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sabato 17 ottobre 2009

Divulgazione scientifica


La pagina de Il Giornale dedicata alla “neuromania” (13 ottobre) suscita una domanda: a che punto stiamo arrivando – a che punto arrivano certi scienziati – nel presentare la ricerca scientifica al pubblico? Possediamo grandi modelli di divulgazione scientifica, come le esposizioni “popolari” della relatività da parte di Einstein o i libri del matematico Henri Poincaré che, quasi un secolo fa, vendevano centinaia di migliaia di copie. Li risfoglio per convincermi di non sbagliare: non vi trovo nulla che riguardi previsioni fantastiche circa la scienza che verrà. Einstein ha esposto una teoria esistente, non si è mai sognato di profetare cosa sarebbe accaduto dopo trent’anni. Poincaré, nel parlare dei problemi posti dalla teoria dei quanti, conclude dicendo che, allo stato delle cose, dibatterne sarebbe «buttar via l’inchiostro». La scienza insegna a procedere pazientemente, studiando, pensando, approfondendo: il futuro si costruisce man mano così.
Oggi sembra invece che un certo numero di scienziati – e una coorte di divulgatori che li segue a ruota – non trovi di meglio che prevedere il futuro in toni da fantascienza. Che lo faccia un Asimov si può capire, ma lui non pretendeva di fare scienza e almeno era un grande scrittore. Apro un libro appena tradotto – “La guerra dei buchi neri” di Leonard Susskind – e leggo che il futuro della fisica «qualunque esso sia» si chiamerà gravità quantistica. Ma come «qualunque esso sia»? Già, perché «anche senza conoscerne la forma in dettaglio, possiamo dire con sicurezza che il nuovo paradigma conterrà concetti di spazio e tempo molto lontani da quelli a cui siamo abituati». Quali non si sa, ma è “certo” che «l’esistenza oggettiva dei punti nello spazio e degli istanti di tempo sta per uscire di scena, seguendo il destino della simultaneità, del determinismo e della foca monaca». Teniamo a mente questa sentenza di morte del determinismo: ci torneremo. Per ora restiamo esterrefatti a sentire che la scienza presente si basa sull’idea che i punti dello spazio e gli istanti temporali (enti puramente matematici) siano oggettivamente esistenti.
Fantascienza, non scienza, e per giunta esposta con scarso rigore. Dice sempre Susskind che la relatività ci ha costretto a «riprogrammare le nostre reti neurali» e che stiamo andando incontro a una riprogrammazione ancor più radicale. È un modo molto “neuro” di dire che abbiamo cambiato (e cambieremo) modo di pensare. Ma già da molti anni i neurofisiologi avveduti (come Jean-Pierre Changeux) hanno spiegato che l’analogia tra cervello e computer non regge. E allora perché gabellare al volgo con la parola “riprogrammare” un’analogia infondata?
Colpisce soprattutto l’ansia frenetica di parlare del futuro, di fantasticare sui trionfi della scienza che verrà anziché parlare del presente, delle questioni risolte e, soprattutto, dei problemi irrisolti. Non dovrebbe essere questo il vero spirito della scienza? Modestia, pazienza, tenacia, spirito critico, mettere in luce le difficoltà anziché farsi propaganda con il megafono. E siccome è noto che sulle grandi questioni teoriche lasciate aperte dalla fisica della prima metà del Novecento la ricerca annaspa, che la teoria delle stringhe è in crisi, la domanda maligna è: non è che, per caso, questa proiezione fantascientifica è una fuga dal duro presente?
Anche per quel che riguarda le neuroscienze la solfa quotidiana è che esse stanno spiegando “tutto”, che “tra poco” non esisteranno più segreti del funzionamento della mente. Esce un libro sui neuroni a specchio e il suo scopo non è tanto quello di descrivere di che si tratti e quali sono i problemi aperti. No. Lo scopo principale è gettarsi a capofitto a dire che “tra poco sapremo tutto”, che il libero arbitrio è andato in soffitta, e persino a dare prescrizioni sulla riscrittura dell’etica a norma dei neuroni a specchio.
Ma fermiamoci un momento. Non diceva il nostro fisico che ormai il determinismo ha fatto la fine della foca monaca? Il biologo, invece, recupera il relitto buttato via dai fisici e dichiara – come il professor Priori a Il Giornale – che la sua è «indubbiamente» una concezione deterministica, che il cervello spiega benissimo chi siamo, e che questo determinismo può scatenare tutti i dibattiti etici che si vuole ma è un dato di fatto. Insomma, il mondo inanimato non è deterministico e quello della vita lo sarebbe? Assai poco credibile. Ma è davvero chiaro cosa sia il determinismo? In una delle sue accezioni esso implica che, note le condizioni iniziali di un sistema, si sia in grado, almeno in linea di principio, di prevedere in modo esatto la sua evoluzione (futura e passata). Se davvero tramite il cervello si fosse in grado di spiegare chi siamo, allora si dovrebbe poter rispondere alla seguente sfida: dimostrare rigorosamente da quali processi neuronali derivi la frase «non credo un acca di quel che lei dice», deducendone non soltanto la struttura grammaticale e sintattica – il che è già un bel compito – ma anche il significato. In realtà, quel che si sa fare è mostrare che in corrispondenza di certi stati d’animo o pensieri si accende più o meno intensamente questa o quella area neuronale. Ma questo, oltre ad essere un fenomeno rozzamente macroscopico, non esprime alcuna determinazione ma soltanto una correlazione: ovvero, quando succede questo succede anche quello. Chiunque capisce che da una correlazione non discende alcun legame di causa-effetto. Uno scienziato dovrebbe conoscere la capitale differenza tra correlazione e determinazione. Il professor Priori parla di «correlati deterministici», che è un modo ambiguo di forzare il dato che si tratta di correlazioni e niente più. Uno spiritualista potrebbe ben dire che in questa correlazione se vi è qualcosa che determina è l’anima… Il punto da tener presente è questo: cosa sia “determinante” è una questione metafisica. Di conseguenza, non è elegante gabellare la metafisica materialistica per scienza. Studiare cosa accade nel cervello mentre penso è certamente molto interessante e utile. Ma la neuromania – neuroeconomia, neuropsicologia, neuroetica e via neurotizzando – come scienza non ha molto di più di un pugno di mosche in mano, e, in quanto metafisica, non ha altre risorse che presentarsi come fantascienza.
Il problema principale è però il seguente. Parliamo tanto di educare i giovani alla mentalità scientifica e di diffondere la conoscenza scientifica. Una buona divulgazione dovrebbe educare a una visione della ricerca come un’attività paziente, faticosa, spesso costellata di insuccessi, prudente, critica e aliena dalla spettacolarizzazione. Il rischio è che invece di educare i giovani allo spirito scientifico li si addestri a diventare dei piazzisti.
(Il Giornale, 16 ottobre 2009)

18 commenti:

hybridslinky ha detto...

Ecco un chiaro esempio della divulgazione di cui ci ha ben spiegato il professor Israel: "Scienziati danno alle mosche una falsa memoria" (ecco l'articolo originale: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/10/091015123552.htm). Sul Corriere della Sera la stessa notizia viene riportata con toni molto più fantascientifici richiamando il film Blade Runner: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/09_ottobre_16/memoria-indotta-moscerini_81484cc2-ba4b-11de-9645-00144f02aabc.shtml

Lucio ha detto...

Non posso non sottolineare la perfetta assonanza tra l'incipit di questo post del prof. Israel, in particolare la frase
"La scienza insegna a procedere pazientemente, studiando, pensando, approfondendo: il futuro si costruisce man mano così" e quanto ho sentito dire da Giorgio Giorello nel corso di una sua conferenza circa un anno fa (cito approssimativamente ed a memoria): la scienza non segue direttive (o linee guida) prestabilite, secondo fini a prioristici, ma costruisce il suo domani sulla base dei problemi aperti dell'oggi, lavorando ed approfondendo le tematiche presenti sul tappeto.

Cordialmente,
Lucio Demeio

Giorgio Israel ha detto...

Giulio Giorello. Di "Giorgi" in giro ce n'è fin troppi.........

Lucio ha detto...

Oops... lapsus freudiano??

Giorgio Israel ha detto...

No, altrimenti sarebbe stato Piergiorgio Giorello......

Sergio Rizzitiello ha detto...

Però il lapsus così è il suo visto che lucio Demeio trovava un'assonanza tra lei e Giulio Giorello e non già tra lei e Odifreddi...Piergiorgio

Leon Zingales ha detto...

Gentile Professore,
desidero esprimerle la mia soldarietà per i vergognosi attacchi dei quali è stato fatto oggetto. Sono un docente di ruolo di Matematica e Fisica, ho un Dottorato in Fisica e sto frequentando un secondo Dottorato in Matematica. Mi vergogno di ascoltare gli sguaiati commenti di Odifreddi che l'opinione pubblica pensa essere unico rappresentante del pensiero scientifico.
Con grande affetto

Leon Zingales ha detto...

Gentile professore,
desideravo semplicemente esprimere la mia solidarietà per i vergognosi attacchi cui è stato sottoposto. Da Docente di Matematica e Fisica, con PhD in Fisica mi vergogno che nell'opinione pubblica Odifreddi venga considerato come l'elemento più rappresentativo della cultura scientifica.

broncobilly ha detto...

Certa divulgazione confonde il rigore del pensiero scientifico con la filosofia positivista. La scienza sembra annoiare il divulgatore se non vi rintraccia esiti filosofici. I danni di questa alterazione sono sotto gli occhi di tutti.



Tra i molti, secondo me, anche quello di mettersi sulla difensiva abbracciando posizioni che traggono argomenti da certo relativismo, specie per quanto concerne le scienze sociali. Mi viene in mente la "tabula rasa" invocata da molti nei confronti delle discipline economiche dopo l' ultima crisi finanziaria.

Gianfranco Massi ha detto...

Leggendo i suoi libri e seguendo i suoi articoli sui giornali e su questo blog mi sento confortato nel verificare che la mia modesta cultura scientifica trovi la conferma di uno scienziato della sua statura.
Il grande Hilbert, agli albori del secolo scorso, tentò di delineare, se non addirittura di programmare. il decorso che avrebbe seguito la matematica nel secolo XX. E lo fece addirittura elencando i famosi ventitré problemi irrisolti. Ma forse sbaglio se dico che già dopo tre decenni fu chiaro che la Scienza, e con essa anche la matematica, non poteva essere predeterminata?

Andrea Viceré ha detto...

Caro Professor Israel,

sono stato felice di leggere le sue parole perché mi riconosco pienamente nel suo desiderio di vedere la Scienza avanzare con i piedi bien piantati per terra.
Purtroppo è vero che certe branche della scienza, e in particolare la Fisica, forse per troppo lunga mancanza di nuovi risultati sperimentali, stanno tramutandosi in una specie di metafisica.
Si pensi alla teoria delle stringhe, o forse dovrei dire quel fascio di congetture, ardite ipotesi e scarse dimostrazioni che passa sotto il nome di "teoria".
Va avanti e si sviluppa da decenni senza uno straccio di prova sperimentale; senza una qualsivoglia predizione quantitativa che sia stata effettivamente verificata; anzi, è così multiforme e indefinita che probabilmente potrebbe accogliere nel suo seno qualunque risultato senza però predirne con certezza alcuno.
Mi è capitato di sfogliare un libro di Lisa Randall che davvero mi ha dato l'idea di qualcosa di puramente speculativo.
Eppure quando studiavo per il mio dottorato ricordo che lavorava a predizioni molto concrete, basate su solidi calcoli nel quadro del Modello Standard, su processi realmente osservabili negli acceleratori.
Oppure mi è capitato di leggere di viaggi nel tempo o di teletrasporto attraverso cunicoli spazio-temporali; chi ricorda quel fisico teorico di Tokyo (se non erro) che faceva mostra di volare nello spazio attraverso i buchi neri?
Cosa è successo allora alla Fisica fondamentale? Possibile che una intera scuola di fisici teorici, specialmente americani, passi il tempo a discutere teorie che non sarebbero verificabili nemmeno mediante un acceleratore grande come l'intero pianeta?
Qualcosa si è inceppato nel meccanismo sano della Scienza, basato sul rapporto stretto con l'esperimento.
Se non ricordo male, Einstein suggerì prudenza, e ritardò per anni la pubblicazione di un lavoro che descriveva mediante dimensioni addizionali l'elettromagnetismo. A paragone di certe stramberie che circolano, si trattava di una ipotesi più che robusta.
Forse il meccanismo del "peer review" si è inceppato; i "peers" accettano lavori indecenti per non rischiare a propria volta di vedere bloccati i propri, e ci si avvita in una spirale di pubblicazioni tanto numerose quanto inutili.
E' infatti forse normale che ogni giorno escano nuovi lavori di fisica teorica? E a parte le infinite ripetizioni, può essere serio chi pubblica decine di articoli all'anno?
Ho parlato della Fisica che conosco meglio, ma temo che l'andazzo si sia diffuso in molti campi; spero che ci poniamo rimedio, altrimenti la Scienza perderà ben presto la maiuscola.

Cordialmente
Andrea Viceré

peppe ha detto...

Anche se è fuori contesto (ma voglio comunque partecipare con la mia piena adesione ai contenuti del Post) segnalo un interessante lavoro pubblicato ieri sull'archivio arXiv
(http://arxiv.org/pdf/0910.3529v1) dal titolo: "Citation Statistics.
A Report from the International Mathematical Union (IMU) in
Cooperation with the International Council of Industrial and Applied
Mathematics (ICIAM) and the Institute of Mathematical Statistics(IMS)" di Robert Adler, John Ewing e Peter Taylor. Cito: "There is a belief that citation statistics are inherently more accurate because they substitute simple numbers for complex judgments, and hence overcomethe possible subjectivity of peer review. But this belief is unfounded..."

Giorgio Israel ha detto...

Grazie!... Non faccio altro che citare questo lavoro da mesi e mesi, senza che nessuno mi dia retta...

RICCARDO SEGRE ha detto...

Buongiorno,
per chi si interessa di robotica:

http://www.hplusmagazine.com/articles/robotics/using-human-%E2%80%9Cwetware%E2%80%9D-control-robots

Riccardo

Caroli ha detto...

A me risulta che la foca monaca non sia estinta. Potrei sbagliare...

hybridslinky ha detto...

Caro professore, penso che questa la interesserà sicuramente; sembra che i nuovi lombrosiani abbiano vinto.

Trieste: pena ridotta grazie a un gene -> http://aipsimed.org/articolo/pena-ridotta-omicida-grazie-un-gene-ha-una-predisposizione-all%C2%B4aggressivit%C3%A0

fligabue ha detto...

Per Caroli:
Sono il traduttore del libro di Susskind, e mi assumo la totale responsabilita` dell'introduzione della "foca monaca" per indicare un animale proverbialmente in via di estinzione. So bene che non e` estinto, ma nell'originale veniva citato il dodo, che non so quanto impatto abbia sul lettore medio italiano. Per questo tra la fedelta` assoluta al testo originale e quella allo spirito del medesimo, ho optato per il secondo criterio, preferendo citare un animale non ancora estinto ma piu` noto e dunque piu` d'effetto.

Approfitto anche - per correttezza nei confronti di Susskind - per dire che e` mio anche il termine "riprogrammare", qui criticato. In originale era "rewiring", ossia "ricablare". Il termine "riprogrammare" e` sembrato il piu` adatto per descrivere tutte le accezioni in cui il testo usava "rewiring". Saluti cordiali

Franco Ligabue

Caroli ha detto...

Perfetto, egregio Ligabue. Sul fatto che non era opportuno citare il dronte (o dodo), concordo. So di che cosa si è trattato, ma probabilmente se si pongono quesiti sull'argomento, qualcuno penserà magari ad un personaggio di un film di Lucas. Grazie.

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