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giovedì 25 giugno 2009

Il merito non è un quiz

Il richiamo del Governatore della Banca d’Italia è un’ulteriore autorevole manifestazione della consapevolezza sempre più diffusa che occorre riavviare un sistema dell’istruzione inceppato. Ma una visione chiara dei rimedi non esiste ancora. È sorprendente la diffusa resistenza a verificare programmi e contenuti dell’insegnamento. Di recente, avendo proposto di esaminare a fondo i libri di testo mi sono sentito rispondere da un pulpito autorevole: «Non faremo mai i poliziotti e i delatori dei colleghi». È curioso che si ragioni in questo modo proprio mentre si parla da mattina a sera di valutazione. O piuttosto fa capire che è più comodo scegliere la valutazione che si nasconde dietro giudizi impersonali e “oggettivi”. Così tocchiamo il nodo dolente della questione.
Tutti concordano sul fatto che un sistema così ingessato e burocratizzato deve essere reso più duttile. E allora le parole d’ordine sono “autonomia” e “valutazione”. Il sistema classico dell’istruzione statale va certamente riformato, anche se nessuna persona ragionevole può negare che ad esso dobbiamo la diffusione dell’istruzione di massa e che dal punto di vista storico esso, quantomeno a livello della scuola, si è rivelato superiore a qualsiasi sistema privatistico e liberista. Ma il problema è di evitare la tradizionale caduta dalla padella nella brace. Se tutto dovesse risolversi nel trasferire il potere dalle burocrazie ministeriali centraliste a gruppi di “esperti scolastici” che non hanno mai insegnato un minuto né mai pubblicato una riga se non relativamente alle loro tecniche gestionali, allora ci troveremmo esattamente in questa situazione. Difatti, è manifesto che l’interesse di questi “esperti” è di affermare la supremazia della loro specifica competenza gestionale-valutativa sulle competenze tipiche degli insegnanti e degli uomini di cultura. Difatti, da questi esperti proviene spesso un atteggiamento sprezzante nei confronti dei contenuti disciplinari, fino a proclamare che occorreranno ancora una decina di anni di “lotta militante” per frantumare definitivamente il sistema disciplinare. Allora ha ben ragione il celebre filologo Cesare Segre a osservare che, si finirà col «mettere la museruola ai competenti, soli ad avere la capacità di giudicare», riducendo «le valutazioni, ormai affidabili a chiunque, a puro calcolo quantitativo. Alla faccia della meritocrazia».
È altresì inquietante che un muro di silenzio assoluto si erga contro tutte le critiche che vengono mosse nei confronti dell’uso spesso acritico e sconsiderato – vero esempio di mancanza di probità scientifica – di metodi di valutazione numerica a dir poco discutibili. Non importa che tali critiche vengano mosse da organismi scientifici di primo livello, non importa che tutti sappiano che metodologie di valutazione della ricerca come il “citation index” siano delle assurdità totali, che le liste delle riviste scientifiche accreditate per le valutazioni contengano omissioni scandalose. E qui parlo di ricerca scientifica, ma anche l’esame delle statistiche internazionali sulla scuola fornisce una materia per esercitarsi a trovarne le numerose falle e a rivoltarne a piacere le conclusioni. Ci stiamo mettendo passivamente nelle mani di “esperti” il cui potere è spesso deriva soltanto dal far parte di imprese e gruppi influenti.
Agli inizi del Novecento, si svolse uno scambio di idee tra il fondatore dell’economia matematica, Léon Walras e il grande matematico Henri Poincaré sul significato e la portata di un concetto fondante della teoria, l’utilità. Nessuno dei due, neppure Walras, ardiva supporre che l’utilità potesse essere misurata: tutt’al più si discuteva se potesse essere oggetto di una speculazione matematica generica, senza applicazioni numeriche concrete. Ma oggi gli “esperti” si avventurano a misurare qualsiasi qualità umana senza provare neppure a chiedersi se ciò abbia il minimo senso e il minimo fondamento scientifico. Per misurare qualcosa occorre definirne l’unità di misura: qual è l’unità di misura della “competenza”?
La questione è cruciale perché la presunzione di poter raggiungere una valutazione strettamente oggettiva e quantitativa si basa sulla distinzione ormai invalsa tra “conoscenze” e “competenze” che è ormai divenuta una filastrocca ripetuta senza sapere neppure bene di cosa si tratti. La competenza è ritenuta fondamentale in quanto su di essa si appuntano le speranze di una valutazione oggettiva e, in alcuni paesi, ciò è stato tentato proprio in relazione alle prove del tipo “maturità”. Ma cos’è la competenza? Con questo termine si vorrebbe definire una dimensione soggettiva di capacità, risorse e attitudini, non soltanto professionali ma anche relazionali, acquisite nel processo formativo. Dietro certe affermazioni di facciata, gli addetti ai lavori ammettono che una definizione univoca di competenza non esiste. Anzi, una commissione mondiale istituita negli anni novanta per tentare di pervenire a una siffatta definizione ne ha prodotte un numero enorme senza concludere nulla. Non soltanto: si ammette che le definizioni che includono i fattori relazionali e affettivi sono assolutamente inadatte a essere misurate, mentre per altre definizioni “deboli” si è tentato qualcosa con poco costrutto. Ad ogni modo, se anche gli specialisti in materia ammettono, sia pure tra i denti, che per una valutazione delle competenze con test siamo ancora in alto mare, è saggio affidarsi mani e piedi legati a simili metodologie?
Forse il tema della misurazione oggettiva dei fattori soggettivi è un tema scientifico (e filosofico) troppo complesso per qualche azienda di valutatori. Ma non è comunque un bel segnale che troppi ripetano parole come “conoscenze-competenze”, “valutazione” e “autonomia” solo perché fanno parte dei codici dell’eurocrazia. Dove muore lo spirito critico muore anche la cultura e l’istruzione.
Cosa è più urgente fare? Proviamo a dirlo in pillole. Occorre riqualificare la funzione dell’insegnante introducendo una progressione di carriera e un sistema di formazione e reclutamento basati sul merito (ovvero su prove e verifiche). Occorre ricondurre gli attori della scuola ai loro ruoli: niente più famiglie sindacati dei figli e studenti che comandano a scuola (da questo punto di vista la vicenda dei tabelloni del Liceo Berchet di Milano con i voti dati dai docenti agli studenti accanto a quelli dati dagli studenti ai docenti è un episodio di squallida demagogia). La valutazione delle scuole va effettuata da commissioni ispettive “umane” composte da insegnanti esterni o anche in pensione. Occorre procedere a un riesame a fondo di curricula e programmi mettendo al bando fumisterie e metodologismi vacui e procedendo a una rigorosa riqualificazione disciplinare. Infine, occorre un esame della questione dei libri di testo: troppi e non sempre di buona qualità; davvero troppi e spesso pessimi alle elementari, probabilmente come conseguenza della loro gratuità. In generale, meno statistiche e più valutazioni di contenuto. Per l’università va fatto un discorso analogo. Appare ormai chiaro che il meccanismo di reclutamento basato sulle liste nazionali è l’unica scelta sensata, mentre una ristrutturazione della “governance” deve mantenere al corpo docente il ruolo di indirizzo scientifico-didattico. Anche qui, per la valutazione meno numeri e più “giudizi ponderati” per dirla con le parole della International Mathematical Union.
(Il Messaggero, 25 giugno 2009)

12 commenti:

broncobilly ha detto...

La valutazione quantitativa è altamente imperfetta e la valutazione qualitativa cade sul "chi controlla i controllori". Per il confronto non resta che la concorrenza. Come stumento per la predizione del successo universitario dello studente, funziona meglio il SAT o la valutazione espressa dai professori al termine della scuola superiore? Mi sono imbattuto in studi a favore del primo, ma sarebbe bello saperne di più. Di fronte all' imperfezione dei due strumenti, contano poi molto anche le prospettive di miglioramento che essi hanno. Non so molto sui quiz (sono migliorati? Possono migliorare ancora?), ma su un' impennata etica dei controllori ci conto poco.

Nautilus ha detto...

“Formazione e reclutamento basati sul merito (ovvero su prove e verifiche)”
Il problema sta in quali prove e verifiche selezionino il bravo insegnante, ovvero non tanto chi sa, ma chi ha una vera capacità didattica.
Personalmente non riesco a liberarmi da alcuni fantasmi: una mia amica (che doveva rivelarsi un’ ottima insegnante di lettere) bloccata per anni perchè al concorso per entrare in ruolo ignorava l’esistenza di un carteggio fra Erasmo e Lutero... Per converso, l’ insegnante di mat. della mia scuola che proveniva dalla Normale, così bravo da affidargli ogni anno la correzione del compito di maturità e talmente scarso come docente da sbalordire: classi totalmente impreparate nonostante i buoni voti, famiglie in subbuglio, ispettori su ispettori e niente, ha fatto danni enormi fino alla pensione. Un collega di fisica bravissimo, una vita per la materia, ne sapeva più di tutti noi messi assieme ma con un piccolo difetto: quando lui entrava la classe usciva.
Questo per le prove di competenza, non parliamo di quelle metodologiche: o rispondevi secondo le teorie di moda o eri segnato pur se i tuoi studenti erano ben preparati. Infatti se tale risultato era ottenuto con metodi messi all’indice, per i pedagoghi non valeva nulla.
Forse son casi estremi ma per adesso l’unica misurazione minimamente attendibile della capacità didattica l’ho vista fare solo dagli studenti, sarà pure “demagogia” mettere i loro voti accanto a quelli degli insegnanti (però sembra che non sia vero: i voti sono in segreteria e solo per gli insegnanti, col che cadrebbe molta della polemica) ma da qualche parte bisognerà pur partire, anzichè rifiutare a priori uno strumento che all’estero, per quel poco che ne so, viene utilizzato da tempo senza drammi.

paolo casuscelli ha detto...

Io credo che il voto degli studenti agli insegnanti sia veramente demagogia, perché gli alunni possono essere del tutto inaffidabili nella valutazione. Faccio un esempio: nella mia scuola, media inferiore, durante una supplenza, un'insegnante, che ha ritenuto di non aver nulla di meglio da proporre alla classe, chiede agli alunni di dare dei voti ai propri docenti. Devo ammettere che quando l'ho saputo ho combinato un putiferio, per quel gratuito ammiccare alla complicità degli alunni, davvero antieducativo. Ma sono significativi i risultati. Alcuni sono obbiettivi, altri, apparentemente incomprensibili. Una mia collega di Lingue ha preso molti 10, non si sa se per sarcasmo, dal momento che è assolutamente incapace di tenere la classe (tanto che diverse volte ho dovuto fare la cosa patetica di presenziare alle sue “lezioni”, con grave disagio), o se per la pacchia del caos che crea. Un'altra collega, di altra Lingua, bravissima, intelligente, aperta, ha preso diversi 2: troppo severa. Non aggiungo altro.
Altra cosa, rispetto ai voti, sarebbe consultare gli alunni, farsi raccontare quel che avviene nelle classi, come si lavora, soprattutto sapere quali programmi si svolgono e in che modo. E poi interpellare anche i genitori, i Presidi, i bidelli (ché anche loro sanno quel che avviene nelle classi). Dopo di che, ispezioni concrete, nelle classi, ripeto, non sulle scartoffie. Chi controllerebbe i controllori? Ma insomma, la Scuola ha bisogno di un po' di buon senso, che è poca cosa, ma basterebbe a risolvere tante gravose questioni.

Poi, vorrei chiedere al prof. Israel se ha visto le prove Invalsi d'italiano somministrate quest'anno agli esami di scuola media. Esiste un organo a cui rivolgersi per poter spiegare ai formulatori tutte le incongruenze sottese nel loro modo di porre le domande?

Giorgio Israel ha detto...

Quello che lei racconta è emblematico.
E sono d'accordo su tutto.
Infine: no, non esiste questo organo. L'unica possibilità è la denuncia pubblica con i mezzi che si hanno a disposizione. E qui tocchiamo col dito l'assurdità di una valutazione in cui i valutatori sono nominati da chi non è in grado di valutare - per lo più con criteri politici - e diventano onnipotenti e non valutabili. Quindi, non resta che scrivere e raccontare: sui giornali, in rete, con tutti i mezzi possibili e immaginabili.

Nautilus ha detto...

Beh, caro/a Junco, a me sembra inaffidabile anche l’esempio, e anche l’insegnante che l’ha messo in pratica. In quelle condizioni è chiaro a chi ha un po’ di pratica scolastica che sarebbe venuta fuori una buffonata.
A rischio d’esser noioso mi ripeto: sostengo che chi conosce VERAMENTE il valore di un insegnante sono i suoi ragazzi.
D’altra parte dalle sue parole ne viene conferma: da chi, il preside, le famiglie, i bidelli prendono le loro informazioni? E’ tutta gente che in aula non mette piede, se non vi fossero i ragazzi che si confidano o si lamentano con loro, ne saprebbero ben poco, tranne forse il caso da lei citato di classi completamente allo sbando.
Una ulteriore conferma viene dai seguenti suggerimenti :”Altra cosa, rispetto ai voti,
sarebbe consultare gli alunni, farsi raccontare quel che avviene nelle classi, come si lavora, soprattutto sapere quali programmi si svolgono e in che modo.”
Il che presuppone che i ragazzi siano perfettamente in grado di giudicare questi elementi.
Il problema, e qui concordo con lei, è tradurre questa conoscenza in valutazione il più possibile obiettiva, occorre quindi cercare un metodo adeguato, ma sono convinto che se si vuol percorrere la strada della valutazione meritocratica gli studenti ne devono essere una componente importante.
D’altra parte, una volta accertata la competenza nella materia, senza la quale è scontato non ci può essere efficacia nell’insegnamento, altre armi per giudicare la capacità didattica di un docente mi sembra non ve ne siano, visto che concordiamo sull’inutilità delle “scartoffie” e dei controllori.

paolo casuscelli ha detto...

L'esempio che ho riportato non voleva essere significativo di un “metodo” di valutazione degli insegnanti. Era più che altro la cronaca di uno di quei giochi torbidi e oziosi in cui si impelaga l'inettitudine di taluni docenti. Ma l'inaffidabilità di quei voti dati agli insegnanti rimane un dato di fatto, anche nella buffonata. E chi sa che un giorno, difronte a una pagella con tanto di voti, pensata stavolta con criterio, formulata in Ministero, stampata e proposta agli alunni, non ci si trovi a dover considerare: eppure, “c'è del metodo” in questa buffonata!
Per me, che gli alunni raccontino cosa avviene in classe, cosa si fa e cosa no, non è la stessa cosa che dar loro la facoltà di valutare un insegnante. A volte, nella testimonianza può essere implicita, consequenziale, la valutazione. Altre volte, no.
Da insegnante di Lettere, spesso chiedo ai miei alunni cosa facciano nelle altre materie, soprattutto in musica, in religione, in arte. E spesso mi metto, senza farmene accorgere, le mani ai capelli: ma non permetterei mai agli alunni di esprimere una valutazione sui colleghi, anche se le testimonianze la rendono implicita. E questa non è ipocrisia, è un nodo fondamentale. Tu, alunno non hai gli strumenti per valutare e la tua valutazione è inutile, dannosa per la tua stessa educazione. Istituzionalizzare la valutazione da parte degli alunni servirebbe solo a deresponsabilizzare ulteriormente chi dovrebbe svolgere funzioni di controllo sull'operato dei docenti, a cominciare dai Presidi. Hanno bisogno dei voti degli alunni per sapere quel che accade nelle loro scuole, chi lavora bene e chi male, chi lavora e chi no?

Giorgio Israel ha detto...

Condivido in toto

Nautilus ha detto...

"Tu, alunno non hai gli strumenti per valutare e la tua valutazione è inutile, dannosa per la tua stessa educazione."

Guardi Junco, casualmente oggi al mare ho incontrato una ex-allieva del mio liceo, non mia. Ricordando gli anni di scuola (passati ahimè da un bel po') mi ha chiesto notizia dei suoi ex professori, e me ne ha fatto una lucidissima analisi: da quello d'inglese competentissimo ma senza voglia di far nulla a quella d'italiano brava e materna, da quella di filosofia severa ma giusta e intelligente a quella di matematica che voleva solo dimostrazioni a memoria costringendo tutti ad andare a ripetizione per saperne qualcosa, da quello di fisica terrore della classe per le pretese e i voti ma affabile e padrone della materia a quella di chimica che invece non ne sapeva nulla mentre se la cavava in biologia.
Ne è venuto fuori un quadro molto preciso del quale, lavorando lì da oltre trent'anni, potevo confermare alcune cose mentre altre le ignoravo del tutto, il che mi ha sorpreso.
Scommetto che anche lei se ripensa ai suoi ex insegnanti potrebbe fare un quadro altrettanto preciso.
E, io sostengo, rispondente alla realtà.
Ora, se ho ben capito il suo discorso, lei si fa un’idea negativa di alcun suoi colleghi mediante le confidenze dei ragazzi ma nel contempo ritiene che “ gli studenti non hanno gli strumenti per valutare". A me sembra un pochino contradittorio: davvero pensa che dove lei individua delle carenze nei colleghi i ragazzi non ci siano arrivati da soli? Magari non subito o con un solo episodio, ma sa quanto tempo ed occasioni hanno per capire chi hanno davanti?
Che poi questa conoscenza possa essere utilizzata per una valutazione meritocratica del docente, quello sì è opinabile: io ritengo di sì, lei invece la riterrebbe addirittura diseducativa, teniamoci le nostre idee.
Sui presidi, a cui in definitiva mi pare lei vorrebbe affidare la valutazione: in tanti anni ne ho conosciuti parecchi e di qualità molto difforme, certamente se animati di buona volontà e ben coadiuvati possono farsi un’idea abbastanza precisa del personale docente, ma demandare solo a loro la valutazione a me pare fornirebbe loro troppo potere discrezionale e di condizionamento nei confronti degli insegnanti. Comunque, se la sua idea è quella di affidare ai presidi questa responsabilità, beh, almeno è una posizione semplice e chiara, ci permetterebbe di non affaticarci più nella soluzione del problema.

paolo casuscelli ha detto...

Nautilus,
“posizione semplice e chiara”, un po' mi offende, sa di sempliciotto. Era quel che voleva? Se no, dica meglio “chiara e distinta”, così la posizione, evocando idee cartesiane, riflette complessità celate :-)
No, la questione della “confidenza” dei ragazzi non l'ha capita bene. La confidenza degli alunni comporta un mettersi a tu per tu, che non mi si addice e trovo deplorevole. Io so quel che avviene in classe perché quando c'è un problema alzano la manina e me lo sottopongono, me ne fanno carico. E poi si aggiungono le voci dei genitori. Problemi che, a rigore, non sarebbero miei, ma della Presidenza. Esempio: nelle ore d'Inglese c'è un macello, perché l'insegnante non sa tenere la classe, perché anche volendo non è in grado di spiegare, né di dire due parole senza urlare. Ogni giorno note comportamentali (idiote, nome dell'alunno preso a caso, e basta) voti bassi, altre urla, altre note, e il gatto si morde la coda. La Presidenza sa, da anni, ormai, e allarga le braccia. Risoluzione del semplice: sta lì, in ore non sue e non pagate, perché si faccia lezione e non si scrivano note sciocche. Sta lì a dire alla collega: “stai calma, non gridare, ti prego, fai lezione tranquilla”. Se esco ricomincia il macello.
So quel che avviene in classe, perché è normale, per un insegnante di Lettere, per me è normale, chiedere cosa stanno studiando di storia della musica o che musica stanno ascoltando. E siccome non è normale sentirsi rispondere “niente, suoniamo il flauto”, allora la semplice risoluzione è che Bach e Mozart e Beethoven e Wagner devo spiegarli e farli ascoltare io. Possibile che nelle ore di musica non si ascolti musica, ma si mettano sulle bocche degli adolescenti strimpellanti flauti dolci? Bisognerebbe vietarne l'uso.
So quel che avviene nell'ora d'arte, se chiedo che stanno studiando di storia dell'arte e mi si risponde che in tre anni l'unico argomento è stato il Romanticismo. E il semplice si arrabatta a mettere in mezzo alle sue spiegazioni Caravaggio e Bernini. Estasi di Teresa Santa, di sposa trafitta, che rimanda alla Sposa del Cantico, quello per eccellenza, a coprire anche quei vuoti lasciati aperti nelle ore di Religione. Sì, perché chiedete al popolo italico, passato dalla nostra Scuola, che sia il Cantico dei Cantici, e vedete quanti rispondono: lo conosco! San Francesco!
E so anche quel che di buono avviene nell'ora di Tedesco, se chiedo e mi si dice: “Le elegie duinesi di Rilke, la morte di Isotta, le poesie di Goethe”.
Anche così si sanno le cose, nella scuola, non in “confidenza” con gli alunni.

Io non ho mai parlato di affidare ai Presidi la valutazione degli insegnanti. Sarebbe folle quanto affidarla agli alunni. Io dico, sempre semplicemente, che i Presidi dovrebbero controllare quel che avviene nelle classi, direttamente, attraverso le testimonianze dei ragazzi e dei genitori e dei bidelli, e, accertata una problematica grave, dovrebbero avere l'obbligo di chiedere una ispezione qualificata. Non allargare le braccia. Gli ispettori qualificati chi li manda e chi li forma? Insomma, c'è un Ministero, che invece di occuparsi di cose inutili (una volta il portfolio, un'altra i voti in sostituzione dei giudizi, e amenità varie) potrebbe occuparsi dell'essenziale.
Se poi si ritiene che sia necessario un controllo su chi controlla, e un controllo sul controllo del controllo, al rialzo democratico, solo per verificare che nelle classi si lavori in modo più o meno normale (perché il problema non sono le sottigliezze delle scelte didattiche), e allora teniamoci la Scuola com'è.

paolo casuscelli ha detto...

Ecco, a proposito della scuola meritocratica, a cui non credo, sarebbe già tanto che si tentasse di mettere un freno al demerito. I meriti degli insegnanti, quando ci sono, sono vieppiù incodificabili. E, benché riconosciuti dagli alunni (che li riconoscono, certo!), talvolta apprezzati dai genitori, in talune circostanze possono addirittura nuocere, in un ambiente come quello della Scuola, dove regna l'ordine della mediocrità, che non apprezza il disturbo. Come disturbano i meriti di un insegnante? Potrei scriverci un romanzetto d'appendice :-)
Conosco un insegnante molto amato e apprezzato a cui il preside lo ha detto chiaramente: “I suoi meriti a me, come dirigente, creano solo fastidi. Quando devo formare le classi ho troppe pressioni e raccomandazioni per il suo corso. Ma io ho tante classi, devo pensare a tutta la scuola. Le confesso che, a volte, ho dovuto parlare male di lei ad alcuni genitori per convincerli ad iscrivere i figli in un'altra sezione”.
Meritocrazia?

Infine, e chiudo, per quel che riguarda i voti degli alunni ai meriti e demeriti, bisognerebbe pensare che, quando l'insegnante è un punto di riferimento, quando è veramente un modello, secondo un generale criterio mimetico, in senso girardiano, è “anche” un ostacolo, quantomeno, può esserlo.
Ultimo esempio, chiaro e semplice: ho avuto un'alunna, bravissima, con cui c'è stato, càpita, un rapporto di reciproca antipatia. Càpita. Io le ho messo dieci. La fanciulla che voto mi avrebbe messo se avesse potuto?
Chiedo scusa al prof. Israel per la lungaggine.

Nautilus ha detto...

Ah mio caro/a Junco, guardi che l’uso dell’aggettivo “semplice” era in senso positivo! Io debbo insegnare fisica e tutto il mio sforzo didattico consiste nel cercare di rendere facile da capire quel che non lo è affatto, sono un “semplificatore” di mestiere e questo si riflette, con i relativi vantaggi e svantaggi, anche nella mia visione del mondo.
Ora, in questa discussione, io sostengo UNA cosa sola, semplicissima:
di noi insegnanti gli studenti sanno vita, morte e miracoli.
La cosa più difficile per loro, per mancanza di conoscenze, è rendersi conto della nostra competenza effettiva, ma alla lunga arrivano anche a questo: sanno riconoscere il procedere incerto dalla sicurezza di chi padroneggia la materia, chi spiega rifacendosi esclusivamente al testo e chi può farne tranquillamente a meno e tanti altri piccoli ma inequivocabili segni.
Questo è un patrimonio di conoscenze che hanno solo gli studenti, da che esiste la scuola.
Scrivo e ripeto queste cose da parecchio.
Ora la seconda questione: è possibile utilizzare questa conoscenza ai fini di una vera valutazione dei docenti? Io credo di sì, che sia difficile ma possibile e necessario.
Non vedo cosa c’entri la continuamente evocata “demagogia” in tutto ciò, qui non si tratta di compiacere gli studenti (a che scopo fra l’altro non si capisce) ma di valutare nel modo migliore i docenti. Sono funzionari pubblici? Si vuole introdurre il merito? Mi sembra che il giudizio dell’utenza dovrebbe avere la sua importanza.
Mi pare di capire che lei non crede a questa possibilità, visto che per ora non si riesce nemmeno a “mettere un freno al demerito”, può darsi che abbia ragione ma allora il discorso finisce qui e tutto si riduce a trovare dei correttivi a situazioni “scandalose” e non certo infrequenti come quella che lei denuncia, ma si passa a un altro argomento: come comportarsi con chi è “negato” per fare questo lavoro.
Nel mio istituto (che passa per essere di elite) ci sono stati casi peggiori, i presidi hanno fatto il
possibile, gli ispettori son venuti e ritornati ma...tutto come prima. Comunque qui gli studenti effettivamente non ci sarebbe bisogno di sentirli.
Su quell’unica studentessa: non so che voto le darebbe ma penso che dalla media dei cento o mille studenti che la conoscono verrebbe fuori un giudizio abbastanza equilibrato.

paolo casuscelli ha detto...

Va bene, Nautilus,
chiarito che “semplice” era evocazione e non provocazione. Meglio però andare all'”essenziale”, più che al semplice.
Chiaro anche che non siamo d'accordo. Guardi, a me, personalmente, piacerebbe molto che si creasse un merito sulla base dell'apprezzamento studentesco e da qui ne derivasse un guadagno: finalmente sarei ricco. Ma questo mi sembra, per certi versi, un sogno, per altri, un grave pericolo in molteplici situazioni. A cominciare da quella per cui con i voti si darebbe agli alunni un'autorevolezza che non hanno. Ecco, darla, conferirla loro, questo è demagogico.
Chiarisco anche che sono un insegnante, maschio abbastanza, quanto basta ad esempio (faccio sempre esempi, distorsione pedagogica) per tirare le orecchie a certi delinquenti che bestemmiano nella sala da biliardo che frequento.
Un maschio che insegna Lettere nella scuola media inferiore? Strano, lo so. Una storia lunga. I casi della vita, come diceva Geppetto, son tanti. :-)

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