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sabato 26 gennaio 2008

Due pesi e due misure

Spendere le belle parole non costa niente, è più difficile pronunziare quelle che costano, soprattutto per la nostra diplomazia ipocrita e doppiopesista. Per esempio, costa pronunziare parole di condanna delle esecuzioni capitali effettuate in Iran all’indomani della proposta di moratoria della pena di morte. Oppure, parole di condanna per la sorte oscura dei soldati israeliani sequestrati da un anno e mezzo. Eppure sarebbe stato un modo decente di inaugurare il 2008. I tartufi pronti a stracciarsi le vesti sulle prigioni “lager” in cui vengono detenuti terroristi palestinesi fingono di dimenticare che un conto è una prigione, per quanto orrenda come tutte le prigioni, visitabile dalla Croce Rossa, da parenti, da avvocati, e un conto è un sequestro di persone che non si sa dove siano finite e se siano ancora vive. Circolano voci orribili sulla sorte del ventunenne israeliano Gilad Shalit, sequestrato da Hamas e che si dice sia detenuto in un pozzo a dieci metri di profondità: nessuno può verificare se ciò sia vero. Anche di Ehud Goldwasser (32 anni) e Eldad Regev (26), rapiti da Hezbollah, non si sa nulla. Cosa si debbano aspettare simili “detenuti” lo dice la sorte del pilota israeliano Ron Arad, sequestrato da Hezbollah nel 1986 e che pare sia stato venduto all’Iran. Secondo la testimonianza di alcuni diplomatici iraniani fuggiti all’estero il regime degli ayatollah lo avrebbe paralizzato con un intervento al midollo spinale. Vero o no che sia, quel regime se ne infischia di allontanare i sospetti permettendo una visita.
L’anno è iniziato con l’uccisione a freddo di due soldati israeliani in licenza da parte delle forze di sicurezza di Al Fatah, ovvero del movimento del presidente di Abu Mazen, come ha confermato un membro delle Brigate Al-Aqsa al quotidiano israeliano Yedioth Aharonot; mentre i missili Qassam continuano a piovere da Gaza. In questa situazione, un governo israeliano debole è costretto a mostrare la massima disponibilità per compiacere l’alleato statunitense che cerca di tenere in piedi la traballante situazione mediorientale: Olmert parla di condividere Gerusalemme con un futuro stato palestinese e di tornare alle frontiere del 1967. In cambio di nulla. La conferenza di Annapolis ha mostrato che i dirigenti politici arabi e islamici non sono disposti neppure a salutare il ministro degli esteri israeliano. Quanto a un’eventuale stretta di mano, è da supporre che sarà oggetto di trattative. Per anni ci è stato spiegato che occorre parlare con il nemico perché è con lui che occorre fare la pace. Piero Fassino, ritenuto uno dei più aperti alle ragioni di Israele, ha avvallato con tale argomento le aperture di D’Alema a Hamas. Ma pare che simile prediche valgano soltanto per Israele.
L’ultima “trovata” del fronte arabo è quella secondo cui Israele non avrebbe il diritto di considerarsi uno stato “ebraico”, il che significa a prevalente religione e cultura ebraica, non che in Israele non si possano coltivare altre fedi, visto che non vi mancano moschee e chiese. Questa pretesa viene avanzata mentre pullulano i paesi “islamici” in cui possedere una croce o un Vangelo costa la galera e i cristiani vengono perseguitati a morte; e mentre vi sono persino immigrati musulmani in Italia che si rifiutano di essere nutriti dalla Caritas se non si toglie dal muro quel “coso” (il crocefisso). La verità è che siamo di fronte alla riproposizione sotto altre vesti della negazione del diritto di Israele a esistere. Ma nessuno – tantomeno la nostra diplomazia – si sogna di denunciare questa vergogna che addensa nubi oscure sul futuro del medioriente.
(Tempi, 17 gennaio 2008)

venerdì 18 gennaio 2008

L'università non può arrendersi. Il bavaglio degli studenti, la voce dei docenti

QUESTO E' UN APPELLO PROMOSSO DA UN GRUPPO DI DOCENTI UNIVERSITARI.
CHI VUOLE ADERIRE E' PREGATO DI FARLO AL SITO DE L'OCCIDENTALE E DI INVITARE AMICI E COLLEGHI A FARLO

http://www.loccidentale.it/ (oppure cliccando direttamente sul titolo)

Che Benedetto XVI sia stato costretto a rinunciare a tenere il suo discorso durante l’inaugurazione dell’anno accademico all’Università “La Sapienza” di Roma è un fatto di gravità inaudita. È un’offesa per tutti coloro che hanno a cuore la concordia civile nel nostro Paese, che credono nella laicità delle istituzioni e che proprio per questo difendono come una preziosa risorsa civile il diritto della religione a esprimersi nello spazio pubblico. Ma il fattaccio de “La Sapienza” costituisce soprattutto un’offesa all’Università, allo spirito di libertà, verità, dialogo e tolleranza che dovrebbe animarla; è il segno di una crisi, sulla quale si dovrebbe aprire una grande discussione pubblica. Non è ammissibile che “La Sapienza” sia potuta diventare, anche se solo per un giorno, il luogo della più intollerante ideologia, né sono ammissibili certi penosi tentativi di sminuire l’accaduto, quasi che si sia trattato di una goliardata qualsiasi. Non doveva accadere. Si doveva fare in modo che non accadesse. Punto.
Unendoci a tutti coloro, moltissimi, che in questi giorni hanno fatto sentire a Benedetto XVI la loro vicinanza e solidarietà, riteniamo che ci sia comunque un modo per riparare, almeno in parte, all’offesa che gli è stata arrecata: è quello di prendere sul serio le parole che avrebbe voluto rivolgere di persona all’intera comunità accademica della Sapienza. Sono parole che denotano una grande passione per l’uomo, per la verità e per la libertà. È precisamente questa passione che tutti, professori e studenti, dobbiamo ritrovare. L’Università deve tornare a interrogarsi seriamente su se stessa, sul senso della sua missione, sul contributo che ha saputo dare al dispiegamento di una cultura politica laica e pluralista; non può arrendersi, direbbe Benedetto XVI, “davanti alla questione della verità”, altrimenti sarà sempre esposta al pericolo che certi tristi episodi come questo possano verificarsi di nuovo.
primi firmatari:
Elena Aga Rossi — Università de L'Aquila e Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione
Sergio Belardinelli — Università degli Studi di Bologna
Marco Bersanelli — Università Statale di Milano
Giancarlo Cesana — Università degli Studi di Milano Bicocca
Valentina Colombo — Institute for Advanced Studies di Lucca
Luigi Compagna — LUISS - Libera Università degli Studi Sociali "Guido Carli"
Raimondo Cubeddu — Università degli Studi di Pisa
Marcello Fedele — Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Bruna Ingrao — Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Giorgio Israel — Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Assuntina Morresi — Università degli Studi di Perugia
Paola Navotti — Università degli Studi di Milano Bicocca
Giovanni Orsina — LUISS - Libera Università degli Studi Sociali "Guido Carli"
Gaetano Quagliariello — LUISS - Libera Università degli Studi Sociali "Guido Carli"
Lucetta Scaraffia — Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Luigi Ventura — Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Victor Zaslavsky — LUISS - Libera Università degli Studi Sociali "Guido Carli"

giovedì 17 gennaio 2008

17 GENNAIO : In omaggio a un Papa, agli amici ebrei e a Chagall



Marc Chagall (1887-1985) (La) Crocifissione bianca (1938)
The Art Institute of Chicago - U.S.A


Diciassette gennaio una data, per chi ha a cuore Israele e il giudaismo in generale, attesa. È la giornata che la Chiesa italiana dedica ormai da anni al dialogo tra ebrei e cristiani. Ogni Diocesi, ogni città, promuove iniziative tese a rafforzare sempre più il legame tra le due grandi tradizioni che formano le radici culturali dell’Europa: quella ebraica e quella cristiana.
Quest’anno, quale che sia l’iniziativa promossa, la storia ci ha preceduto e ha preparato un evento capace, più di ogni iniziativa, di rendere evidente quale sia la vera forza dell’incontro, il vero dialogo.

Sull’Osservatore Romano di mercoledì 16 gennaio, un articolo di Giorgio Israel, acuto osservatore del panorama culturale italiano e Professore ordinario di Matematiche complementari all’Università della Sapienza , dedicava un articolo all’increscioso fatto occorso al Sommo Pontefice Benedetto XVI. Proprio il 17 gennaio, il Papa sarebbe dovuto recarsi alla Sapienza in occasione dell’apertura dell’anno universitario, rimostranze grossolane ma tragicamente rivelatrici dello stato agonizzante della cultura italiana (per non dire europea) hanno costretto il Papa a declinare l’invito. Una scelta signorile e drammatica.
L’oltraggio più grave accaduto a un Sommo Pontefice, come ha giustamente rilevato Roberto de Mattei, da oltre un secolo.
È sorprendente, è bello, ed è segno di grande speranza che si levi a difesa del Papa (e non solo in quanto Papa, ma – grazie a Dio – anche in quanto voce di cerca il Vero e il Bene per tutti) un ebreo, professore tra quegli stessi (forse anche battezzati) che lo hanno così pubblicamente denigrato.
Un grazie a Giorgio Israel, un grazie anche all’amico Guido Guastalla, ebreo pure lui, che non ha esitato a far udire la sua voce.

Pensando a questi miei amici ebrei e alla singolare coincidenza che segna questo 17 gennaio 2008, (una coincidenza che per quanti hanno fede porta il nome di provvidenza), non ho potuto fare a meno di pensare a una tela di Chagall. Drammatica e bellissima per l’intensità profetica, oltre che per la luminosità del segno pittorico.

La crocifissione bianca - così s’intitola l’opera - riassume la tragedia del popolo ebraico, delle persecuzioni, dei pogrom, delle espropriazioni indebite.
In alto a sinistra le bandiere rosse dell’ideologia comunista, firmano drammaticamente l’azione distruttrice verso un popolo, una comunità che ovunque si trovi conserva il legame prezioso dei teffillim. La sinagoga incendiata rievoca le distruzione naziste dei luoghi di culto e delle opere di molti artisti ebrei, tra cui quelle dello stesso Chagall. In alto il dolore dei rabbini, delle donne confusi col fumo che, salendo da Auschwitz portava con sé infinite esistenze.
Al centro Cristo catalizza la girandola di eventi: un Cristo luminoso in cui ogni dolore s’infrange tanto e grande la pace e la serenità che emana. Cristo che, come capitulum, come rotolo attorno al quale si avviluppa la torà, riassume la forza intrinseca di un popolo che canta a Dio: «se anche mi uccidesse, spererei in Lui». Cristo, infatti, porta il talled Gadol, lo scialle della preghiera e davanti a Lui arde instancabile una menorah.

Mi perdoneranno i miei amici ebrei, anzi sapranno capirmi, se leggo in questa opera il dolore di ogni perseguitato, così come Chagall, ebreo convinto, ha saputo leggere nelle piaghe del Crocifisso il grido di ogni innocente, specie dell’innocenza del suo popolo. Non aveva bisogno Chagall di togliere la croce dai muri per proclamare la sua identità, non aveva bisogno di cancellare la fede cristiana per affermare la sua.
L’arte, come la fede vera, quella sorretta dalla ragione, l’arte vera, come la ragione sorretta dalla fede nella verità educa al Mistero, educa all’incontro con quell’Altro e con quell’Oltre che rende liberi di fronte all’altro che ci vive accanto.
Mi perdoneranno se vi leggo il dolore di un Papa che come Chagall ha visto la sofferenza della shoà, ha visto il tramonto delle ideologia che ancora inonda di rosso il cielo di Europa. Ha visto e non può tacere. Nella sua voce c’è la nostra voce. Non è la voce altisonante e stridula che si è levata dai pochi della Sapienza. È la voce sommessa e impercettibile della preghiera salmica, ma robusta e ardente come il fuoco della menorah. È la voce del violino come quello che riposa ancora, nonostante i pogrom, accanto alle case incendiate del quadro di Chagall. È la voce della bellezza della verità la quale, proprio quando è conculcata, allora grida più forte. Questa è la voce del Papa, di Giorgio, di Guido, di Magdi e di centinaia come loro che del dialogo o meglio, dell’incontro e della ricerca sincera della verità, hanno fatto la loro missione. Per essi la giornata del dialogo è la vita intera e questo diciassette gennaio l’ha reso evidente.

Sr. M. Gloria Riva

RICEVO E PUBBLICO con il consenso dell'autore

Al Chiarissimo Prof. Frova, e per conoscenza al Magnifico Rettore
dell'Universita' degli Studi la Sapienza di Roma.

Chiarissimo Professore:

Le scrivo per esprimere tutto il mio disappunto, ma soprattutto la mia
grandissima vergogna per la Vostra iniziativa nei riguardi del Prof.
Ratzinger.
Ho ascoltato il Suo intervento a Radio Tre Mondo e, mentre trovo
sconcertante la pochezza dei Suoi argomenti, mi disgusta sopra ogni
cosa la disonesta' intellettuale da Lei dimostrata di fronte agli
argomenti presentati dal Prof. Israel.
Come Scienziato, lei e' stato educato da generazioni di grandi
personalita' alla imparzialita' dei fatti: rinnegando questi valori,
ma soprattutto rinnegando i valori laici ed umanisti di uno dei piu'
prestigiosi Atenei Italiani, Lei espone al pubblico ludibrio la
pochezza intellettuale del sistema Universitario Italiano, gia'
peraltro ampiamente conosciuto e deriso nel mondo per la qualita'
generale dell' insegnamento e della ricerca. Incidentalmente, il suo
tacciare di "bigotry" (The attitude, state of mind, or behavior
characteristic of a bigot; intolerance.) il sistema accademico
Statunitense rappresenta un ulteriore ingiustificato insulto indegno
della Sua posizione.
Lei, e tutti i firmatari della vergognosa lettera censoria nei
confronti del Prof. Ratzinger, mi avete addolorato come Cattolico,
offeso come Italiano, ma soprattutto umiliato come Scienziato.
Confido contro ogni terrena speranza che il mondo accademico Italiano
riesca a trovare la strada per distinguersi nettamente da queste
posizioni oscurantiste, antiscientifiche, e illiberali
La prego di passare questa mia email agli altri firmatari della
lettera dei quali ancora attendiamo conoscere l'identita'.

Distinti Saluti,

Andrea Cortis

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Dr. Ing. Andrea Cortis, PhD

Scientist

Earth Sciences Division, 90-1116
Lawrence Berkeley National Laboratory
1 Cyclotron Road Berkeley,
CA 94720 USA
email: acortis@lbl.gov
http://esd.lbl.gov/ESD_staff/cortis/index.html
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UN FIOR DI MODERATO...

Ieri, durante la trasmissione radiofonica Radio Anch'io, l'esimio professor Odifreddi mi ha definito come un "noto estremista".
Mi limito a osservare che sono felice e a mio agio di essere in compagnia di "estremisti" come il professor Renato Angelo Ricci, presidente onorario della Società Italiana di Fisica oppure di Massimo Cacciari, anziché in quella di "moderati" come il "matematico impertinente" secondo cui un giovane non può imparare a pensare razionalmente se da bambino si appassiona della lettura di Harry Potter e del Signore degli Anelli.

martedì 15 gennaio 2008

COME MAI IN SOLI DUECENTO?

Come mai un gruppo di 67 docenti che scrivono un documento da pezzenti capitanati da un "cattivo maestro" che scrive un documento ideologico pieno di assurdità, assieme a un centinaio di esagitati riescono a impedire al Papa di venire all'università? Come mai circa duecento persone riescono a far fare una figura di merda a un intero paese?
Volete una risposta?
La do raccontando un piccolo episodio.
A un collega - docente illustre, anziano e rispettato - ho detto che trovavo delirante che negli USA la Columbia University avesse invitato un delinquente patentato (negatore della Shoah, programmatore della distruzione di uno stato membro dell'ONU) come Ahmadinejad e in Italia l'università La Sapienza non riuscisse a invitare una persona rispettabile come Benedetto XVI. Sapete cosa ha risposto? Che Ahmadinejad non è pericoloso per gli Stati Uniti quanto lo è il Papa per l'Italia...
Questa è l'acqua demente in cui nuotano quei duecento fanatici.
Ed ecco perché viviamo in un clima così mefitico, che ha indotto (giustamente) il Papa a rinunciare.
Ha detto bene Cossiga: questa è la grande vittoria del grande popolo dell'Unione.
Ma forse è una gran vittoria di Pirro.

Quando Ratzinger difese Galileo alla Sapienza

Osservatore Romano - 16 gennaio 2008
Giorgio Israel
Professore ordinario
di Matematiche complementari
Università di Roma La Sapienza


È sorprendente che quanti hanno scelto come motto la celebre frase attribuita a Voltaire - "mi batterò fino alla morte perché tu possa dire il contrario di quel che penso" - si oppongano a che il Papa tenga un discorso all'università di Roma La Sapienza. È tanto più sorprendente in quanto le università italiane sono ormai un luogo aperto ad ogni tipo di intervento ed è inspiegabile che al Papa soltanto sia riservato un divieto d'ingresso. Che cosa di tanto grave ha spinto a mettere da parte la tolleranza volterriana? Lo ha spiegato Marcello Cini nella lettera dello scorso novembre in cui ha condannato l'invito fatto dal rettore Renato Guarini a Benedetto XVI. Quel che gli appare "pericoloso" è che il Papa tenti di aprire un discorso tra fede e ragione, di ristabilire una relazione fra le tradizioni giudaico-cristiana ed ellenistica, di non volere che scienza e fede siano separate da un'impenetrabile parete stagna. Per Cini questo programma è intollerabile perché sarebbe in realtà dettato dall'intento perverso, che Benedetto XVI coltiverebbe fin da quando era "capo del Sant'Uffizio", di "mettere in riga la scienza" e ricondurla entro "la pseudo-razionalità dei dogmi della religione". Inoltre, secondo Cini, egli avrebbe anche prodotto l'effetto nefasto di suscitare veementi reazioni nel mondo islamico. Dubitiamo però che Cini chiederebbe a un rappresentante religioso musulmano di pronunziare un mea culpa per la persecuzione di Averroè prima di mettere piede alla Sapienza. Siamo anzi certi che lo accoglierebbe a braccia aperte in nome dei principi del dialogo e della tolleranza.
L'opposizione alla visita del Papa non è quindi motivata da un principio astratto e tradizionale di laicità. L'opposizione è di carattere ideologico e ha come bersaglio specifico Benedetto XVI in quanto si permette di parlare di scienza e dei rapporti tra scienza e fede, anziché limitarsi a parlare di fede.
Anche la lettera contro la visita firmata da un gruppo di fisici è ispirata da un sentimento di fastidio per la persona stessa del Papa, presentato come un ostinato nemico di Galileo. Essi gli rimproverano di aver ripreso - in una conferenza tenuta proprio alla Sapienza il 15 febbraio 1990 (cfr J. Ratzinger, Wendezeit für Europa? Diagnosen und Prognosen zur Lage von Kirche und Welt, Einsiedeln-Freiburg, Johannes Verlag, 1991, pp. 59 e 71) - una frase del filosofo della scienza Paul Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto". Non si sono preoccupati però di leggere per intero e attentamente quel discorso. Esso aveva come tema la crisi di fiducia nella scienza in sé stessa e ne dava come esempio il mutare di atteggiamento sul caso Galileo. Se nel Settecento Galileo è l'emblema dell'oscurantismo medioevale della Chiesa, nel Novecento l'atteggiamento cambia e si sottolinea come Galileo non avesse fornito prove convincenti del sistema eliocentrico, fino all'affermazione di Feyerabend - definito dall'allora cardinale Ratzinger come un "filosofo agnostico-scettico" - e a quella di Carl Friedrich von Weizsäcker che addirittura stabilisce una linea diretta tra Galileo e la bomba atomica. Queste citazioni non venivano usate dal cardinale Ratzinger per cercare rivalse e imbastire giustificazioni: "Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità". Esse piuttosto venivano addotte come prova di quanto "il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica".
In altri termini, il discorso del 1990 può ben essere considerato, per chi lo legga con un minimo di attenzione, come una difesa della razionalità galileiana contro lo scetticismo e il relativismo della cultura postmoderna. Del resto chi conosca un minimo i recenti interventi del Papa sull'argomento sa bene come egli consideri con "ammirazione" la celebre affermazione di Galileo che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico.
Come è potuto accadere che dei docenti universitari siano incorsi in un simile infortunio? Un docente dovrebbe considerare come una sconfitta professionale l'aver trasmesso un simile modello di lettura disattenta, superficiale e omissiva che conduce a un vero e proprio travisamento. Ma temo che qui il rigore intellettuale interessi poco e che l'intenzione sia quella di menar fendenti ad ogni costo. Né c'entra la laicità, categoria estranea ai comportamenti di alcuni dei firmatari, che non hanno mai speso una sola parola contro l'integralismo islamico o contro la negazione della Shoah. Come ha detto bene Giuseppe Caldarola, emerge qui "una parte di cultura laica che non ha argomenti e demonizza, non discute come la vera cultura laica, ma crea mostri". Pertanto, ripetiamo con lui che "la minaccia contro il Papa è un evento drammatico, culturalmente e civilmente".

VERGOGNA

Ci sono riusciti a impedire che il Papa parlasse all'Università "La Sapienza". Negli Stati Uniti, alla Columbia University può parlare il supernegazionista della Shoah Ahmadinejad e in Italia, alla "Sapienza", non può parlare Benedetto XVI.
È una vergogna per tutti, in primo luogo per il governo e soprattutto per il suo "presidente" Prodi che è stato capace di non dire una sola parola, una soltanto, quando era necessario, e cioè prima. Il coro delle deprecazioni ex-post è troppo rituale.
Se esiste ancora un minimo di senso della decenza il governo dovrebbe cadere tra un'ora.
È una vergogna per quei docenti che si sono coperti di ridicolo mostrando a quale livello culturale siamo caduti.
È una vergogna per La Sapienza che si conferma essere una delle università più intolleranti del mondo. Ricordate il caso di De Felice, di Colletti?

SPAZZATURA AL QUADRATO

Questa è l'informazione che ho ricevuto poco fa.
Quel discorso fu tenuto 17 anni fa alla Sapienza...
Ogni commento è superfluo...

BENEDETTO XVI E LA CITAZIONE DI FEYERABEND

Nella edizione tedesca del libro pubblicato nel 1992 dalla San Paolo (col titolo Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti), la citazione di Feyeranbend è a pag. 71 (P. Feyerabend, Wider den Methodenzwang, Frankfurt Main, 1976, 1983, 206).

A pag. 59 del testo tedesco c’è una nota, all’inizio, in cui si dice:

«La prima versione di questo testo risale a una conferenza tenuta a Rieti il 16 dicembre 1989 ancora sotto la fresca impressione degli avvenimenti in Europa dell’Est come tentativo di una prima riflessione di quegli avvenimenti; la versione qui presentata servì come conferenza all’università romana della Sapienza il 15 febbraio 1990. La stessa versione, modificata per la ricorrenza, è stata utilizzata in occasione delle celebrazioni per i 1400 anni del III Concilio di Toledo a Madrid il 24 febbraio 1990».

Nelle fonti in fondo al libro tedesco si legge che la conferenza fu pubblicata per la prima volta in italiano dal periodico Il Nuovo Areopago, n. 9 – 1990 (stampato a Parma).

Titolo originale tedesco del libro:

J. RATZINGER, Wendezeit fuer Europa? Diagnosen und Prognosen zur Lage von Kirche und Welt, Johannes Verlag, Einsiedeln/Freiburg 1991

lunedì 14 gennaio 2008

L'APPELLO SPAZZATURA DEGLI SCIENZIATI "LAICI" CONTRO IL PAPA

Ho trascorso la giornata a ricevere telefonate che richiedevano dichiarazioni sulla sconcertante e avvilente situazione che si è determinata a "La Sapienza" con la mobilitazione contro la visita del Papa.
Non posso anticipare un articolo che ho scritto né l'intervista che uscirà domani su Avvenire.
Attendo con impazienza un confronto con uno dei firmatari del documento dei fisici contro il Papa, domattina a Rai Tre.
Uno dei lettori di questo blog attende con ansia una presa di posizione dei "veri" docenti de "La Sapienza".
Non so se verrà, non credo più molto agli appelli e alle lettere, ma per parte mia non ho mancato e mancherò di prendere posizione e sono certo che altri lo faranno.
Frattanto, vorrei sottolineare la coraggiosa presa di posizione di Giuseppe Caldarola sul suo blog.
Leggetela, ne vale la pena.
Intanto, vorrei raccontare un episodio significativo del clima della nostra Università.
È d'uso non fare mai uso della posta elettronica universitaria per questioni non inerenti alla stretta attività didattica, scientifica o istituzionale. È una regola essenziale, altrimenti si scatenerebbe l'inferno. Immaginate la situazione in campagna elettorale.
Nel mio dipartimento si segue questa regola strettamente, anche da quando un "collega" mise sulla sua pagina web un link a un sito no-global che conteneva pesanti minacce nei miei confronti.
Ebbene, un collega ha chiesto al direttore una deroga, e cioé di inviare a tutti un suo messaggio che invita a sottoscrivere l'appello dei colleghi di fisica contro la visita del Papa.
La deroga è stata concessa.
Per parte mia, ho risposto con il messaggio al direttore che riporto qui.
Lo faccio, sia perché in tal modo anticipo subito quali sono le mie opinioni. Sia perché non so se verrà inviato a tutti. Per il momento questo non è successo.
So comunque che sarò considerato d'ora in poi un appestato servo del Papa, dopo essere stato bollato come un sionista, propagandista dei "criminali" israeliani.
Tanto, come diceva una certa persona, in certe situazioni il massimo che si perde sono le proprie catene...

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Caro Direttore,

indipendentemente da quel che si può pensare dalla visita del Papa alla nostra università, credo che faccia parte dello standard minimo di un professore universitario usare argomenti appropriati e basati su riferimenti documentati.
Ora, forse è utile che i colleghi sappiano, prima di apporre la loro firma al documento del colleghi fisici, il fondamento della contestazione che in questo documento si fa al Papa.
Nella lettera si dice che il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella citta di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: «All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto».
E così si commenta: «Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano».
Se uno si prende la briga di andare a rileggere attentamente - come dovrebbe fare un docente - il succitato discorso ne ricava quanto segue. Il Papa ha voluto descrivere la crisi di fiducia della scienza moderna in sé stessa. Dopo aver ricordato come nel Settecento e in parte dell'Ottocento il processo a Galileo venisse ricordato come esempio dell'oscurantismo della Chiesa, ha mostrato attraverso una serie di citazioni come il diffondersi progressivo di un punto di vista scettico abbia condotto prima a sostenere la non oggettività del sistema eliocentrico, e via via fino all'affermazione di Feyerabend (citato come un filosofo della scienza "agnostico-scettico") che finisce col giustificare la Chiesa e addirittura a quella di von Weizsäcker secondo cui esiste una via diretta che ha condotto da Galileo alla bomba atomica. Egli ne ha concluso che la religione non deve trovarne in ciò spunto per rivalse ma, al contrario, difendere la ragione osservando a qual punto di sfiducia in sé stessa sia arrivata la scienza.
In buona sostanza il citato discorso di Parma è una vera e propria apologia di Galileo...
Come lo sono del resto altri recenti discorsi del Papa che citano la visione matematica della realtà del "grande Galileo" come l'unica coerente con una visione razionale del mondo.
Spero che nessun buontempone interpreti queste osservazioni come un'arringa in difesa del Papa che non ne ha bisogno.
Voglio soltanto sottolineare che, deve essere accaduto che qualche sprovveduto ha suggerito che si poteva giustificare la condanna della visita del Papa sulla base di una frase di un discorso che non aveva capito, e un gruppo di illustri docenti (tra cui il nuovo presidente del CNR) ha firmato con la leggerezza con cui nel sessantotto si firmavano i documenti contro la "repressione".
Sarebbe stato quantomeno più elegante se non si fosse condito un simile infortunio con una tirata penosamente retorica sulla vita consacrata all'avanzamento delle conoscenze, il che finisce col suonare autoironico.
Ognuno è libero di far quel che vuole. È bene soltanto essere consapevoli che sottoscrivendo una lettera come quella si sottoscrive al contempo una pregnante testimonianza del degrado culturale cui è giunta la nostra università.
Sarebbe consigliabile che chi vuol opporsi alla visita del Papa trovi un modo più serio per farlo.
Ma, beninteso, ognuno è libero di impiccarsi all'albero che preferisce.

Cordiali saluti

giovedì 10 gennaio 2008

Sarà questo l’anno in cui gli insegnanti diventeranno tutti “facilitatori”?

Il 2008 sarà un anno di ripresa per la scuola italiana, dopo i dati catastrofici del rapporto OCSE-PISA? È difficile essere ottimisti se insisteremo a propinare i medicinali in uso da un trentennio. Un buon medico quando la terapia non funziona rivede la diagnosi. I medici ideologi moltiplicano la dose.
In India gli obbiettivi di apprendimento per la matematica vengono tutti conseguiti almeno tre anni prima di noi. Un bambino cinese o indiano che frequenti la nostra terza elementare si gira i pollici perché sa già tutto. Il confronto con le scuole medie inferiori è impietoso. Come mai? Semplicemente perché la loro scuola è com’era la nostra trent’anni fa. Ma continuiamo a vietare di parlare di “programmi” perché sarebbe repressivo e impositivo. Il risultato è che i programmi vengono definiti dagli editori dei libri scolastici. Costoro si sono adeguati abilmente al gergo didattichese propinando senza vergogna orrori matematici considerati ormai intoccabili (come la “legge dissociativa”) ed offrendo una meccanicità di apprendimento che fa impallidire quella della vecchia scuola “trasmissiva”. Al posto dei programmi la burocrazia ministeriale propina vaghe e fumose “indicazioni” redatte in puro stile sindacal-progressista senza tema di esibire le più assolute scempiaggini: come l’indicazione a studiare il teorema di Pitagora “e le sue applicazioni alla matematica”. Difatti, tutti sanno che il teorema di Pitagora non è matematica. Forse è roba che si mangia. Ma provatevi a sottolineare queste scempiaggini e vi si dirà che non ha importanza: i contenuti si “creano” in classe, nel processo di “autoapprendimento” degli studenti. L’unica cosa che conta sono le metodologie didattiche. Si proclama che questo è il modo di salvare la scuola. Per l’intanto abbiamo realizzato una scuola appiattita sulla mediocrità e sull’ignoranza, sulla svalutazione del merito, della competizione e della spinta ad apprendere. È la scuola del conformismo più grigio, in cui tutti sono sollecitati a usare sempre e ovunque lo stesso gergo pedagogistico codificato, con una pressione psicologica così forte che pare che nessuno più osi ricorrere a un verbo diverso da “somministrare” parlando di questionari.
Ho udito un collega pedagogista proclamare con enfasi che occorrerebbe cancellare dal vocabolario le parole “insegnare” e “insegnante”, in quanto riflettono una visione “trasmissiva” e “impositiva”. Bisognerebbe dire “accompagnare”, “stare accanto”, “facilitare” o “mediare” e chiamare l’insegnante “accompagnatore”, “facilitatore” o “mediatore”. L’aspetto tragicomico è chi propina queste visioni insegna, eccome… Anzi, trasmette moleste teorie del nulla con la supponenza di chi si ritiene esentato da ogni valutazione. Sono gli unici insegnanti rimasti, gli altri sono tutti badanti.
È ideologia, e l’ideologia si va beffe della realtà. Non sfugge il suo carattere totalitario. Difatti, si tratta di una miscela perversa di scientismo pedagogistico-didattico e di sovversivismo egualitarista di sessantottini invecchiati male. La pretesa che si possano costituire la pedagogia e la didattica come scienze esatte sul modello delle scienze fisico-matematiche e che abbia senso parlare di cose fuori dal mondo come la “misurazione delle conoscenze” si sposa con la volontà di scassare del tutto la scuola “di classe”. In effetti, si è riusciti a scassarla e a trasformarla in una vera scuola classista, in cui vanno avanti soltanto quelli che hanno il sostegno di una famiglia colta e capace di educare nel senso tradizionale del termine. Tanti auguri di un buon 2008 con tanti buoni maestri e prof., e senza fac., med. e accomp.
(da Tempi, 10 gennaio 2008)