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giovedì 6 novembre 2008

L'istruzione non serve a "migliorare la qualità del capitale umano"

Ha scritto bene Giorgio Vittadini su Il Riformista che la crisi che attraversiamo «non è solo economica: è una crisi antropologica che mette in discussione un’idea di razionalità umana ridotta, tesa com’è alla massimizzazione del profitto nel breve periodo, ma disattenta ai presupposti necessari a creare una ricchezza reale e duratura e perciò destinata ad astrarsi dalla realtà e a costruire un mondo virtuale destinato a crollare. Per guardare lontano occorre una razionalità che metta in luce come già ora anche l’homo oeconomicus ha altri moventi ben più vasti del solo profitto trimestrale…». Sono considerazioni che vanno nella stessa direzione di quanto abbiamo scritto qui circa la crisi finanziaria. La rappresentazione della razionalità umana in termini di “aspettative razionali” dell’homo oeconomicus è alla radice di una visione dei processi economici estranea all’umanità reale e che ha generato una situazione in cui nessuno riesce più a prevedere cosa accadrà domani.
In questo ordine di questioni le scelte linguistiche sono molto importanti. È pensabile descrivere le finalità autenticamente umane in termini meramente economistici? Anche se certa terminologia è entrata nell’uso sarebbe bene abbandonare cattive abitudini che riflettono visioni unilaterali e restrittive.
Un esempio. Per descrivere la necessità di intervenire sul sistema italiano dell’istruzione il vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco ha osservato: «Per la crescita, la qualità del capitale umano è tanto importante quanto la sua quantità. Le principali indagini sui livelli di apprendimento nelle scuole italiane indicano chiaramente che questa è oggi una priorità per il nostro Paese. Il miglioramento della qualità del capitale umano richiede quindi interventi importanti sulla scuola e sull’università». Ed ha aggiunto che «a un’istruzione di bassa qualità le imprese reagirebbero, in condizioni di informazione imperfetta, con un’offerta generalizzata di bassi salari; questi sarebbero ritenuti insufficienti a compensare il costo di un ritardato ingresso nel mercato del lavoro, riducendo l’investimento in istruzione».
Non mi sogno di contestare ciò che di giusto vi è in queste affermazioni. Vorrei soltanto chiedere cortesemente al vicedirettore Visco se davvero pensa che la questione possa essere vista in questi termini, riproponendo l’approccio dell’informazione perfetta o imperfetta e concependo l’istruzione come un semplice fattore di crescita del capitale umano. Anzi, vorrei chiedere se ha un senso qualsivoglia il termine “capitale umano”. È perfettamente evidente il senso della parola “capitale” nella sfera economica. Al contrario, la “qualità di un capitale” è un ossimoro perché le qualità non si misurano. Una persona intellettualmente capace, uno scienziato valido si caratterizza per l’interesse, la passione per la conoscenza, la spinta a cercare un’idea intelligente a ogni piè sospinto, non per il possesso di un ammasso di conoscenze e di competenze. L’ insegnamento su cui si basa l’istruzione è un rapporto fra persone in cui deve nascere la scintilla dell’interesse e della passione per il conoscere, che non sono fattori economici. In fin dei conti, la crisi del nostro sistema di istruzione si riconduce a una grande crisi educativa e morale: una crisi di questa natura non si pone e non si risolve in termini di “miglioramento della qualità del capitale umano”.
Questioni terminologiche? Le parole non sono neutrali. Anche un economista deve saper uscire dal riduzionismo e ammettere che non tutto si riduce a problemi di ottimizzazione.
(Tempi, 6 novrembre 2008)

19 commenti:

Anonimo ha detto...

Professore Israel, buongiorno
Chi scrive è un ex studente del Liceo classico, laurea in Filosofia, tesi di laurea su Duns Scoto, sulle orme di M. Heidegger. Dico ciò solamente per rimarcare il mio totale accordo sull'importanza del latino e del greco. Da tempo i miei studi sono concentrati su Tolomeo (Il Planisfero e l'Analemma), e su fino a Giordano Nemorario, Federico Commandino, Guidobaldo Del Monte e Galilei.
Capirà quindi il mio dubbio su quanto da lei scritto in un articolo del 20 Ottobre sull'importanza del latino e del greco. Lei scriveva: "Il latino è stato la lingua della scienza occidentale fino al Settecento e chi sfogli i dialoghi di Galileo troverà che le dimostrazioni sono scritte in questa lingua “morta”." Mi scusi, Professore, Ho davanti a me le opere complete di Galilei, ed. UTET, lette e studiate con cura e attenzione, ma non ho trovato una sola opera scritta in latino. Vorrebbe chiarirmi questa stranezza? Che io sia ignaro di opere di Galilei scritte in latino? In tal caso le sarei grato se fossi informato. Grazie
Cordialmente
Angelo Urfalino

Giorgio Israel ha detto...

I teoremi e le dimostrazioni matematiche dei "Dialoghi delle nuove scienze" sono in latino.

alberto ha detto...

Aveva notato che lo stesso linguaggio è usato nello schema di piano programmatico del ministero dell'istruzione?
http://www.edscuola.it/archivio/norme/varie/schema_art64l133.pdf

Cito per es. "la conoscenza è fattore prioritario di crescita personale e collettiva e l'investimento più produttivo è quello in capitale umano".

Cordiali saluti.

alberto ha detto...

ha notato che lo stesso linguaggio è usato nelllo schema di piano programmatico del Ministero dell'istruzione (http://www.edscuola.it/archivio/norme/varie/schema_art64l133.pdf) ?

Cito per es. "la conoscenza è fattore prioritario di crescita personale e collettiva e l'investimento più produttivo è quello in capitale umano"

Mi scusi se il mio intervento è duplicato, ma non ho pratica con l'uso dei blog e non ho capito se il commento è stato pubblicato.

Giorgio Israel ha detto...

Certo, perché questa è l'ideologia dominante in circolazione.

agapetòs ha detto...

A Roma si direbbe: "ma parla come magni!"
Durante il soviet dei docenti di fine anno nella mia scuola viene distribuito un foglio intitolato "Risorse umane" in cui indicare a quali tipi di incarichi e/o commissioni si è interessati. La prima volta che mi è capitato per le mani non ho indicato nulla, ma nell'ultima riga, in cui era scritto "altro (specificare)" non ho potuto fare a meno di scrivere: "RISORSA UMANA SARAI TU!" e poi ho firmato.

Luigi Sammartino ha detto...

È interessante osservare che termini quali "risorse umane" o "capitale umano" siano stati introdotti proprio quando in tutti i paesi a economia avanzata si incominciarono a intensificare i tagli al personale e le delocalizzazioni.

Stranamente anche nella scuola sono stati introdotti questi termini...e puntualmente sono arrivati i tagli.

Anni fa lavoravo per una società di informatica il cui amministratore delegato praticava il motto: "in questa società non siete risorse umane ma persone". Poco tempo dopo ne licenziò più lui di "persone" che non la FIAT (in percentuale chiaramente).

Può sembrare una battuta la mia eppure non lo è. In "L'uomo e i suoi gesti", Desmond Morris parla di quei comportamenti emotivamente accompagnati da gesti un po' tronfi che sottointendono però uno stato d'animo completamente opposto a quello manifestato. Un po' come quando incontri una persona che ti dice "ma come sono contento di vederti!!!!" e te lo dice proprio per nascondere il fatto che avrebbe fatto qualunque cosa pur di evitarti. Desmond Morris chiamava questi comportamenti "segnali eccessivi" (pp. 107/108).

Qualcosa del genere io credo che accada anche con le parole. Gli amministratori del personale usarono spesso negli ultimi 15-20 anni il termine "risorsa umana" o "capitale umano", volendo indicare con questo un atteggiamento di gelosia dell'azienda nei confronti del lavoratore dipendente, in quanto questi veniva considerato un elemento assolutamente prioritario al funzionamento dell'azienda.
Il termine "risorsa" indica in genere qualcosa che appunto ci è prezioso, indispensabile per il raggiungimento di uno scopo prefissato. Ma utilizzato nei confronti di un essere umano assume proprio quel tono da "segnale eccessivo" di cui parla Desmond Morris. E in effetti il termine "risorsa umana" mi sembra più facilmente accostabile ad uno schiavo che non ad un cittadino libero.

Forse anche da queste sfumature si poteva evincere che l'economia liberista avrebbe prodotto quel regresso sociale, morale e infine economico a cui appunto purtroppo stiamo assistendo.

Saluti.
Luigi Sammartino.

RICCARDO SEGRE ha detto...

Perchè quando l'economia cresce e si produce ricchezza nessuno punta il dito sull'economia liberalista che crea posto di lavoro , mentre quando c'è crisi subito si dice l'economia liberista ha fallito. Quali sono le alternative ? L'economia statalista italiana è forse riuscita a fare meglio di quella liberista americana? A mio avviso no.

Luigi Sammartino ha detto...

Non vorrei dire una cosa sbagliata, ma per quanto ne so io le economie americana ed europea non furono liberiste nei 30 anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale.

Quando nel 1979 Margaret Thatcher divenne primo ministro, l'Inghilterra avviò un insieme di riforme di tipo liberista al fine di porre rimedio alla crisi economica in cui questo paese appunto si trovava. Nei primi quattro anni queste riforme ebbero un effetto piuttosto discutibile, visto che il tasso di disoccupazionone quadruplicò e la produzione industriale diminuì di circa 1/3.

Un discorso analogo si può fare per ciò che riguarda la politica del presidente americano Ronald Reagan. Anch'egli avviò una serie di riforme in senso liberista, sempre a partire dagli anni '80. In particolare egli decise un brusco abbassamento delle aliquote fiscali che, se da una parte rivitalizzò i consumi, dall'altro comportò un brusco incremento del deficit di bilancio. In ogni caso nemmeno la sua "rivoluzione" liberista ebbe nei primi anni un effetto positivo.

Il vero cambiamento economico avvenne quando la guerra Iran-Iraq fece scendere il costo del petrolio, e dunque abbassò i costi della produzione di energia.

Infine bisogna sottolineare il fatto che fino alla fine degli anni '60 anche l'economia sovietica cresceva abbastanza bene.

Insomma, io non credo che l'economia in quanto tale dipenda così tanto dalle decisioni di politica economica. Penso cioè che la dicotomia liberismo - socialismo sia irrilevante ai fini di stabilire quale sia la politica giusta per garantire benessere alla popolazione.

Al contrario io credo che solo l'avanzamento tecnologico - e quindi un aumento di investimenti in scienza e tecnologia - possa dare un aiuto concreto all'economia. L'avanzamento tecnologico ci pemette di aumentare la quantità di energia disponibile e di sfruttare meno energia per produrre lo stesso livello di benessere.

Tuttavia, mi piacerebbe sottolineare il fatto che mentre il socialismo è basato sulla solidarietà e sulla non accettabilità morale di un accumulo eccessivo di ricchezza da parte di poche persone, il liberismo invece è fonte di individualismo, abbruttimento morale e inciviltà. È un sistema tossico che produce veleno nella testa degli individui.

Quindi la mia ricetta personale è: più socialismo, più scienza, più tecnologia.

Luigi Sammartino.

agapetòs ha detto...

C'è sono un piccolo problema con il socialismo: non è compatibile con la democrazia, a meno che non vogliamo considerare quanto accaduto in URSS, nei paesi del Patto di Varsavia, in Cina, in Cambogia, ecc. un incidente di percorso.
E' vero che vi sono regimi liberisti non democratici, ma non sono la totalità, mentre non ci sono mai stati regimi socialisti democratici.

RICCARDO SEGRE ha detto...

"Non appena gli affari pubblici cessano di essere il principale interesse dei cittadini, e questi preferiscono occuparsi del loro portafogli piuttosto che della loro persona, lo Stato è già sull'orlo del disastro". J.J. Rousseau

Qui sembra che il problema sia già stato affrontato ma evidentemente la soluzione non è ancora stata trovata.
Sono pienamente d'accordo con Luigi: più istruzione scientifica e più tecnologia e un maggior impegno sociale.
Purtroppo quando le persone si trovano in mano il potere poche lo sanno sfruttare per il bene di tutti.

vanni ha detto...

Egregio Sammartino, tolleri la punta polemica.
Ammiro il Suo pudore quando scrive:"... l'economia sovietica cresceva ABBASTANZA bene... ". Le chiedo: quando Lei parla di socialismo pensa ad esempio alla Svezia, alla Gran Bretagna di Blair? Lei pensa che il socialismo in URSS, o in Germania Est, o in Cina, o a Cuba (mi dicono che a Cuba ci sia un livello di cultura eccezionale) sia stato o sia "irrilevante" per "garantire benessere alla popolazione"? Nelle Repubbliche Baltiche, in Polonia, in Ungheria prima del crollo del muro di Berlino non sentivano i benefici dell'avanzamento tecnologico? Investivano troppo poco? I dirigenti (per cooptazione!) dei Paesi Socialisti ed i cosiddetti tecnocrati (i papà di Abramovich del Chelsea) brillavano per il loro senso di solidarietà scevro da individualistici abbrutimenti morali? Non sono mica tanto convinto, sa.

coccinella ha detto...

Condivido pienamente le affermazioni: "Una persona intellettualmente capace, uno scienziato valido si caratterizza per l’interesse, la passione per la conoscenza, la spinta a cercare un’idea intelligente a ogni piè sospinto, non per il possesso di un ammasso di conoscenze e di competenze. L’ insegnamento su cui si basa l’istruzione è un rapporto fra persone in cui deve nascere la scintilla dell’interesse e della passione per il conoscere, che non sono fattori economici."

Penso che la scuola, lungo tutto il suo percorso, debba far nascere proprio quella scintilla e credo che l'insegnamento sia caratterizzato soprattutto dal rapporto tra persone che comunicano, dove "persona" significa l’uomo in tutte le sue manifestazioni di pensiero, di intelligenza, di sentimenti, di credi e di aspettative volte alla sua completa realizzazione come individuo e come parte integrante di un tutto, al di là di ogni mero calcolo economico.

Luigi Sammartino ha detto...

Rispondo a Vanni, che ha pienamente ragione, e anzi mi scuso per non aver messo in chiaro due punti che invece andavano assolutamente precisati.

Quando io penso al socialismo non penso di certo allo Stato di polizia sovietico e tanto meno alle feroci dittature che hanno devastato troppi popoli.

Quando io penso al socialismo penso ad un ordinamento politico democratico in cui la libertà e l'uguaglianza nei diritti di base sono un connubio inscindibile. Con questo intendo dire che non c'è libertà senza uguaglianza e non c'è uguaglianza senza libertà.

Esiste una bellissima intervista al nostro ex-presidente Sandro Pertini che illustra quest'idea in un modo chiarissimo, e io aggiungeri anche molto commovente. L'intervista è disponibile su YouTube.

http://www.youtube.com/watch?v=aJfKCn1bUMM

Secondo chiarimento. Quando parlavo dell'economia sovietica, io intendevo dire che non esiste una relazione di causa-effetto tra sistema democratico-liberale/liberista e miglioramento economico, né che il liberismo sia necessario e sufficiente per far crescere l'economia. L'Unione Sovietica riuscì a crescere economicamente al pari dell'Europa e degli USA per tutti gli anni '50 e '60 nonostante non fosse una democrazia, e tanto meno un sistema politico liberista.

Senza andare troppo indietro nel tempo, degli esempi angoscianti che mostrano chiaramente quanto dico li abbiamo proprio nella Cina contemporanea. La Cina è un paese ancora retto dal Partito Comunista e la sua economia viaggia ad un ritmo impressionante. Il numero di cinesi che vivono nell'agiatezza è aumentato notevolmente, ma la nazione è ancora sottoposta ad uno Stato di polizia, o quasi.

Infine, quando penso ad un esempio di nazione dove il modello socialista è stato implementato abbastanza bene, penso proprio alla Svezia, paese in cui ho anche lavorato personalmente e dove mi sono trovato molto bene.

Una conseguenza logica di quello che ho appena detto, è che un paese democratico e giusto con i propri cittadini può essere tale anche se il suo PIL non sale tutti gli anni. Infatti proprio la Svezia riuscì a potenziare il suo welfare proprio quando il suo PIL aveva smesso di crescere e il paese si era ritrovato in una seria crisi economica.

Qual è il segreto della Svezia? Questo io non lo so, però so che è uno dei paesi che maggiormente punta all'innovazione tecnologica e sull'alto tasso di scolarizzazione dei suoi cittadini. Quindi penso ancora che la formula socialismo+ricerca scientifico/tecnologica sia la ricetta migliore abbiamo, anche se ovviamente non può creare quello stato ideale a cui puntano tutte le utopie e che invece sono irrealizzabili. Anche la Svezia ha i suoi difetti, primo tra tutti l'alto tasso di alcolismo.

Grazie.
Luigi Sammartino.

RICCARDO SEGRE ha detto...

Gentile Sammartino,

a mio parere un vantaggio competitivo della Svezia è la sua modesta popolazione, circa 10 milioni.

Paesi, come anche il Lussemburgo, che hanno saputo puntare su settori vincenti come quello tecnologico o dei servizi e con una popolazione relativamente modesta hanno potuto, e voluto, trasferire parte della ricchezza alla loro popolazione.

Un altro fattore positivo dei paesi nordici tra cui Svezia, Danimarca, Olanda sono le vincenti politiche giovanile. E' molto piu facile trovare lavoro in questi paesi che in Italia e lo stipendio è di solito dal 30 al 50% superiore a quello italiano.

In questo modo è facile attrarre talenti. Purtroppo in Italia sembra che di talenti non ne vogliano.

Se in Italia ci fosse il clima, intendo metereologico, dei paesi nordici non rimarebbe piu nessuno talento.

RICCARDO SEGRE ha detto...

Buongiorno,

a mio parere ormai l'istruzione, sia scolastica che universitaria, si basa quasi unicamente nello studio della materia unicamente per poter essere promossi all'esame finale e non per il piacere della cultura.

Anche io a scuola alcune materie, tra cui chimica, le ho studiato unicamente per ottenere un voto sufficiente. Ho voluto poi ristudiarle privatamente ed ho imparato ad apprezarle.


Diceva un comico: "La cultura è come la marmellata, meno ce n'è e più è facile da spalmare". La frase l'ho sentita in francese, forse era più divertente.



R

agapetòs ha detto...

Ciò che lei dice, Riccardo, si è sempre verificato.
Io personalmente ricordo che studiavo molto malvolentieri la letteratura italiana (e le parlo di 25-30 anni fa), ma alla fine la studiavo lo stesso anche se obtorto collo per non rovinarmi l'estate.
Ciò che ho imparato, anche se allora malvolentieri, è comunque entrato nel mio bagaglio culturale.
La differenza fondamentale è, soprattutto fino all'anno scorso, con i cosiddetti "debiti formativi", uno studente poteva anche studiare poco o per niente una, due, tre materie, con minime o nulle conseguenze.
Io credo che un insegnante debba fare tutto quanto umanamente possibile per far comprendere la sua materia, per renderla interessante... ma lo studio resta comunque un'impresa faticosa, anche se talvolta anche gioiosa, e di questi tempi è molto difficile far comprendere il valore della fatica e del sacrificio ai giovani virgulti.

Paolo Fasce ha detto...

Gentile prof. Israel,
in seno al Comitato Precari Liguri della Scuola, ho elaborato un documento chiamato “Proposta scientifica per un rapido esaurimento delle Graduatorie ad Esaurimento” che desidero sottoporre alla sua attenzione giacché penso possa essere un contributo serio che vorrei discutere apertamente.

Cordiali saluti.

Giorgio Israel ha detto...

Ho precisato molte volte che la commissione ministeriale da me presieduta non si occupa del problema del precariato. Quindi, con la massima considerazione per ogni elaborazione in tal senso, prego di non rivolgersi a me.

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