Pagine

lunedì 7 dicembre 2009

A proposito di turpiloquio e di linguaggio politicamente corretto

Non intendo aggiungere un’altra voce superflua al coro di biasimo nei confronti del presidente della Camera Gianfranco Fini per aver qualificato con una parolaccia chi dice cose spiacevoli nei confronti degli stranieri e degli immigrati. Più che di un problema di dignità della carica osserverei quanto segue. Il ricorso ormai generalizzato al turpiloquio sta facendo sì che l’uso di una terminologia discreta, anzi addirittura letteraria, stia diventando di straordinaria efficacia. Provare per credere. Invece di dire a qualcuno che vi sta sulle scatole (eufemismo) o che vorreste prenderlo a calci nel sedere (traduzione eufemistica di una battutaccia usata, a quanto pare, in un Consiglio dei ministri), provate a dire qualcosa del genere: «lei mi ha definitivamente stufato», «la prego cortesemente di togliersi di torno». L’effetto sarà dirompente. Infatti, un simile linguaggio è tanto inusuale che l’interlocutore resterà di sasso e non troverà la misura giusta per reagire.

Ma c’è un’altra questione di merito assai più interessante. La stampa informa che Fini si è espresso esattamente così: «Chi dice che gli stranieri sono diversi è uno stronzo». Ebbene, se Fini mirava a colpire i razzisti e gli xenofobi ha sbagliato completamente bersaglio e ha incautamente offeso antirazzisti e xenofili.

Da tempo “diverso” non è un’offesa, bensì il supremo complimento negli ambienti a prova di bomba in termini di tolleranza. “Diverso” è la cosa più bella e nobile. Chi sarebbe oggi talmente sciocco da non voler essere “diverso”? Tempo fa fui invitato in una scuola per una manifestazione contro il razzismo e l’antisemitismo, di assoluto stampo democratico e politicamente correttissima. Quando fu il mio turno di parlare agli studenti il Preside mi presentò così: «Ed ora siamo ansiosi di sentire il punto di vista di un “diverso” come il professor Israel…». Invero, per un istante pensai di mandarlo a quel paese, ma compresi subito che se avessi interpellato il poveretto con uno stentoreo «stronzo», egli sarebbe a dir poco scoppiato in lacrime… Lui voleva farmi un complimento. Perché oggigiorno “diverso è bello”. È l’omologazione che è orrenda. Siamo tutti “diversi”, Un ebreo è “diverso”, ma anche un cattolico è “diverso”: “diverso” dagli altri, che sono “diversi” da lui. Un malato è “diverso” non meno di una persona sana. Del resto, come viene definita una persona che ha una menomazione, con rispetto parlando, del tipo essere paralizzato alle gambe? Non certamente come un “disabile” – Dio ne scampi – ma come un “diversamente abile”. Personalmente mi sentirei preso in giro se, essendo cieco, mi definissero così: ma so di non aver assimilato i principi della correttezza politica. Tuttavia, per quanto non mi ci trovi a mio agio, sono perfettamente consapevole che, secondo la vulgata corrente, viviamo in un mondo di “diversità”, che per questo è bello. Mi sembra un modo elegante di tradurre il vecchio detto «il mondo è bello perché è vario», ma so che questo è un pensiero ignobile.

In conclusione, dispiace dirlo, ma Fini appare disinformato (anzi, “diversamente” informato) e fermo a significati lessicali desueti. Se dovessi dargli un rispettoso e sommesso consiglio, direi che la prossima volta dovrebbe usare anziché la parola «stronzo», la locuzione «diversamente intelligente», e naturalmente riferirla a chi è tanto malvagio da non ammettere che  anche gli stranieri sono dei “diversi”. Si potrebbe osservare che, per ragioni di coerenza e di rispetto nei confronti degli stronzi, gli individui intelligenti potrebbero essere chiamati «diversamente stronzi». Ma anche questo è un pensiero ignobile e politicamente scorretto.


(Tempi, 9 dicembre 2009)

15 commenti:

paolo casuscelli ha detto...

Prof. Israel,
ai miei alunni è interdetto l'uso dei termini “casino” e “bordello” (che, molto probabilmente, a casa sarà concesso e condiviso dalla famiglia). Alle medie, non sanno neppure che significhino. Con la dovuta discrezione, lo spiego, e pretendo non vengano evocati, in luogo istituzionale qual è la scuola, i lupanari ad ogni pie' sospinto. Suggerisco loro delle alternative lessicali, motivandole con riferimenti al corso della storia. E' divertente sentir dire loro che “è successo un Quarantotto” o, se il casino era eccessivo, “un Novantasei”.

Al di là della questione terminologica, relativamente all'accezione della parola “diverso”, la frase di Fini sarà scurrile, ma mi sembra chiara e politicamente coraggiosa. Se Fini avesse parlato, da leader, alla destra, a “quella” destra che è stata, tradizionalmente, xenofoba e razzista? Trovo che Fini abbia introdotto, nell'ideologia di “quella” destra italiana, motivi di emancipazione dagli irrazionalismi a cui strizzavano l'occhio, in direzione di una più equilibrata ragionevolezza. Ma io non sono un attento osservatore politico, può darsi che mi sbagli.

Non è che, per caso, la cultura della diversità e il culto del diverso possano condurre a quella relativizzazione delle culture a cui, anche lei, spesso ha fatto riferimento? Esempio, quello suo: “il mondo è bello perché è vario”. Mettiamo tutto nello stesso calderone e facciamo un politicamente corretto buon minestrone? Domande retoriche. Politicamente scorrette.

Volevo osservare, infine, sinteticamente, che la cultura del diverso nasce parallelamente a quella tendenza filosofica che, negli anni Settanta, è chiamata “filosofia della differenza”. Ovviamente, questione molto complessa. Però, c'è un dato di fatto, inconfutabile. Questi pensatori della “differenza”, Deleuze, Derrida, Bataille, lo stesso Foucault (cito francesi, ma potrei mettere in mezzo italiani e tedeschi), sono stati anche gli autori della cosiddetta “rinascita degli studi nietzschiani”. Tutti sanno che Nietzsche aveva una fissazione (che lo fece letteralmente ammattire): distruggere, a “colpi di martello”, i fondamenti dei valori della tradizione giudaico-cristiana.
Chiudo e la saluto.

Barbara ha detto...

Certo che la sua diversità è proprio stupefacente, professore. Lei scrive con uno stile così ironico e mordace da sembrare un soldato che incede in battaglia col sorriso in bocca, nascondendo nel taschino una piccola lama, sottile e ben affilata. La estrae sogghignando e, solo con quella, colpisce d’improvviso, facendo a pezzi un intero esercito di maschere.

Myosotis ha detto...

Mi sembra che Fini sia alla ricerca spasmodica, parossistica, ossessivo-compulsiva di visibilità, del tipo: si parli pure male di me, purché se ne parli. La parolaccia in bocca alla terza carica dello Stato non può essere ignorata dai media. Forse, però, narcisista com'è, lui sperava di più: come la parola più usata dai francesi (m.) è diventata "la parola di Cambronne", forse lui desiderava che str. diventasse "la parola di Fini". Così non è stato e non poteva essere, perché da tempo, come è stato sdoganato lui e il suo partito, così è stato sdoganato il turpiloquio (nessuna relazione tra i due fenomeni, ovviamente). Inoltre lui ha corso il rischio che si confonda la parola con chi l'ha pronunciata.

Myosotis ha detto...

E comunque l'epiteto stronzo andrebbe evitato, non solo per evitare il turpiloquio, ma perché si può essere fraintesi. Infatti mentre i dizionari solitamente gli attribuiscono il significato di stupido o inetto, dalle mie parti uno stronzo è una persona odiosa, che cerca sempre cinicamente e spudoratamente il proprio tornaconto, mentre mi risulta che in Campania dare della stronza a una donna sia un'offesa gravissima. Una ragione in più per evitare la parola.

Gianfranco Massi ha detto...

Dal presidente della Camera dei deputati della Repubblica Italiana ci si dovrebbe aspettare un linguaggio più appropriato, specie quando parla a dei ragazzi, per di più extra comunitari.

Unknown ha detto...

le "p***e" di Berlusconi sono più o meno corrette dello "s****o" di Fini?

Caroli ha detto...

Io ricordo un filmato in cui un deputato depositava un foglio di carta appallottolato sulla pelata del collega che gli sedeva davanti. La finezza del Sciùr Sandru (Pertini) o le battite ironiche del presidente per antonomasia (Giulio Andreotti) sono lontane anni luce. E se se ne accorge anche un orso come me...

Papik.f ha detto...

Per amore di verità, tuttavia, occorre precisare che la dizione attualmente adottata nei documenti ufficiali e della quale è raccomandato l'uso è "persona con disabilità" mentre quella di "diversamente abile", grazie al Cielo, è stata abbandonata.

Giorgio Israel ha detto...

Per amore di verità lei si sbaglia. Per esempio, il recentissimo decreto sulla valutazione (n. 122, 22 giugno 2009) reca la dizione "diversamente abile".
Inoltre, vorrei osservare che questo articolo non è specificamente diretto a Fini e al suo turpiloquio (che, dovrebbe essere chiaro, non amo affatto, chiunque sia colui che vi ricorre) ma vorrebbe essere una presa in giro del politicamente corretto e dell'ossessione della diversità.

Caroli ha detto...

E infatti. professore, il mio accenno alla pallina (avevo scritto "pallottola", meglio di no, anche se questa parola deriva dal verbo "appallottolare", che era esattamente l'azione dell'"onorevole": qualcuno potrebbe capire male...) era ironico. Specie confrontato con la seria sdrammatizzazione della realtà di cui erano maestri tanto Pertini che Andreotti.

Papik.f ha detto...

Perfettamente d'accordo sulla presa in giro dell'ossessione del politicamente corretto e a maggior ragione del mito della "diversità". Tuttavia, poiché sto contribuendo, proprio ora, alla cura editoriale di un volume sulla Legge 104 per conto di un'Istituzione pubblica, devo confermare che ogni volta che si è trovata, inserita da qualche autore, l'espressione "diversamente abile" o "disabile", la si è sostituita con "persona (o studente, utente, docente, lavoratore ... a seconda dei casi) con disabilità" e mi è stato detto che ciò corrisponde alle vigenti normative (se troverò il riferimento, lo manderò).
Personalmente, questo mi sembra giusto perché trovo insultante definire una persona "un disabile", "un cieco", "un sordo", ecc. o anche, e forse peggio, "un diversamente abile": al primo posto sta il fatto che si tratta di una persona (o, specificando, di uno studente, un utente, un docente, un lavoratore). Certo, fuor di eufemismo (o di ipocrisia) si potrebbe dire "persona cieca" o "affetta da cecità" invece di "non vedente". Ma quando mai riusciamo a liberarci da ogni ipocrisia?

Giorgio Israel ha detto...

Sarà così, ma resta il fatto che questa indicazione viene frequentemente disattesa e le circolari ministeriali o di altri organi statali sono piene della dizione "diversamente abile". Quanto a tutte le disquisizioni che lei riporta, capisco le buone intenzioni (e rispetto il lavoro che lei deve fare), ma la considero una logomachia ridicola e - come lei stesso dice - ipocrita. Non trovo insultante definire una persona "cieco". Se fossi cieco non mi offenderei se mi definissero così, mi offenderei se mi definissero con uno di quei termini ipocriti e ridicoli di cui sopra perché lo riterrei un modo sgradevole di evitare la realtà delle cose, come se fosse una vergogna; e conosco gente "con disabilità" che ragiona allo stesso modo. Di passaggio, ritengo che la distinzione tra "disabile" (offensivo) e "con disabilità" (non offensivo) fa impallidire la scolastica medioevale.
Quando riusciremo a liberarci da ogni ipocrisia? Proviamo a farlo ora. Non disponiamo di una vita in cui essere ipocriti e di una seconda vita in cui essere autentici.

vanni ha detto...

Egregio Professore, egregio Papik.f, a proposito di definizioni insultanti e di logomachìe medievali, mi viene in mente di un mio anziano conoscente, professore di filosofia, affetto da cecità, al quale tanto tempo fa, mentre si stava discorrendo, ogni tanto ripetevo:”... vede, egregio Professore... “
Non era che usassi questo intercalare con coscienza, studiatamente; mi veniva così, nel fervore del discorso (io penso sempre di dire cose intelligenti e facilmente mi lascio prendere dall'entusiasmo). Un amico presente, prendendomi il braccio, mi fece notare quanto fosse inappropriata quella espressione.
Chiesi subito scusa confuso e con un profondo imbarazzo.
Sorridendo con benevolenza l'interessato mi rispose più o meno così:“Per l'amor di Dio non si preoccupi, non soffro di disabilità intellettiva (in realtà disse una parola più colorita, che dalle mie parti si usa tuttora per definire una persona di diverso comprendonio) anzi, quanto più lei parla con me in modo usuale tanto più io mi sento bene”.
Per me fu un momento di gratificazione: far la cosa giusta senza neanche accorgersene...

Myosotis ha detto...

Sono d'accordo con Lei e ritengo che quanto più si parla spontaneamente con queste persone tanto meglio sia per loro. A parte che il verbo Vedere ha diversi significati, non tutti connessi con la vista (come anche l'inglese I see, You see, cioè Capisco, Capisci) se io fossi cieco e notassi lo sforzo dell'interlocutore di evitare questo verbo non mi farebbe per niente piacere.

Giorgio Israel ha detto...

L'inserto romano de Il Giornale di oggi annuncia che, ad opera della Anffas (una delle più importanti associazioni familiari di disabili), altre onlus ecc. è stato avviato il progetto "Integrazione scolastica per alunni DIVERSAMENTE ABILI nelle scuole del XIII municipio". Mi sa che la lotta per eliminare questo termine sarà dura....

Posta un commento