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mercoledì 25 agosto 2010

Andare in pensione a 65 anni


Davvero strano questo dibattito sull’università. Si parla fino alla nausea di “merito” e della necessità di rendere meno statalista la gestione dell’università e poi spunta fuori niente meno che la proposta di mandare tutti in pensione a 65 anni (anche se nel testo approvato al Senato è stato accantonata, ma vedremo alla Camera…). Merito e liberalismo vorrebbero che la scelta di tenere in servizio un docente sia fatta sulla base di considerazioni di… merito. Paul Samuelson ha continuato a frequentare l’università fino a novant’anni: aveva qualcosa da insegnare ai giovani. Viceversa perché un nullafacente dovrebbe restare in servizio fino a scadenza di legge? Dicono che in Europa vige quasi ovunque il limite dei 65 anni: quando fa comodo le declamate università statunitensi vengono ignorate a profitto di università europee in crisi che, quando non lo erano, non avevano di fatto limiti di età, visto che 75 anni di un tempo equivalevano a novanta di oggi. Si è detto infelicemente che a 65 anni un docente «ha già avuto tanto». Certo, un nullafacente o incapace ha avuto fin troppo, ma un docente di valore ha «dato», e fin troppo rispetto a quel che ha ricevuto.
Mi scuso se, al pari di Michele Salvati, la butto sul personale. Ho compiuto 65 anni da poco: un classico esemplare da rottamare. Sono stato assunto in ruolo dopo concorso a 25 anni, quando non c’era gerontocrazia. Debbo togliere il disturbo? Non c’è problema: i 40 anni di servizio mi garantiscono il massimo pensionistico. Per il resto, che abbia pubblicato circa 200 lavori e 25 libri e superi di quasi 15 volte il minimo richiesto per la prossima valutazione – 2 lavori nel quadriennio 2004-2008 – è irrilevante. I corsi che tengo li farà qualcun altro, che sarà certamente migliore in quanto più giovane. Forse è una buona idea e ringrazio di avermela suggerita: avrò più tempo per scrivere altri libri e articoli.
Ma se, al pari di tanti altri colleghi, così risolverò la mia vicenda personale, continuo a pensare che la proposta dei 65 anni sia insana. È una sciocchezza dell’identica natura delle assunzioni di massa ope legis iniziate negli anni settanta. Allora si assunsero migliaia di persone indipendentemente dai loro meriti. Ora si vogliono sostituire migliaia di persone indipendentemente dal merito.
Non è strano che una certa sinistra statalista riproponga indefessamente assunzioni di massa (giovani, precari), mentre è sorprendente che lo faccia una forza che si proclama meritocratica e liberista come la Confindustria. E invece non è strano per niente. Il nostro paese ha un’antica tradizione di industria assistita che su di essa ha costruito alleanze a sinistra. Spender quattrini per fondare università private o sostenere quelle pubbliche, alla maniera statunitense? Oibò! Meglio impadronirsi di quelle statali, mediante consigli di amministrazione dominati da manager esterni di “indiscussa professionalità” (non si sa da chi certificata). Poi si farà un bel taglio alle ricerche inutili, quelle “di base” – non soltanto, ovviamente, quelle umanistiche, ma anche fisica teorica, matematica pura e altre astruserie – per rafforzare la ricerca volta all’innovazione tecnologica dell’industria. Il tutto assumendo un cospicuo numero di ricercatori, magari provenienti da industrie private. Naturalmente, a ciò è funzionale un radicale ricambio del corpo docente che mandi in soffitta i vecchi professori intrisi di nostalgie “culturali”. E l’impresa assistita non manca di loquaci avvocati, anche se fa un po’ ridere che la proposta dei 65 anni venga sostenuta con forza da professori di un’università privata dove si può restare in servizio fino alla tomba. Liberismo e meritocrazia all’amatriciana.

(Il Foglio, agosto 2010)

14 commenti:

Lucio ha detto...

Caro professore,
molto amichevolmente le propongo un altro modo di vedere la faccenda: per ogni posto occupato da un 65-enne (e non manca poi tantissimo nemmeno a me, intendiamoci), per quanto bravo, ci sono tantissimi giovani che vorrebbero fare lo stesso percorso accademico, ma si trovano le porte chiuse per tagli e congiunture varie. Poi, si sa, tra i 65-enni ci sono quelli che hanno pubblicato 200 articoli e 25 libri e quelli che sarebbero dovuti andare in pensione prima di cominciare ...

Cordialmente,
Lucio Demeio.

Giorgio Israel ha detto...

Ma questa è la nota motivazione… Altrimenti quale altra motivazione potrebbe darsi. Ciò non toglie che sia inconsistente. È una via d'uscita esattamente nella logica che ha devastato l'università. La vera domanda è come mai ci siamo ridotti nello stato in cui l'università è intasata di docenti inseriti ope legis, indipendentemente dal fatto che siano oppure no meritevoli di pensione prima di essere assunti. Perché, appunto, si è proceduto in barba al merito secondo convenienze occupazionali. Pensare di risolvere questa situazione con un'altra soluzione automatica è assai poco intelligente. Si mandano via i docenti indipendentemente dal merito, per ragioni di età, e si assumono i giovani in quanto possiedono questo titolo. Ancora una volta indipendentemente dal merito. La cosa più squallida - e sintomatica - è che una proposta del genere, venuta dal Pd, trovi consensi politicamente trasversali. Per ora è stata bloccata. Vedremo.

Lucio ha detto...

Ma infatti; non ho detto di essere d'accordo con il pensionamento indiscriminato a 65 anni. Ci sarebbe comunque da aggiungere che gli effetti del riempimento ope legis degli anni passati sono molto diversificati da facolta' a facolta' (ed anche da universita' ad universita', ma per ora lasciamo stare): nelle facolta' scientifiche, piu' segnatamente fisica e chimica e di seguito matematica e le altre discipline, sono entrate quasi esclusivamente persone meritevoli, mentre facolta' come lettere, medicina e, credo, giurisprudenza, hanno subito i danni maggiori.

Un'altra considerazione. Capirei se tale mossa avesse come contropartita l'assunzione di nuove forze, giovani e meritevoli, cosi' da seguire una vera politica di ringiovanimento. Ma non accade, si manda in pensione e basta, senza creare nuovi spazi per i giovani. Ed ancora: almeno da quel che vedo nella mia piccola (ma non troppo) realta' di provincia, gli studenti piu' bravi si rivolgono ad altri lidi, come l'industria o le strutture universitarie di altri paesi. Quelli che rimangono e tentano la carriera universitaria, spesso non sono i piu' brillanti.

Lucio Demeio.

Giorgio Israel ha detto...

Allora siamo d'accordo. Non sarei così ottimista circa il rigore delle facoltà scientifiche - comunque superiore ad altre - ma è un dettaglio. Potrebbe essere un'ottima occasione per cercare di mandare in pensione a forza gente che non fa niente e aprire spazi a giovani realmente meritevoli e non agli arrogantelli che vogliono soltanto potere. Niente. Il rettore della Sapienza ci ha provato: valutiamo in base al merito e tagliamo la progressione stipendiale soltanto agli incapaci. Niente. Si taglia a tutti. È la solita Italia che unisce trasversalmente destra e sinistra, sindacati e confindustria.

Unknown ha detto...

io farei un codicillo per cui, volendo, si resta per la didattica financo a 100 anni. ma 65 anni si cessa da qualsiasi incarico dirigenziale e, soprattutto, dalla possibilità di far parte di commissioni di concorsi.
secondo lei in quanti resterebbero?

Giorgio Israel ha detto...

Resterebbero coloro che sono interessati davvero alla didattica e alla ricerca (la ricerca non soltanto la didattica!!). Comunque, lei forse non conosce l'università, altrimenti si renderebbe conto che i più interessati oggi agli incarichi (direttore di dipartimento, preside di facoltà, presidente di consiglio di corso, rettore, prorettore, ecc.) sono i quarantenni che sono stati addestrati a un'università in cui si spende più di metà del tempo a riempire moduli, a compilare relazioni, a fare burocrazia di ogni sorta,a calcolare crediti e strutturare corsi di laurea, a distribuire fondi, insomma a "gestire". L'università è piena di quarantenni che aspirano a diventare ordinari per potersi dedicare alla "gestione" a tempo pieno. Tutte le chiacchiere sull'università dei vecchi baroni sono sciocchezze di persone che sono rimaste agli stereotipi a trent'anni fa. I vecchi baroni onnipotenti sopravvivono in poche facoltà con ristretto numero di ordinari. Per il resto, un ordinario oggi non è niente, l'università è quella dei - come chiamarli? - "baroncini", "baronetti", "cavalieri", "nobilotti". Una simile dispersione di potere fa sì che - sempre con le dette eccezioni - il controllo totale della cooptazione nei concorsi è una chimera.

Unknown ha detto...

Con la nuova norma delle commissioni di concorso composte da soli ordinari, gli ordinari non sono esattamente nessuno, credo. E poi: sono così tanti gli associati (o ricercatori) presidenti di corsi di laurea o direttori di dipartimento o di, absit iniuria verbis, cliniche universitarie?

Giorgio Israel ha detto...

Gli ordinari oggi sono un numero esorbitante, è un ruolo inflazionato (salvo che a Giurisprudenza e a Medicina, s'intende) e quindi il potere del singolo è commisurato al numero globale. Nella mia facoltà sono in numero maggiore dei ricercatori. Il fatto che il reclutamento torni agli ordinari e solo a loro è assolutamente fisiologico. Patologico è il contrario. Che un associato sia preside di facoltà o un ricercatore direttore di dipartimento è un'idea che può venire soltanto in Italia, paese dove il '68 e la demagogia democraticistica non finiscono mai. In qualsiasi paese normale la direzione scientifica e il reclutamento lo controllano coloro che sono al massimo ruolo. Lo voglio vedere in Francia un professore reclutato da una commissione in cui vi sono dei maîtres de conférence... Pensare che si possa combattere un indubbio malcostume nominando tutti generali e colonnelli, è un'idea assurda. Questo si è fatto. Oggi il 70% del corpo docente è composto di generali e colonnelli e c'è pure qualche insano di mente che vorrebbe promuovere il restante 30& alla carica di maggiore... E neanche il paragone regge. Perché, secondo costoro, si dovrebbero istituire tre ruoli di professore, con pari funzioni (tutti generali...) e unica distinzione lo stipendio... Cioé passare di ruolo implicherebbe soltanto un aumento di stipendio. Neanche nelle repubbliche delle banane vengono in mente idee simili. Ma questo è quel che chiedono sindacati e Pd.
Non è certo lo scardinamento della gerarchia accademica la soluzione. L'attuale disegno di riforma ha molti difetti che ho denunciato senza reticenze, ma non certamente questo.

Unknown ha detto...

stavo proprio dicendo che tutti questi incarichi sono tenuti dagli ordinari e basta e che in molti casi dispiace più abbandonare questi che non la didattica e la ricerca. sui concorsi affidati ai soli ordinari la norma era già nella riforma (?) mussi (parlandone da vivo).
le commissioni miste potevano, talvolta, di rado, fare qualcosa di imprevisto e imprevedibile...

Giorgio Israel ha detto...

Neanche per sogno. Gli associati in commissione sono ricattabili: fanno quello che viene richiesto loro in cambio della speranza di diventare ordinari. E qualche volta fanno anche quel che non è stato richiesto nella speranza di compiacere. È molto meglio che si assumano la diretta responsabilità gli ordinari mettendoci la faccia.

Caroli ha detto...

Stiamo quasi meglio noi ingegneri liberi professionisti, vista la possibilità di pensionarsi e mantenere la posizione (leggasi: partita IVA). Va poi detto che i trenta anni per la "minima" li avrei già, i 58 li faccio nel 2014, se vado nel 2020...
Ma si fanno i conti senza l'Oste: chi mi dice che tra quattro anni ci sia ancora?
Per il resto, il Professore ha tutte le ragioni: ricordo con tanta simpatia il prof. Dino Zanobetti, che teneva il corso di economia aziendale a noi elettrotecnici. Quando mi sono laureato veleggiava verso gli 80...

vanni ha detto...

Egregio Caroli, la memoria appartiene alla gioventù? Il professor Dino Zanobetti... a 70 e più anni citava a memoria, con un po' di civetteria, il profluvio di date e financo ore nelle quali era stata accesa fin dall'ottocento - strada per strada - l'illuminazione a gas e poi a luce elettrica nella città di Bologna. Ad 80 anni lo faceva ancora? Eh, la gioventù della vecchiaia! (ad onor del vero noi studenti non ci siamo mai presi la briga di far controlli, e sopravvive per i malfidenti il sospetto - remotissimo e irrispettoso - che una mente olimpica ma celatamente burlesca intendesse giocare).
Trattandosi qui di età, io sono nella condizione di spudorato conflitto d'interesse e trascino punti di vista piuttosto sensibili. Pertanto apro bocca appena appena e in ovvietà: lasciando pur stare (troppo facile) Napolitano e Silvio - e mi ritraggo davanti ad altri troppo in alto - lasciando pur stare la pletora di pparlamentari e cardinali, mi pare che si facciano entrare nella Scuola certi sbrigativi, superficiali e deteriori orientamenti, tratti pari pari dallo spiccio bigino di criterî universali del sedicente e straccione consulente di organizzazione e gestione aziendale. Quando si affrontano problemi importanti e delicati non si vorrebbe fare i conti con luoghi comuni e pregiudizi sommari o - peggio - con obiettivi effettivi difformi da quelli dichiarati. Nel cuore l'Università oppure la immarcescibile ansia di controllo e la radiosa “creazione” di nuovi posti?

Anonimo ha detto...

Mi sembra che l'idea sia già stata messa in pratica da Brunetta: possibilità per le amministrazioni di scegliere se mandare in pensione con 40 anni di contributi. All'Università di Trieste, allo scopo di scendere sotto il 90% del ffo per le spese del personale, sono già stati mandati in pensione ricercatori e professori a 65, negata la possibilità del biennio, e a 60 per esempio ricercatori donne.

Fausto di Biase ha detto...

a proposito di ``un'università in cui si spende più di metà del tempo a riempire moduli, a compilare relazioni, a fare burocrazia di ogni sorta,a calcolare crediti e strutturare corsi di laurea, a distribuire fondi, insomma a "gestire"''...
ecco arrivato il decreto ministeriale 22 settembre 2010 n.17 (http://attiministeriali.miur.it/anno-2010/settembre/dm-22092010.aspx)
che ci obbliga ancora una volta, a distanza di solo un anno dall'ultima volta (proprio cosi`!), a ristrutturare i corsi di laurea (che abbiamo appena finito di strutturare, appunto), chiedendoci di ``razionalizzarli'' in base naturalmente a criteri puramente numerologici, criteri che (ne sono certo) non potranno eliminare le situazioni veramente irrazionali, con evidenti duplicazioni, che si sono create nel tempo (frutto di compromessi tra vari gruppi di potere, piuttosto che di scelte meditate e basate su esigenze di formazione culturale)

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