Pagine

martedì 1 settembre 2009

Il disastro del successo formativo garantito

Il grave fenomeno di impreparazione degli studenti che accedono all’università denunciato da Il Messaggero è noto da anni al mondo universitario, che assiste con sconcerto a un progressivo degrado di cui è, sia pure in misura minore, corresponsabile, per la mediocrità dei processi di formazione degli insegnanti. Si tratta tuttavia di un fenomeno non soltanto italiano che coinvolge tutto il sistema europeo dell’istruzione. È assurdo dire che l’Italia è il fanalino di coda perché nella fascia di età 25-34 anni abbiamo soltanto 15 laureati contro i 38 della Francia e i 31 del Regno Unito. Se mai questo potrebbe essere il segnale che il sistema italiano si difende dal degrado meglio di altri, visto che basterebbe promuovere tutti per essere il fanale di testa… È questo un uso fuorviante dei dati statistici oppure l’ennesimo prezzo alla sciagurata ideologia del “successo formativo garantito”?
Sono numerose le prove del carattere europeo del disastro. Qualche anno fa il matematico Laurent Lafforgue (medaglia Fields, l’equivalente del Nobel per la matematica) fu costretto a dimettersi dal Consiglio Superiore per l’Educazione francese per aver denunciato con forza il degrado dell’insegnamento ed aver deplorato che i rimedi fossero messi in mano a quegli “esperti” scolastici, burocrati e valutatori le cui teorie e pratiche educative erano all’origine del fenomeno. Affermò che era come se un Comitato per i diritti dell’uomo si fosse affidato ai consigli dei khmer rossi. La vicenda non finì così, perché molte altre personalità si sono unite alla battaglia di Lafforgue. Per esempio, la docente dell’Ecole Politechnique Catherine Krafft ha reso nota una ricerca sugli studenti di fisica in termini che ricalcano esattamente la descrizione della nostra situazione: «ortografia difettosa, vocabolario povero e mal impiegato, grammatica quasi ignorata, espressione confusa e caotica, frasi ridondanti ma vuote di contenuto, stile oscuro e pesante, incapacità di decifrare i testi, di capire, di apprezzare». Un appello per la rifondazione della scuola ha chiesto al presidente Sarkozy un radicale intervento di fronte alla «malattia» della scuola che si manifesta non soltanto nei fenomeni descritti dalla Krafft, ma nella «quasi totale sparizione del ragionamento matematico nelle scuole» (stiamo parlando della Francia, una delle potenze mondiali della matematica!) e nella sparizione «dei riferimenti cronologici e geografici essenziali», ovvero nella distruzione della storia e della geografia.
Sono fenomeni facilmente constatabili nella nostra scuola, in particolare nella primaria: dal cattivo insegnamento della matematica – spesso dissolto in fumose chiacchiere sulla logica e la teoria degli insiemi o, per converso, sulla “matematica pratica” – alla sostituzione delle conoscenze di storia e geografia con la costruzione delle “proprie” storie e geografie. A ben vedere, la “frasaccia” sui khmer rossi che costrinse Lafforgue alle dimissioni è assai meno campata in aria di quanto sembri. Quando leggiamo nell’articolo di un ispettore generale francese, Roger-François Gauthier, l’invito a una «lotta militante» (testuale) che in una decina d’anni dovrebbe mandare in soffitta l’istruzione basata sulle conoscenze e le discipline per sostituirla con una fumosa scuola olistica mirante alle “competenze”, viene da chiedersi cosa spinge un funzionario pubblico a tanta arroganza ideologica. In Inghilterra, l’ex direttore dell’Office for Standards in Education ha proposto una riforma delle elementari che riduce le materie a cinque, eliminando quasi del tutto storia e geografia a profitto dello “studio” di blog, di podcast, Wikipedia, Twitter e Facebook e dei correttori ortografici Microsoft al posto della grammatica. Un autentico delirio volto a creare una legione di analfabeti, ignari della storia da cui vengono e del contesto in cui vivono e privi di principi etici. Dove traggono queste persone l’audacia di proporre la distruzione (anziché la riforma, come è giusto, ma con saggezza e prudenza) di secoli di istruzione da cui sono derivati risultati culturali straordinari? È l’alleanza tra un ceto di “esperti” e burocrati e alcune scuole di pedagogia e didattica attorno a una serie di slogan ripetuti pappagallescamente: meglio una testa ben fatta che una testa piena, primato della metodologia sui contenuti, valorizzare le competenze rispetto alle conoscenze, visione “olistica” della cultura e dissoluzione della divisione disciplinare, garanzia del successo formativo, autoapprendimento, e via dicendo.
Tutto ciò sarebbe buffo se non fosse pericoloso. Difatti, la prima critica del nozionismo – e cioè che è più importante saper ragionare che non accumulare nozioni – l’ha formulata Socrate, e non il profeta della nuova istruzione Edgar Morin. Soltanto che la pedagogia intelligente è quella che costruisce il saper ragionare sul materiale vivo e concreto della conoscenza e non mediante la trasmissione di precetti astratti di metodologia pura (la “scienza dei nullatenenti”, come la definiva Lucio Colletti). Le due cose debbono andare strettamente insieme, pena lo sbilanciamento verso due estremizzazioni entrambe perniciose – nozionismo e vacua metodologia – ed ora siamo sbilanciati disastrosamente verso il secondo polo. È assurdo tormentare i bambini delle elementari con gli “indicatori spaziali e temporali” anziché costruire la capacità di dominare lo spazio e il tempo mediante l’acquisizione critica di conoscenze geografiche e storiche. Così come è pura demagogia culturale parlare di “complessità” (una nozione che neppure gli scienziati sanno definire in modo univoco) quando non si ha neppure un’idea delle teorie fisiche “semplici”. Non è possibile contrapporre, e neppure distinguere nettamente, “conoscenze” e “competenze”: del resto, lo sanno bene quegli stessi pedagogisti ed “esperti” che, mentre straparlano di “misurazione delle competenze”, ammettono nei loro congressi che una definizione accettabile di questa nozione è impossibile.
Come Lafforgue e tante menti libere non possiamo accettare passivamente certi slogan – il cui fallimento è peraltro testimoniato dai fatti – soltanto perché sono divenuti il mantra di certi ambienti burocratici comunitari. Non siamo in Europa per mandare i cervelli all’ammasso, ma per valorizzare le migliori tradizioni della nostra cultura.
La ricostruzione di una scuola degna di questo nome richiede un grande lavoro ideale e culturale. Per avviarlo non è possibile aspettare una revisione adeguata delle normative e dei programmi. Occorre che innanzitutto si manifesti l’impegno degli attori principali del sistema dell’istruzione, ovvero degli insegnanti. Occorre che gli insegnanti e i dirigenti scolastici, per quanto e per tanti versi umiliati, ritrovino il senso della loro funzione, così centrale e strategica in una società avanzata; sottraendosi ai tentativi di ridurli a meri “facilitatori” e compilatori di questionari; ritrovando il piacere di trasmettere conoscenze costruendo la capacità di conoscere per la via maestra, che è quella di suscitare la passione di apprendere, la curiosità per quel che non si sa; utilizzando gli strumenti migliori e selezionando tra i libri quelli che mirano a quel fine e non all’affermazione di ideologie didattico-pedagogiche. In fin dei conti, se a qualcosa deve servire l’autonomia scolastica non è ad affermare mediocri autonomie gestionali, ma a promuovere un insegnamento autentico, libero e non asservito all’ideologia. Se questo movimento culturale prenderà forma, la revisione dell’assetto normativo e programmatico ne sarà una conseguenza inevitabile.
(Il Messaggero, 28 agosto 2009)

21 commenti:

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Prof. Israel lei porta una ventata di buon senso nelle discussioni sulla scuola.
Come non essere d’accordo sulla critica che porta avanti verso una scuola che non si prende la responsabilità di valutare gli studenti?
Una scuola che a furia d’inseguire concetti fumosi quali la “testa ben fatta”, la “complessità”, le “competenze” è diventata un guazzabuglio di concetti che significano tutto e dunque non significano nulla, concetti che ognuno riempie dei significati che preferisce e rendono impossibile qualsiasi pianificazione e valutazione.
Peccato che non si abbia il coraggio politico di una vera riforma che punti ad investire risorse a premiare idee e successi.
Una riforma che parti dall'idea che una scuola aperta tutti deve essere realizzabile e programmabile (sia come istituti che come docenti da impiegare) e quindi non può dissolversi in centinaia di classi di concorso e indirizzi.

Giorgio Israel ha detto...

Purtroppo, se ci si imbarca in un'altra riforma complessiva, inizierà una discussione nazionale che coinvolgerà qualche decina di milioni di persone e qualche centinaio di organizzazioni e finirà con una mediazione e un pasticcio senza fondo.
E' meglio, a questo punto, procedere per passi, aggiustando progressivamente la baracca, se possibile. Frattanto, a mio modo di vedere, la cosa più importante - di gran lunga - è diffondere una visione ragionevole della scuola e impegnare quanti più soggetti (insegnanti e famiglie) a propugnarla. Insomma, fare una grande battaglia culturale. Questo conta più di qualsiasi altra cosa, perché alla fin fine gli insegnanti hanno una larga autonomia in classe.

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Indubbiamente il confronto deve essere innanzitutto culturale, lo dico da tempo che il problema oramai è culturale e non politico.
Dovrebbe essere un problema che coinvolge tutti senza particolarismi o ideologizzazioni e invece.... con il risultato che il dibattito resta fermo alle dichiarazioni di principio.
cordiali saluti!

Murasaki ha detto...

Direi che andrebbe fatto qualcosa per i libri di storia delle medie. La maggior parte di quelli che ho visto negli ultimissimi anni sembrano sistematicamente studiati per confondere il più possibile le idee a chi ci deve studiare, soprattutto dal punto di vista cronologico.

Michele Antenucci ha detto...

Gentile Prof. Israel,del suo intervento voglio solo sottolineare il punto dove viene richiamata la necessità di una riforma scolastica in Italia.
Correttamente Lei aggiunge.."con prudenza"...Concordo.
Fondamentalmente credo che il problema sia...filosofico. In tutte le riforme riformine riformette degli ultimi dieci anni io provo , mi creda, a scavare un po' per vedere quale impianto filosofico le regga, quale sostrato culturale le renda proponibili, ed ogni volta non trovo nulla. Superare Gentile? Certo ma con cosa?
Le parlo da insegnante (Mat. e Fisica) che, passato attraverso i percorsi ssis ha sempre cercato di inserire in un contesto "stabile" e ampio quanto negli anni gli veniva propinato...Senza troppo successo....
Cordialmente michele antenucci

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Caro Prof Antenucci, si parla di superare Gentile non necessariamente per quanto riguarda la didattica e la verifica dei risultati ma anche dell'impianto sociale cui sottende la scuola Gentiliana.
Bisogna realisticamente accettare che è una scuola che si rivolge ad una società che non c'è più, d'altra parte altre incrostature ideologiche non danno forma ad una scuola basata sulla realtà sociale e sul futuro da dare alla nazione (un futuro che non può nascere senza sfruttare tutti i talenti che la lotteria genetica ci mette a disposizione).
In breve non confondiamo la scuola di Gentile (che è criticabile anche per la bassa presenza di scienza e matematica come la criticarono i matematici e scienziati dei primi anni del '900) con una scuola capace di valutare e formare le future generazioni.
Cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Michele Antenucci ha detto...

Gentile Fabio Milito Pagliara
Consentimi di schematizzare così la mia replica 1) la scuola gentiliana è stata demolita, non superata. Il che ha determinato la perdita dei pregi e la riproposizione dei difetti.
2) la demolizione (non il superamento ribadisco) è avvenuta anche perché si è “realisticamente” accettata una non meglio precisata situazione di fatto …
3) Non credo si possa pensare (appunto) una nuova scuola senza una filosofia di fondo … che non chiamerei “incrostazione ideologica”. A ben guardare, ad esempio, la scuola di oggi (e i suoi guai) può interpretarsi come il frutto ultimo del progressivo “indebolimento” di ogni forma di pensiero caratteristica questa di tutto il postmoderno. (La tua affermazione “realistica accettazione” per me ne è un esempio). In tale chiave si possono interpretare molti degli aspetti relativi alla didattica, alla valutazione, al non contemplare neanche piu’ la possibilità di una non riuscita scolastica, all’ evitare presunti “traumi” al discente ecc… Ci sarebbe da dilungarsi troppo.
4) Torniamo dunque al principio. Superare l’ attuale. Ed è qui che occorre pensare….
Un’ ultima osservazione consentimela….Magari si potesse insegnare matematica e fisica oggi come la riforma gentiliana prevedeva…Sarei un insegnante felice…
Cordialmente Michele Antenucci

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Antenucci, provo a risponderti punto per punto
1) andiamo per ordine, è stata superato con la scuola media degli anni 60, l'impianto delle superiori è rimasto sostanzialmente invariato con grave danno perché applicava uno schema non funzionale alla società che si andava sviluppando
2) in questo leggo un idealizzazione della scuola gentiliana che è il contrario della demonizzazione che spesso se ne fa, la scuola gentiliana non era garanzia di serietà, anche la scuola pre-gentiliana era molto seria, quello era un effetto di quella società dove si svolgeva che assegnava alla scuola un ruolo centrale e fondamentale nella società
3) mai detto il contrario (l'incrostazione ideologica non era in questo caso quella gentiliana ma altre di opposta ideologia che pure hanno danneggiato per guardare ai dettami ideologici invece che ai fatti), ma appunto bisogna aver ben chiaro quale sia questa filosofia di fondo e se è valida o meno e di questo ne possiamo discutere, io voglio una scuola capace di non sprecare nessuna risorsa messa a disposizione dalla lotteria genetica, e una scuola che non offre a tutti un luogo e i mezzi per studiare, che non sprona tutti a dare il meglio attraverso un adeguata valutazione degli alunni e del sistema è una scuola che danneggia irrimediabilmente il paese
4) certo superarlo guardando al futuro, con le idee chiare e senza paura di esporle e difenderle, bisogna convincersi e convincere che avere più talenti intellettuali, consentir loro di svilupparsi pienamente è una ricchezza per la nazione maggiore di qualsiasi altro risparmio si possa ottenere dall'avere manodopera specializzato a basso costo di preparazione
5) provi a guardare le proposte alternative a quelle di Gentile dell'epoca sarebbe doppiamente felice

Caroli ha detto...

Trovo che i professori che hanno dibattuto siano meno distanti tra loro di quello che immaginano. E tutti e due hanno un'idea "positiva" di scuola. Vediamo passo passo cosa succede.
La patria di Pascal, Cauchy e Carnot ridotta così??? Povera Francia, e povera Europa!!!

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Caroli, ne sono convinto anche io
purtroppo spesso le discussioni sul futuro della scuola si bloccano prima di arrivare ai veri problemi per sigle che oramai significano tutto (e quindi nulla).
Personalmente vedo che quando si riesce ad andare oltre le personali diffidenze il discorso diventa immediatamente costruttivo.
Chi ha a cuore il futuro delle nuove generazioni non può non cercare una soluzione dei problemi culturali che stiamo attraversando.
cordiali saluti, Fabio

Marina M. ha detto...

Gentilissimi Professori, sono solo una maestra della scuola Primaria e vorrei orientarmi tra competenze (che so non misurabili oggettivamente)e valutazione (col problema del successo formativo garantito), ma anche tra nozionismo,tecnologismo e demotivazione che creano ansia...
Sotto il bombardamento di questi rallentatori non trovo una semplice risposta :come posso lavorare io con motivazione tra progetti vari che hanno la priorità? Temo infatti che il lavoro quotidiano non sia considerato innovativo e producente, forse perchè contrasta con l'esaltazione della metodologia che trascura i contenuti formativi .Preciso che il lavoro mi piace e cerco di mantenermi aggiornata,ma soffro se si usa troppo tempo a scovare sempre nuove soluzioni dimenticando che i piccoli utenti hanno necessità di risposte sul campo e questo viene dato da chi lavora con loro.
I problemi sono tanti , ma in attesa di giusta considerazione continuo , come tanti colleghi, a far del mio meglio.
cordialmente ,una maestra.

Giorgio Israel ha detto...

Lei fa benissimo continui così. La scuola si regge in piedi, malgrado tutto, per l'atteggiamento sensato di persone come lei. Lasci perdere il diluvio metodologico: ne sono autori persone che, se interrogate sul senso del teorema di Pitagora o sull'idea di uomo nel Rinascimento, non saprebbero mettere tre parole in fila.

Michele Antenucci ha detto...

Gentile Marina M. Il tuo intervento ha il pregio di ricondurre in parte il dibattito al tema. Solo in parte però in quanto il problema che sollevi è diverso , o meglio si pone su un piano diverso rispetto a quanto stavo argomentando. Mi spiego. A me sembra che tu ponga l’accento sul lavoro “quotidiano” come centrale e strategico nell’attività dell’ insegnante (di ogni ordine) rivendicando, giustamente, una sua centralità rispetto a sofistiche disquisizioni che alla fin fine a nulla approdano. Su questo non posso che concordare. E concordo anche quando punti il dito contro chi ritiene non produttivo tale lavoro in virtù di una non meglio accreditata superiorità della metodologia … Il lavoro del docente è (vorrei sottolinearlo in neretto mille volte) quello di ogni giorno, sul campo. Come ogni altro lavoro e forse più. Ti poni quindi la domanda di come poterlo svolgere sempre al meglio e sempre meglio. E in un certo senso ti dai la risposta usando il verbo “aggiornarmi”. Perché, un medico, come può fare meglio il suo mestiere, quello del giorno per giorno? Un tecnico professionista? Un idraulico? Un magistrato? Aggiornandosi appunto. E sperimentando (Andrebbe, mi rendo conto, aperto il vaso di Pandora dell’aggiornamento e dei suoi significati). Ma tutto questo solo e unicamente all’interno di un quadro già strutturato : la normativa è quella, i ruoli sono quelli, la gerarchia è quella, le procedure sono quelle ecc... Queste cose non le possiamo cambiare nel lavoro quotidiano. Ma sono le cose che poi ci consentono nuovi slanci nel quotidiano. Esempio banale (e non azzeccato): se io ho in mente di strutturare un corso di informatica all’ interno del mio corso di matematica e di rendere tale contenuto oggetto di verifica, ebbene se la normativa non me lo consente forse mi sbaglio ma in Francia le direttive sui programmi sono più rigide che da noi), io NON posso farlo. Eppure sarebbe estremamente formativo e innovativo ecc.. ecc… Di qui nasce la mia insistenza sulle linee guida di alto livello da ripensare completamente per la Scuola italiana. Perche’ sono proprio quelle che, calate poi nel contesto quotidiano, dal docente, con la sua professionalità e onesta’ intellettuale, fanno di una scuola una nuova scuola. Cordialmente Michele Antenucci

G. ha detto...

Gentile prof. Israel,
trovo questo spazio l’unico bagno di libera intelligenza in un mare di mediocrità e perciò stesso liberatorio, oltreché illuminante.
Provo, quindi, a dare il mio contributo giacché nelle molte parole dette, permane ancora molto pudore.
Non entrerò nel merito della querelle conoscenze/competenze perché lei ha già detto più che esaurientemente (peraltro ciò che pensano tutti colore che han voglia di pensare, pur non ammettendolo).
Vogliamo anche dire, però, che l’idea dell’autonomia scolastica (pregevole come idea, appunto) si è, nel tempo, trasformata assumendo una deriva pubblicitaria a solo beneficio dei “consumatori”?
Scuole che certificano la propria “qualità” con un ISO qualsiasi al pari di un’azienda come un’altra.
Il che si traduce, tanto per far un esempio, in 380 circolari su 200 giorni di scuola, da visionare, controllare e firmare… Per non dire altro, comunque facilmente immaginabile.
Scuole nelle quali la bocciatura non è, ovviamente, prevista (ché l’immediato ricorso da parte dei genitori è cattiva pubblicità), ma persino un’insufficienza è “vietata” (ché: «Vedete che grado di successo formativo è in grado di assicurare il nostro Istituto?»).
Scuole nelle quali, agli esami di terza media, vengono promossi studenti con una, due, tre, quattro, cinque e persino sei gravi insufficienze (ché: «A che cosa servirebbe bocciarlo/a?»).
Questa è la realtà vera. E, a questa, non possono sottrarsi nemmeno gli Istituti superiori, giacché se dovessero bocciare davvero tutti gli studenti con una insufficienza, sarebbe una vera e propria diaspora.
Questa è la realtà e mi vien da sorridere nel ricordare lo “scandalo” del recente incremento di bocciature.
Nessuno vuol davvero guardare in faccia la realtà nuda e cruda.
Possiamo continuare.
Scuole nelle quali, le uniche attività realmente rilevanti (sempre in termini di autopromozione) sono i “progetti”, le “attività”, i “laboratori”, soprattutto per i vari mercatini o per le manifestazioni finali (ché: «Sono fondamentali le “ricadute sul territorio”» ovvero far vedere ai genitori l’ampiezza dell’offerta formativa dell’Istituto e richiamarne altri per gli anni successivi). Tutte attività che, nella realtà, sottraggono tempo, già risicato, alle attività disciplinari.
E, per tutto ciò, scuole nelle quali i dirigenti attuano una serie di pressioni, quando non ricatti o vere e proprie azioni di mobbing, sul corpo docente, perché si adeguino a questo distorto modo di intendere la scuola. Con buona pace dei vari “appelli” dei dirigenti scolastici…
Perché così è, oggi: esiste uno scollamento profondo tra la scuola e il suo fine reale.
Di più.
A ulteriore elemento di valutazione, vogliamo dire qualcosa a proposito degli insegnanti?
In dieci anni di insegnamento, ogni anno in una scuola diversa, non sono più di dieci i colleghi che ricordo per qualità sia umane che professionali. Uno straordinario 10% che prescinde da età, sesso e titoli di studio.
Ché le SISS han prodotto, a mio vedere, “insegnanti” forse pedagogicamente ben strutturati… ma basta.
Manca la ricchezza emotiva, la profondità umana, l’empatia… e questa non c’è scuola che possa insegnarla.
Cordialmente
Giorgio Mici

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Caro dott. Mici,

che la ricchezza emotiva, la profondità umana e l'empatia non la possano donare alcuna scuola questo è indubbio, ma penso che siano elementi propri di ogni essere umano che vadano incoraggiati.
Il problema della formazione degli insegnanti è anche nella domanda se "si possono formare".
Di certo i concorsi non davano queste capacità umane né le sviluppavano in alcun modo.
Credo che una scuola d'insegnanti come tutte le scuole professionali debba aspirare a dare agli insegnanti che la frequentano quelle capacità e conoscenze minime per svolgere il proprio lavoro sufficientemente bene.
Quindi ottimo il tirocinio diretto in classe e la riflessione su di esso, ottime le riflessioni psico-pedagogiche mirate all'età degli allievi che si avranno in classe e sopratutto ottimo il confronto con colleghi esperti e in formazione.
Va da se che senza conoscenze disciplinari il castello non si regge in quanto manca di fondamenta e senza qualità umane resta solo un discorso vuoto ed inutile.
Cordiali saluti, Fabio Milito Pagliara

Michele Antenucci ha detto...

Gli ultimi interventi mettono come giusto l’ accento sui più diversi aspetti inerenti una possibile “ricostruzione” della scuola (perché sul fatto che sia semidistrutta pochi dubbi ci sono). Uno tra essi è la formazione degli insegnanti. Non se ne esce. Esiste un problema insegnanti, eccome. Personalmente ritengo che un buon 40% di essi avrebbe dovuto fare altro nella vita. E invece è stato reso possibile “fare l’ insegnante” come fare l’ impiegato del catasto o … non so cos’altro. Attenzione, NON come un chirurgo, un commerciante, un cantante, un artista, e via discorrendo … Queste “professioni” sono infatti semplicemente impensabili senza un talento prima e una forte convinzione poi. L’ insegnante no. Non e’ mai stato richiesto alcuno di tali requisiti. La cosa non è pero’ del tutto evitabile. Come si accennava in un intervento piu’ sopra, queste cose non sempre sono costruibili e selezionabili (in matematica si dice…computabili, decidibili…)…tutt’altro. Si aggiunga poi lo scadimento dovuto a fatti ..congiunturali. Mi riferisco ad esempio alla situazione di molti precari , in gamba e preparati, di questi giorni. Amici che si stanno massacrando i nervi con kafkiane scene ai provveditorati non sapendo che diavolo ne sara’ di loro(e di me). Vi assicuro che arrivano ad una supplenza con la testa tutt’altro che rivolta ad un entusiasmante anno di didattica innovativa …. Pensate tutto cio’ ripetuto a distanza di pochi mesi ogni anno. Nessuna progettualità, nessun percorso di medio termine. Niente. E allora fare il docente si ridurrà inevitabilmente ad acchiappare la nomina anche per quest’anno ….. Esagero ma penso di aver trasmesso il concetto.
Ma non è una scusa valida per abdicare completamente all’ idea di una professione docente degna di questo nome. Cosi’ non puo’ andare avanti. Ed e’ in questo che mi permetto di dissentire dalla frase del Prof. Israel (almeno nel suo senso fuori dal contesto) :”Se questo movimento culturale prenderà forma, la revisione dell’assetto normativo e programmatico ne sarà una conseguenza inevitabile.” Ritengo che occorrano in primis decisioni, forti, in ambito normativo. La norma puo’ causare semidisastri (vd. Legge del 1994 sugli esami di riparazione) . La norma puo’ salvare situazioni compromesse. Cordialmente michele Antenucci

Caroli ha detto...

Capisco una certificazione ISO (anzi, UNI) persino sulle panchine per utilizzo pubblico (difatti è uscita il 31 marzo scorso). Ma non capisco una cosa simile per un istituto di istruzione, sia esso una scuola materna o un'università. Al di fuori di quelle che sono le normative tecniche di edifici, suppellettili ed impianti, ogni altra trovata di quel tipo è grottesca, come la norma CEE sulla curvatura delle banane.

Michele Antenucci ha detto...

Gentile Caroli.
In questi casi si usa dire…non mi sono ben spiegato … ecc … E forse e’ così … Preciso, quindi. Per “norma” intendo qualche cosa di piu’ …. incisivo. Almeno io. Riformare pensi si possa fare “consigliando”? Credi che un processo nuovo di selezione dei docenti possa essere “suggerito”? Ritornare ad un corretto rigore introducendo di nuovo esami di riparazione lo fai con una circolare di …”linee guida”? Disastri come togliere il Greco(ipotesi) al liceo o ore di storia dell’ Arte (realta’) li compi con una …. telefonata? Ovviamente no. (O non solo …). Un nuovo Esame di Stato lo suggerisci o lo sancisci per “norma? Pensa che la tanto in voga autonomia delle scuole (che ha prodotto spesso e volentieri risultati questi si grotteschi, per usare un tuo aggettivo) e che di fatto era una de-normalizzazione…è stata introdotta con una …norma…”. La norma, scritta, è cio’ che puo’ e deve regolare la vita di sessanta milioni di individui. E lo fa nel bene e nel male.
Cordialmente Michele Antenucci

Caroli ha detto...

Ovviamente, Antenucci, sono d'accordo: la norma sui temi indicati è indifferibile. Grazie per la precisazione: può essere che non avessi capito io.
Con tutto ciò, non si riesce a ricostruire "per norma". Occorre giocarsi personalmente coi problemi che si incontrano.
Se poi lavorare per mettere insieme delle norme ragionevoli sortisce il risultato che il Professore ha riferito nell'ultimo suo post, beh...

Michele Antenucci ha detto...

Articolo di Repubblica sui risultati dei test all' Università
http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/test-universit2/matricole-ignoranti/matricole-ignoranti.html

Caroli ha detto...

Possibile che nessuno si renda conto della marchiana incoerenza tra quando si tuona contro i presunti "danni economici" delle bocciature, e quando si leggono statistiche come quelle riportate da Lei, Antenucci, nella sua citazione di quel giornale? Siamo diventati il Paese di Acchiappa-Citrulli di collodiana memoria?

Posta un commento