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domenica 19 luglio 2009

Ancora sull'aumento delle bocciature

In previsione delle prossime Olimpiadi il Comitato Olimpico annuncia solennemente che, quando si faranno le eliminatorie, quasi nessuno verrà escluso. Se le cose andassero diversamente il Comitato si dimetterà assieme a tutti gli organismi sportivi internazionali, perché l’eliminazione di un numero di atleti maggiore di qualche unità percentuale significherebbe il fallimento delle istituzioni preposte alla cultura sportiva e motoria. In verità – aggiunge il Comitato – un simile risultato deve estendersi a tutti gli esseri umani, altrimenti sarebbe la vittoria della cultura della discriminazione. Infine, è quasi superfluo dire che tutti i concorrenti dovranno conseguire risultati di poco diversi: insomma tutti i centometristi dovranno arrivare, diciamo, entro gli otto e i dieci secondi. Diversamente, anche questo sarebbe un segno di fallimento. È anche auspicabile che questa visione si estenda ad ogni ambito. Per esempio, i campionati del mondo di calcio dovrebbero concludersi con un vincitore che prevalga di poco e le eliminazioni ridursi a casi clamorosi di acclarata incapacità.
Immaginate che noia mortale sarebbero competizioni sportive del genere. Ma questa non è del tutto una fantasia. Difatti, pare che vi sia un caso (uno soltanto) in cui è consentito un modo di ragionare del genere: quello della scuola. Anche i fautori del più sfrenato spirito concorrenziale, secondo cui l’efficienza si raggiunge mettendo in competizione persone e strutture affinché prevalga il migliore, quando si parla di scuola ragionano sulla base di un’immagine fuori del mondo, in cui tutti debbono diventare capaci allo stesso livello. Per loro se i bocciati superano una frazione minima degli studenti e se i voti massimi non si estendono alla quasi totalità, è la scuola che ha fallito. Insomma, quasi nessuno deve essere eliminato. Passi pure che coloro che percorrono i 100 metri piani in 10 secondi siano una minoranza (non troppo esigua, per carità); il resto dell’umanità scolare deve percorrerli in 11 o 12 secondi. E non vale dire che il nostro esempio non funziona perché la scuola non è un sistema agonistico elitario. Ad esempio, i corsi di atletica della Federazione Italiana di Atletica Leggera sono una efficace scuola di educazione motoria che coinvolge migliaia di ragazzi perché pongono al centro il desiderio di essere il migliore, di avere successo, di salire sul podio e conquistare una medaglia o un diploma. Dovremmo forse credere che soltanto l’educazione intellettuale sia una sorta di genere di sussistenza dozzinale da distribuire e assimilare senza entusiasmo e voglia di primeggiare?
Quando ancora le riforme “moderne” dei sistemi scolastici erano agli inizi, Hannah Arendt già denunciava la tendenza a «mettere del tutto da parte ogni regola di sano giudizio umano, per amore di certe teorie, buone o cattive che fossero», il che è quanto dire la perversione dell’ideologia. Da quel momento il vizio di mettere da parte il buon senso quando si parla di istruzione ci perseguita.
Che cosa ci hanno offerto, in fin dei conti, i risultati degli esami di maturità? Un aumento modestissimo dei respinti dal 2,5 al 3,1 %, e una diminuzione dei voti dei promossi. Quest’ultimo è forse il dato più significativo. Ma – pensate un po’ – si tratta del fatto che il 0,9% dei promossi con 100 si è dimezzato ed è diminuito il numero di quelli che ha conseguito un voto tra 91 e 99. Si direbbe un puro e semplice ritorno alla realtà, ma per qualcuno questo è il sintomo drammatico di un insuccesso della scuola. Certi giornali intervistano solo i genitori che lamentano un esame molto più severo che non “ai tempi loro” (roba da sbellicarsi dalle risate) e non quei genitori che sono stufi di pagelle che attribuiscono un nove in matematica a scolari che credono che 6 più 2 fa 62.
In verità questa inversione di tendenza nelle valutazioni è positiva perché indica che la scuola, per quanto profondamente malata, non è defunta e reagisce, tentando di recuperare quei livelli minimi di dignità che danno senso all’istituzione. Poi, certo, resta tutto da ricostruire. Ma alla larga da chi adotta il solito procedimento di cambiare discorso per dire che occorre “ben altro”: non maggiore rigore ma controllo e valutazione dei docenti. Ben vengano – presto e bene – controllo e valutazione, ma non per contrabbandare l’idea che l’unico dovere in campo sia quello che la scuola faccia conseguire a tutti i costi allo studente quella cosa ridicolmente chiamata “successo educativo”; e che gli unici chiamati a rendere conto del mancato “successo educativo” siano gli insegnanti.
In verità, in questi primi sussulti di ripresa di serietà scolastica i veri bocciati non sono gli studenti ma quei riformatori, didatti e pedagoghi che hanno ridotto la scuola in queste condizioni e che ora si stracciano le vesti vedendo messe in discussione le loro fallimentari ricette. La loro bocciatura è tutta scritta nei commenti che sono comparsi in questi giorni, vera e propria raccolta di assurdità logiche e fattuali spesso esposte in pessimo italiano, da bocciatura, per l’appunto. Abbiamo letto commenti di “esperti scolastici” che lanciano il solito anatema contro la scuola “gentiliana” – un bersaglio facile perché non esiste più – che si nutrono della contrapposizione tra “vecchio” e “nuovo”, abusano dei termini “altro”, “diverso” – sempre buoni per atteggiarsi a “giovani” e “moderni” – e di un gergo pedagogico di infima qualità; ma non saprebbero dire una parola su come proporre un programma decente di matematica o di storia. Parlano di nuove generazioni che seguirebbero procedimenti mentali associativi anziché deduttivi, il che, se avesse un senso, somiglia a un insulto. Ammettono che i giovani hanno minori capacità di concentrazione, e questa caratteristica, che dovrebbe essere l’espressione di un vero insuccesso educativo, la esaltano come una qualità “diversa” e persino superiore… Poi propongono la solita tiritera sul computer che manca sui nostri banchi ed non mancherebbe all’estero – magari in scuole peggiori della nostra – in un mondo in cui tutti scrivono e pensano soltanto digitando. Chiunque abbia avuto la ventura di scrivere qualcosa di minimamente strutturato – non dico un libro, ma una composizione di minima organicità o anche un tentativo di risoluzione di un problema matematico – per quanto abituato a digitare da mane a sera non ha mai potuto evitare di tracciare uno schema su un foglio con quella rapidità e duttilità che soltanto la penna e la carta offrono. Ma i “maestri” e i “riformatori” della scuola italiana invitano a pensare digitando. Da loro non abbiamo sentito un solo commento sensato sul contenuto dei temi di maturità di quest’anno, mentre sono stati alcuni non addetti ai lavori – soprattutto giornalisti – a rilevare in modo perspicuo che essi contenevano novità di tutto rispetto. Insomma, il vero fatto nuovo di quest’anno – sempre più chiaro a un numero crescente di professori, di famiglie e anche di studenti – è che i veri bocciati sono coloro che si stracciano le vesti per l’aumento delle bocciature e che sono gli autori della catastrofe cui si tenta tanto faticosamente di porre riparo.
(Il Messaggero, 18 luglio 2009)

Un certo Signor Maurizio Tiriticco che mi si dice abbia avuto qualche ruolo come funzionario in ambito scolastico ha polemizzato su Il Messaggero.it con il mio articolo dal titolo "Il vizio di mettere da parte il buon senso" pubblicato su Il Messaggero del 18 luglio. Non entro nel merito delle sue critiche (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=66477&sez=HOME_MAIL) che sono totalmente fuori bersaglio poiché io non sono ovviamente - come egli invece tenta di dipingermi - un fautore di una scuola intesa come «arengo in cui si impara fin da piccoli a fregare i più deboli». Anche un cultore di quelle attività motorie, sportive e olimpioniche cui accennavo nel mio articolo non potrebbe che sentirsi offeso dal sentirle considerare come un arengo del genere. Oltretutto Tiriticco non ha compreso che l'inizio del mio articolo era parodistico poiché la decisione del Comitato Olimpico contro cui io polemizzerei (?!) non esiste...
Ma quel che mi preme sottolineare è il modo con cui Tiriticco prosegue:
«... che cosa ne faremmo dei peggiori? Questo interrogativo il didatta pedagogo se lo pone, anche perché è un “animale” politico e sa che una società non è giusta e non è democratica se incentiva i “migliori” a danno dei “peggiori”! Qualcuno nel secolo scorso pensò bene che milioni di peggiori dovessero finire nelle camere a gas per permettere ai migliori di godere appieno del loro privilegiato status razziale! Dopo quella terribile esperienza altri invece, nell’immediato dopoguerra, ebbero il coraggio di sognare una Società aperta ed inclusiva, che si assumesse il carico di educare tutti e a tutto campo, e ciò sulla scorta di impegni politici forti, sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla nostra stessa Carta costituzionale, ambedue del 1948».
Qualsiasi persona ragionevole non può che trovare vergognoso tirar fuori in questo contesto le camere a gas. Sarebbe fuori luogo e parimenti vergognoso rappresentare come un nazista anche un fautore dell'"arengo". Inoltre questo abuso strumentale del tema dello sterminio degli ebrei appartiene a una prassi di infimo livello ormai nota e deprecata dalle persone perbene.
Quando poi si usa un'argomentazione del genere nei confronti di una persona dal cognome "Israel", ovvero da una persona che ha avuto buona parte della famiglia sterminata nelle camere a gas, si superano i confini della decenza (oltre che entrare nel terreno della diffamazione). È il classico tema dei "perseguitati" che sono divenuti "persecutori": "Israel" che diventa un ideologo di stampo nazista ed è fuori dai principi dei Diritti dell'uomo e persino della Carta Costituzionale. Qualsiasi persona in buona fede sa benissimo con quali parole definire un comportamento del genere.
Se nel passato la scuola ha goduto del contributo di persone di questa levatura non c'è davvero da stupirsi che sia ridotta in questo stato.

Giorgio Israel

45 commenti:

Alfredo ha detto...

Stimato professor Israel, ne approfitto per chiederle se ha più fatto quella presa in giro del decalogo di Tozzi de "la gaia scienza" sulle rubriche di "Tempi"...

paolo casuscelli ha detto...

In effetti, l'analogia con lo sterminio è arrogantemente sinistra. O Tiriticco sa che storia dev'esserci dietro il nome Israel, e quindi è ingiustificabile, oppure non lo sa, e quindi è ingiustificabile lo stesso. C'è un'arroganza, è vero, che spesso prelude a quel diabolico capovolgimento dei ruoli vittimari che obnubila le coscienze, tentando di fare della vittima il carnefice e del carnefice la vittima.
Israel è nome gravato dal dolore della memoria storica, lo sanno tutti, forse.
Ma è anche nome invidiabile, proprio dei “fratelli maggiori”, nome dell'Alleanza che nasce sulla rive di un fiume, dopo la “lotta con Dio” (Isra-El), da cui si esce zoppicanti, ma più forti.

Per quanto riguarda le bocciature, le statistiche sono indicative di risultati, ma non dei percorsi.
Al di là della questione scuola permissiva/scuola meritocratica, c'è da chiedersi come si arriva alla bocciatura nella scuola dell'obbligo. Non è una questione politica, è il semplicissimo problema di come si adoperano gli insegnanti per far sì che un alunno non si trovi nelle condizioni di essere bocciato. Che fanno? Su questo, avrei esperienze da raccontare.

peppe ha detto...

In questo caso si che c'è da rabbrividire. Per quello che può valere Le esprimo tutta la mia solidarietà e mi sono permesso un commento pubblico:
http://peppe-liberti.blogspot.com/2009/07/professionisti.html

CheshireCat ha detto...

Prof. Israel, ha tutta la mia solidarietà.
Purtroppo chi non ha argomenti attacca a testa bassa...

Celer ha detto...

Cosa c'è dietro il nome Israel lo sanno tutti i bambini che frequentano la scuola elementare. O almeno: la scuola elementare italiana statale fino al 2003/2004, anno della Riforma Moratti che ha privato i bambini italiani di tutta una grande fetta di storia. Come in Germania, purtroppo.Da un quinquennio i bambini italiani concludono le elementari con la caduta dell'Impero romano ( da programma).
Che la selezione non si fa all'inizio, ma alla fine, lo sa qualunque allenatore, in qualsiasi settore sportivo. Per alzare le punte, per avere eccellenze, devi ingegneristicamente allargare le basi. Diversamente avrai abbandono scolastico e poche punte con risultati, in termini assoluti, bassi. La selezione, intesa come orientamento, va avviata nel triennio delle scuole secondarie superiori e poi va fatta dall'università. L'università da molti anni non fa selezione se non sulla base di ridicoli test d'ingresso, attualmente collaborando con agenzie private CEPU/Alpha test, per ricavare denaro da tutti quelli che non sono raccomandati. Tutti lo sanno, molti lo fanno e quasi nessuno lo dice.
Certi importanti nomi, o meglio, certe importanti appartenenze familiari e culturali, sono un grande valore. Il fatto che il Prof.Israel porti cotanto nome e cotanta appartenenza ci induce a partecipare al suo piccolo blog, nella speranza di confrontarci sui temi e non sugli slogan. Anche gli ebrei, come i cristiani, come i buddisti, come i musulmani possono sbagliare ed esprimere concetti rispetto ai quali, in teoria, dovrebbero essere vaccinati. Ma anch'io, come Tirittico penso, credevo che le persone con una provenienza come quella del Prof.Israel fossero particolarmente sensibili agli obiettivi inclusivi e di innalzamento culturale della scuola. Evidentemente sbagliavamo, e questo tipo di valore non è più nella traditio degli ebrei. Anche gli ebrei abbandonano i valori fondanti della loro tradizione, come tanti altri, a prescindere dall'appartenenza culturale e religiosa. Ma sono d'accordo: perchè non parliamo ( anzi parlate) di cose più prosaiche e concrete?
Tanto per incominciare: sbaglio, o anche in Israele si fanno dieci anni di scuola dell'obbligo? Stefania Fabris

Giorgio Israel ha detto...

Alla Signora Fabris,
posto che da quando ho inaugurato la seconda fase del blog avrò cestinato al massimo un paio di commenti - a riprova che le persone sono più intelligenti di quanto lei crede e a dispetto del vittimismo con cui vuol far credere che qui operi una mannaia - i suoi prossimi commenti, se mai ve ne saranno, li cestinerò tutti.
Ma non prima di aver esibito a tutti i suoi ultimi tre - questo e quelli che ha aggiunto al post precedente sulla scuola.
In modo che tutti vedano che insegnanti circolano nella scuola italiana.
Lei dice che io avrei "attaccato" il signor Tiriticco, con il che dimostra di non conoscere la differenza tra attacco e difesa e di capovolgere sfacciatamente i fatti.
Peggio, si allinea sulle schifezze scritte dal suddetto, rincarando la dose e parlando di ebrei che avrebbero tradito le loro virtù, ecc. ecc.
Si vergogni.
Con simili pensieri nella testa lei è indegna di varcare una soglia scolastica ed è disgraziato chi è suo allievo.
Lei dice che il progetto di formazione degli insegnanti elaborato dal Gruppo di lavoro ministeriale da me presieduto è una "cosa sporca" cui avrei messo a servizio la mia intelligenza.
In parole povere mi accusa di essere una puttana.
In alternativa sarei una persona sporca.
Ebbene sono una persona "sporca" - e detto da lei, me ne onoro - perché quel progetto è frutto di una convinzione seria e approfondita, pur con le inevitabili mediazioni, e tale è stato riconosciuto da tante persone.
Se è questo il modo con cui lei concepisce la discussione - lasciare all'interlocutore l'alternativa tra considerarsi una puttana o un rifiuto - lei non è una persona che possiede l'equilibrio necessario per comunicare con il prossimo, figuriamoci per educare dei giovani.
La prego di togliermi il saluto e d'ora in poi vada a portare i suoi insulti e le sue considerazioni razziali in qualche discarica degna di loro.

Giorgio Israel ha detto...

A Peppe, e anche a Junco e Alessandro, grazie per la solidarietà.
Non è certo la prima volta che mi capita, ma ogni volta è doloroso constatare di non essere libero di esprimere delle opinioni e di constatare che, invece di contestarle nel merito, spunta fuori la solita porcata di alludere alla tua "razza" e - inutile dirlo! vedi anche sopra - non ai suoi"difetti" (Dio ne scampi...) ma alle sue qualità che sarebbero state tradite...
Si vorrebbe parlare liberamente e invece questa storiaccia non finisce mai.

invitato ha detto...

Caro Professore,
Le esprimo anch'io la mia solidarietà.
Per quanto riguarda l'argomento del post vorrei che ci si riconducesse all' art.34 della Costituzione che, a mio parere, è stato tacitamente cassato dalla società italiana.
Mi permetto di includere il suddetto articolo.
Art. 34.

La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

Non sono stato un primo della classe, ho conosciuto la bocciatura, non rimpiango la scuola del passato (Era seria perchè si rideva poco. La qualità della didattica odierna è migliore di quella del passato). Eppure quella scuola ha rappresentato per quelli della mia generazione (1948) un momento di promozione sociale e, quindi, di democrazia.

Rinunciare alla selezione significa rinunciare alla mobilità sociale e quindi ingessare l'Italia.
Cordialmente
Giampaolo Zullo

Caroli ha detto...

Mi associo anch'io.
Una scuola che non motiva i migliori non è una scuola. Cosa fanno i "peggiori"? Abbiamo visto, a Viareggio, cosa succede se non ci sono più i meccanici bravi.

Gianfranco Massi ha detto...

Caro Professore, l episodio di cronaca giornalistica che ha tentato di surriscaldare un' estate con l' afa in ritardo con la non-notizia delle bocciature "a pioggia" è, secondo me, indegno di un "paese di maestri del giornalismo".
Fossi in lei, a quella signora invierei una copia del Suo saggio "la questione ebraica oggi". Chissà che non si ricreda. Sapesse quanti insegnanti, dalle materne in su, professano la medesima logica!
Cordiali saluti
Gianfranco Massi

Unknown ha detto...

Caro professore,
la ringrazio per la splendida analogia con l'atletica, che efficacemente mette in luce il nefasto pregiudizio ideologico di cui è imbevuta la scuola italiana, quello secondo cui chiunque può raggiungere qualunque risultato, se opportunamene guidato da un buon insegnante (con l'ovvio corollario che se non ci riesce la colpa è dell'insegnante!).
Nessuna persona di buon senso arriverebbe mai a sostenere che io potrei correre 100 metri in 10 secondi, se solo trovassi un buon allenatore! Si assume, viceversa, che chiunque possa arrivare a comprendere l'analisi matematica se guidato da un buon insegnante.
Sarebbe poi follia pura pensare che io potrei arrivare a correre 100 metri in 10 secondi senza compiere alcuno sforzo individuale, esclusivamente per opera degli insegnamenti del mio buon allenatore! E invece, nel mondo della scuola, l'insegnante viene sempre meno visto come un allenatore che guida i suoi allievi nei loro sforzi individuali e sempre più considerato come una sorta di taumaturgo da cui ci si aspetta la capacità di far raggiungere determinati risultati ai propri allievi senza che questi compiano
alcuno sforzo, spesso nemmeno quello di aprire il libro o di seguire la lezione senza distrarsi continuamente (ma naturalmente se si distraggono la colpa è dell'insegnante che non sa essere
sufficientemente interessante!).
Continuo con l'analogia sportiva notando che, mentre un buon allenatore è tenuto a prodigarsi in
modo particolare per coltivare gli allievi più promettenti, da un insegnante ci si aspetta che
ignori del tutto gli studenti migliori. Se infatti osa toccare qualche punto di difficile
comprensione, o proporre qualche problema dalla soluzione impegnativa, rischia di tirarsi addosso l'ira funesta di quella maggioranza (purtroppo) di studenti che non sono in grado di capire. Si può accettare che la maggioranza degli studenti mediocri e i loro genitori finiscano per determinare quali argomenti vadano trattati in classe o quanto difficili debbano essere gli esercizi di un compito di matematica in un liceo scientifico? Si può accettare che un insegnante si trovi costretto a tenere lezioni a prova di idiota, rinunciando a coltivare i talenti che ha in classe, a meno che non voglia votarsi al martirio? Si rischia l'accusa di nazismo se, vista la situazione, si chiede almeno che, oltre a scialacquare risorse in inutili corsi di recupero (in cui si spera che studenti svogliati riescano ad assorbire qualcosa per osmosi),le scuole istituiscano dei corsi di approfondimento per studenti intellettualmente dotati?

Eliana Vianello,
docente di Matematica e Fisica.

Barbara ha detto...

Per quanto di ignobile, meschino e odioso il signor Tirittico e la signora Fabris hanno avuto l'impudenza di scrivere, sono disgustata. Purtroppo argomentazioni che strumentalizzano la storia di Israele non sono rare: è semplicemente rivoltante.
Riguardo alla "Società aperta ed inclusiva" che si assunse "il carico di educare tutti", Tirittico omette di dire che questo carico consisteva (almeno fino a quando si ragionava con la testa invece che con in piedi) nel lasciare a tutti pari opportunità, nel consentire a chiunque di accedere ai più alti livelli dell'istruzione e della formazione, senza distinzioni di appartenenza sociale e di censo. Questo permetteva al figlio dell’operaio di superare il figlio del dottore grazie al merito, all’impegno, alle capacità personali.
La scuola democratica di Tirittico, invece, è la scuola dei soviet, che abolisce le diversità, impedisce il confronto, distribuisce a tutti voti più o meno uguali e alla fine regala (anzi vende alzando le tasse) pezzi di carta molto simili, grazie ai quali fare la fame.
E’ il marxismo della scuola: tutti uguali, tutti somari, alias tutti poveri. E poi questi somari sono anche presuntuosi ed esigenti, per cui i lavori modesti non li accettano e sfiorano i quaranta a casa di mamma e papà.
Nella scuola sbandierata da Tirittico ci sono due parole che vengono completamente ignorate: libertà e volontà, due parole che attengono all’essere umano pensato come “persona”. L’alunno, piuttosto che come persona capace di intendere, di sceglire e di volere, viene dipinto come un "insieme di fatti psichici" da sviluppare, quasi si trattasse di una pianta da innaffiare e concimare, da esporre al sole e riparare dalla grandine, come se fosse un neonato da allattare e prendere in braccio fino a tarda età.
È l’assistenzialismo fatto scuola.
Poi ci si lamenta che i giovani non prendono iniziativa, sono passivi, passano il tempo libero ad ubriacarsi...

paolo casuscelli ha detto...

Avevo posto una domanda semplice: cosa fanno gli insegnanti per evitare di trovarsi alunni in condizioni tali da dover essere bocciati? Capisco che sia imbarazzante rispondere. E tuttavia, questo è il nodo della questione, almeno, o soprattutto, nella scuola dell'obbligo. Fanno ben poco, spesso, a volte, nulla. E, in genere, quegli insegnanti che fanno poco o nulla per i meno capaci, fanno altrettanto per le teste migliori.
Io, che pur considero il mio ruolo di educatore senza la minima retorica, nel disincanto, come insegnante sento una responsabilità: cioè, devo dare delle risposte ai bisogni, e devo darle a tutti gli alunni, ai bravi e ai meno dotati. Non penso che tutti possano diventare dei geni, ma che a tutti devo trasmettere qualcosa del mio sapere. Come insegnante, provo una (pur relativa) soddisfazione nel conformare delle piccole eccellenze, così come quando alunni che partono quasi da zero improvvisamente pensano, si forgiano un carattere e acquisiscono conoscenze.
Che fanno alcuni insegnanti con gli alunni, chiamiamoli così, svantaggiati? Come si impegnano per eliminare lo svantaggio?
Nei Consigli di classe, sento sempre la stessa insopportabile tiritera. L'attività principale è quella di lamentarsi, seguita dall'inveire e il deprecare.
Ho dovuto baccagliare per anni, affinché nei vergognosi “progetti”, al posto dei corsi di ballo latino-americano o di meditazione Yoga (proposta che son riuscito a far bocciare in un Collegio dei docenti, con molti sforzi), si inserissero dei “corsi di recupero”. Ma anche questi, sono stati davvero una buffonata. Perché si può immaginare quale sia l'interesse degli insegnanti che devono tornare a scuola nel pomeriggio. Vero? Immaginate, ad esempio, gente che non fa nulla di mattina, come possa impegnarsi nel recupero, con il pranzo sullo stomaco, leggermente appisolata.
Insomma, è chiaro che il problema delle bocciature sia strettamente collegato a quello della formazione degli insegnanti, più che degli alunni. Senza la prima, non viene la seconda.
E questo è tutt'altro che buonismo, tutt'altro che demagogia. Anzi, è facile essere intransigenti (solo nei voti) con gli alunni e condiscendenti verso il disimpegno di alcuni colleghi. Si ricavano, certamente, meno problemi.
Posso raccontare una storiella comica sull'intransigenza nella scuola? Lo so, è umorismo nero.
Scrutini. Voti a Tizio. Otto, nove, otto, dieci... Arriva il turno di “Educazione musicale”: quattro.
“Quattro?” - dico io - Ma come? Studia pianoforte da otto anni, suona benissimo, conosce buona parte di storia della musica, parliamo spesso di Bach e delle migliori esecuzioni...”
Educazione musicale: “Questo lo sai tu. Io non lo so”.
Io: “Ma musica è la tua materia: come fai a non saperlo?”
Ed.musicale: “Per me è quattro. Non mi ha mai portato il flauto”.

Papik.f ha detto...

La comprensibile e giusta indignazione per il fatto che questo signore ha superato largamente i limiti di civiltà entro i quali dovrebbe essere contenuta ogni polemica, per quanto accesa, non deve far dimenticare l'assurdità in sé dell'argomentazione da lui addotta. Tiriticco afferma di fatto che escludere una persona dal percorso formativo che porta al diploma secondario equivale a ucciderla. Tira in ballo concetti come "migliori" o "peggiori", come se una persona che fa, poniamo, l'autoriparatore, fosse ipso facto peggiore di una che fa, poniamo, l'avvocato. Nella parte conclusiva del suo intervento, che non è stata qui riportata, finisce con l'affermare che il cuoco deve avere una dignità pari al professionista, non accorgendosi così di contraddirsi. Infatti, se fosse più aggiornato, saprebbe che quella dello chef è la professione più ambita dai giovani subito dopo il calciatore (sic! fonte: supplemento al Corsera di giovedì scorso); e che il valore di una qualsiasi attività lavorativa sta nella serietà, nella passione, nella competenza con cui la si svolge, non nell'essere giunti o meno, prima di dedicarvisi, ai livelli più alti di una formazione scolastica uguale per tutti. In realtà è chi la pensa come lui che declassa l'attività manuale alla serie B (a parte che, oggi, di attività esclusivamente manuali non ne esistono forse più). Non è questa la sede e io non ho le competenze per approfondire il discorso, ma mi chiedo se non c'entri in qualche modo l'ascendenza gramsciana con questa convinzione che un essere umano diventi pienamente tale solo se passa attraverso un sufficiente numero di anni di scuola, e che questa scuola debba essere uguale per tutti (non che Gramsci possa in qualche modo essere associato con questo modo inqualificabile di polemizzare, naturalmente).

Unknown ha detto...

Mi riferisco a quello che ha preso per buona l'idea del CIO di qualificazioni non selettive: purtroppo la presa in giro era credibile. Oggi 21 luglio 2009 il Resto del Carlino presentava le università di Emilia e Marche in un insero ed uno dei rettori assicurava che i test non erano "selettivi".

Barbara ha detto...

Riguardo ai corsi di recupero,
personalmente ritengo che non servano proprio a nulla.
Un ragazzo che non riesce a raggiungere il sei in una materia, o ha dei problemi (e allora occorrerebbero docenti di sostegno/recupero che lavorano solo con lui in modo veramente individualizzato), oppure banalmente non ha studiato, non ha voluto impegnarsi, snobba l'insegnante, si sente in diritto di stare disattento, ha accumulato troppi giorni di assenza.
Mettiamo il caso che questo ragazzo ha preferito bighellonare per un paio di mesi. Bene, come farebbe a recuperare il tempo perso in 10 o 20 ore? Le lezioni, inoltre, si svolgono di pomeriggio, tempo durante il quale gli altri stanno svolgendo i compiti assegnati, compiti che un alunno solitamente svogliato al limite eseguirà male a termine giornata, o più provabilmente non eseguirà affatto, con la ovvia conseguenza che...rimarrà di nuovo indietro! Giocherà a rincorrere gli altri?
La verità è che per recuperare ci vorrebbero altri due mesi di tempo, oltre alla decisione personale di metterci una buona dose di impegno, di serietà, di dedizione. Altrimenti, se bastasse una manciata di ore per raggiungere il 6, bisognerebbe dedurre che quel ragazzo da 4 era in realtà un genio incompreso, mentre gli altri, quelli da 6, da 7o da 8 erano teste di legno. Ecco, sembrerà assurdo, ma si è giunti a teorizzare un capovolgimento del genere, in cui i migliori dovrebbero vergognarsi di essere migliori, i peggiori possono andare fieri delle loro furbizie.
Diciamo la verità: esiste un modo tanto vecchio quanto efficace per tornare al passo con gli altri: ricevere una sana strigliata dai genitori, mettere la testa a posto e stare sopra i libri il doppio dei compagni.
Vi ricordo che lo studio è lavoro e fatica. Non per niente Pinocchio preferiva il Paese dei Balocchi. Ma oggi vorremmo trasformare la scuola stessa in un bel Paese dei Balocchi dove si sfornano asini in quantità, tutti felici e contenti di ragliare e saltare negli spettacoli da circo.

Anonimo ha detto...

"Se nel passato la scuola ha goduto del contributo di persone di questa levatura non c'è da stupirsi che sia ridotta in questo stato". Purtroppo, caro professore, temo non si possa parlare solo di passato.Al di là dei vergognosi riferimenti alle camere a gas, che spero riguardino esclusivamente il sig Tiriticco(per lungo tempo ispettore ministeriale),la nefasta ideologia intrisa di pedagogismo d'accatto, beceramente egualitaria è ancora oggi ampiamente condivisa da funzionari del Ministero dell'Istruzione , da molti "dirigenti scolastici",provenienti spesso dalle file del sindacato confederale, nonchè da molti insegnanti e genitori. Anche quest'anno, malgrado le grida di dolore per l'elevato(?!) numero di bocciature, ho assistito, durante gli esami di maturità, alla promozione di autentici asini, se non di studenti che, almeno nelle materie scientifiche, sfioravano livelli di vero e proprio analfabetismo. Non sono quindi ottimista per il futuro poiché qualunque riforma della scuola dovrà fare i conti con una percentuale non irrilevante di insegnanti che, grazie ad addetti ai lavori del calibro del nostro ispettore, hanno subito, in questi ultimi vent'anni, un vero e proprio lavaggio del cervello.

Giorgio Israel ha detto...

Anna ha perfettamente ragione. Potrei raccontare molti episodi. Per esempio, dopo un intervento in un convegno sulla scuola, in cui per giunta ero invitato come presidente di una commissione ministeriale, un dirigente scolastico regionale mi ha attaccato pubblicamente in modo pesante riproponendo il solito stucchevole pedagoghese di infima categoria. Ha avuto la risposta che meritava, ma questo non importa. Un funzionario statale del genere deve eseguire le direttive e obbedire tacendo. In un altro paese - per esempio in Francia - sarebbe stato messo in riga a calci nel sedere e magari spedito in Corsica. Questa inaudita arroganza è proprio frutto di un prepotere che deriva dal sindacato. Però è un'eredità del passato trentennio (almeno). Ha prodotto i suoi frutti ed è difficile da scalzare, ma è pur vero che è la prima volta che si vede un barlume in fondo al tunnel.

milton ha detto...

Ho concluso oggi la mia dose di corsi di recupero (di latino, greco e storia) e concordo con Barbara: sono un inutile ed inammissibile sperpero di denaro pubblico, che solo l’ottusità ideologica del luogo comune impedisce di vedere come tale. Aggiungo due considerazioni: 1)poiché ormai sono considerati un diritto acquisito, come una sorta di indennizzo che la scuola deve erogare per non aver saputo preparare gli alunni (!?), e sono di fatto un’appendice estiva dell’anno scolastico, gli alunni rimandati, quando si degnano di parteciparvi, mantengono quasi tutti il medesimo atteggiamento di disimpegno tenuto durante l’inverno. D'altra parte la loro gratuità deresponsabilizza le stesse famiglie che si aspettano la promozione a settembre; 2) sono quanto di più socialmente diseducativo la scuola possa proporre: tutte le risorse sono destinate a pelandroni, che neppure si degnano di frequentare e non un assegno di studio, un rimborso per i libri di testo, un corso di lingua, un abbonamento al cinema sono previsti per chi ha fatto il proprio dovere ed è conscio delle vere ragioni che stanno dietro ai giudizi sospesi.
Resta tuttavia un quesito: perché noi docenti gliela facciamo fare franca? Certo, 15 anni di pedagogismo reale lasciano il segno anche sui laureati ante 1992; certo, insegnare e, se del caso, bocciare significa assumersi responsabilità e quindi cercarsi rogne, ma sopra tutto uno spettro incombe su ogni istituto, grande e piccolo: il numero di alunni determina la dotazione organica e, di fatto, oltre un certo limite non si può non dico bocciare, ma neppure pretendere di svolgere un programma serio, perché nella stessa città c'è sempre un altro istituto "più facile" o presunto tale dove ci si può trasferire senza problemi. Un tempo le famiglie facevano la fila per iscrivere i figli negli istituti dalla fama più severa, oggi avviene esattamente il contrario e d'altra parte la scuola dell'autonomia è stata disegnata proprio con lo scopo di svuotare di contenuti la formazione scolastica. Al dumping tra scuole si aggiunge inoltre il cancro delle private, un turpe mercato di voti e diplomi.
Ecco, io credo che se la nostra critica non evidenzia questo aspetto strutturale, rischiamo di invischiarci in una polemica tutto sommato infruttuosa. Saluti a tutti

Giorgio Israel ha detto...

Sono totalmente d'accordo anche con questo commento di Milton. Per parte mia, ho aperto il fuoco contro gli effetti disgraziati della demagogia dell'autonomia, ma è un terreno ancora tutto aperto e certamente decisivo.

Unknown ha detto...

Un anno ho avuto un preside di quella razza lì. Ha organizzato un collegio docenti (quindi a frequenza obbligatoria) in cui ha invitato uno pseudoesperto di non so che, allo scopo di lavarci il cervello.
Ricordo che oltre alle solite baggianate del solito copione (i ragazzi con profitto basso vengono da famiglie socialmente disagiate...peccato che si era in un liceo classico nell'opulento nord-est, dove i ragazzi "disagiati" venivano accompagnati a scuola in BMW) è arrivato a sostenere che bisogna mandare aventi tutti altrimenti non riusciremo a vincere la concorrenza cinese (peccato che in Cina si guardino bene dal mandare avanti tutti: di questo passo, la battaglia è già persa!).
Poi ha superato anche i suoi maestri con questa perla: "è vero che ci sono insegnanti che hanno conservato i testi dei compiti in classe di 20-30 anni fa e che se provano a darli adesso nessuno arriva alla sufficienza, però bisogna capire che i giovani di oggi hanno altre abilità: ad esempio, mia figlia non sa tradurre dal latino, ma sa trovare la traduzione già fatta su internet!Hanno abilità diverse!" "Sono diversamente abili!" ho esclamato io ad alta voce. Me ne sono andata prima della conclusione dicendo che nessuno poteva permettersi di farmi buttare il mio tempo in quel modo.
Devo dire che di fischi, il tizio in questione, ne ha presi parecchi, però non credo che sarebbe andata così nel liceo scientifico in cui mi sono trasferita l'anno successivo, che ricordo di aver definito "una gabbia di matti" già il primo giorno di scuola, parlando con ex-colleghi del classico, che ero passata a salutare. Mi era bastato poco per capire che in quella scuola le persone di buon senso erano già state soverchiate. Temo che questa sarà l'evoluzione in tutte le scuole. Saremo sempre più isolati, malvisti, mobbizzati.

Quanto a Tirittico, mi confondo con qualcun altro o è lui l'autore di quel librazzo che circolava ai tempi del concorso ordinario del 99? Me lo avevano prestato. L'idea era che all'orale avrebbero fatto anche domande di psico-peda-socio-docimo-logia e che quello era da considerarsi la "bibbia" del settore. Qualche mio amico si è tappato il naso e se l'è studiato tutto (un mattonazzo di parecchie centinaia di pagine!). Io ne ho letto un po'e ho concluso che se la scuola italiana era messa così male da pretendere che uno, per diventare insegnante, si dovesse bere qualunque baggianata buttata lì, in base ad un resuscitato principio di autorità (se lo dice lui allora è vero!), avrei preferito cercare un altro mestiere. E ho lasciato perdere. Per fortuna la scuola italiana non era (ancora) messa così male e mi hanno presa lo stesso.
Ricordo di aver raccontato ad un professore universitario americano (stavo facendo il dottorato lì) quello che mi era toccato leggere e come volevano "riformare" la scuola italiana. La sua risposta: "oh no, che disastro, vogliono fare come qua...ma noi sono anni che cerchiamo di uscirne!"
E in effetti nei lavori di questi luminari abbondano le citazioni di studiosi americani (e i termini anglosassoni). Passi il discutibile tentativo di estensione ad un contesto molto diverso quale è quello italiano, ma se poi si tratta pure di modelli già risultati fallimentari...

Eliana Vianello

Unknown ha detto...

Aggiungo a quanto detto da Milton che non solo la dotazione organica, ma anche lo stipendio dei dirigenti dipende dal numero di classi (almeno così mi è stato detto). Quando dipenderà dai risultati degli alunni? Allora forse le cose cambieranno.

Fausto di Biase ha detto...

Sono nato in un paese pieno di viti (e di olivi), da una famiglia di contadini (piccoli proprietari terrieri). Sono cresciuto in una scuola che assomigliava molto a quella invocata dalla nostra costituzione e che mi ha permesso, anche attraverso sacrifici immensi da parte dei miei, di raggiungere i gradi più alti degli studi (e di dare, lo dico, naturalmente del tutto sommessamente, alcuni contributi allo scibile umano).

La scuola dovrebbe
essere un fattore di promozione sociale, permettendo ai capaci e
meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo dice appunto la nostra costituzione: capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi (economici).

Mi sembra che la nostra scuola attuale non sia più di questo tipo.

Todos caballeros ... e si finisce con un grande imbroglio, una beffa che è curiosamente maggiore proprio per coloro, privi di mezzi (economici), che sarebbero
stati capaci e meritevoli in una scuola in grado di stimolare verso i gradi più alti degli studi (piuttosto che verso una medietà che in fondo è irreale come i caroselli della pubblicità).

Poi, certo, possiamo e dobbiamo capire meglio che cosa significa ''capaci''.

Ci sono ad esempio casi di ragazzini che sembrano poco capaci, perché lenti ed estremamente riflessivi (che si fanno ad esempio ipnotizzare da una bussola, e dei quali la madre dubita che potranno rendere negli studi). Eccetera eccetera.

Ma questi dubbi non devono diventare un alibi per fare appunto ... todos caballeros, e per evitare che la scuola stimoli verso l'alto.

Altrimenti si finisce per impedire a quei ragazzini lenti ed estremamente riflessivi, che si fanno ipnotizzare da una bussola e dei quali la madre dubita che potranno fare qualcosa di buono, di crescere culturalmente e dare il loro meglio, come è capitato ad Albert Einstein, che era proprio uno dei quei ragazzini.

Non si tratta di separare i ''migliori'' dai ''peggiori'' o di favorire i ''forti'' a danno dei ''deboli''. Questo modo di porre il problema e' fuorviante, e diventa un alibi per fare pasticci avendo però la coscienza in pace.

Nautilus ha detto...

“Questa storiaccia non finisce mai” Proprio vero purtroppo.
Ho letto l’intero articolo di Tiriticco., beh, sembra uno che alle precise contestazioni del prof.Israel (che, per quel che vale, condivido) abbia perso la testa e voglia difendere la categoria dei pedagoghi appoggiandosi a quei principi sacrosanti di uguaglianza (cui ha creduto anche il sottoscritto) ma che nella scuola hanno funzionato male, il tutto senza entrare nel merito di tale questione.
Cosa che invece ad esempio fa con grande lucidità Junco, analizzando un aspetto illuminante di almeno una importante causa dell’insuccesso, anche se secondo me di difficile risoluzione.
A Barbara vorrei dire: il cattivo rendimento è dovuto alle cause che dice lei ma non ne dimenticherei un’ altra: un insegnante scarso o che non sa farsi capire da quel particolare allievo, allora poche lezioni efficaci di un altro docente possono raddrizzare la barca. Certo, difficile che avvenga coi corsi di recupero.
Ora, pur essendo sostanzialmente d’accordo con tutti gli interventi di denuncia dell’attuale situazione e di esecrazione verso l’utopistico “pedagogese”, vorrei tornare sulla questione dei “peggiori”, che non è da poco.
Intanto: si ha un bel dire che la scuola deve garantire condizioni per l’apprendimento uguali per tutti e poi i ragazzi s’arrangino. E chi arriva già svantaggiato? Scatta per la corsa (per rimanere all’analogia atletica) con le scarpe di piombo. E se l’allenatore (che è lì per tutti) vede e cura prevalentemente quelli veloci con le Nike che possono vincere il titolo, agli altri cosa succede? Come sappiamo bene, è questo l’argomento che ha ispirato l’evoluzione verso la scuola cosiddetta “di massa”. Tornare al rigore (ammesso che si riesca) sic et simpliciter non vorrebbe dire tornare alla scuola “di classe”? Senza correttivi io penso di sì. E’ legittimo pensare che sia sempre meglio del disastro di adesso, ma almeno farsi venire dei dubbi.
Già adesso, se si correlano le professioni dei genitori con la scuola scelta, le statistiche ci dicono che nelle scuole tecniche i figli dei laureati sono molto rari, come è logico.
C’è poi un altro aspetto meno “idealista” e più pratico: la dispersione scolastica. Ai bei tempi il ragazzo che abbandonava, a volte fin dalle elementari, andava a lavorare: il lavoro “umile” non mancava, non c’erano particolari rèmore mentali a svolgerlo e le famiglie non potevano mantenere un nullafacente. Ma oggi? Si rischia di ritrovarsi con torme di teen-ager espulsi dalla scuola, mantenuti di tutto punto dalle famiglie e senza nulla che li occupi: un disastro pericoloso. Dice: ma la scuola è dell’obbligo! E come lo obblighi un pluribocciato a starsene fra i banchi e che danni può fare agli altri se ci sta davvero? Insomma che ne facciamo dei Franti, che saranno millanta? Se non sbaglio finora qui nessuno si è posto il problema.
A me viene in mente una soluzione che più reazionaria non si può e che solo la disperazione e il fallimento delle utopie mi suggerisce: dotarsi di buone anzi ottime scuole tecnico-professionali in cui chi francamente si accorge di non poter sopportare di stare sui libri possa trovare la propria strada in discipline più concrete e non certo svilenti, se praticate con cura e serietà.

Barbara ha detto...

Per Nautilius:
Perché non ci siano insegnanti scarsi, occorrono una solida formazione e una rigorosa selezione in entrata in cui vengano valutate la preparazione culturale e la sussistenza di una reale motivazione all'insegnamento.
Tuttavia, la causa principale delle bocciature non è ascrivibile all'incapacità dei docenti, quanto alla maleducazione, svoglitezza e negligenza di tanti alunni, caratteristiche che non possono non diffondersi a macchia d'olio dal momento in cui vengono giustificate, protette, commiserate, addirittura privilegiate, impunemente nascoste dietro le definizioni di "svantaggio", "disadattamento", "bullismo".

Riguardo a situazioni di reale difficoltà di apprendimento, è ovvio che nella scuola dell'obbligo sia doveroso aiutare, stimolare, incoraggiare, indirizzare. Parlo, però, delle difficoltà lievi, quelle correggibili, quelle sulle quali un insegnante, che non è una divinità in terra, può intervenire con successo.
Per gli svantaggi più gravi (il piombo nelle scarpe), mi ripeto, sarebbero necessari insegnanti di sostegno e recupero designati a seguire in modo individualizzato il soggetto. Altrimenti non facciamo che riempirci la bocca di belle parole.
Chi ha le scarpe di piombo, peraltro, sempre se gli allenatori non fanno finta che le abbia con le ali, può accorgersi che l'atletica non è il suo destino.

Relativamente all'ultimo punto, ho sempre apprezzato, condiviso e sostenuto l'idea di un doppio canale in cui, accanto ai licei, campeggino ottime scuole professionali direttamente collegate con il mondo del lavoro.
Fu nel nome del mitico egualitarismo che, sopprimendo il vecchio avviamento professionale e istituendo la scuola media unica, iniziò il percorso di svalutazione del lavoro e della formazione professionale.
Promuovere una seria e qualificata differenziazione dei percorsi scolastici permetterebbe agli alunni di operare una vera scelta, adatta alle proprie inclinazioni ed esigenze personali.
Rimane, comunque, il problema più urgente da risolvere, quello di rilanciare l'economia, altrimenti la scuola professionale continuerebbe ad essere vista come un'istituzione di serie B.
E per creare posti di lavoro, credo che sia strategico favorire la crescita della media e piccola impresa, quella su cui si regge sostanzialmente l'economia italiana. Ma anche per compiere questo passo occorre superare l’ideologico ancoraggio alla convinzione che i dipendenti debbano essere uguali agli imprenditori, che gli imprenditori vadano oltremodo tassati al fine di impedire il loro arricchimento per accumulazione di capitale e il conseguente distanziamento dalle condizioni economiche dell’operaio.
Così gli imprenditori hanno le mani legate, le aziende fanno fatica a sopravvivere, non possono allargarsi, né assumere.

Unknown ha detto...

Concordo sul fatto che ci si deve preoccupare anche di chi parte svantaggiato. Ritengo però che il danno peggiore che si possa fare a chi parte "con le scarpe di piombo" sia promuoverlo alla classe successiva senza che abbia acquisito le necessarie competenze. Se non gli si dà il tempo di cui ha bisogno per portarsi alla pari con gli alri sarà destinato a continuare ad arrancare e a rimanere sempre l'ultimo. Diventerà uno zombie. Così chiamo io quelli che, nel migliore dei casi, stanno lì con lo sguardo perso nel vuoto perché, non conoscendo le "puntate precedenti", non capiscono una parola di quello che dici, mentre, nel peggiore dei casi chiacchierano e disturbano il resto della classe (tanto sanno che, anche se prendono due, vengono promossi lo stesso, come già gli è successo). D'altra parte, a cosa serve fargli ripetere la terza se non sanno la matematica di prima? Ad avere un zombie in classe per un anno in più del necessario? Magari la lettura di una poesia anche uno zombie riesce a seguirla, ma la matematica è un'altra cosa. Richiede perfetta conoscenza degli argomenti svolti in precedenza. Ora, se la si vuole rendere facoltativa come la religione, mi sta bene, visto che di fatto già lo è e chi fa la scelta di non studiarla (o è costretto a non studiarla da una promozione sciagurata avvenuta negli anni precedenti) spesso ostacola chi la vuole (o può) studiare.

Mi viene in mente un alunno che ho avuto anni fa in una prima, a cui mi ero molto affezionata. Veniva da un paesino di campagna e, mentre sbrigavo gli adempimenti burocratici iniziali, prima di cominciare la lezione, si avvicinava alla cattedra e mi raccontava l'ultima puntata della storia delle sue galline, e delle tartarughe del laghetto che aveva in giardino. A volte mi diceva che lui era diverso dai suoi coetanei, non aveva gli interessi degli altri adolescenti, lui amava la natura. E di natura sapeva tutto. A volte mi spiegava anche l'anatomia e la fisiologia di questa o quell'altra specie animale. Non sapeva sommare due numeri relativi o moltiplicare due frazioni. Mentre i compagni erano impegnati nei compiti in classe, che lui non era in grado di svolgere, gli spiegavo un po' di matematica elementare e gli davo un po'di esercizi da fare. Alla fine della prima sapeva a malapena fare qualche espressioncina. Pensate che si fosse in un istituto professionale? No, si era in un liceo classico! Suo cugino si era iscritto ad un liceo scientifico e lui, per rivalità familiari, aveva dovuto iscriversi ad un liceo classico. Più volte avevo tentato di spiegargli che quella scuola non faceva al caso suo, che doveva trasferirsi in un istituto agrario, dove avrebbe potuto dedicarsi alla sua passione per gli animali e la natura. Lui mi dava ragione, ma diceva che non voleva andarsene perché si era affezionato ai compagni. Solo bocciandolo lo si sarebbe salvato. Dovendo perdere comunque i compagni avrebbe cambiato scuola e, per giunta, avrebbe frequantato una classe in cui tutti sarebbero stati più o meno al suo livello e la matematica delle medie sarebbe stata ripresa dall'inizio, consentendo anche anche a lui di inserirsi. Cosa potevo fare io con due ore alla settimana e altre 25 persone da portare avanti?
Pensate che, con due in matematica, latino e greco, sia stato bocciato? No, è stato promosso (c'era il preside di cui ho già parlato)! Un delitto consumatosi sotto i miei occhi, a cui non ho potuto oppormi! È stato condannato a fare lo zombie! Probabilmente sarà stato inutilmente bocciato in seguito. Non so se sia successo, ma se ha abbandonato la scuola perché era troppo intelligente per restare a fare lo zombie, la colpa è di quella sciagurata promozione.
Non è certo promuovendo che si aiuta chi parte svantaggiato. Lo si svantaggia ulteriormente. E se uno commette un errore (sbagliando scuola o lavorando poco per un anno) gli si deve dare la possibilità di rimediare ricominciando da capo, non farglielo pagare a vita! È così difficile da capire?

Eliana Vianello

agapetòs ha detto...

Matematica, sempre Matematica di mezzo. Perché ha un difetto: gli "obbiettivi minimi" non si possono abbassare oltre la soglia della decenza senza ingenerare una certa ilarità (benché anch'io ridimensioni spesso le mie "pretese").
Però mi ritrovo studenti con sei o più in altre discipline ma che spesso non sanno scrivere una frase di senso compiuto corretta dal punto di vista logico e sintattico. Questo riguardo alla sintesi, per non parlare dell'analisi...
Però Eliana, lo dico a lei ma anche a me stesso, saremo anche pochi noi "rigoristi", ma potremmo farci sentire un po' di più in giro! Il più è organizzarci

Barbara ha detto...

Per Nautilius:
Perché non ci siano insegnanti scarsi, occorrono una solida formazione e una rigorosa selezione in entrata in cui vengano valutate la preparazione culturale e la sussistenza di una reale motivazione all'insegnamento.
Tuttavia, la causa principale delle bocciature non è ascrivibile all'incapacità dei docenti, quanto alla maleducazione, svogliatezza e negligenza di tanti alunni, caratteristiche che non possono non diffondersi a macchia d'olio dal momento in cui vengono giustificate, protette, commiserate, addirittura privilegiate, impunemente nascoste dietro le definizioni di "svantaggio", "disadattamento", "bullismo".

Riguardo a situazioni di reale difficoltà di apprendimento, è ovvio che nella scuola dell'obbligo sia doveroso aiutare, stimolare, incoraggiare, indirizzare. Parlo, però, delle difficoltà lievi, quelle correggibili, quelle sulle quali un insegnante, che non è una divinità in terra, può intervenire con successo.
Per gli svantaggi più gravi (il piombo nelle scarpe), mi ripeto, sarebbero necessari insegnanti di sostegno e recupero designati a seguire in modo individualizzato il soggetto. Altrimenti non facciamo che riempirci la bocca di belle parole.
Chi ha le scarpe di piombo, peraltro, sempre se gli allenatori non fanno finta che le abbia con le ali, può accorgersi che l'atletica non è il suo destino.

Relativamente all'ultimo punto, ho sempre apprezzato, condiviso e sostenuto l'idea di un doppio canale in cui, accanto ai licei, campeggino ottime scuole professionali direttamente collegate con il mondo del lavoro.
Fu nel nome del mitico egualitarismo che, sopprimendo il vecchio avviamento professionale e istituendo la scuola media unica, iniziò il percorso di svalutazione del lavoro e della formazione professionale.
Promuovere una seria e qualificata differenziazione dei percorsi scolastici permetterebbe agli alunni di operare una vera scelta, adatta alle proprie inclinazioni ed esigenze personali.

Nautilus ha detto...

Gent. Barbara
due cose: mi diceva oggi un'amica maestra che con la compresenza e il tempo pieno riuscivano a sopperire anche agli svantaggi in partenza più gravi, dedicandosi, una delle due insegnanti, esclusivamente al gruppetto di ragazzi con maggiori difficoltà, e ottenendo buoni risultati. Mi diceva che ha già le mani nei capelli perchè dal prossimo anno questi soggetti non potranno essere seguiti e rimarranno indietro, con danni per loro e per la classe.
Con l'analogia delle "scarpe di piombo" intendevo ragazzi che hanno gambe come quelli che indossano le Nike ma che l'ambiente familiare o sociale svantaggia in partenza.

Giorgio Israel ha detto...

Sacrosanto, Agapetos! Saremo pochi noi rigoristi, ma se invece di fare troppo spesso la lagna ci facessimo sentire di più... Intanto perché abbiamo le idee migliori e vincenti in qualsiasi confronto e io penso che le idee buone si affermano comunque e a dispetto di qualsiasi cosa. Perciò, rimbocchiamoci le maniche!...

Barbara ha detto...

Non so se anche lei, signor Nautilius, insegna in una scuola primaria come la sua amica.
Se così fosse non potrebbe ignorare l'effettiva destinazione delle ore di compresenza. All'inizio dell'anno, quando si elabora il quadro orario dei docenti, queste ore vengono sistemate in modo tale da assicurare un buon piano di copertura delle assenze. Per i permessi inferiori ai 15 giorni, infatti, (più o meno tutti, a meno che non si verifichi un ricovero ospedaliero) non vengono mandati supplenti e l'istituto deve arrangiarsi da solo, "in autonomia organizzativa".
Qualora tutti godano contemporaneamente di buona salute e pertanto non ci siano colleghi da sostituire, si presenta sempre l'esigenza indesiderata di adoperarsi per i vari progetti, lavoretti, mostre, festicciole.
Nel caso in cui, infine, si verifica un breve periodo di calma, cosa succede? Uno dei due insegnanti, fa alzare un gruppetto di bambini in difficoltà e lo porta in un'altra aula a lavorare per il recupero (e sa quanto rumore, confusione si genera e quanto prezioso tempo occorre per ristabilire il silenzio e la concentrazione?). Intanto, poi, l'isegnante che rimane con il resto della ciurma, andrà avanti con il programma, farà fare esercitazioni, o letture, o problemi nuovi. Così da ottenere lo stesso risultato che si consegue con il recupero pomeridiano: gli svantaggiati rimangono sempre indietro e sono destinati a rincorrere gli altri.
Ritengo che sia molto più produttivo rimanere col il proprio maestro, essere aiutati, sostenuti, corretti e migliorati da lui. Tanto meglio che il maestro sia unico. Il maestro unico sente su di sé una responsabilità grande, sta sempre con gli stessi bambini, li conosce bene nei pregi e difetti e finisce anche per amarli.
Gli alunni della mia classe che presentano qualche problema ce la mettono tutta per seguire le mie indicazioni, impegnandosi in forza della stima e dell'affezione che provano nei miei confronti. E' così che io ottengo ottimi risultati.

agapetòs ha detto...

Segnalo questo articolo di Luca Ricolfi

Nautilus ha detto...

No Barbara, della primaria non so nulla. Però questa mia amica (che ci lavora da trent'anni e si chiama come lei) mi ha prospettato questa situazione: col 3x2 e il tempo pieno, ogni giorno avevano a disposizione due ore di sovrapposizione, cioè di effettiva compresenza. In queste due ore, il gruppetto degli "svantaggiati" veniva preso in carico da una delle due maestre che si dedicava al recupero. L'altra invece lavorava ai progetti col resto della classe, senza andare avanti col programma.
A me pare un'organizzazione razionale e mi si dice che dava buoni risultati, pur in presenza di insegnanti di media capacità.
Può darsi invece che i risultati che ottiene lei siano dovuti alla "stima e affezione", in definitiva al fatto che lei è un insegnante superiore alla media, cosa su cui è sempre più difficile contare.
Altro non posso dirle.

Un grazie ad agapetòs per il link a Ricolfi, difficilissimo dissentire con lui.

Barbara ha detto...

Non sono affatto un'insegnante superiore alla media, ma una principiante, piena di difetti e lacune che tento di colmare.
Ho solo una bruciante passione per il mio lavoro, mi piace tanto leggere e scrivere e, da quando ero bambina, ho desidero trasmettere questo mio amore agli altri.
Ritengo che non si possa assolutamente mettere piede in una scuola senza una vocazione per il lavoro.
La cultura è qualcosa di vivo che fiorisce e si rigenera solo dentro ad un rapporto umano tra due soggetti: il maestro e l'allievo. Vogliono trasformarci in tecnici, animatori, assistenti sociali, pianificatori di progetti, vogliono cosificarci, renderci intercambiabili, superflui, volgiono farci perdere un mucchio di tempo dietro alle inezie, privando i futuri cittadini dell'essenziale.
E' la fine dell'educazione, l'inizio dell'aziendalizzazione scolastica.

peppe ha detto...

Leggete anche la risposta di oggi a Ricolfi, sullo stesso quotidiano, dell'ex ministro Berlinguer. Troverete perle del tipo "A me pare che la scuola non sia più in grado di sollecitare l’interesse dei ragazzi" o "(bisogna) porre l’accento sull’apprendere invece che sull’insegnare". Parole in libertà con la solita cantilena sulla "centralità della conoscenza sperimentale". Qualcuno è in grado di spiegarmi cosa sia ?

vanni ha detto...

Egregio Peppe, Berlinguer - e tanti con lui - ha altri scopi, altri interessi, altra visione. In cima non c'è la persona, ma l'organizzazione, la luminosa società del futuro, che pensa a quali brache dobbiamo infilarci la mattina. Le sue locuzioni tronfie (il vissuto, il codice condiviso, le attività creative, la centralità della conoscenza sperimentale... ) che impacchettano la vacuità con il fiocco, discendono dalla supponenza che viene sfoggiata - soprattutto quando si guardano l'ombelico e discettano di sé - da coloro che, entrati da poco nella storia, pretendono di venire da lontano. E pretendono di andare lontano, quando in realtà vanno avanti e indrè in un vicoletto cieco e angusto e piuttosto maleodorante, artatamente tenuto nell'ombra.
Con costoro siamo insieme sulla barca.

Unknown ha detto...

C'è semplicemente da schiattare di fronte al fatto che uno dei principali responsabili dello sfacelo della scuola italiana, l'ex ministro dell'istruzione Luigi Berlinguer, sia stato posto a presiedere un comitato per lo sviluppo della cultura scientifica. Sarà perché è un grande didatta nonché scienziato di chiara fama? A quasi ottant'anni non si poteva mandarlo a casa a godersi la sua pingue pensione? Un posticino bisognava trovarglielo per forza? (Detto questo, ci tengo a sottolineare che mi considero di sinistra).
Non so bene cosa il comitato abbia prodotto di concreto, però, a giudicare dalle interviste rilasciate ai giornali, non sembra che siano andati molto oltre la conclusione che le materie scientifiche si insegnano in laboratorio, come succederebbe negli altri paesi. Non so quali paesi abbia in mente, ma ho qualche perplessità sul fatto che esistano paesi in cui le scuole superiori sono dotate di laboratori di fisica così fantascientifici da consentire che gli studenti possano veramente apprendervi la fisica. Di certo tali laboratori non li hanno i dipartimenti di fisica delle università, né in Italia, né all'estero, e l'idea che ve ne possa essere uno in ogni scuoletta superiore è semplicemente ridicola. Parole al vento, tanto per cambiare.
Mi viene un sospetto (sottolineo che è solo un sospetto): non ci sarà stato un errore di traduzione della parola inglese "lab", che non si riferisce necessariamente ad una stanza con gli alambicchi, ma anche ad un momento della didattica, distinto dalla lezione cattedratica, in cui lo studente è chiamato a fare qualcosa attivamente, invece che ascoltare passivamente l'insegnante. Così un "laboratorio" di fisica può essere la realizzazione di un esperimento, ma anche un paio d'ore di esercizi da fare con carta e penna. E si può parlare di laboratori di storia o di qualsivoglia disciplina. Non sarà che quando si legge che gli studenti del tal paese hanno tot ore settimanali di laboratorio di fisica significa che si mettono lì a fare esercizi, e non che vanno in un laboraorio ad eseguire noiosissime misure ripetute (con strumenti sfasciati) che avrebbero fatto odiare la fisica anche ad Einstein?

Scusate la sfuriata un po' OT contro Berlinguer, ma ... chi non ha fatto il concorso del 99 non può capire!

Tornando in tema di rigore, concordo sul fatto che dobbiamo farci sentire, possibilmene uniti però, altrimenti rischiamo di rimetterci anche l'avanzamento in carriera, quando non sarà più automatico!

Eliana Vianello

Giorgio Israel ha detto...

Per le verità ho scritto più di un articolo per contestare quel che ha prodotto quella commissione, e credo che alcuni di questi articoli siano su questo blog. Ho fatto anche riferimento a una demolizione del rapporto della commissione fatto da un illustre matematico, Enrico Giusti. Ho avuto un confronto alla radio su questo con Berlinguer e al convegno sui licei da lui organizzato, dopo il mio intervento, ha ammesso che forse si era esagerato con questa storia dei laboratori e con una visione troppo "empiristica" della scienza. Non ho letto il suo commento a Ricolfi. È tornato alla carica? Allora il lupo perde il pelo ma non il vizio...

Nautilus ha detto...

Gent. Eliana
io lavoro in un liceo scientifico dove c'è un lab. di fisica moderno, niente di fantascientifico nè alambicchi: strumenti neanche avveniristici (ad esempio si usa pochissimo il pc) ma efficaci.
Sono trent'anni che utilizzo detto laboratorio e i risultati in termini di interesse e comprensione dei ragazzi sono ottimi.
Certo, TUTTO dipende da COME lo si usa, come per ogni cosa.
Mi perdoni, ma il fatto che lei parli di "noiosissime misure ripetute" mi fa capire che ha visto dei laboratori utilizzati, mi passi l'espressione, con i piedi.
In laboratorio non occorre rifare infinite misure per provare leggi che conosciamo già: importante per i ragazzi è il procedimento e la teoria che sottende, non l'accuratezza o meno della misura. Appunto per questo, è possibile fare esperienze molto istruttive anche con apparecchi relativamente semplici e di costo modesto.
Infatti il cuore del laboratorio non è costituito dagli apparecchi ma dal personale che li utilizza, docenti in primis, e dalla loro capacità di coinvolgere gli studenti.
Come molte cose fatte sciattamente in Italia, i laboratori esistono ma sono trascurati o messi lì per figura, quando anche il più sfornito offrirebbe meravigliose occasioni di aprire gli occhi ai ragazzi sulla realtà delle leggi fisiche, anzichè lasciarli con una infarinatura superficiale di qualche formula più o meno memorizzata e digerita.
Di più, la massima efficacia del laboratorio si ha quando viene utilizzato non per confermare leggi già conosciute, ma per spiegarle e contemporaneamente farle vedere in azione, ovviamente sotto la guida dell'insegnante. La fisica, che tante difficoltà di comprensione crea agli studenti, andrebbe spiegata in laboratorio invece che in classe.
Ah, se non sbaglio è proprio quello che ha raccomandato il comitato. Berlinguer sarà fuori dal mondo per tutto il resto ma questa conclusione è sacrosanta!
Mi permetta Eliana, come le ho detto son trent'anni che lo uso e ne controllo gli effetti, credo di saperne qualcosa di più di molti altri che ne parlano per aver visto qualche esperienza svolta tanto per far qualcosa.
Mi pare che lei insegni proprio matematica e fisica, il fatto che sottovaluti così le potenzialità dello strumento laboratorio mi lascia perplesso, di solito sono i laureati in matematica che lo trascurano, i fisici sanno meglio come valorizzarlo.
Non per fare polemica con lei (magari ha la laurea in fisica) ma è un problema generale dei licei: i laureati in matematica insegnano fisica, ma tranne rare eccezioni per loro è una materia secondaria, anche perchè non è in quella che si sono formati.

Giorgio Israel ha detto...

Gentile Nautilus,
sia cortese. In primo luogo, non scriva commenti chilometrici. In secondo luogo, visto che scrive sul mio blog, faccia anche riferimento a quel che dico io. Nella fattispecie, visto che ha avuto la pazienza di leggere la relazione della Commissione Berlinguer - altrimenti non la definirebbe "sacrosanta" - provi a leggere la confutazione che ne ho fatto nel mio libro "Chi sono i nemici della scienza?", con riferimento anche a quella di Enrico Giusti, ivi citata. Non nego affatto l'importanza dei laboratori, figurarsi, ma chi porta i ragazzi in laboratorio senza preparazione teorica, ovvero senza prepararli a cosa si deve cercare o verificare trasmette un'idea totalmente sbagliata della fisica. "La scienza non è un insieme di fatti più di quanto una casa non sia un ammasso di pietre" (Poincaré). La Commissione Berlinguer ha prodotto un documento a dir poco discutibile ed è deplorevole che l'ex-ministro continui a insistere. E, cortesemente, non mi risponda senza aver letto quelle confutazioni: queste questioni sono serie e profonde e bisogna rifletterci sopra.

Anonimo ha detto...

Caro professore, ha letto le prime valutazioni sul riordino dei licei del CNPI? Che ne pensa? A me sembra che la vecchia logica della scuola "berlingueriana" sia dura a morire.

Unknown ha detto...

OT sull'importanza dei laboratori.

Nautilus è fortunato se nel suo liceo c'è un laboratorio decente. Di solito si trova qualcosa nei tecnici, mentre nei licei è tanto se c'è una stanza denominata laboratorio. Anch'io avrei voluto portare i miei allievi in laboratorio ogni tanto (non troppo spesso però, perché il tempo per spiegare la teoria e fare esercizi è già troppo poco), ma visto quello che il laboratorio offriva, tipo calorimetri per misurare calori specifici (ma chi se ne frega???) e poco altro (bello l'ondoscopio, li ho portati una volta, poi si è bruciata la lampadina e non è più stato possibile comprarne un'altra!) preferivo un'ora di risoluzione di problemi, che in fondo sono applicazioni delle leggi della fisica a situazioni concrete (e, se chiedete a me, la fisica si impara proprio risolvendo problemi, cosa che in Italia, anche per mancanza di tempo, si fa sempre troppo poco!).

Io sono laureata in fisica. Non solo, ho fatto il dottorato negli USA dove mi facevano lavorare e per anni ho seguito gli studenti in laboratorio, raccogliendone anche i commenti sull'utilità della cosa! Per consolarli gli raccontavo che io in Italia quella vita avevo dovuto farla non per un anno, ma per quattro, e non per un pomeriggio alla settimana, bensì anche per due (terzo anno) e per tre (quarto anno)! Sicuramente i laboratori in questione erano fatti con i piedi, specialmente quelli che ho subito io in Italia che, talvolta, erano autentici insulti all'intelligenza! A questo porta l'ideologia sperimentalista dominante, per cui in laboratorio bisogna andarci per principio e non perché capita che ci sia qualcosa di interessante che può incuriosire e divertire.

Sempre in America, a tarda notte, sulla TV pubblica, appariva ogni tanto un fisico pazzoide che faceva splendide dimostrazioni di fisica da un laboratorio non certo fantascientifico, ma dove, sicuramente, qualcuno aveva speso un tempo enorme per attrezzarlo! Me lo guardavo di gusto! Non so però cosa avrebbe capito uno che la fisica non la conoscesse già! Avere un laboratorio così sarebbe senz'altro utile e divertente, ma da questo a dire che la fisica si impara in laboratorio ce ne passa.

Nella mia esperienza, sono i laureati in matematica (soprattutto i più giovani) quelli che, per insicurezza, non riescono a sottrarsi all'ideologia sperimentalista dominante in Italia(come il povero Berlinguer, d'altra parte, vittima prima dei pedagogisti, poi degli sperimentalisti). Faccio un esempio. Il libro di testo che abbiamo in adozione (è noto che gli insegnanti non possono più scegliere individualmente i propri libri) dedica un centinaio di pagine all'inizio del primo volume a misure ed errori. È un libro italiano, ovviamente, quelli americani se la cavano con poche pagine e talvolta neanche quelle. I fisici condensano il tutto in un paio di lezioni al massimo, mentre alcuni matematici vanno avanti per mesi! Ovvero: come riuscire a far odiare la fisica a qualcuno, prima ancora di cominciarla! Io parto direttamente dal moto rettilineo chiedendo ai miei studenti di immaginare un carrello che scorre su una rotaia dotata di scala graduata (ciò che non si vede si può immaginare e, inoltre, il mondo che ci circonda è un gigantesco laboratorio di fisica!).

Non ho ancora letto il punto di vista del professor Israel ma lo farò: mi servono argomenti teorici per spiegare quella che per ora è (ironia della sorte) solo una consatazione empirica diretta!

Eliana Vianello

Giorgio Israel ha detto...

A Anna. E lei ha letto la valutazione del CNPI sul progetto per la formazione degli insegnanti della nostra commissione? Absit iniuria verbis...
A Eliana. Questo dibattito l'abbiamo anche già fatto su questo blog, anche se non mi ricordo quanto tempo fa. Come diceva Galileo commentando la sua legge sulla caduta dei gravi: "matematica purissima, signor Sagredo".... altro che sperimentalismo...

Nautilus ha detto...

Gent. Prof. Israel, cortesemente:
non ho la minima idea di cosa dica la bozza Berlinguer, non mi meraviglierei se fosse un coacervo di sciocchezze, però limitatamente all’affermazione richiamata dalla prof.ssa Eliana, “le materie scientifiche si insegnano in laboratorio”, la trovo sacrosanta. Non c’è nulla di ideologico in ciò, concordo sulla sua diffidenza (per usare un eufemismo) per le teorie pedagogiche di chi in una classe magari non ha mai messo piede, c’è solo una più che trentennale esperienza quotidiana sulla didattica in laboratorio, che non so quanti qui, lei compreso, possano vantare. Questa esperienza mi ha convinto di una cosa: il laboratorio è un mezzo senza uguali per l’insegnamento della fisica e per interessarvi gli studenti, d’altra parte essendo questa una scienza sperimentale, sarebbe sorprendente il contrario. Il problema vero sono le modalità di utilizzo, facile che l’ora preposta venga considerata, da docenti e allievi, come un diversivo anzichè come il momento centrale dello studio della materia, l’esempio riportato da Eliana è eloquente. E non parliamo dell’idea di abbandonarvi i ragazzi, privi di preparazione teorica, a ricavare dati da cui possano dedurre le leggi, queste sono amene assurdità.

Nautilus ha detto...

Ciao Eliana, le cose che dice lei le trovo tutte vere, soprattutto l’accenno alla risoluzione dei problemi senza la quale la fisica non s’impara veramente. La chiave del nostro “disaccordo” sta nella frase “per mancanza di tempo” e in come funzionano in realtà questi laboratori. Ha ragione: piuttosto che andare a visionare qualche ondina in moto nei liquidi e buttar via una preziosissima ora, dieci volte meglio starsene in classe a risolvere problemi!
Se nella stessa esperienza però si fotografa in digitale un treno di onde piane, si proietta, si fa misurare la lunghezza d’onda e la frequenza, si ripete per varie frequenze e si vede che  per f è costante e se ne ricava la velocità di propagazione, poi si varia la profondità e si ricava la nuova v, e si spiega così la rifrazione, i ragazzi escono dal laboratorio e sanno senza incertezze cosa sono una lunghezza d’onda, la v di propagazione e la rifrazione, che non sono banalità, e c’è anche il tempo per mostrare e spiegare qualitativamente l’effetto Doppler, in classe poi la dimostrazione matematica.
Per tutto ciò non occorrono laboratori superattrezzati, l’importante è avere personale specializzato che li tenga in efficienza, idee chiare su come usarli e tempo per dedicarvisi. Riconosco che per come è organizzata la scuola è difficile, come vanno le cose oggi in Italia è più produttivo starsene in classe e i laboratori sono una grande occasione persa.

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