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martedì 14 ottobre 2008

Ancora bullismo

Reduce da un’università percorsa da cortei invasati che scandiscono urla belluine vengo a sapere della vicenda di Novara: un professore che rimprovera un ragazzino di 14 anni per aver abbandonato la classe e viene preso a pugni. Quel ragazzino era già stato sospeso più volte, aveva continuato imperterrito a mettersi le cuffie per ascoltare la musica in classe uscendo quando gli pareva, picchia il professore, non manifesta il minimo pentimento, neppure per finta, e la direzione scolastica che fa? Si limita a risospenderlo, offrendo al picchiato la prospettiva di ritrovarsi in classe il picchiatore più arrogante di prima. Il docente abbandona la scuola perché – dice giustamente – «non hanno saputo scegliere tra me e lui, i colleghi mi hanno lasciato solo, sono stato tradito».
La prima cosa che viene in mente è la manifestazione del 30 ottobre. Dopo i grembiulini bruciati, gli slogan contro il ripristino del voto in condotta, contro i voti in pagella, contro ogni forma di ripristino di ordine e disciplina a scuola, dopo le urla belluine, è vergognoso scendere in piazza come se niente fosse, come se la vicenda di Novara non fosse l’ultimo insopportabile scandalo che testimonia lo stato tragico in cui è ridotta la scuola italiana. Una scuola impotente, abbandonata alla viltà e all’ipocrisia con cui, appellandosi a letture riduttive dei regolamenti, ci si rifiuta di restituire a un insegnante la dignità. E cos’è un insegnante senza dignità, se non si traccia attorno a lui una cortina invalicabile che ne garantisca il rispetto?
Altro che regolamenti! Non soltanto occorrerebbe l’elementare dovere civile di interpretarli nel modo più severo possibile, a costo di qualche ricorso, ma tutti dovrebbero cogliere l’occasione per proporre la soppressione dell’indecente Carta delle studentesse e degli studenti, frutto del servilismo giovanilistico tardo-sessantottino. Se i sindacati e i partiti che scenderanno in piazza il 30 ottobre volessero rendere rispettabile la loro manifestazione – pur mantenendo l’opposizione al maestro unico o ad altri aspetti della riforma, magari articolandola in modo intelligibile – dovrebbero centrarla attorno alla solidarietà nei confronti del professor Luigi Sergi, alla richiesta dei provvedimenti più radicali che creino le condizioni per la sua permanenza a scuola, all’adesione alla reintroduzione del voto in condotta e alla richiesta di gettare nella pattumiera la famigerata Carta di cui sopra.
Non lo faranno. Perché il potere sindacale sulla scuola si fonda sulla trasformazione degli insegnanti da educatori a dipendenti proletarizzati. Ma c’è anche un altro sindacalismo che mette all’angolo gli insegnanti, ed è quello di troppe famiglie che difendono i figli qualsiasi cosa facciano e sono abituate a considerare la scuola come un luogo dove depositare la prole e che deve prestare questo servizio senza provocare problemi. È l’altra faccia della scuola come ammortizzatore sociale. Questo drammatico sbandamento di una società che sa sempre meno cosa significhi educare non può essere fronteggiato da una scuola priva di strumenti di difesa e in cui si diffonde la paura.
Non mi stancherò di ripetere che una delle cause di questa catastrofe è la sciagurata concezione della scuola come servizio e degli studenti e delle famiglie come utenti. Il principio della “customer satisfaction” trasferito all’istruzione fa credere che uno possa “soddisfare” i propri comodi e avere anche il diritto di protestare se qualcuno ti intralcia e non ti promuove. Del resto, se in un supermercato ti rifilano una scatola piena di vermi, non hai il diritto di protestare? Che l’istruzione non sia scatolame non lo capisce quasi più nessuno. Ma quantomeno se nel supermercato picchi la commessa chiamano la polizia. Invece a scuola ti danno una sculacciatina e ti mandano a fare una passeggiata.
(Libero, 14 ottobre 2008)

25 commenti:

Lucio ha detto...

Nonostante i miei commenti siano solitamente di segno contrario a quelli dell'autore, qui non posso che concordare. C'e' troppa tolleranza per comportamenti di questo tipo e la difesa degli insegnanti da parte dei presidi (e forse dei colleghi) e' inesistente. Sono a conoscenza di episodi simili (anche se non di questa gravita') avvenuti a persone che conosco, ed e' davvero deprimente. E' appena uscito un film francese, "La classe", ne parlano tutti, l'ho visto domenica scorsa assieme a mia moglie che insegna alle superiori. La scuola rappresentata nel film e' una scuola francese "disagiata"; mia moglie mi dice: "Questo e' quello che succede in una scuola francese disagiata, ed in una scuola italiana normale!". Si vede uno studente prima venir sospeso per aver dato del "tu" ad un insegnante, poi espulso dalla scuola per un episodio violento, anche se non cosi' grave come quello di Novara.

Ed e' giusto che si faccia cosi'.

Lucio Demeio.

Carlo Scognamiglio ha detto...

Questo è effettivamente un problema serio e scottante. Non lo definirei "bullismo", che è un termine utilizzato nella letteratura scientifica per descrivere un altro genere di fenomeni (per semplificare, la pressione di un gruppo dei pari su un coetaneo su cui si esercita un processo di "demolizione", diciamo una sorta di mobbing giovanile).
L'affronto degli adolescenti nei confronti dei docenti e dei regolamenti è un problema serio. Non sono sicuro che abbia a che fare con il solo lassismo, che pure è una realtà. Infatti, come indicano studi specialistici (es. Sharp oppure Olweus) questi fenomeni si presentano con più frequenza e insistenza nei paesi nordici (spec. Inghilterra, Danimarca e paesi scandinavi), dove né nella scuola né nella gestione sociale ci sono forme pervasive di lassismo.

Sono d'accordo sull'irrigidimento disciplinare. Nel senso che basterebbe atturare le regole che già ci sono. Almeno nel pubblico. Anch'io sono stato vittima da insegnante di episodi analoghi, ma in un contesto privato, dove i figli dei notabili fanno un pò quello che gli pare. La risposta dell'allievo alle mie rimostranze? "Ah Professò, tanto si sa che dopo lo spazzino viene solo l'insegnante". Questa è la considerazione sociale di cui godiamo. Colpevoli anche i bassi salari e le campagne denigratorie dei vari governi.

Forse però, al di là dei regolamenti e degli stipendi, bisognerà capire cosa accade nella società e nelle famiglie, perché la scuola è uno specchio dell'ambiente che la ospita. Chi lavora a scuola vede prima di altri le lacerazioni sociali.

feynman ha detto...

sarebbe vergognoso scendere in piazza il 30 ottobre per manifestare con lo sciopero il proprio dissenso alla "riforma" Gelmini? ma per piacere.

Gianfranco Massi ha detto...

Cosa possiamo aspettarci dalla politica per arrestare questo sfascio della scuola?
Ormai è evidente che i veri sostenitori delle riforme - sulle quali ci sarebbe da fare un ragionamento a parte - sono i partiti della coalizione della libertà. I cosiddetti riformisti si stanno rivelando il partito del "no change", sia pure con l' attenuante di "dover ad ogni costo opporsi" a Berlusconi. Il premier si è solo limitato a nominare ministro della scuola una signora con la laura di avvocato, dotata di viva intelligenza, e soprattutto decisa a portare avanti le "sue riforme". Le quali, e questo è il punto fondamentale, non sono e non vogliono essere riforme - come suol dirsi - strutturali o di sistema. Sono i cambiamenti di organizzazione e di comportamento necessari, anche se teoricamente non sufficienti, a mettere la scuola in grado di svolgere la sua funzione in una società democratica. Senza questi cambiamenti neanche esiste un "sistema scolastico" al quale apportare le Grandi Riforme, ammesso che di queste sia sentita per ora una grande urgenza. Ne abbiamo avute così tante di Riforme della scuola ordinata da Gentile, che ne è risultato un sistema a strati sovrapposti, come una lastra di compensato o una molla a balestra cui è mancata la lubrificazione. Ma nel frattempo il sistema si è auto-riformato degenerando verso il disordine, come succede in tutti i sistemi all' insegna dell' Autonomia, che è isolamento. La termodinamica vale anche per i sistemi organizzati di persone!

Carlo Scognamiglio ha detto...

Condivido l'idea che quella della Gelmini non sia una riforma, ma per me (e per Tremonti) è solo una contrazione di risorse in un settore che secondo il mio modesto punto di vista avrebbe invece bisogno di maggiori investimenti.
Per esempio, secondo la mia personalissima esperienza gli insegnanti non sono troppi, ma pochi. Non è una questione di regole, ma nella società frantumata in cui viviamo, con i modelli sociali vigenti, gestire una classe di 28 alunni (talvolta particolarmente esagitati) con un paio di situazioni di disabilità, e pretendere insieme alla gestione che apprendano i fondamenti della logica hegeliana mi pare un'operazione quasi grottesca. Ora si pretende che si possa arrivare addirittura a 32 elementi per classe (lo so, in Corea lo fanno, ma da quando la Corea è diventato un faro per la cultura italiana?)

Chi ha il coraggio di dire che una scuola di qualità (a prescindere da quello che fanno altri paesi, che comunque investono sempre più di noi nella scuola) richieda un rapporto alunno docente non superiore a 1-20 e con uno stipendio minimo di partenza di 1800 euro per insegnante (comprare libri e quotidiani, obbligo deontologico per un professionista serio, è quasi impossibile con 1200 euro al mese)?

Cordialità

Niccolò Argentieri ha detto...

L'autorità di una figura pubblica deriva non dal potere repressivo di cui essa dispone (7 in condotta, per esempio), ma dal prestigio dell'istituzione che rappresenta. Un insegnante denigrato dalla società (perché è fannullone, perché costa troppo, perché ha troppe vacanze...) con l'arma del 7 in condotta è semplicemente grottesco e nella migliore delle ipotesi odiato, mai rispettato. La micidiale arma di consenso creata da questo governo (creare un'atmosfera di crisi e di pericolo imminenti e quindi indicare con grande precisione - ma mentendo - le cause dei problemi per proporsi come coloro che li risolveranno: sicurezza? rumeni; cattiva pubblica amministrazione? malattie dei dipendenti; mala scuola? troppi maestri e pochi grembiuli...) sta creando danni culturali irrimediabili. Nella Biblioteca Nazionale di Francia non ci sono fannulloni perché quella istituzione è venerata dalla società. Ci vogliono soldi, intelligenza e coraggio per restituire alla scuola (se è ancora possibile) il rispetto e l'amore dello Stato. Per ridare alla scuola il suo ruolo di inaggirabile strumento per la crescita sociale. Offendere l'insegnante deve essere disdicevole, fuori moda, assurdo, il segno che definisce i perdenti, ...non "pericoloso". Le scuole devono essere pulite, i professori invidiati perché hanno un lavoro di prestigio e ben pagato. Bisogna che gli studenti sentano il bisogno di aggiustarsi il maglione quando entrano a scuola, perché la scuola rappresenta il paese e il futuro, perché per diventare Ministro bisogna studiare. Soldi, soldi, creatività e intelligenza: questo serve.
Dopo di che, guai ai fannulloni!
Niccolò Argentieri

Giorgio Israel ha detto...

Aggiustarsi il maglione prima di entrare... poi se qualcuno parla di introdurre il grembiulino li bruciano in piazza... Ma, per favore... Non se ne può più del solito "benaltrismo". E se i soldi debbono finire nel pozzo dei POF scolastici e nei corsi Yamaha, no grazie. Prima risaniamo la scuola e riduciamo ai POF a cose serie con creatività e intelligenza (invece dell'ebefrenia attuale) e poi i soldi. Chissà poi perché la scuola è ridotta in questo modo? Per colpa di questo ultimo ministro o di chi l'ha gestita negli ultimi decenni?

Niccolò Argentieri ha detto...

Nessuno viene bruciato in piazza (per accogliere la metafora non del tutto felice) per il grembiule (anzi, i pareri sono molto variegati su questo) ma per la riduzione dell'orario di materne ed elementari alle ore antimeridiane. Tralasciando gli aspetti di carattere didattico (personalmente sarei favorevole al maestro unico per i primi due anni di elementari, ma non per i successivi, quando la divisione del sapere in discipline diventa inevitabile), questo crea un piccolo (ma giustificato) allarme sociale. Certo, si potrà sempre pagare per avere un doposcuola (se non si deve pagare mi sfugge dove sarà il risparmio per lo stato), ma, appunto, si dovrà pagare. E l'ICI sarà rimpianta...
Con stima.
Niccolò Argentieri

Giorgio Israel ha detto...

Quel che viene bruciato in piazza sono i grembiuli - l'abbiamo visto - il che ha un significato "antiautoritario" indiscutibile, un autentico squallore da sessantottini invecchiati con i loro figli prematuramente decrepiti. E in tutte le scuole c'è la mobilitazione di famiglie e docenti "democratici" per impedire l'uso del grembiule e... continuare con i soliti vestitini griffati.A detta del ministro non ci sarà alcuna riduzione degli orari e anzi un aumento del pieno tempo. Forse è una bugiarda, ma colpisce il fatto che qualsiasi cosa dica quel che conta sono gli slogan preconfezionati. La scuola migliore del mondo distrutta, ecc. ecc.

agapetòs ha detto...

"L'autorità di una figura pubblica deriva non dal potere repressivo di cui essa dispone (7 in condotta, per esempio), ma dal prestigio dell'istituzione che rappresenta."

La natura umana è quella che è. L'uomo ha bisogno di essere educato ma anche di sapere che ci sono "paletti" che non può oltrepassare. Ogni società civile si basa su questi presupposti, e nessuna persona sensata si sognerebbe di abrogare le sanzioni per chi viola la legge.
Quale prestigio può avere un'istituzione dove è praticamente consentito fare di tutto - vedi professore malmenato - senza pagarne le conseguenze o pagandone di risibili? Quale prestigio può avere un'istituzione che fin'ora ha promosso oves et boves (per non usare un'altra espressione meno delicata) ?
E per favore, gli studenti che si lamentano del voto in condotta adducendo timori di non potersi esprimere liberamente fanno solo ridere, o meglio piangere, e sono gli stessi che si opponevano al sacrosanto ripristino degli "esami di settembre". Si sa che Lucignolo ha sempre avuto molti seguaci...

Carlo Scognamiglio ha detto...

E' vero che nella scuola ci sono degli sprechi, però direi che non sono molto consistenti (soprattutto se confrontati con altri settori, come i governi locali, dove nulla si è tagliato).

La questione dei progetti: Premesso che di solito si tratta, per ciascun istituto, di poca cosa, al più 10.000 euro in tutto all'anno in progetti, mi pare che spesso siano mal condotti, e dunque in qualche modo sprechi, ma a volte assai utili.
Progetti dedicati ad esempio alla costruzione di percorsi d'approfondimento legati alla settimana della memoria mi sono sempre sembrati importanti e formativi. Senza contare che queste attività integrative oltre a (leggermente) consentire ai docenti di guadagnare qualcosa in più - anziché fare il famigerato ma necessario lavoro al nero - impegnano spesso gli studenti di pomeriggio, sottraendoli alla televisione o al bighellonaggio.
Certamente la cosa necessita di migliorie.

Allora un conto è migliorare l'esistente, evitando errori, un altro è deforestare per evitare incendi.

Comunque la si metta, i tagli sono tagli, e non razionalizzazioni. Diventano tali solo quando i finanziamenti sono diversamente orientati. E fin qui, abbiamo assistito solo a "sparizioni", fatta eccezione per 10000 lavagne multimediali e la promessa di 7000 euro lorde in più (cioè circa 300 euro al mese) tra quattro anni e non si capisce bene a chi.

Io continuo a pensare che i fondi devono aumentare, non a caso ma proprio per attuare quelle migliorie che tutti desideriamo.

Niccolò Argentieri ha detto...

Sarebbe bello discutere di scuola, dunque dei singoli punti che compongono un piano di razionalizzazione o di riforma, senza essere identificati con una sovrastruttura ideologica. Questo dovrebbe essere, credo, il primo dovere di un pensiero propriamente laico e aperto alla complessità dei problemi (come non è, ad esempio, il pensiero di Odifreddi). Avere dubbi e paure a proposito della sopravvivenza del tempo pieno non ha nulla a che fare con l'essere decrepiti sessantottini. Né significa opporre slogan preconfezionati alle rassicurazioni argomentate del Ministro (anzi). Il tempo pieno è attualmente garantito dal succedersi di due turni di lavoro (di due maestri) che si intersecano per due ore in occasione della mensa e della gestione degli spostamenti. Se uno dei due maestri non ci sarà più, come sarà possibile garantire lo stesso orario? Questa è la domanda che si pongono i genitori, le mamme soprattutto. Che non sono nostalgiche ultrasessantenni (questa è l'età dei sessantottini, se non sbaglio), ma ragazze di 30 anni (spesso elettrici di questo governo) che hanno dedicato gli ultimi tre anni alla cura di un bambino e che ora, grazie alla scuola, possono cominciare a tirare il fiato, ad allentare la tensione e a ridare alla propria professione una disponibilità meno condizionata e offuscata dalla fatica. Questi sono i pensieri che affollano le pacate fiaccolate di questi giorni. Poi ci sono i pensieri di chi crede che il tempo pieno sia un grande strumento per ridurre diseguaglianze legate al contesto culturale di provenienza (basti pensare che Citati afferma che il tempo pieno è un gran noia perché lui preferiva mille volte passare i pomeriggi nella biblioteca del padre...). Se a questi pensieri si risponde, senza sapere, per propria ammissione (Berlusconi), di cosa si parla, che il tempo pieno dovrebbe aumentare a occhio e croce del 50/60% (di cosa?), difficilmente le preoccupazioni svaniranno. Chi usa slogan in questo caso?
Se Lei vorrà rispondermi che con queste parole dimostro di essere un sessantottino decrepito, mi rassegnerò a un paese dove la polarizzazione dello scontro è considerata l'unica strategia efficace. Un errore a mio modo di vedere funesto e, cosa ancora più dolorosa, un grande favore a Odifreddi.
Cordiali saluti.
Niccolò Argentieri

Lucio ha detto...

Bene, mi piace questo commento, e mi dichiaro d'accordo con (quasi) tutto. C'e' solo una cosa che non capisco: Perche' deve infilare Odifreddi in questa discussione? Non mi sono accorto che il Nostro abbia fatto alcuna uscita sul tema della scuola (forse tranne qualche scampolo di intervista, che sinceramente mi e' sfuggito), e richiamarne il nome mi pare sinceramente fuori luogo. Piu' in dettaglio, cosa intende per

pensiero propriamente laico e aperto alla complessità dei problemi (come non è, ad esempio, il pensiero di Odifreddi) e per
un grande favore a Odifreddi?

A prescindere dal fatto che un pensiero piu' laico del suo mi riesce difficile trovarlo e che non vedo cosa ci sia di sbagliato nel fare un favore ad una persona,
cosa c'entra col tema della scuola?

Cordialmente,
Lucio Demeio.

Carlo Scognamiglio ha detto...

Qualcuno ha cominciato a formulare delle ipotesi intorno al mantenimento del tempo pieno, che potrebbe continuare a funzionare in questo modo. Si consideri che il tempo pieno significa 40 ore, mentre l'orario previsto di una maestra è di 24. Dove sono le altre 16? Presumibilmente 5 saranno coperte dallo specialista di inglese, se si considera anche la pausa pranzo la giornata potrebbe articolarsi così:

4 ore di maestra unica + 2 ore di pausa pranzo e un pò di doposcuola (senza insegnanti, ma magari con personale delle cooperative, tipo servizio civile, ecc.) + 1 ora d'inglese o dell'intoccabile religione + 1 ora ancora di maestra unica.

In questo modo sarebbero 8 ore al giorno per 5 giorni, cioè 40 ore. Il neo più grave però, se ciò accadesse, sarebbe dal punto di vista degli allievi l'affidamento a personale non docente per 2 ore al giorno, e dal pundo di vista del personale docente sarebbe l'esser costretti a rimanere a scuola per 8 ore ricevendo il compenso per 5.

Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi, perché il ministro, com'è oramai chiaramente nel suo stile, ha dimenticato di far vedere le slide in cui spiega le proprie dichiarazioni con cifre alla mano. Per forza che siamo disinformati, non ci sono informazioni, ma solo inquietanti annunci.

Ora, un'altra delle mie maggiori preoccupazioni è che con una scuola pubblica orientata alla decrescita culturale (a me pare inevitabile, data la contrazione di monte-ore e numero dei docenti, a fronte dell'aumento di unità-alunno per classe), le menti migliori si allontanino da questa professione mal pagata e sempre meno gratificata, lasciando il posto a lauereati che non hanno propriamente il profilo dell'intellettuale.

Saluti,

vanni ha detto...

La scuola non è il mio campo da gioco: si perdoni la mia rozzezza e la sincera semplicità delle domande. Scognamiglio auspica un aumento del numero degli insegnanti e l'erogazione di maggiori risorse economiche (chiedere più soldi non è che sia... ). Domando: è vero che le risorse per la scuola sono pressochè totalmente assorbite dagli stipendi? è vero che il rapporto discenti/docenti è in Italia globalmente fra i più piccoli? Argentieri vede la scuola anche come "tata" che ti cura i bimbi al pomeriggio e ti consente di dedicarti al tuo lavoro in totale dedizione. Va bene, va benissimo; però non sia questo un criterio cardine per sviluppare la nostra politica di cambiamenti, per favore.

Carlo Scognamiglio ha detto...

"Domando: è vero che le risorse per la scuola sono pressochè totalmente assorbite dagli stipendi? "

No, non è vero, la cifra del 97% diffusa in questi giorni è errata. Se si aggiungono i finanziamenti regionali gli stipendi impiegano circa il 76%. Comunque, se anche fosse, ciò vorrebbe dire che lo Stato investe poco sulle infrastrutture, e cioè gli insegnanti, nonostante la quasi totale inesistenza di supporti didattici riescono comunque a mandare avanti la baracca.


"è vero che il rapporto discenti/docenti è in Italia globalmente fra i più piccoli? "

Globalmente non saprei (di molti paesi non controllo i dati) però non è dei più alti. Ma questo non significa niente. E' anche uno dei paesi in cui i docenti sono pagati meno. Io faccio un ragionamento su ciò che è auspicabile e che secondo me si potrebbe fare dirottando risorse a mio avviso sprecate in altri campi per investirle sull'istruzione, che mi ostino a considerare bene primario per la civiltà.
Io, tanto per dirne una, ridimensionerei di molto gli stipendi dei dirigenti pubblici, degli assessorati e cariche politiche varie, per investire su scuola università e ricerca. E tu?

Giorgio Israel ha detto...

Credo che siano venute parecchie risposte sul tempo pieno (anche a commento di altri post) che si muovono secondo la logica di un dialogo pacato che giustamente chiede Argentieri. È chiaro che il tempo pieno può benissimo essere conservato a una condizione: un incremento (peraltro non drammatico) dell'orario del personale insegnante. Va ricordato al riguardo che noi lavoriamo meno che in qualsiasi altro paese. Francamente, per un maestro rimanere 5 ore a scuola, anziché 4, magari con un aumento di stipendio legato al merito è del tutto ragionevole.
Anche all'università si lavora poco. A fronte delle nostre 120 ore "frontali" in Spagna sono obbligatorie 240 ore frontali. E poi qui chi le fa? Pochi. Per fare tre corsi per complessivi 16 crediti gli uffici mi recapitano due incarichi a titolo gratuito l'anno; casomai non mi venisse in mente di chiedere altri soldi... Ma molti docenti non fanno neppure 120 ore, fanno corsi fantasma.
È inutile arrabbattarsi sulle cifre: è indubbio che l'Italia abbia un numero spropositato di insegnanti e dipendenti scolastici e universitari. Certamente malpagati (i primi), ma appunto perché troppi: evitiamo i corto-circuiti logici. Sono convintissimo che l'istruzione sia il bene primario di un paese ma - come è stato detto - non si continua a riversare denaro in una botte bucata. Prima bisogna tappare i buchi. Che non sono soltanto gli stipendi dei dirigenti e assessori, ma anche l'enorme quantità di distaccati sindacali. E poi perché non sopprimere una quantità pazzesca di attività burocratiche inutili e frustranti: non si recuperebbero così ore per l'insegnamento? Aggiungo che per parte mia - scandalo! - abolirei di un tratto questi scellerati organi collegiali dove impazzano soltanto i più fanatici e nemici della cultura. La scuola non è un organismo democratico (altro scandalo!), non deve e non può esserlo pena la sua dissoluzione (come ben si vede). Quando voglio confrontarmi con la scuola vado a parlare con gli insegnanti e con i dirigenti, ma mi tengo scrupolosamente alla larga dalle riunioni collegiali...
Non sono d'accordo con l'idea di una scuola "tata", come è stato detto in altro commento: fermo restando il tempo pieno non mi piace per niente che la famiglia abdichi al suo ruolo desiderando ardentemente di liberarsi dei figli quanto più possibile. Questo è uno dei mali del nostro tempo. Scusate la domanda provocatoria: ma perché fate figli, se desiderate soltanto scaricarli a scuola e poi magari sbatterli davanti a una playstation o un televisore purché non intralcino le aspirazioni personali? Ho avuto tre figli e il più bel regalo è stata la dedica del maggiore sulla sua tesi di dottorato: "ai miei genitori per non aver risparmiato le parole". Invece qui tutti vogliono la scuola come un parcheggio e liberarsi dei pargoli.
Infine, concordo ancora con Argentieri sulla necessità di far sbollire gli animi e di non lanciare accuse sanguinose. Ma gli dico cortesemente (e senza offesa, ma non trovo altre parole): non facciamo le anime belle. Non vorrà, spero, farmi credere che abbiamo di fronte cortei pensosi di gente che civilmente preoccupata sfila con l'animo in pena in "pacate fiaccolate"... Suvvia... Che mi dice delle foto del ministro con la pistola puntata alla tempia, degli spogliarelli in piazza, dei bimbi usati come scudi umani, dei dettati in classe contenenti appelli allo sciopero, dei grembiulini bruciati, degli infiniti slogan violenti, della disinformazione terroristica e, per finire (ma l'elenco potrebbe continuare) l'osceno, rivoltante, abbietto episodio dei docenti del Mamiani che sfllano con la stella gialla? Potrei anche parlare degli insulti da me ricevuti, a partire dall'ignobile aggressione verbale di un sindacalista in periodo elettorale. Nessuna disponibilità a dire che le colpe e i cattivi comportamenti stanno da una parte sola, ma, per favore, non dipingiamo quadretti idilliaci senza alcun rapporto con la realtà.

Lucio ha detto...

Ho gia' lasciato diversi commenti sull'argomento, ma vorrei ribadire qualche concetto sul tempo pieno. E' vero che non si dovrebbe trattare la scuola come una tata, ma in quale altro modo riusciamo ad incrementare l'occupazione femminile? Putroppo, da noi piu' che negli altri paesi occidentali (e senz'altro piu' che nei paesi europei ex-comunisti) la donna e' spesso costretta a scegliere tra seguire i figli o far carriera. Per non parlare del fatto che, sempre piu' spesso, uno stipendio solo in casa non basta ... Il professor Israel dice

Scusate la domanda provocatoria: ma perché fate figli, se desiderate soltanto scaricarli a scuola e poi magari sbatterli davanti a una playstation o un televisore purché non intralcino le aspirazioni personali? Ho avuto tre figli e il più bel regalo è stata la dedica del maggiore sulla sua tesi di dottorato: "ai miei genitori per non aver risparmiato le parole".

Intanto, forse e' meglio se stanno a scuola invece che davanti alla playstation. E poi: fare tre figli nella societa' italiana significa quasi inevitabilmente una donna che non lavora, mentre il marito si dedica al suo lavoro ed alla carriera (non s'arrabbi eh, professore, magari non e' il suo caso ed il mio commento non vuol essere polemico - ma ormai penso che l'abbia capito...). All'estero, invece, ho conosciuto molte coppie che hanno fatto due, tre o anche quattro figli e dove la donna ha avuto le stesse opportunita' dell'uomo, proprio grazie alle strutture (pubbliche o, negli USA, in gran parte private) che da noi non ci sono. Il punto e' che le scuole a tempo pieno che ho visto altrove sono strutturate, in genere, in modo da fornire il servizio scolastico vero e proprio al mattino e svolgere altre attivita' al pomeriggio (attivita' sportive, ricreative o culturali, o anche lo svolgimento dei compiti). In questo modo l'alunno ci sta anche volentieri, oltre a non essere sottoposto ad un carico pesante. Credo che, qui in Italia, un modello scolastico del genere esista nell'Emilia, in particolare a Modena, dove conosco bene alcuni colleghi che me ne parlano. Allora: riusciremo anche noi a strutturare il tempo pieno in questo modo, estendendolo anche a tutto il territorio nazionale, o e' un sogno?

Cordialmente,
Lucio Demeio.

vanni ha detto...

Egregio Scognamiglio, sono d'accordo nel praticare parecchi giri di vite all'ammontare dei compensi di tanta parte del pubblico e para (chi non lo sarebbe, se non in conflitto d'interessi?) e quindi in una diversa assegnazione delle risorse. In quanto ai numeri c'è un balletto intorno ad essi che disorienta: non ho motivo di non credere alle tue precisazioni. In relazione all'investimento dell'Italia per la scuola, ho letto non ricordo dove, ma l'ho letto, su qualche testata alternativa (filogovernativa, va da sè), che è uno dei più alti pro capite, quarto o quinto, Stati Uniti al primo posto in questa, certo parziale e opinabile, graduatoria; le tue precisazioni rafforzerebbero questa posizione. Sarà così? quale controllo? Mi credi se ti dico che la tentazione (non solo in me, ma in tanta gente) di ritenere - per partito preso - che nella scuola le risorse siano più sprecate che insufficienti è forte? Discorso superficiale e qualunquistico, ma se lavori nella scuola, chiediti lo stesso perchè.

Giorgio Israel ha detto...

A Lucio Demeio.
Figuriamoci se mi arrabbio... Lo so benissimo che per una donna (ovunque!) è difficilissimo lavorare avendo figli. Anche dove esistono servizi buoni resiste l'idea che una donna con figli è una lavativa. Ovunque. Detto questo, io me la prendevo con una mentalità molto diffusa che tratta i figlio come un intralcio. Certo, che la scuola è meglio della playstation, quantomeno in generale (in certi casi, neppure...). Ma quel che è deplorevole è la tentazione di trovare tutti i mezzi per mollare i figli perché intralciano la vita personale. La controprova è che non si tratta affatto sempre di questioni di lavoro. Il figlio "rompe" anche a casa, "rompe" perché non puoi andare liberamente al ristorante, al cinema, ecc. Ma quante volte si vedono persone che si portano in pizzeria fino a mezzanotte bambini di pochi mesi in carrozzella? Se uno fa figli deve avere il piacere e l'impegno di curarli. Lo so che è dura, ma è così. Altrimenti, meglio non farli. La crisi della famiglia, l'incapacità di gestire figli, la scomparsa dei padri, è l'altra faccia della crisi della scuola, è parte di una generale incapacità di educare che ha contagiato le nostre società.

Carlo Scognamiglio ha detto...

G.le sig. Vanni,
non fa niente se lei non mi crede, ma la invito a verificarle o a smentirle, senza prendere per buone acriticamente neanche quelle di Tremonti. Io sono partito così: il 97% mi suonava strano, per cui mi sono documentato, ma potrei essermi sbagliato. Se trova fonti più attendibili sarei lieto di sapere la percentuale precisa.
In genere il partito preso non mi piace. Dall'interno della scuola direi che qualche spreco c'è , ma sono molte più le carenze. Scusi la volgarità dell'argomentazione, ma ci manca spesso la carta igienica, le fotocopie le facciamo sovente a nostre spese, per non parlare delle strutture... meglio lasciar perdere. Ribadisco che a me non interessa il confronto con gli altri paesi, che comunque investono di più in istruzione dell'Italia, e i cui insegnanti sono pagati 2 o 3 volte tanto. Io prova a ragionare su cosa sarebbe meglio, per cui direi che occorrerebbero ulteriori investimenti.

Ma guardi che neanche il governo sta facendo una lotta agli sprechi, infatti se legge il testo legislativo (se mi fa avere la sua mail glielo allego) non si tagliano né progetti né comandi sindacali. Le voci di risparmio sono sul famigerato problema del maestro unico (su cui preferisco non intervenire più), e sulla riduzione di ore di lezione, semplificazione dei corsi serali et similia. In onestà, lei consiera l'attività didattica uno spreco? Io con tutta la buona volontà non riesco a considerare sprecata neanche un'ora di studio.

Il prof. Israel scrive: "È inutile arrabbattarsi sulle cifre: è indubbio che l'Italia abbia un numero spropositato di insegnanti e dipendenti scolastici e universitari. Certamente malpagati (i primi), ma appunto perché troppi".

Questa però non è l'opinione del governo, che non redistribuisce i soldi ricavati dalla contrazione oraria per aumentare gli stipendi. Anzi. Solo una piccola parte (non si sa come selezionata) tra 4 anni riceverà solo una minima voce di risparmio con aumenti contenuti.

il resto dei soldi non rimarrà alla scuola. Ecco perché non lotta agli sprechi, ma disinvestimento dall'istruzione pubblica.
chiudo perché mio figlio vuole andare a letto e non intendo trascurarlo :-)

vanni ha detto...

Scognamiglio egregio, mi scusi se Le ho dato impropriamente del "tu". Lei con il "tu" terminava la Sua, e io ho senza difficoltà semplicemente accettato e ricambiato. Affidandomi alla mia memoria ormai precaria ho scritto ieri una inesattezza: il "Giornale" di domenica 19 ottobre situa l'Italia al 4° posto - dopo Stati Uniti Svezia e Svizzera - per risorse erogate per studente UNIVERSITARIO ETP (studenti Equivalenti a Tempo Pieno, più o meno quelli attivi). I numeri vengono sempre un po' premasticati. Questo per l'esattezza. Con stima e cordialità saluti.

Carlo Scognamiglio ha detto...

Egr. Vanni,
il tu o il lei fa lo stesso, non mi ero accorto di aver usato il "tu", comunque, a me la seconda persona va benissimo.
Vedi, ieri sera avevo postato un commento in cui indicavo alcuni dati del famigerato rapporto OCSE. Certamente per motivi tecnici non è comparso il mio commento, ma in riferimento a quello che dicevi, provo a indicarti una fonte meno "schierata" del quotidiano da te citato (rapporto OCSE 2008):

"spending per student across all levels of education (excluding pre-primary education) in Italy is, at USD 7 540 (equivalent), close to the OECD average of USD 7 527 [...] In Italy, between 1995 and 2005, enrolments and expenditure at the primary and secondary levels remained fairly stable, resulting in a spending increase per student of less than 5%. Meanwhile, the OECD average spending per student increased by almost 35% at these levels"

E' oltre la media di 13 "punti", non mi pare gravissimo. Poi ribadisco che un paese come il nostro dovrebbe aspirare a essere molto sopra la media, che si forma confrontandosi anche con paesi di minore tradizione e vocazione culturale.
A lei farebbe piacere che suo figlio avesse la cultura di un australiano medio? Senza offesa per gli australiani, ma personalmente preferisco meno nuotatori e ingegneri e più uomini di scienza e di buon senno.
Saluti.

Niccolò Argentieri ha detto...

Scuola-tata. Il potere del linguaggio non deve essere certo qui ricordato. Ma se il tempo pieno viene chiamato “scuola-tata”, allora il tempo pieno diventa scuola-tata. C’è da chiedersi però: a che ora la scuola smette di essere scuola e diventa tata? Alle 12.30? Alle 13.30? Lavorando diversamente sul linguaggio, si potrebbe pensare all’ingresso nella scuola materna come al primo passo nella de-privatizzazione dell’esistenza dei bambini. Fare un figlio non è semplicemente un gesto razionale del quale assumersi la responsabilità e il peso in termini di tempo, energie e rinunce. Mi sembra sinceramente una visione un po’ riduttiva (del tipo: hai voluto la bicicletta?...) per un evento così importante. Un’idea di maternità e paternità che rischierebbe di sprofondare madri e padri in una solitudine molto pericolosa perché chiedere aiuto per la cura dei figli diventerebbe un venire meno ai propri doveri. I figli sono tuoi, te la vedi tu. Lo stato sociale manda (mandava?) ai genitori un messaggio molto diverso, di gratitudine e di accoglienza. Fra l’altro, chi potrebbe giurare sul fatto che la casa e la famiglia siano sempre, in ogni caso, il posto migliore in cui trascorrere il pomeriggio? Il mondo è un luogo piuttosto eterogeneo e noi partecipanti a questa bella discussione siamo tutti, credo di poter dire, dei privilegiati perché ricchi di tempo e di parole da trasmettere ai nostri figli.
Pacatezza e anime belle (e Odifreddi). Il mio invito a non polarizzare la discussione in termini ideologici, l’invito a pensare laicamente, non ha nulla a che fare con il proporsi come anima bella che non sa quale violenza emerga spesso negli slogan delle manifestazioni. Ma, appunto, quelli sono slogan, non pensieri. Se mentre parlo mi vengono rinfacciate le parole di un manifestante mi sento truffato perché manifestazioni e discussioni sono giochi linguistici differenti. L’esigenza che sento è quella di non ridurre la discussione sulla scuola a “Gelmini sì o no”, all’accettazione in toto di un pacchetto completo di soluzioni. Perché, in un certo senso, la Gelmini non ha nulla a che fare con la scuola – che è un problema troppo complesso per poterlo ridurre alla sorte di un ministro e ai tradizionali autunni di scontento. Laico non significa non religioso (per me). Laico significa dare priorità ai problemi rispetto alle anticipazioni ideologiche della realtà. Pensare che la realtà sociale, in continuo movimento, debba adattarsi ai dogmi del catechismo cattolico non è un modo di procedere laico (può sembrare ovvio…); ma non lo è neanche sacrificare le proprie risorse intellettuali alla realizzazione del socialismo su scala universale o ai dettami del partito. Non lo è essere “berlusconiani”. Non è laico credere che la soluzione di tutti i problemi del mondo deriverebbe senza sforzo dalla scomparsa della religione in favore della logica (eccolo!), oppure equiparare la religione alla cartomanzia (rieccolo!), oppure affermare che gli studenti italiani vanno male in matematica perché leggono troppo Harry Potter (ancora lui, con la scuola questa volta) o, infine, che Dante era sì abbastanza bravo in italiano, ma i contenuti della sua Commedia sono davvero assurdi (sic.). Meglio sarebbe, dice, leggere Galilei. Ecco, contrapporre Galilei (che davvero andrebbe letto) a Dante è davvero poco laico, e molto dannoso.

Giorgio Israel ha detto...

Mi riesce difficile discutere così. Forse ho una mente troppo semplice. Se uno descrive un clima irenico, di gente pensosa che sfila pacifica con le fiaccole, mi limito a ricordare gli innumerevoli episodi di fanatismo. Questo non significa rinfacciare niente a nessuno, tantomeno fare lei responsabile di quei comportamenti, ma non descrivere la realtà per quel che non è. Quindi lei non è truffato e non faccia la vittima. Non riesco a confrontarmi con un simile modo di discutere che sposta continuamente i termini.

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