo islamico, che va dall’Indonesia all’Africa, passando per l’Afghanistan, l’Irak, il Libano e la Palestina, una “sfida di civiltà” lanciata all’Occidente: soltanto tappandosi gli occhi per non vederla rischiamo di scivolare sul piano inclinato di cui sopra. È una sfida che passa anche attraverso l’Europa, in cui l’integralismo islamico ha posto profonde radici: nelle grandi città olandesi la maggioranza dei giovani sotto i 18 anni è già islamizzata e le proiezioni indicano che, continuando così, nel 2050, l’Austria sarà a maggioranza musulmana. Dappertutto dilaga una visione estremista e arrogante dell’Islam che considera intoccabili i propri simboli e offende senza ritegno quelli delle religioni cristiana ed ebraica.
Se la risposta dell’Occidente sarà l’odio di sé, la sfida dell’integralismo islamico – per quante sconfitte parziali possa subire – sarà vincente. È difficile nutrire speranza se l’atteggiamento prevalente sarà del genere di quella bibliologa australiana secondo cui Maria Maddalena «era una imprenditrice ebrea attiva nel settore del pesce secco in grado di finanziare un rabbino itinerante chiamato Gesù». (Non è malizia pensare che l’accenno ai pesci preluda a una spiegazione “razionale” del noto miracolo). La battaglia per la sopravvivenza della civiltà occidentale sarà persa se non riusciremo a contrastare questa marea di baggianate e l’assuefazione inebetita per la letteratura autolesionistica (udito in tram: «non so cosa regalargli per Natale» - «e regalagli il Codice da Vinci»…). La sconfitta è certa se perderemo il senso della democrazia, che non è soltanto diritto di voto ma obbedienza alle regole che garantiscono la libertà e contrasto di chi quelle regole non intende rispettare. Un uomo politico europeo ha dichiarato che, se un voto portasse al governo un partito che mira a sostituire la legislazione attuale con la sharia, occorrerebbe prenderne atto: costui non sa più cos’è la democrazia, ha perso ogni legame con la cultura politica liberale dell’Occidente, è diventato un dhimmi. Sarebbe sensato ammettere al voto un partito (che peraltro esiste!) che propugni la legalizzazione della pedofilia? Non lo sarebbe, e così non lo è ammettere al voto un partito che miri a legalizzare la sharia. In quello stesso momento, la democrazia sarebbe morta.
Purtroppo dilaga la cupidigia di asservimento”. Ma se non continuassimo a nutrire la volontà di contrastarla e la fiducia di potervi riuscire, non meriteremmo neppure di scambiarci gli auguri di buon anno.

Giorgio Israel