(Tempi, 22 marzo 2007)
Come dimenticare “Il matematico impertinente”, quell’incoerente “pastiche” di divulgazione scientifica di mediocrissimo livello, intessuto di imprecisioni e autentiche bufale, e inframezzato di ridicole interviste a Hitler, a Gesù o a Saramago? Già allora l’autore, il professor Piergiorgio Odifreddi, dichiarava il suo intento: contribuire a rendere «il mondo un luogo più sensato e la vita più degna di essere vissuta» facendo sì che «la matematica e la scienza prendano il posto della religione nella scuola e nei media». I risultati gli debbono essere sembrati insufficienti se ha tirato fuori un nuovo libro, “Perché non possiamo essere cristiani”, in cui passa direttamente alle vie di fatto: il Cristianesimo è una religione «per letterali cretini», «indegno della razionalità e dell’intelligenza dell’uomo» e la Bibbia un’accozzaglia di «assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche sciocchezze umane, perversioni etiche e bruttezze letterarie». Per l’intanto, lui ha provveduto a fornircene una “disamina” che è un’accozzaglia di sciocchezze, di affermazioni superficiali e ignoranti, scodellata con una tracotanza e un’incoscienza non degne di un docente universitario, per giunta di logica.
Per descrivere il modo di ragionare e la cultura dell’Impertinente basterà ricordare un paio di affermazioni che ha fatto alla trasmissione radiofonica Zapping. Dapprima ha osservato che il noto libro di Bertrand Russell “Perché non sono cristiano” era un po’ deboluccio – infatti il pusillanime Russell ha soltanto spiegato perché lui non era cristiano, non perché non si dovesse esserlo e poi non aveva la competenza nell’esegesi biblica del Nostro – e quindi bisognava dare un rinforzino. Quindi, ha risposto ai critici affermando che è una bestemmia confondere il Dio di Cartesio e di Einstein, che regola il mondo e anzi si identifica con le leggi che lo governano, con il Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento. Doveva andarlo a raccontare a Cartesio, che chissà perché era dualista e sosteneva che l’infinito non può essere attinto dall’uomo perché appartiene soltanto a Dio; o a Einstein che sosteneva che senza mistero non c’è scienza. E doveva raccontarlo a Newton, che sosteneva che il Divino Operaio opera nel mondo correggendo attivamente le perturbazioni del sistema planetario, e tentava di spiegare la gravitazione universale in chiave teologica. Un emerito cretino, non c’è dubbio.
Ma il capolavoro dell’Impertinente è stato quando ha replicato all’accusa di non aver avuto il coraggio di prendersela con la religione musulmana, dicendo che lui se la prende con il Cristianesimo perché vive in Italia, ma che se vivesse in un paese islamico se la prenderebbe con l’islam… Tanto non ci vive, e il gioco è fatto. Viene da chiedere come mai non abbia aspettato di andare a vivere in Israele per prendersela con l’ebraismo. Nè varrebbe rispondere che lo ha fatto perché in Italia ci sono ebrei: di musulmani ce ne sono molti di più. Bel maestro di logica e di ragionamento! Probabilmente, quando prepara la pastasciutta gratta il parmigiano sull’acqua, e appena bolle l’acqua la butta sugli spaghetti.
Potremmo venirgli incontro. Facciamo una colletta per inviarlo in sabbatico da Ahmadinejad. Sono aperte le scommesse per vedere cosa succederà. Nelle speranze dei suoi adoratori – che in rete lo divinizzano: «libro straordinario, dovrebbe sostituire la Bibbia» – convertirà milioni di musulmani all’odifreddismo. Ma è più probabile che tornerà pubblicando un libro dal titolo “Il matematico talebano”.
Giorgio Israel
Cfr. anche i post del 13 marzo 2007 e del 21 aprile 2008
«Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» (Dante Alighieri)
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mercoledì 28 marzo 2007
lunedì 26 marzo 2007
Il nuovo vitello d'oro
Il professor Piergiorgio Odifreddi si pone - dice lui - l'obbiettivo di distruggere le superstizioni (cioé le religioni) e far trionfare il pensiero razionale (cioé scientifico e matematico).
Intanto sta creando una nuova fede in... lui.
Dai commenti dei suoi lettori su Internet Bookshop al suo nuovo libro "Perché non possiamo essere cristiani" (in cui si sostiene che si può essere cristiani soltanto essendo cretini, e che questo non stupisce perché metà della popolazione mondiale è cretina):
“Personalmente credo che questo sia un libro da obbligare [sic] nelle scuole, accanto alla bibbia, magari. Malgrado quest'ultima abbia nulla della autorevolezza del libro di Odifreddi".
"Straordinario, dovrebbe sostituire la Bibbia".
Insomma, abbiamo il nuovo vitello d'oro.
Gli auguriamo con tutto il cuore di non fare la fine del primo.
P.S.
Uno dei lettori commenta così il libro:
"Un libro interessante, pragmatico, cinico ed anti-cristiano: cosa si può chiedere di più? Niente."
Che strano... A giudicare da questa frase avrei detto che il lettore è un cristiano.
Intanto sta creando una nuova fede in... lui.
Dai commenti dei suoi lettori su Internet Bookshop al suo nuovo libro "Perché non possiamo essere cristiani" (in cui si sostiene che si può essere cristiani soltanto essendo cretini, e che questo non stupisce perché metà della popolazione mondiale è cretina):
“Personalmente credo che questo sia un libro da obbligare [sic] nelle scuole, accanto alla bibbia, magari. Malgrado quest'ultima abbia nulla della autorevolezza del libro di Odifreddi".
"Straordinario, dovrebbe sostituire la Bibbia".
Insomma, abbiamo il nuovo vitello d'oro.
Gli auguriamo con tutto il cuore di non fare la fine del primo.
P.S.
Uno dei lettori commenta così il libro:
"Un libro interessante, pragmatico, cinico ed anti-cristiano: cosa si può chiedere di più? Niente."
Che strano... A giudicare da questa frase avrei detto che il lettore è un cristiano.
giovedì 22 marzo 2007
Mulino Bianco in Scozia
Su segnalazione di un lettore di questo blog, lettera inviata al Foglio
Signor Direttore,
secondo una direttiva pubblicata dal Servizio Sanitario Nazionale della Scozia , le infermiere e gli operatori sanitari dovranno evitare nelle comunicazioni all'interno degli ospedali l'uso dei termini "papà" ("dad") e "mamma" ("mom") per non offendere le coppie omosessuali. A questi termini andranno sostituiti quelli di "parents", "carers" e "guardians"... Altrettanto da evitare sono i termini "marito" e moglie", da sostituire con l'uso di "partner", ritenuto preferibile a quello alternativo di "next of kin". Si invita anche ad affiggere negli ospedali poster di coppie omossessuali felici, dello stile "Mulino Bianco". Queste raccomandazioni, che si propone diventino presto direttive tassative, sono state emanate in un opuscolo che invita in tono intimidatorio alla "tolleranza zero nei confronti del linguaggio discriminatorio" e che è stato pubblicato a spese del contribuente come parte del programma "Equality and Diversity".
Ci sarebbe da ridere per questa escalation di imbecillità del politicamente corretto, se non si trattasse di qualcosa che ormai attenta direttamente alle libertà personali.
Propongo che il Family Day previsto per il 12 maggio venga denominato "Family Day of Mom and Dad", ovvero "Giorno della famiglia di mamma e papà". Sarà uno stimolo ulteriore a parteciparvi.
Giorgio Israel
Signor Direttore,
secondo una direttiva pubblicata dal Servizio Sanitario Nazionale della Scozia , le infermiere e gli operatori sanitari dovranno evitare nelle comunicazioni all'interno degli ospedali l'uso dei termini "papà" ("dad") e "mamma" ("mom") per non offendere le coppie omosessuali. A questi termini andranno sostituiti quelli di "parents", "carers" e "guardians"... Altrettanto da evitare sono i termini "marito" e moglie", da sostituire con l'uso di "partner", ritenuto preferibile a quello alternativo di "next of kin". Si invita anche ad affiggere negli ospedali poster di coppie omossessuali felici, dello stile "Mulino Bianco". Queste raccomandazioni, che si propone diventino presto direttive tassative, sono state emanate in un opuscolo che invita in tono intimidatorio alla "tolleranza zero nei confronti del linguaggio discriminatorio" e che è stato pubblicato a spese del contribuente come parte del programma "Equality and Diversity".
Ci sarebbe da ridere per questa escalation di imbecillità del politicamente corretto, se non si trattasse di qualcosa che ormai attenta direttamente alle libertà personali.
Propongo che il Family Day previsto per il 12 maggio venga denominato "Family Day of Mom and Dad", ovvero "Giorno della famiglia di mamma e papà". Sarà uno stimolo ulteriore a parteciparvi.
Giorgio Israel
martedì 13 marzo 2007
Per Odifreddi il compito della scienza è sfottere cristiani ed ebrei
Matematico impertinente ma poco coraggioso
Nel suo ultimo libro il professore dà di cretini ai credenti, ma si guarda bene dal coinvolgere i musulmani
Immaginate che si pubblichi un libro dal titolo “Perché non possiamo essere musulmani”. Immaginate che vi si affermi che l’islam è una religione per «letterali cretini e non adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo», e si spieghi che, poiché «la statistica insegna» (sic) che metà della popolazione mondiale è cretina, non è da stupirsi che ci sia un miliardo di musulmani. Immaginate che si sbeffeggi Maometto come “el libertador” e “el conquistador”. Immaginate tantissime piacevolezze consimili e tirate le somme. Le reazioni a un simile libro, disponibile a pile nelle librerie, farebbero impallidire quelle alle celebri vignette danesi. Il ministro degli interni dovrebbe proteggere con una robusta scorta l’autore, l’esimio professor Piergiorgio Odifreddi, colpito da una fatwa, in attesa che il ministro degli esteri calmi le acque, inviandolo in esilio su un atollo per evitare il taglio dei rifornimenti petroliferi.
Ma non temete. Il libro c’è, ma al posto dei musulmani ci sono i cristiani. Il professor Odifreddi si proclama ateo integrale, è un leader dell’UAAR (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti), assieme a Carlo Flamigni, Margherita Hack, Pietro Omodeo, Sergio Staino ed altri, ma, sebbene consideri la religione roba da minorati mentali, picchia duro soltanto su due religioni: ebraismo e cristianesimo. Anzi, si mostra commosso per i soprusi che le due più malefiche creazioni dell’idiozia umana hanno esercitato nei confronti delle altre religioni. Insomma, l’esimio professore non è un cuor di leone, ma l’espressione del più comune conformismo: quello di chi corre a tirare pugni laddove è certo di non correre rischi, e anzi dove spera di essere incoronato novello Voltaire.
Le finalità del libro sono chiare. In primo luogo, mostrare che l’ebraismo è, in soldoni, il tentativo di stabilire su basi teologiche il diritto a una terra: un disegno perverso che ha condotto alla costituzione di Israele, dal nostro definito in un’intervista uno “stato fascista”. E poi dimostrare che quel tal Gesù era mezzo mago, mezzo imbonitore di ridicole storielle, sulle quali è stato costruito un edificio teologico inconsistente e assurdo e un sistema di potere che ha prodotto soltanto delitti e misfatti. Del resto, è noto da un pezzo che questa è la missione del professor Odifreddi. Ma ora siamo all’ossessione. Qualsiasi cosa gli si chieda, anche che tempo fa, il professore risponde imprecando contro Dio e Gesù. In una recente intervista, gli è stato chiesto cosa pensasse del progetto francese di introdurre il calcolo aritmetico fin dall’asilo e prontamente ha risposto che saper fare 2 + 2 predispone a capire meglio che le tesi secondo cui siamo stati creati da Dio o sotto un cavolo sono entrambe “spiegazioni demenziali”.
Le letture recenti del professor Odifreddi sono il “Diario di Bolivia” ed il manuale “La Guerra di Guerriglia” di Che Guevara, come racconta in un’intervista, «forse l’ultima prima di imbracciare il fucile e andare in montagna»: forse crede di dar prova di humour e non sa che in montagna col fucile ci sta da un pezzo. Almeno fin dal suo “Il matematico impertinente” in cui dichiarava guerra all’era delle tre B, Berlusconi, Benedetto XVI e Bush. Del primo si è disfatto. Liquiderà il secondo con questo libro, e completerà la trilogia con la demolizione del Grande Satana USA (e, come corollario, del Piccolo Satana sionista). Per realizzare il secondo obbiettivo, il nostro non si è risparmiato, almeno in apparenza, vista la mole di citazioni e di disquisizioni filologiche di cui il libro è cosparso. Si direbbe che egli abbia passato anni a studiare l’ebraico e ad approfondire l’esegesi biblica – una via crucis intellettuale, come confessa nauseato. Ma per crederlo bisogna essere ingenui o bendisposti. Non serve neanche grattare in superficie per constatare di quale accozzaglia malamente rabberciata di informazioni di terza mano, probabilmente raccolte sul web, su enciclopedie e dizionari, sia composta la via crucis. È una sequenza di scoperte dell’ombrello (Elohim che è un plurale), di ridicole definizioni in pillola di temi su cui sono stati scritti libri (come il golem), o di elenchi di traduzioni di locuzioni bibliche, la cui diversità viene esibita come prova di non si sa bene quale confusione mentale anziché dell’incapacità del nostro ebraista di dirci qual è quella giusta. E francamente non vale la pena di continuare. Non soltanto perché la qualità del libro non lo merita, ma perché raramente è dato leggere una tale pizza, una vera via crucis di noia, ravvivata soltanto (per chi ama queste cose) da insulti o da osservazioni pecoreccie del tipo: «come simbolo del pene, il serpente sarà pure insinuante e viscido [sic], ma è un po’ moscio: può però facilmente ergersi in un duro bastone, e afflosciarsi in un serpente, anche nelle mani di Mosé».
Potremmo chiudere qui ed anzi chiederci se valeva la pena spendere tante parole, se non fosse che questa vicenda tristanzuola solleva una questione importante. Il professor Odifreddi non è un quidam: egli si è ormai affermato come uno dei principali esponenti della cultura scientifica in Italia. Gli vengono conferiti premi ed onorificenze a mazzi. Di lui si parla, senza tema del ridicolo, non come di un dignitoso ricercatore, ma come di un “vertice mondiale”, che fa avanzare la cultura scientifica con uno “spirito acuto e brillante” e una “cultura di vastità rara” (sito Cicap di Piero Angela ed altri). Egli è il dominus della scienza sui giornali, sulle televisioni e sulle radio e non c’è festival, kermesse, teatro o manifestazione dedicata alla scienza di cui non sia la prima donna. Persino il sindaco di Roma, Walter Veltroni – incurante o ignaro di essere stato trattato da Odifreddi alla stregua di un leccapiedi, uno di coloro che si genuflettono davanti a papi e cardinali – gli ha conferito l’incarico di direttore scientifico del Festival della Matematica di Roma. Insomma, siamo in pieno “odifreddismo”. E qui occorre chiedersi perché e quali sono le conseguenze.
Il fatto è che lo “stile Odifreddi” esprime al meglio la tendenza a ridurre la cultura e la divulgazione scientifica a spettacolo, festa, divertimento. Non c’è bisogno di difendere un’idea noiosa e austera della scienza per dire che non è sensato ridurla a una sagra della porchetta. È una buona idea imbonire i giovani facendo credere che la scienza sia qualcosa che si apprende giocando? Prendiamo il caso del Festival della Matematica. Vi si mette in scena una sfida tra il campione di scacchi Spassky e quindici matematici. Il risultato sarà ovviamente che le quindici “spalle” verranno sonoramente battute. Quale messaggio s’intende così trasmettere? Sfidiamo a trovarne uno dotato di un minimo di senso, salvo il fine in sé di inscenare uno spettacolo circense. E che dire della conferenza-spettacolo di Don Prezzemolo–Dario Fo? O dello show animato, manco a dirlo, da Serena Dandini? O della stantìa riproposizione del film “Morte di un matematico napoletano”, esemplare di una filmografia “matematica” in cui tutto si fa salvo che trasmettere un’idea sia pure ectoplasmatica di questa scienza? Come ha scritto Michele Emmer, «ben vengano le feste di qualsiasi cosa, anche di matematica, purché non pretendano di fornire la via maestra alla comprensione delle cose», mentre il guaio è che «nella glamourizzazione in corso vincono gli scienziati, ma perde la scienza».
Ma c’è un secondo aspetto: l’“odifreddismo” sostituisce metodicamente i contenuti scientifici con contenuti politici e ideologici, con una battaglia laicista, atea, anticlericale, antiamericana, antisionista e quant’altro. Basta seguire la produzione letteraria di Odifreddi: i contenuti scientifici – peraltro sempre trasmessi con una divulgazione di qualità talmente discutibile da rendere le espressioni di lode una manifestazione di umiliante piaggieria – man mano si dileguano per lasciare il posto alla rissa politica.
Le conseguenze si vedono. L’“odifreddismo” provoca soltanto contrapposizioni ideologiche frontali e furenti. Basta dare una scorsa, sul sito InternetBookshop, alla valanga di “recensioni” dei lettori ai libri di Odifreddi. È un mondo spaccato a metà: da un lato, i fans del professore, che proclamano la loro fede atea e postcomunista, arrivando persino a dire di essere certi che il libro è meraviglioso anche se non l’hanno ancora letto; dall’altro, coloro che si sentono beffati nella speranza di leggere di scienza e si vedono invece semplicemente dileggiati nelle loro convinzioni profonde. Un bel trionfo della razionalità, non c’è che dire.
C’è chi difende Odifreddi dicendo che è comunque un bene che si parli di scienza e di matematica. È l’insulsa massima «qu’on en parle, bien ou mal, mais qu’on en parle». Vogliamo davvero far credere che il compito principale della scienza sia dimostrare che la religione è pura demenza? Il risultato sarà che metà dei giovani fuggirà verso altri lidi, e l’altra metà si iscriverà alle facoltà scientifiche credendo che studiare scienza significhi spernacchiare su Gesù e Mosé, gridare “Bush boia” o fare interviste a Hitler. Un bel capolavoro per chi piange da mane a sera sulle misere sorti della scienza in Italia.
Coloro che hanno accettato, per ragioni mediatiche o politiche, Odifreddi come profeta ed esponente della cultura scientifica di questo paese dovrebbero riflettere. Se fossimo davvero – come pretende qualche imbecille – dei “nemici della scienza”, tiferemmo senz’altro “forza Odifreddi”.
Giorgio Israel
(Il Foglio, 13 marzo 2007)
Nel suo ultimo libro il professore dà di cretini ai credenti, ma si guarda bene dal coinvolgere i musulmani
Immaginate che si pubblichi un libro dal titolo “Perché non possiamo essere musulmani”. Immaginate che vi si affermi che l’islam è una religione per «letterali cretini e non adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo», e si spieghi che, poiché «la statistica insegna» (sic) che metà della popolazione mondiale è cretina, non è da stupirsi che ci sia un miliardo di musulmani. Immaginate che si sbeffeggi Maometto come “el libertador” e “el conquistador”. Immaginate tantissime piacevolezze consimili e tirate le somme. Le reazioni a un simile libro, disponibile a pile nelle librerie, farebbero impallidire quelle alle celebri vignette danesi. Il ministro degli interni dovrebbe proteggere con una robusta scorta l’autore, l’esimio professor Piergiorgio Odifreddi, colpito da una fatwa, in attesa che il ministro degli esteri calmi le acque, inviandolo in esilio su un atollo per evitare il taglio dei rifornimenti petroliferi.
Ma non temete. Il libro c’è, ma al posto dei musulmani ci sono i cristiani. Il professor Odifreddi si proclama ateo integrale, è un leader dell’UAAR (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti), assieme a Carlo Flamigni, Margherita Hack, Pietro Omodeo, Sergio Staino ed altri, ma, sebbene consideri la religione roba da minorati mentali, picchia duro soltanto su due religioni: ebraismo e cristianesimo. Anzi, si mostra commosso per i soprusi che le due più malefiche creazioni dell’idiozia umana hanno esercitato nei confronti delle altre religioni. Insomma, l’esimio professore non è un cuor di leone, ma l’espressione del più comune conformismo: quello di chi corre a tirare pugni laddove è certo di non correre rischi, e anzi dove spera di essere incoronato novello Voltaire.
Le finalità del libro sono chiare. In primo luogo, mostrare che l’ebraismo è, in soldoni, il tentativo di stabilire su basi teologiche il diritto a una terra: un disegno perverso che ha condotto alla costituzione di Israele, dal nostro definito in un’intervista uno “stato fascista”. E poi dimostrare che quel tal Gesù era mezzo mago, mezzo imbonitore di ridicole storielle, sulle quali è stato costruito un edificio teologico inconsistente e assurdo e un sistema di potere che ha prodotto soltanto delitti e misfatti. Del resto, è noto da un pezzo che questa è la missione del professor Odifreddi. Ma ora siamo all’ossessione. Qualsiasi cosa gli si chieda, anche che tempo fa, il professore risponde imprecando contro Dio e Gesù. In una recente intervista, gli è stato chiesto cosa pensasse del progetto francese di introdurre il calcolo aritmetico fin dall’asilo e prontamente ha risposto che saper fare 2 + 2 predispone a capire meglio che le tesi secondo cui siamo stati creati da Dio o sotto un cavolo sono entrambe “spiegazioni demenziali”.
Le letture recenti del professor Odifreddi sono il “Diario di Bolivia” ed il manuale “La Guerra di Guerriglia” di Che Guevara, come racconta in un’intervista, «forse l’ultima prima di imbracciare il fucile e andare in montagna»: forse crede di dar prova di humour e non sa che in montagna col fucile ci sta da un pezzo. Almeno fin dal suo “Il matematico impertinente” in cui dichiarava guerra all’era delle tre B, Berlusconi, Benedetto XVI e Bush. Del primo si è disfatto. Liquiderà il secondo con questo libro, e completerà la trilogia con la demolizione del Grande Satana USA (e, come corollario, del Piccolo Satana sionista). Per realizzare il secondo obbiettivo, il nostro non si è risparmiato, almeno in apparenza, vista la mole di citazioni e di disquisizioni filologiche di cui il libro è cosparso. Si direbbe che egli abbia passato anni a studiare l’ebraico e ad approfondire l’esegesi biblica – una via crucis intellettuale, come confessa nauseato. Ma per crederlo bisogna essere ingenui o bendisposti. Non serve neanche grattare in superficie per constatare di quale accozzaglia malamente rabberciata di informazioni di terza mano, probabilmente raccolte sul web, su enciclopedie e dizionari, sia composta la via crucis. È una sequenza di scoperte dell’ombrello (Elohim che è un plurale), di ridicole definizioni in pillola di temi su cui sono stati scritti libri (come il golem), o di elenchi di traduzioni di locuzioni bibliche, la cui diversità viene esibita come prova di non si sa bene quale confusione mentale anziché dell’incapacità del nostro ebraista di dirci qual è quella giusta. E francamente non vale la pena di continuare. Non soltanto perché la qualità del libro non lo merita, ma perché raramente è dato leggere una tale pizza, una vera via crucis di noia, ravvivata soltanto (per chi ama queste cose) da insulti o da osservazioni pecoreccie del tipo: «come simbolo del pene, il serpente sarà pure insinuante e viscido [sic], ma è un po’ moscio: può però facilmente ergersi in un duro bastone, e afflosciarsi in un serpente, anche nelle mani di Mosé».
Potremmo chiudere qui ed anzi chiederci se valeva la pena spendere tante parole, se non fosse che questa vicenda tristanzuola solleva una questione importante. Il professor Odifreddi non è un quidam: egli si è ormai affermato come uno dei principali esponenti della cultura scientifica in Italia. Gli vengono conferiti premi ed onorificenze a mazzi. Di lui si parla, senza tema del ridicolo, non come di un dignitoso ricercatore, ma come di un “vertice mondiale”, che fa avanzare la cultura scientifica con uno “spirito acuto e brillante” e una “cultura di vastità rara” (sito Cicap di Piero Angela ed altri). Egli è il dominus della scienza sui giornali, sulle televisioni e sulle radio e non c’è festival, kermesse, teatro o manifestazione dedicata alla scienza di cui non sia la prima donna. Persino il sindaco di Roma, Walter Veltroni – incurante o ignaro di essere stato trattato da Odifreddi alla stregua di un leccapiedi, uno di coloro che si genuflettono davanti a papi e cardinali – gli ha conferito l’incarico di direttore scientifico del Festival della Matematica di Roma. Insomma, siamo in pieno “odifreddismo”. E qui occorre chiedersi perché e quali sono le conseguenze.
Il fatto è che lo “stile Odifreddi” esprime al meglio la tendenza a ridurre la cultura e la divulgazione scientifica a spettacolo, festa, divertimento. Non c’è bisogno di difendere un’idea noiosa e austera della scienza per dire che non è sensato ridurla a una sagra della porchetta. È una buona idea imbonire i giovani facendo credere che la scienza sia qualcosa che si apprende giocando? Prendiamo il caso del Festival della Matematica. Vi si mette in scena una sfida tra il campione di scacchi Spassky e quindici matematici. Il risultato sarà ovviamente che le quindici “spalle” verranno sonoramente battute. Quale messaggio s’intende così trasmettere? Sfidiamo a trovarne uno dotato di un minimo di senso, salvo il fine in sé di inscenare uno spettacolo circense. E che dire della conferenza-spettacolo di Don Prezzemolo–Dario Fo? O dello show animato, manco a dirlo, da Serena Dandini? O della stantìa riproposizione del film “Morte di un matematico napoletano”, esemplare di una filmografia “matematica” in cui tutto si fa salvo che trasmettere un’idea sia pure ectoplasmatica di questa scienza? Come ha scritto Michele Emmer, «ben vengano le feste di qualsiasi cosa, anche di matematica, purché non pretendano di fornire la via maestra alla comprensione delle cose», mentre il guaio è che «nella glamourizzazione in corso vincono gli scienziati, ma perde la scienza».
Ma c’è un secondo aspetto: l’“odifreddismo” sostituisce metodicamente i contenuti scientifici con contenuti politici e ideologici, con una battaglia laicista, atea, anticlericale, antiamericana, antisionista e quant’altro. Basta seguire la produzione letteraria di Odifreddi: i contenuti scientifici – peraltro sempre trasmessi con una divulgazione di qualità talmente discutibile da rendere le espressioni di lode una manifestazione di umiliante piaggieria – man mano si dileguano per lasciare il posto alla rissa politica.
Le conseguenze si vedono. L’“odifreddismo” provoca soltanto contrapposizioni ideologiche frontali e furenti. Basta dare una scorsa, sul sito InternetBookshop, alla valanga di “recensioni” dei lettori ai libri di Odifreddi. È un mondo spaccato a metà: da un lato, i fans del professore, che proclamano la loro fede atea e postcomunista, arrivando persino a dire di essere certi che il libro è meraviglioso anche se non l’hanno ancora letto; dall’altro, coloro che si sentono beffati nella speranza di leggere di scienza e si vedono invece semplicemente dileggiati nelle loro convinzioni profonde. Un bel trionfo della razionalità, non c’è che dire.
C’è chi difende Odifreddi dicendo che è comunque un bene che si parli di scienza e di matematica. È l’insulsa massima «qu’on en parle, bien ou mal, mais qu’on en parle». Vogliamo davvero far credere che il compito principale della scienza sia dimostrare che la religione è pura demenza? Il risultato sarà che metà dei giovani fuggirà verso altri lidi, e l’altra metà si iscriverà alle facoltà scientifiche credendo che studiare scienza significhi spernacchiare su Gesù e Mosé, gridare “Bush boia” o fare interviste a Hitler. Un bel capolavoro per chi piange da mane a sera sulle misere sorti della scienza in Italia.
Coloro che hanno accettato, per ragioni mediatiche o politiche, Odifreddi come profeta ed esponente della cultura scientifica di questo paese dovrebbero riflettere. Se fossimo davvero – come pretende qualche imbecille – dei “nemici della scienza”, tiferemmo senz’altro “forza Odifreddi”.
Giorgio Israel
(Il Foglio, 13 marzo 2007)
lunedì 12 marzo 2007
Dicono che D’Alema sia razionale. Io non rinuncio al beneficio del dubbio
(pubblicato su Tempi, 8 marzo 2007)
Fabrizio Rondolino ha pubblicato sul Corriere della Sera un’appassionata filippica in difesa di Massimo D’Alema che evoca l’aforisma di Lucio Colletti secondo cui la metodologia è la scienza dei nullatenenti. Dice Rondolino che D’Alema si è trovato a far politica in un’Italia «stordita e stravolta dal crollo dei partiti democratici», in cui si sono scatenate «le forze primordiali e belluine della sinistra antioccidentale, del centro clericale e della destra xenofoba». In questa «ex-Jugoslavia della politica» D’Alema ha provato a fare le due sole cose che andavano fatte: un accordo bipartisan per una nuova costituzione e un governo di centro-sinistra senza comunisti. Anche se non ci fosse riuscito per suoi difetti, continua Rondolino, questi nodi andranno comunque affrontati, e allora bisognerà approdare alla razionalità di D’Alema, un politico che «maneggia la complessità con gli strumenti della ragione», a cui vanno i «lazzi del pubblico pagante» in un paese «bendisposto verso le servette».
Come non essere d’accordo circa la necessità di una riforma costituzionale concordata? E chi non vorrebbe un partito di sinistra autenticamente riformista? Concediamo pure che D’Alema ha fallito non perché sia – come ha scritto Andrea Romano – «un mesto incrocio fra Don Chisciotte e Don Abbondio», bensì per la cretinaggine altrui. Ma siamo ancora alla metodologia pura. Per farle davvero quelle cose, ci vuole la cultura politica adatta. Qui casca l’asino, perché è tutto da dimostrare che D’Alema pensi in termini davvero riformisti e che non resti invece un comunista, sia pure in incognito. La razionalità in sé e per sé è un macinino, bisogna vedere che cosa ci si mette dentro e che cosa esce fuori. E quel che produce la razionalità di D’Alema spesso è inquietante. Sì, è noto che D’Alema periodicamente bacchetta il corporativismo dei sindacati, bastona l’estrema sinistra, comanda un bombardamento sul Kossovo o telefona a Condi. Poi però al primo strillo dei sindacati fa macchina indietro, e assume posizioni di politica estera che soddisfano talmente l’estrema sinistra, da farle levare il grido di dolore che si è sentito dopo il suo discorso al Senato: ma perché, dopo aver detto cose tanto giuste, vuoi che ci sorbiamo la base di Vicenza e la missione in Afghanistan?
Per capire quanto D’Alema ami gli Stati Uniti occorre riascoltare la famosa intervista in rete dell’inizio del 2006, in cui disse che gli Stati Uniti conoscono soltanto l’ideologia della violenza, mentre l’Europa è “superiore”. Occorre ricordare le assurdità dette durante la guerra del Libano, la comprensione per Hezbollah e l’incomprensione sistematica per Israele. Ma basta da solo il recente apprezzamento del riconoscimento “implicito” di Israele da parte di Hamas. Che magnifica dimostrazione di senso istituzionale parlare di riconoscimento “implicito” nei confronti di uno stato membro dell’ONU da sessant’anni!
D’Alema ha anche detto che nel Partito Democratico bisognerà continuare a chiamarsi “compagni”, perché i compagni sono quelli con cui si condividono gli ideali. Ognuno ha diritto di coltivare le sue attrazioni profonde; di guardare con nostalgia, dal fondo della barbarie odierna, al mondo in cui c’era il PCI; di pensare Togliatti e Berlinguer come campioni di razionalità; e persino di credere che il comunismo non c’entri nulla con le forze belluine antioccidentali. Purché non pretenda di farlo credere agli altri e non si illuda che su questo terreno sia facile creare una visione condivisa della politica e, soprattutto, un nuovo riformismo.
Giorgio Israel
Fabrizio Rondolino ha pubblicato sul Corriere della Sera un’appassionata filippica in difesa di Massimo D’Alema che evoca l’aforisma di Lucio Colletti secondo cui la metodologia è la scienza dei nullatenenti. Dice Rondolino che D’Alema si è trovato a far politica in un’Italia «stordita e stravolta dal crollo dei partiti democratici», in cui si sono scatenate «le forze primordiali e belluine della sinistra antioccidentale, del centro clericale e della destra xenofoba». In questa «ex-Jugoslavia della politica» D’Alema ha provato a fare le due sole cose che andavano fatte: un accordo bipartisan per una nuova costituzione e un governo di centro-sinistra senza comunisti. Anche se non ci fosse riuscito per suoi difetti, continua Rondolino, questi nodi andranno comunque affrontati, e allora bisognerà approdare alla razionalità di D’Alema, un politico che «maneggia la complessità con gli strumenti della ragione», a cui vanno i «lazzi del pubblico pagante» in un paese «bendisposto verso le servette».
Come non essere d’accordo circa la necessità di una riforma costituzionale concordata? E chi non vorrebbe un partito di sinistra autenticamente riformista? Concediamo pure che D’Alema ha fallito non perché sia – come ha scritto Andrea Romano – «un mesto incrocio fra Don Chisciotte e Don Abbondio», bensì per la cretinaggine altrui. Ma siamo ancora alla metodologia pura. Per farle davvero quelle cose, ci vuole la cultura politica adatta. Qui casca l’asino, perché è tutto da dimostrare che D’Alema pensi in termini davvero riformisti e che non resti invece un comunista, sia pure in incognito. La razionalità in sé e per sé è un macinino, bisogna vedere che cosa ci si mette dentro e che cosa esce fuori. E quel che produce la razionalità di D’Alema spesso è inquietante. Sì, è noto che D’Alema periodicamente bacchetta il corporativismo dei sindacati, bastona l’estrema sinistra, comanda un bombardamento sul Kossovo o telefona a Condi. Poi però al primo strillo dei sindacati fa macchina indietro, e assume posizioni di politica estera che soddisfano talmente l’estrema sinistra, da farle levare il grido di dolore che si è sentito dopo il suo discorso al Senato: ma perché, dopo aver detto cose tanto giuste, vuoi che ci sorbiamo la base di Vicenza e la missione in Afghanistan?
Per capire quanto D’Alema ami gli Stati Uniti occorre riascoltare la famosa intervista in rete dell’inizio del 2006, in cui disse che gli Stati Uniti conoscono soltanto l’ideologia della violenza, mentre l’Europa è “superiore”. Occorre ricordare le assurdità dette durante la guerra del Libano, la comprensione per Hezbollah e l’incomprensione sistematica per Israele. Ma basta da solo il recente apprezzamento del riconoscimento “implicito” di Israele da parte di Hamas. Che magnifica dimostrazione di senso istituzionale parlare di riconoscimento “implicito” nei confronti di uno stato membro dell’ONU da sessant’anni!
D’Alema ha anche detto che nel Partito Democratico bisognerà continuare a chiamarsi “compagni”, perché i compagni sono quelli con cui si condividono gli ideali. Ognuno ha diritto di coltivare le sue attrazioni profonde; di guardare con nostalgia, dal fondo della barbarie odierna, al mondo in cui c’era il PCI; di pensare Togliatti e Berlinguer come campioni di razionalità; e persino di credere che il comunismo non c’entri nulla con le forze belluine antioccidentali. Purché non pretenda di farlo credere agli altri e non si illuda che su questo terreno sia facile creare una visione condivisa della politica e, soprattutto, un nuovo riformismo.
Giorgio Israel
Disprezzano la “famiglia Mulino Bianco” e ne fanno una uguale (ma contro natura)
(pubblicato su Tempi, 1 marzo 2007)
Nelle discussioni sul disegno di legge Dico, ogni tanto esce fuori qualcuno che, con un sorrisino supponente, ironizza sulle “famiglie del Mulino Bianco”. Se però si parla delle coppie di fatto la solfa cambia. La faccia si ricompone in un atteggiamento serio che ammonisce a portare rispetto. E allora lo voglio dire chiaro e forte alla faccia del cretino di turno: la “famiglia del Mulino Bianco” mi piace, magari con altri biscotti, ma mi piace, e non c’è proprio niente da fare i sarcastici. La “famiglia del Mulino Bianco”, magari con qualche strillo tra un biscotto e l’altro, è una delle cose che danno più senso alla vita; e non invidio chi non lo capisce.
Non mi piace affatto quel che c’è dietro questa snobistica puzza sotto il naso. Mi fa venire in mente una persona che difendeva la riforma di Zapatero – quella che abolisce padre e madre a favore dei “genitori A e B” – dicendo che si tratta di una conquista di giustizia e di uguaglianza che non mette in discussione la libertà di farsi chiamare papà e mamma in casa. Tante grazie per la generosità. In altri termini, la famiglia tradizionale viene trasformata in istituzione clandestina, da coltivare in casa: una sorta di marranismo familiare… Fate pure le parti di mamma e papà in casa, all’aperto siete genitore A e genitore B. Così, prima o poi verrà fuori qualcuno che, in nome del politicamente corretto, se sente per strada un bambino chiamare “mamma” una signora, la denuncerà per discriminazione razziale.
Scorre un fiume di ipocrisia attorno a questo ipocrita e mediocre disegno di legge, che elude la vera questione in gioco: l’introduzione del matrimonio omosessuale. Se così non fosse, qualsiasi problema relativo alle coppie di fatto potrebbe essere risolto per vie ordinarie e senza introdurre nuove forme giuridiche familiari. Qui non si è avuta la forza di porre apertamente la “vera” questione, ma è si è dischiuso l’uscio. E allora occorre precisare un paio di cose. La prima è che in una società civile non può essere ammesso che si nutrano sentimenti di ostilità omofobica e di discriminazione sotto qualsiasi forma. La seconda è che non si vede perché chi ha fatto le sue scelte debba pretendere di inquadrarle entro un’istituzione che è per sua natura fondata sull’eterosessualità e finalizzata alla generazione e all’educazione di figli. Dilagano montagne di sciocchezze in merito: che gli animali praticano l’omosessualità o che gli antichi Romani praticavano largamente omosessualità e pederastia. E allora? Non risulta che gli antichi Romani pensassero che si possa essere figli altro che di un padre e di una madre, maschio e femmina. Quel che si omette di dire è che l’umanità ha costruito sé stessa sulle strutture di parentela, ovvero sulla discendenza secondo la generazione naturale. Il riconoscersi in una rete di parentela è l’unica forma di identità che l’uomo conosce dalla notte dei tempi. Il matrimonio è un’istituzione che riflette semplicemente questo dato di fatto. Ora si pretende di cambiare tutto questo con un tratto di penna legislativo, come se fosse uno scherzetto; come se i ruoli paterno e materno fossero una balla inventata dai reazionari. Non è in discussione la sacrosanta richiesta di rispetto e di diritti, ma la pretesa di ottenerli scardinando la forma matrimoniale e la struttura di parentela naturale. E non si venga a tirar fuori la storia dei divorzi in aumento. Certo. Ma nessuno parla di quanti si risposano. Alla fin fine la famiglia resta l’obbiettivo supremo, anche di chi fa il sarcastico. Chi disprezza compra.
Giorgio Israel
Nelle discussioni sul disegno di legge Dico, ogni tanto esce fuori qualcuno che, con un sorrisino supponente, ironizza sulle “famiglie del Mulino Bianco”. Se però si parla delle coppie di fatto la solfa cambia. La faccia si ricompone in un atteggiamento serio che ammonisce a portare rispetto. E allora lo voglio dire chiaro e forte alla faccia del cretino di turno: la “famiglia del Mulino Bianco” mi piace, magari con altri biscotti, ma mi piace, e non c’è proprio niente da fare i sarcastici. La “famiglia del Mulino Bianco”, magari con qualche strillo tra un biscotto e l’altro, è una delle cose che danno più senso alla vita; e non invidio chi non lo capisce.
Non mi piace affatto quel che c’è dietro questa snobistica puzza sotto il naso. Mi fa venire in mente una persona che difendeva la riforma di Zapatero – quella che abolisce padre e madre a favore dei “genitori A e B” – dicendo che si tratta di una conquista di giustizia e di uguaglianza che non mette in discussione la libertà di farsi chiamare papà e mamma in casa. Tante grazie per la generosità. In altri termini, la famiglia tradizionale viene trasformata in istituzione clandestina, da coltivare in casa: una sorta di marranismo familiare… Fate pure le parti di mamma e papà in casa, all’aperto siete genitore A e genitore B. Così, prima o poi verrà fuori qualcuno che, in nome del politicamente corretto, se sente per strada un bambino chiamare “mamma” una signora, la denuncerà per discriminazione razziale.
Scorre un fiume di ipocrisia attorno a questo ipocrita e mediocre disegno di legge, che elude la vera questione in gioco: l’introduzione del matrimonio omosessuale. Se così non fosse, qualsiasi problema relativo alle coppie di fatto potrebbe essere risolto per vie ordinarie e senza introdurre nuove forme giuridiche familiari. Qui non si è avuta la forza di porre apertamente la “vera” questione, ma è si è dischiuso l’uscio. E allora occorre precisare un paio di cose. La prima è che in una società civile non può essere ammesso che si nutrano sentimenti di ostilità omofobica e di discriminazione sotto qualsiasi forma. La seconda è che non si vede perché chi ha fatto le sue scelte debba pretendere di inquadrarle entro un’istituzione che è per sua natura fondata sull’eterosessualità e finalizzata alla generazione e all’educazione di figli. Dilagano montagne di sciocchezze in merito: che gli animali praticano l’omosessualità o che gli antichi Romani praticavano largamente omosessualità e pederastia. E allora? Non risulta che gli antichi Romani pensassero che si possa essere figli altro che di un padre e di una madre, maschio e femmina. Quel che si omette di dire è che l’umanità ha costruito sé stessa sulle strutture di parentela, ovvero sulla discendenza secondo la generazione naturale. Il riconoscersi in una rete di parentela è l’unica forma di identità che l’uomo conosce dalla notte dei tempi. Il matrimonio è un’istituzione che riflette semplicemente questo dato di fatto. Ora si pretende di cambiare tutto questo con un tratto di penna legislativo, come se fosse uno scherzetto; come se i ruoli paterno e materno fossero una balla inventata dai reazionari. Non è in discussione la sacrosanta richiesta di rispetto e di diritti, ma la pretesa di ottenerli scardinando la forma matrimoniale e la struttura di parentela naturale. E non si venga a tirar fuori la storia dei divorzi in aumento. Certo. Ma nessuno parla di quanti si risposano. Alla fin fine la famiglia resta l’obbiettivo supremo, anche di chi fa il sarcastico. Chi disprezza compra.
Giorgio Israel