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giovedì 12 febbraio 2009

Da Galileo a Fourier, la storia della scienza è piena di questi incorreggibili “gentiliani”

Chi sa fare bene propaganda sa come conferire a certe parole la virtù di imprimere il marchio di un giudizio indipendentemente dal loro significato. Per esempio, ormai la parola “fascista” serve in modo indiscriminato a designare un infame. Sembra che qualcosa di analogo stia accadendo con l’aggettivo “gentiliano” nel campo dell’istruzione. Per designare qualcosa di ignobilmente reazionario basta dire “gentiliano”. L’aggettivo ha assunto un valore di esecrazione indipendente dal suo significato come risulta da alcune polemiche recenti sui quadri orari per il Liceo scientifico in cui riemergerebbe “l’idealismo gentiliano”. Si incrimina una frase dei regolamenti che dice che «il fine specifico dei percorsi dei licei è la theoria», e si lamenta il ritorno a una visione “deduttivistica” della scienza in cui prevale l’approccio teorico su quello sperimentale e laboratoriale.
In realtà Gentile non c’entra nulla. La sua riforma era basata sulla centralità della cultura classica, storico-filosofica e umanistica che aveva un carattere di preminenza su quella scientifica, ma Gentile non si è mai sognato di dire che la scienza va studiata in modo “deduttivista”. Casomai gli idealisti italiani pensavano il contrario: per loro la scienza era un sapere pratico-operativo privo di valore conoscitivo. Ma anche questo vale per Croce e meno assai per Gentile, che cambiò posizione riconoscendo alla scienza un valore conoscitivo. Ma che importa? Quel che conta è aver trovato un aggettivo esecrativo, tanto più efficace in quanto si riferisce a un ministro dell’istruzione fascista.
Oltretutto – diciamolo chiaramente – se Gentile pensava a quel modo aveva ragione da vendere. Vuol dire che sapeva che la scienza moderna deve i suoi successi proprio al fatto di essere “deduttivista” e non meramente manipolativa. «Matematica purissima» definisce Galileo la sua scienza del moto. E il grande fisico-matematico Fourier dopo aver sottolineato che le esperienze forniscono la materia per il progresso scientifico avvertiva che «la teoria dirige tutte le misure e ne assegna la precisione».
Pertanto chi crede o predica che lo studente debba entrare in laboratorio senza un supporto preventivo di teoria e possa apprendere qualcosa “scoprendo” a caso non ha capito nulla di cosa sia la scienza e ne ha un’idea prossima a quella dell’alchimia medioevale. È ottimo che vi siano laboratori nelle scuole ma lo studente deve entrarvi con una preparazione teorica, altrimenti non caverà un ragno dal buco. Lavoisier non ha mostrato che l’acqua è composta da idrogeno e ossigeno pasticciando a caso, ma perché perseguiva una precisa idea circa la struttura della materia.
Il danno degli slogan è dimostrato da un’ottima lettera di Maria Elisa Bergamaschini sulla rivista Emmeciquadro in cui deplora «la deriva costruttivista, supportata dai diversi pedagogismi» che «toglie all’insegnante la responsabilità di “maestro”», «nega nelle pratiche didattiche il carattere peculiare della ricerca scientifica in quanto ricerca del “vero”», «riduce la dimensione sperimentale delle scienze a un “saper fare”, dove il metodo scientifico diventa un insieme di tecniche da applicare», fa «prevalere l’aspetto informativo su quello conoscitivo». Non si potrebbe dire meglio. Ma allora non si vede come si possa andar d’accordo con chi proscrive il riemergere dell’idealismo gentiliano in quanto sintesi di tutte quelle cose che Bergamaschini ritiene giustamente caratteristiche della scienza come impresa di conoscenza. Perciò attenzione a prestar fede a chi usa le parole come mazze ferrate: si rischia di andare nella direzione opposta a quella desiderata.
(Tempi, 12 febbraio 2009)

20 commenti:

gelubra ha detto...

Sono perfettamente d'accordo con Lei, professore.
Ad adiuvandum, vorrei solo dire che quando mi trovo a spiegare ai miei ragazzi di quarto scientifico la nascita della scienza moderna cito spesso questa frase di Leonardo:
"Quelli che s'innamorano di pratica senza scienza son come 'l nocchier ch'entra in naviglio senza timone nè bussola che mai ha la certezza di dove vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria"
Meditassero tutti coloro che si sciacquano la bocca con gli slogan e gli aggettivi usati, come dice Lei, come "mazze ferrate" e che ignorano in radice i caratteri teorici dell'impresa scientifica.

francesco ha detto...

Purtroppo i recenti quadri orario del Liceo Scientifico, a cui accenna nell'articolo, sanciscono la fine dell'insegnamento della fisica nella scuola. Due ore settimanali di cattedra, come l'educazione fisica e meno del latino. Con classi di 28 persone da interrogare due volte a quadrimestre l'uso del laboratorio sarà materialmente impossibile. E così lo svolgimento dei programmi.

Gianfranco Massi ha detto...

L' unico commento che viene di fare di fronte alle affermazioni di certi pedagogisti è che sono talmente insensate che vengono ignorate dalla quasi totalità dei professori e dei discenti.
Gianfranco Massi

Maria ha detto...

Gentile prof.,
sono fuori tema. Vedo che le ultime dichiarazioni del Papa ottengono buoni riscontri da parte ebraica. Leggo però sul Corriere di oggi che Elie Wiesel rimane dubbio perchè afferma che quel vescovo appartiene ancora alla Chiesa di Roma. Ma non vi appartiene affatto, è sempre scismatico, i lefebvriani sono ancora fuori della Chiesa e dovranno dimostrare di essere degni di rientrarvi. Mi dispiace perchè ammiro enormemente Wiesel; mi sembra che ancora le informazioni su questa scomunica siano molto parziali. Non ci perdiamo d'animo e teniamoci la mano, ebrei e cristiani.
Con stima

Nautilus ha detto...

Gent. professore,
sono abbastanza d'accordo con lo spirito del suo post, nessun dubbio che la teoria debba aver precedenza sulla pratica, cioè, in fase di apprendimento solo il possesso di solide (pur se limitate) basi teoriche permette di trarre vantaggio da esercitazioni pratiche. Perchè di questo si tratta, "esercitazioni" e anche guidate un passo dietro l'altro dall'insegnante, altrimenti non servono che a far confusione.
Per quanto riguarda la fisica però, il modo migliore di insegnarla (dico questo per esperienza trentennale) sarebbe di spiegare la teoria IN LABORATORIO. Quindi unire il momento teorico con quello sperimentale, facendo letteralmente "toccare con mano" agli studenti gli aspetti pratici (e quindi la sostanza) della teoria che andiamo spiegando.
Certo, ci vorrebbero adeguati laboratori e soprattutto personale insegnante in grado di servirsene.
Come ha scritto Francesco prima, ridurre la fisica a due ore settimanali renderà tutto ciò impossibile .

Giorgio Israel ha detto...

D'accordo, entro certi limiti. La fisica non è tutto laboratorio. Il principio d'inerzia è un principio assolutamente astratto e non dimostrabile in alcun modo empiricamente: le "esperienze" addotte per dimostrare il principio d'inerzia sono senza senso alcuno e chi dice che quel principio ha basi empiriche è semplicemente un cialtrone. Ad ogni modo, bisognerebbe far capire che molte delle esperienze fisiche sono verifiche a posteriori per convalidare principi enunciati apoditticamente: quello che Galileo chiamava "cimento". Come scriveva Alexandre Koyré la scienza moderna non è baconiana e Francesco Bacone non ha mai capito nulla di scienza: l'accumulazione di dati non porta a niente. Come diceva Poincaré, la scienza non è un insieme di fatti più di quanto una casa non è un ammasso di pietre. La teoria della relatività non è partita da alcuna base sperimentale e quella generale ha atteso anni prima di vedere qualche pallida verifica. Questo è il punto centrale da far capire a uno studente. Poi si può andare in laboratorio quanto si vuole. Ma sulla assoluta coincidenza tra teoria ed esperienza ho i miei fieri dubbi.
Quanto ai nuovi orari vedremo. Speriamo che non si avverino le previsioni negative. Se così sarà protesteremo.

Nautilus ha detto...

Mi scusi se ritorno sull'argomento professore, ma la didattica della fisica riveste per me un interesse che non si esaurisce mai.
Anche il principio d'inerzia è adattissimo a essere spiegato (dimostrato no) in laboratorio: con la rotaia a cuscino d'aria si elimina l'attrito radente, una piccola spinta e il carrello si muove di moto apparentemente uniforme. Si fa notare la differenza, visibilissima, col moto in presenza d'attrito. Poi si chiede se veramente il carrello continuerebbe a viaggiare anche se la rotaia (1 m) fosse lunga 10 km.
Qualcuno degli studenti capisce e introduce l'attrito aerodinamico.
Alla fine, per induzione, son tutti convinti che se la risultante delle forze è zero, il carrello non si fermerà.
Se poi si vogliono fare delle misure, sarà anche possibile valutare la perdita di v in un 1 m.
La cosa importante è che una classe esce da questa semplice esperienza con fitto in capo il I principio, ben più che darglielo per scontato, cosa che come lei sa provoca sempre dei dubbi aristotelici.
Mi perdoni ancora per la lungaggine, ma è la prima volta che ho occasione di parlare di queste cose, e poi con un esperto come lei...

Giorgio Israel ha detto...

Mi scusi, non posso scrivere troppo a lungo, ma questo è il classico esempio di "esperimento" fasullo che viene proposto nei libri di fisica fasulli. Non bisogna considerare forze né vincoli di alcun tipo. Al contrario qui c'è la reazione vincolare del piano su cui viaggia il corpo e addirittura la rotaia. Ovvero il moto è a priori rettilineo! Bella spiegazione... Se uno fa viaggiare un corpo così credo bene che si muove di moto rettilineo... Pertanto ci si limita a "spiegare" perché deve essere uniforme, ovvero a occuparsi dell'attrito. Ma la questione del carattere rettilineo è centrale perché ha a che fare con l'idea geometrica dello spazio che abbiamo. Per fare un esperimento serio bisognerebbe pensare a uno spazio assolutamente vuoto, anche della presenza dell'osservatore. Ma questo è un esperimento impossibile. L'unica esperienza possibile è quella "pensata", ovvero un'astrazione mentale. Come avviene in relatività che è tutta fondata su "esperimenti pensati" (il termine usato da Einstein). Agli studenti si fa in quel modo credere di aver capito qualcosa e invece hanno capito tutto a rovescio o, al più, soltanto un pezzetto della storia. Insisto, si è dato soltanto un'idea del perché dovrebbe essere un moto uniforme, ma nessuna del perché debba essere rettilineo. Fortunatamente la cosa è abbastanza sottile da sfuggire allo spirito critico di un ragazzino. Altrimenti distruggerebbe con una semplice obiezione questo pseudoesperimento senza senso. Mi dia retta, non insegni il principio d'inerzia in laboratorio, è un modo per traviare lo spirito critico ma non è una buona idea giocare sullo scarso spirito critico di un ragazzino, si finisce col svilupparlo.... Io lo spiego sempre come un principio astratto (diciamo pure come un principio metafisico), perché tale è, come molto bene spiega Koyré. E, dal punto di vista didattico, funziona egregiamente, perché esercita lo spirito critico e permette di capire il senso (filosofico) del principio (il che è il contrario di darlo per scontato, perché non è né scontato né verificabile sperimentalmente ma soltanto accettabile mentalmente come una situazione astratta, al limite). Lasci perdere il povero Aristotele. Lui sì che partiva dai fatti empirici... La meccanica di Aristotele è una meccanica basata sull'osservazione a differenza di quella moderna che è deduttiva. E difatti negava a priori il principio d'inerzia in quanto la realtà gliene dimostrava la falsità! Per accettarlo occorreva assumere un punto di vista astratto e matematizzante: quello della fisica galileiana (e, in generale, moderna), appunto... (Anche se lo stesso Galileo non è mai arrivato al principio d'inerzia, se non nella forma di un moto circolare uniforme, a riprova che l'accettazione del carattere rettilineo è tutt'altro che scontata).
Mi dia retta, è molto più utile la storia della scienza per una buona didattica che non la didattica dei didattichesi.

Andrea Cortis ha detto...

Caro Prof. Israel,

Concordo in pieno con il suo post. Tempo fa ho scritto un post sul mio blog su un argomento simile, e mi permetto di portarlo alla sua attenzione:

http://andreacortis.blogspot.com/2008/01/can-scientist-be-desperate.html

Senza voler ripetere qui i miei argomenti (bellissima la sua recente uscita, "Se qualcuno vuol farsi le sue discussioni, si apra pure il suo blog!"), il punto centrale del mio argomento e' la differenza tra fenomeno ed evento, e cerco di elucidare come dalla confusione di questi due concetti discenda la "disperazione" (nel senso di Kierkegaard) della scienza contemporanea.

Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensa.

Cordiali saluti,

Andrea Cortis

Giorgio Israel ha detto...

Trovo molto interessante e condivisibile il suo post (e, fra l'altro, mi piace molto la citazione di Thom: ho quel libro, ma l'avevo dimenticata).

Andrea Cortis ha detto...

Grazie per il suo commento!

Nautilus ha detto...

Ma lei sulla questione teorica ha ragione professore! Non vorrei aver fatto, proprio davanti a lei, la parte del presuntuoso, difendo la pratica di laboratorio perchè sul fronte dei licei scientifici le cose per la fisica vanno disastrosamente: spesso la competenza acquisita si riduce a un'infarinatura di nozioni indigerite e alla mancanza di qualsiasi metodo di ragionamento elementare, questa è la situazione, evidenziata quando nelle facoltà di fisica si fanno indagini sulle conoscenze dei nuovi iscritti.
Lei potrà obiettarmi che magari spiegare le cose in modo poco rigoroso non fa che aumentare la confusione, può aver ragione lei, ma personalmente non la penso così e mi spiego.
Se il risultato fosse "capire tutto al rovescio" ci sarebbe poco da giustificare, se invece quel che succede è capire anche "solo un pezzetto della storia", mi accontento.
Classi intere entrano in laboratorio con l'idea che un moto uniforme necessiti l'applicazione di una forza costante: come dice lei, pensano così perchè esattamente come Aristotele hanno a disposizione solo un'osservazione empirica grossolana.
Escono dal laboratorio e hanno capito "definitivamente" che è solo una questione di attriti.
E il senso critico viene sviluppato: non sono pochi quelli che intervengono dicendo che il moto rettilineo in quel caso è provocato dalla rotaia, e rimane indimostrato cosa succede in sua assenza.
In una esperienza successiva con la tavola a cuscino d'aria si fa notare come le traiettorie, anche dopo urti, siano rettilinee, e stavolta il vincolo presente è solo uno (a prescindere da altre interazioni trascurabili), occasione per nuove discussioni.
Insomma professore, lei ha ragione da vendere sulla necessità dell'astrazione nella trattazione di certi principi, ma perfino quando può fornire solo una parte delle risposte resto convinto che il laboratorio permetta di imparare meglio e sviluppare anche più senso critico rispetto alla sola trattazione teorica.
Questo con l'unico e limitato scopo di migliorare un poco la qualità media delle conoscenze di fisica nella scuola superiore, sia chiaro.
Son convinto della validità della storia della scienza, in questo le dò ragione, ma con un paio d'ore a disposizione è più rassicurante (almeno per me) rivolgermi a una didattica che ho collaudato per anni.

La rileggo:
"Io lo spiego sempre come un principio astratto (diciamo pure come un principio metafisico), perché tale è, come molto bene spiega Koyré. E, dal punto di vista didattico, funziona egregiamente, perché esercita lo spirito critico e permette di capire il senso (filosofico) del principio"
Molto interessante, non abbandonerò la rotaia, ma utilizzerò senz'altro questo modo di spiegare il principio.
Saluti e grazie per la risposta.

Giorgio Israel ha detto...

Siamo d'accordo se lei spiega che questa è soltanto una parte della storia. Poi, per quanto riguarda il moto rettilineo lei deve fare una lezione puramente teorica A PARTE e che in aula (se l'aula è un laboratorio è soltanto un fatto fisico). Che la traiettoria sia rettilinea, circolare o di altro tipo non ha alcuna base empirica ma dipende soltanto dal concetto preliminare che abbiamo dello spazio: euclideo tridimensionale illimitato (rettilinea), chiuso e sferico (circolare) o di altro tipo come in relatività. L'idea è sempre che il moto segue una geodetica, e quindi obbedisce a un principio metafisico del tipo: minimo percorso, minimo sforzo. Non c'è qui barba di esperimento che tenga. Quanto ad Aristotele non aveva affatto torto a dire che la velocità è proporzionale alla forza impressa, perché per lui non esistono moti senza attrito. E, di fatto, in natura non esistono moti senza attrito. Esistono soltanto nella meccanica matematica e astratta di Galileo, Newton, ecc. Io leggo sempre ai miei studenti il brano di Galileo sulla tangenza della sfera in un punto che riporto nel mio libro "La visione matematica della realtà". Non è che poi Galileo sia tanto convincente... Ha funzionato l'idea di "difalcare gli impedimenti" ma che il mondo sia matematico è un principio metafisico. Come dice Koyré la fisica di Aristotele parte dai fatti e va verso la metafisica, mentre la fisica moderna va dalla metafisica ai fatti. Ha funzionato e di qui il suo successo.

Caroli ha detto...

Infatti in ingegneria si considera sempre il cerchio di attrito, sia in Meccanica Razionale che in Meccanica Applicata alle Macchine (naturalmente mi auguro che nel nuovo ordinamento tali insegnamenti siano rimasti).

Teresa ha detto...

Questa volta mi trova perfettamente d'accordo. Alla SSIS avevo un'insegnante di didattica della chimica (ahimè, laureata in biologia) convinta che per comprendere qualsiasi concetto scientifico, anche il più semplice, bisognasse recarsi in laboratorio. I suoi alunni, studenti di liceo scientifico con i quali ho avuto modo di parlare, mi hanno candidamente detto che durante l'ora di chimica si divertivano imparando ben poco. Bisogna davvero avere scarsa fiducia nelle capacità astrattive degli studenti per pensare che debbano ogni volta aver bisogno di maneggiare qualcosa per capire anche concetti elementari. Il cavallo di battaglia della docente era l'insegnamento del "metodo scientifico". Inutile replicare, pena la bocciatura al suo esame di didattica. L'insegnante era convinta (e penso lo sia ancora, data la foga con cui contrastava qualsiasi idea diversa dalla sua) che i suoi studenti, dopo aver appreso "il metodo" si appassionassero talmente tanto alla chimica da studiare il resto del programma nei mesi estivi, dato che durante l'anno scolastico, a causa del tempo sottratto dai laboratori, i contenuti affrontati erano ben pochi.

A proposito, invece, dell'impronta gentiliana del nostro sistema d'istruzione, mi piacerebbe avere un suo parere su questo articolo di Enrico Pappalettere:

http://wwwcsi.unian.it/educa/prodiba/nodoscio.html

Se ha tempo, mi piacerebbe sapere con quale formazione degli insegnanti, secondo lei, si protrebbe affrontare il problema relativo all'insegnamento delle scienze di cui parla l'articolo.
Spero infatti che il nuovo sistema di formazione per gli insegnanti di scuola secondaria tenga conto della diversa natura delle varie scienze e della conseguente differente formazione di chi le insegna. Mi riferisco in particolare alla chimica, particolarmente sacrificata (soprattutto nei licei) e per nulla sfruttata per il suo valore formativo (oltre ad essere insegnata da non chimici nella stragrande maggioranza dei casi).
Grazie
Teresa

Giorgio Israel ha detto...

Ma il nuovo processo di formazione degli insegnanti la commissione da me presieduta l'ha formulato... Basta cliccare a sinistra su questo blog oppure andare sul sito del MIUR, Commissione Formazione.

Teresa ha detto...

Ho letto i documenti da lei indicati prima di scrivere il commento; la mia richiesta era motivata dal fatto che ancora non sono stabilite le corrispondenze tra crediti acquisiti e classi di concorso per la scuola secondaria di secondo grado. Mi auguro che per accedere ad ogni insegnamento scientifico (e non solo) si debba acquisire un congruo numero di crediti, uscendo definitivamente dalla logica del "ho superato due esami di chimica/fisica/biologia e quindi posso insegnare chimica/fisica/biologia". Cordialmente, TC

Giorgio Israel ha detto...

Fino a che non saranno definite le nuove classi di abilitazione non si potrà far nulla. Dopo sarà possibile estendere alle superiori il modello delle medie inferiori che, per noi, è il modello ideale.

antonella panarelli ha detto...

Esiste un bellissimo video sulle leggi di Newton realizzato con il contributo dell'Esa IN ORBITA che mostra che un corpo non soggetto a forze si muove di moto 'rettilineo' uniforme (ovviamente non può mostrare ch ciò avviene indefinitamente perché avremmo bisogno di un filmato che dura un tempo infinito..ahahhaha)
Il video si chiama 'Newton On Space' e si reperisce come materiale allagato all'Amaldi della Zanichelli.
Un ottimo video, molto accattivante, senza reazioni vincolari!

Giorgio Israel ha detto...

Perché in orbita un corpo non è soggetto a forze? Diciamo che è abbastanza lontano da altri corpi, salvo quello in cui è contenuto... Ma dovrebbe essere in un riferimento galileiano, e non credo proprio che sia così. Perciò funziona soltanto per piccole distanze e non è un esperimento molto migliore di quelli fatti sulla terra. Il principio d'inerzia è ovviamente ha buone conferme quando condotto molto a distanza di altri corpi e in un riferimento inerziale e perciò quasi impossibile da verificare con un esperimento. Peraltro questi esperimenti erano impensabili all'epoca di Cartesio o Newton, perciò quel principio è stato dedotto razionalmente e a priori, giustificato sulla base di situazioni ideali pensate. E non è bene non trasmettere questa idea a chi apprende. facendogli credere chissà che cosa. È bene che si capisca che tutto dipende dall'idea che uno si fa della struttura geometrica dell'universo. Se la struttura dell'universo non è quella di uno spazio euclideo infinito tridimensionale non c'è barba di principio d'inerzia nel senso classico.

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