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domenica 28 novembre 2010

Le ipocrisie sulla pelle dell’università dei suoi fasulli paladini



Questa riforma universitaria contiene molte cose buone come il sistema di reclutamento, altre discutibili, come un eccesso di dirigismo e di minuzia normativa e un assetto della governance che concede troppo a manager esterni di dubbia qualifica. Ma altro che discutere: siamo in piena sagra dell’ipocrisia e della demagogia persino violenta.
Forze politiche e universitarie che hanno taciuto di fronte a riforme efferate (come quella del cosiddetto 3 + 2) che hanno condotto l’università nell’attuale stato di degrado e che hanno taciuto di fronte a tagli di finanziamenti non meno imponenti, urlano come se venisse giù il mondo. Questa riforma è stata patrocinata in buona misura dal Pd che però ora, per ragioni di ben altra natura, sale a cantare “Bella ciao” sui tetti. È poi divenuto un indecente sport nazionale rovesciare tonnellate di immondizia sull’università ogni volta che se ne discute in Parlamento. Con lo stile del bue che da del cornuto all’asino, un mondo politico che ha colpe enormi in materia parla dei docenti universitari come “ignoranti” e “nullafacenti”. Come se, malgrado tutto, la Facoltà di Scienze della Sapienza di Roma non venisse avanti alla prestigiosa École Polytechique parigina nelle graduatorie internazionali, per fare soltanto un esempio. Nelle quali graduatorie sono introvabili università private gestite da un mondo industriale che nonostante ciò si sente titolato a far la lezione su quella pubblica. Il gioco a parlare di “merito” per l’università è una colossale ipocrisia, dato che non si ha il coraggio di parlarne per la magistratura o per la scuola, dove in silenzio sono stati ripristinati gli scatti di anzianità per tutti, senza alcun legame con il merito. Sarebbe anche da aggiungere che per la scuola, i primi modelli sperimentali di premio del merito sono basati su criteri che, se introdotti all’università, farebbero gridare al prepotere dei baroni; il quale, visibilmente, è ormai una barzelletta, forse perché i docenti universitari non hanno né un Consiglio Superiore né una rappresentanza sindacale.
Vedremo come finirà la sagra. Ma vi sono due questioni in ballo che ne rappresentano la manifestazione estrema e di cui sono ambigui protagonisti i “finiani”. Si parla continuamente dei ricercatori come “precari”, e magari chi legge le cronache ci crede, mentre i ricercatori sono dipendenti stabili che vanno in pensione a 65 anni. Ora, se si tratta di trovare quattrini per inquadrare nel ruolo di associati quei ricercatori che hanno già vinto un concorso, nulla da dire. Se si tratta di garantire a 4500 (alcuni parlano di 9000) ricercatori dei concorsi riservati per il passaggio ad associato, allora si tratta di un ope legis malamente mascherato, un atto demagogico che rischia di scassare la riforma prima ancora che parta. Poi c’è la questione del ripristino di scatti di anzianità “meritocratici”, ovvero legati al merito. Anche qui circola la strana voce che debbano riguardare solo i più giovani. A parte l’ossimoro di scatti di “anzianità” per i “giovani” – che suscita notevole ilarità in giro – è grottesco che come primo titolo “meritocratico” venga introdotto quello dell’età. Secondo questo criterio gli “asini” di cui sarebbe piena l’università sarebbero soltanto i professori anziani. Se invece si tratta di una scelta demagogica, per ingraziarsi coloro che non sono prossimi a togliersi di torno andando in pensione, allora lo si dica senza camuffarsi dietro la parola “meritocrazia”.
In conclusione, tutta la vicenda si sta rivelando come una partita puramente politica attorno alle sorti del governo in cui i temi dell’università e del suo assetto sono un mero pretesto per atteggiarsi a paladini (fasulli) del rigore e della cultura.
(Il Foglio, 26 novembre 2010)

20 commenti:

Unknown ha detto...

Gentile prof. Israel, le faccio osservare - riguardo alla questione dei concorsi per consentire il passaggio di 9000 (forse) ricercatori ad associati - che a) non si tratta di un'ope legis. Non sono concorsi riservati (anche se all'inizio lo si era detto). Inoltre, se da anni i concorsi per associato sono pochissimi, ovviamente molti bravi ricercatori non possono neppure sperare di fare carriera. Nel mio settore, in 5 anni sono state banditi pochissimi concorsi, spesso ad idoneità unica.
b) sugli scatti di anzianità: a prescindere dal fatto che trovo in effetti ridicolo parlare di merito e poi legarlo all'età, le faccio però osservare che l'incidenza del provvedimento di Tremonti sui "giovani" è assai più devastante. Chi come me è in ruolo da una decina d'anni, perde enormemente di più di chi è in ruolo da 30.
Il DDL contiene anche elementi positivi. Ma la posizione del ministro e del governo è stata per mesi di totale chiusura ad ogni tentativo di critica (anche costruttiva). Inoltre mi permetta di osservare che se si riteneva (come si dice ora) essenziale l'approvazione del DDL, non si doveva lasciarlo dormire in un cassetto per mesi, mentre il Governo era duramente impegnato su questioni che francamente non trovo così urgenti (ad esempio il cosiddetto "legittimo impedimento").

La saluto e la ringrazio per l'attenzione

Dr. Alessandra Veronese
Dipartimenti di storia
Università di Pisa

Giorgio Israel ha detto...

Se il provvedimento è rimasto fermo per me non è cosa che sono chiamato a giustificare. Non sono l'avvocato di Berlusconi. Difficile dire che quei posti non aprano la strada a un ope legis di fatto. E comunque sono proprio gli ope legis la causa del fatto che ci siano tanto pochi posti. E che dire dei recenti quasi 3000 concorsi che questo ministero si è trovato di fronte e non è riuscito a fermare per la levata di scudi di mezzo mondo? È stata uno scandalo e nessuno se ne è lamentato. I concorsi a idoneità multipla sono inoltre una delle cause dell'attuale situazione. Lei sa benissimo a quali meccanismi di do ut des hanno dato luogo. Quanto a quel che si perde, meglio non azzardare conti. Io ne ho fatto qualcuno e ho preferito non pensarci più.

Unknown ha detto...

Gentile prof. Israel, non sono d'accordo. 9000 posti (ammesso che ci siano, per il momento ci sono solo promesse non finanziate), se non sono riservati a coloro che già sono ricercatori, non configurano un'ope legis. Io sono una vittima dell'ope legis del 1980, quindi tutto vorrei fuorché vedere altri giovani colleghi passare attraverso le esperienze mie. Nel giro di sei- sette anni, andranno in pensione moltissimi tra ricercatori, associati e ordinari. 9000 posti non copriranno neppure questi pensionamenti. I concorsi a idoneità multipla hanno senza dubbio dato luogo ad una serie di deplorevoli compromessi, ma quelli ad idoneità singola - sino ad ora - hanno fatto vincere nel 90% dei casi i candidati locali. Devo dire che una delle poche buone idee della ministro Gelmini è stata quella di far estrarre i commissari. Almeno nel mio settore, questo ha stoppato quasi sempre la vittoria del locale (se palesemente meno bravo).
Ovviamente non deve essere lei a giustificare le perdite di tempo del governo: ma non posso non ribadire che un esecutivo che veramente ritenga un provvedimento di grande importanza lo pone su una corsia preferenziale. E comunque, se permette, i ricercatori "giovani", entrati per concorso, hanno spesso più titoli di associati ope legis. Consentire, mediante idoneità nazionale (possibilmente chiusa, per evitare episodi di improvvido "buonismo"), avanzamenti di carriera ai meritevoli è doveroso. Tra l'altro, i ricercatori coprono incarichi didattici a titolo gratuito da anni: ciò che, sempre a mio avviso, andrebbe riconosciuto.
Un cordiale saluto e grazie per l'attenzione.

Myosotis ha detto...

Un po' deludente, per me, il convegno di oggi a Padova su conoscenze e competenze nella scuola. Iniziato male con il logorroico sig. Sostanzialmente (lo chiamo così perché non ne ricordo il nome e perché ripeteva l'avverbio compulsivamente), finito peggio con le banalità della studentessa, il "metodismo" (chiamo così la priorità attribuita all'insegnamento del metodo rispetto alla trasmissione delle conoscenze) della docente intervenuta spontaneamente, e infine l'ancor più logorroica conclusione del sig. Sostanzialmente, quando tutti erano stanchi e l'auditorium ormai spopolato. Hanno "salvato" il convegno, a mio parere, il suo intervento, puntuale, documentato, attentamente seguito dall'uditorio e, da quanto mi è parso di cogliere, molto apprezzato; e gli aneddoti della prof. Cisotto. Mi auguro che la Gilda eviti gli errori di oggi in futuro.

Giorgio Israel ha detto...

Non sono molto d'accordo. A me gli aneddoti non sono piaciuti e tantameno la relazione. Mentre ho apprezzato molto l'intervento di Paola Mastrocola. E ho raccolto molte manifestazioni di interesse.

mike ha detto...

diciamo pure che i ricercatori arrivano ad avere un posto precario la cui precarieta' e' fissata a soli 8 anni.
Che ha senso, di per se, e funziona anche in Germanaia (solo che vale 10 anni).

1) Non mi sembra questa riforma riesca a rivoluzionare il loro status simultaneo di docenti&ricercatori sottopagati.

2) i ricercatori in questo modo resteranno nel mondo accademico per gli anni possibili, a ricercare (e insegnare) e verranno soppiantati dai piu' giovani dopo tale periodo, a causa di mancanza di mancanza di fondi.
2.a) dopo i suddetti anni ... con un riconoscimento minimo a livello di CV ... chi ti assume?

la riforma "di per se" e' pure buona.
applicata in un paese dove ognuno, a ogni livello, cerca escamotage ... condanna la nostra universita' e la nostra ricerca alla morte.
non a parole. ma "de facto"
e difenderla significa lavarsi le mani da tale condanna.

non vederlo e' imperdonabile, specie da parte di chi e' all'interno dell'universita'

(fermo restando che una riforma e' necessaria piu' che mai, e che il sistema attuale sta andando alla deriva, solo un'anticchia piu' lentamente di quanto permettera' questa riforma)

Giorgio Israel ha detto...

Allora: la riforma di per sé, è buona, ma l'Italia è un paese schifoso dove tutto si guasta "nell'applicarsi a far l'effetto" (tanto per dirla con Galileo). Allora, andiamocene tutti via, tanto non c'è niente da fare, oppure facciamo soltanto leggi schifose adatte allo schifo in cui ineluttabilmente dobbiamo vivere. Per esempio, leggi corporative perché tanto ci saranno sempre le corporazioni, leggi mafiose perché ci sarà sempre la mafia, ecc.
A parte, il fatto che un male nazionale è la rissa e "lavarsi le mani" e "imperdonabile" non sono argomenti ma soltanto un modo di tappare la bocca (se non la pensi come me sei un Ponzio Pilato e un mascalzone); imperdonabile è soltanto ragionare in questo modo fasullo, così fasullo che sarebbe un buon argomento per bocciare a un'abilitazione.

mike ha detto...

non e' un ragionamento fasullo.
sto dicendo che questa riforma non mette mano a nulla e non risolve nulla.
c'e' la necessita' di tagliare.
e questa riforma lo fa.
ma lo spaccia come un miglioramento e non come un taglio.
certo. non taglia nulla. e' la finanziaria a tagliare. non la riforma.

c'e' la necessita' di migliorare la qualita' delle assunzioni.
ma di fatto questa riforma creera' un ancora maggiore numero di ricercatori troppo vecchi per qualunque assunzione.

"lavarsi le mani" e "imperdonabile" non sono argomenti. giustissimo.
sono RABBIA.
se lei apre un post in cui parla, in pratica, del precariato di migliaia di dottorandi, assegnisti, postdoc, etc etc,
e li considera' "vittime collaterali e necessarie", perche' questo si desume dai suoi ultimi post sull'argomento, non puo' evitare di beccarsi queste parole.
e puo' evitare di chiamarle "rissa"
perche' anche questo e' tappare la bocca al prossimo.

lei sara' in pensione ancora forse ancora decentemente pagata quando i dottorandi saranno pochi e senza borsa,
e quando i ricercatori saranno assunti a turnover di 8 anni, e solo gli amichetti passeranno a un posto fisso.
e, proprio come oggi, tutti sapremo "chi" e "quando" vi passera'.

e a quel punto, dati i bassi stipendi di un sistema ancor piu' basato su meno ricercatori precari e sottopagati, le ridurranno anche quella pensione.

e' una estrapolazione lineare, neanche un ragionamento, caro professore

non mi metta in bocca parole non mie.
questo si, il suo, e' un ragionamento fasullo. "facciamo le leggi mafiose".
se lo tenga per lei, se le piace scriverlo.

io, povero, me ne sono gia' andato. e torno in Italia solo a votare e spendere tutto lo stipendio guadagnato altrove.
di piu' non posso fare.

e avrei tanto piacere se la riforma funzionasse.

Giorgio Israel ha detto...

La rabbia non è un argomento e non produce nulla di buono, come si vede.
Le "vittime collaterali e necessarie" sono parole sue e non è corretto virgolettarle come se fossero mie.
Un assegnista o un dottore di ricerca non è un precario. È una persona che si inizia alla ricerca. Conosco tantissime persone (incluso mio figlio) che sono state "precarie" per anni in questo modo e non se ne sono mai lamentate.

mike ha detto...

va bene.
anche i tantissimi co.co.co allora non sono precari.
sono persone che si iniziano al lavoro.

il ragionamento e' uguale.

quello che il resto del mondo chiama flessibilita' noi lo chiamiamo precariato. ci sara' un motivo, o e' solo una questione nominalistica ?

e poi ... forse le "tantissime persone (incluso suo figlio) che sono state "precarie" per anni in questo modo e non se ne sono mai lamentate"
non hanno avuto bisogno di farlo perche' c'erano altri a lamentarsi per loro.
dopotutto un sindacato serve anche a chi non vi e' iscritto :-)

scherzi a parte.

io non mi lamento. sono e resto all'estero.
sono preoccupato.

Andrea Viceré ha detto...

Caro Prof. Israel,

resto perplesso nel leggere che l'ipotesi di concorsi riservati agli attuali ricercatori sarebbe una ope legis di fatto.

Lo sarebbe se prevedesse il passaggio di tutti gli attuali 26000 ricercatori nel ruolo di professori associati.

Per quanto è dato di capire invece, si stanno appunto ipotizzando 1500 concorsi all'anno, non riservati agli attuali ricercatori, per l'accesso alla docenza universitaria.

In un ipotetico organico a regime di 50000 docenti universitari, distribuiti omogeneamente su fasce di età da 30 a 65 anni, si hanno appunto circa 1500 pensionamenti all'anno. La cifra ipotizzata non è quindi una ope legis; è il tasso di sostituzione.

Attualmente (vedasi statistica.miur.it) il corpo docente, dai ricercatori agli ordinari, è di circa 60000 unità; quindi un tasso di assunzione di 1500 unità all'anno serve a contrarre questo corpo appunto a circa 50000 unità, facendo posto alla "tenure track".

Aggiungo che come ben noto la distribuzione dei docenti non è uniforme per età, ed è in arrivo un'onda di pensionamenti, conseguente all'ope legis del 1980; quindi avremo un transiente in cui il numero di docenti scenderà sensibilmente sotto il livello di regime.

Bisognerebbe fare un calcolo più fine, introdurre il tasso di successo della "tenure track", ma non mi sembra che i numeri possano cambiare molto, proprio perché la riforma prevede la tenure track subito dopo il dottorato, e al termine l'ingresso in ruolo intorno ai 30 - 33 anni.

Se allora i miei conti non sono sbagliati, non capisco davvero di quale ope legis si stia parlando!
Ripeto, è semplicemente il tasso di assunzione necessario per raggiungere a regime un numero di docenti "tenured" intorno alle 50000 unità.

Cordialmente

Andrea Viceré

Giorgio Israel ha detto...

Lo sanno anche i sassi all'università che è stato ed è in gioco un tentativo di mettere in piedi un ope legis. Del resto, perché mai molti ricercatori si agitano, visto che hanno il posto fisso fino a 65 anni, se non per cogliere l'occasione di entrare in ruolo di associato nel passaggio a regime della riforma? Come del resto è sempre accaduto. Quando c'è una riforma si tenta sempre di cogliere l'occasione. Che poi da 9000 posti in tre anni si sia passati a 4500 è un fatto positivo. Ma in questo periodo se ne sono viste e sentite di cotte e di crude. Una semplice considerazione. Ammettendo che il percorso dei nuovi ricercatori inizi dall'anno prossimo se ne parla tra quattro anni (per i bravissimi) e tra sette per gli altri per vederli potenzialmente accedere al ruolo di associato. E nel frattempo a chi sono "dedicati" i 1500 concorsi l'anno? Agli attuali ricercatori, è ovvio. Quindi sono concorsi riservati, è inutile far finta di niente. Che poi 1500 sia una cifra ragionevole, d'accordo. Ma non bisogna dimenticare che stiamo appena uscendo da ben tremila concorsi con doppie idoneità (le chiamate relative stanno avvenendo, p. es. a Roma, in questi giorni) che hanno dato 6000 opportunità di cui 3000 assolutamente operative. Sono stati tutti avanzamenti interni per molti ultracinquantenni (conosco non so quanti casi di ricercatori promossi alla vigilia della pensione). Casomai, all'epoca si disse che il ministro era stato debole e che avrebbe dovuto sopprimere questa ondata concorsuale (definita scandalosa, p. es. da Paola Potestio e da tanti altri) che avrebbe pregiudicato il futuro. Lasciamo perdere quindi, che è meglio, per carità di patria.

Giorgio Israel ha detto...

Aggiungo che era stato chiesto che almeno per quei concorsi fosse soppressa la doppia idoneità. Niente. A furor di popolo è stata mantenuta. Così, oltre ai chiamati sui posti direttamente disponibili, vi è un numero enorme di vincitori (idonei) in circolazione ed è certo che molti dei posti prossimamente disponibili verranno dedicati a queste chiamate. Si dirà che non c'è nulla di male. Ma allora smettiamola di stracciarci le vesti sui ricercatori "precarizzati". Quanti di coloro che protestano sono persone che non sono riuscite a passare in questa tornata? Gli altri - basta guardarsi attorno - stanno tranquilli.

Unknown ha detto...

Mi scusi, ma mi sembra che lei stia dicendo alcune cose non condivisibili. Posso concordare con lei che un certo numero di ricercatori sperasse in un'ope legis. Ma la maggior parte delle persone che sono entrate non per ope legis, ma per concorso (e che si sono viste stoppare l'entrata in università per dieci e più anni, causa precedente ope legis) non hanno mai chiesto assunzioni indiscriminate.
Lei chiede perché i ricercatori si agitano: beh, non so gli altri. Io mi agito perché di fatto non mi è stata data negli ultimi anni la possibilità di concorrere in modo corretto. E vorrei dire che non è stata sempre "colpa" di commissioni corrotte: ci sono settori con molte persone brave e un numero di idoneità risibili (il mio è tra questi). Dunque, non si possono colpevolizzare le commissioni se - avendo 30 candidati di cui almeno un terzo meritevole di idoneità - ne fanno passare solo uno o due. I 9000 posti di associato avrebbero dovuto essere spalmati su sei anni (e non su tre). Non sono riservati, quindi chiunque (anche chi non è ricercatore) può concorrere. Concordo con lei che è molto probabile che almeno i 3/4 di queste idoneità sarebbero andate ad attuali ricercatori a tempo indeterminato. Ma forse ciò non è così incredibile, se si tiene conto del fatto che molti di noi hanno più titoli e pubblicazioni di alcuni ordinari del settore e certamente di molti associati ope legis.
Sempre per quel che riguarda il mio settore: devo dare atto al ministro Gelmini (o forse a Schiesaro) che il sistema dell'estrazione dei commissari ha dato qualche frutto. I due concorsi da associato (incidentalmente: 4 idoneità in cinque anni...) hanno visto solo vincitori non locali. Idem per i 3 posti da ricercatore.
In generale, mi riallaccio a quanto già scritto da Andrea Vicerè: questi (teorici, al momento) posti da associato copriranno a stento i pensionamenti di altri associati. Se si considera quanti tra ordinari, associati e ricercatori andranno in pensione, saremo comunque di fronte ad una diminuzione del numero dei docenti. Non capisco, quindi, perché ci si ostini a chiamarla ope legis.

Alessandra Veronese
Dipartimento di storia
Università di Pisa

Caroli ha detto...

Che un sindacato serva, è tutto da dimostrare. Specialmente quando un sindacato si è ridotto ad essere un patronato di quei pensionati i quali, durante la loro attività "lavorativa", hanno più scioperato che lavorato. Ricordo in particolare certi "delegati sindacali" (da me mandati apertamente al diavolo) del gruppo FIAT quando ho avuto la disgrazia di farvi consulenza.
Di chi parlo? Ma della CGIL, è ovvio!

Caroli ha detto...

Sull'università non intervengo, ma mi fido di chi c'è dentro per lavorarci (e non per ululare alla luna sui tetti, tipo Zanna Bianca).

Giorgio Israel ha detto...

Anche il settore in cui lavoro io (storia della matematica) è pesantemente penalizzato: non abbiamo più posti da anni e a Roma sono rimasto da solo (eravamo in quattro).
Ma questo attiene a dinamiche accademiche interne, deprecabili quanto si vuole ma che non fanno testo rispetto all'andamento globale. I matematici nel loro complesso hanno avuto molti posti, forse pure troppi, a meno che l'obbiettivo non sia far andare avanti tutti. Bisogna guardare ancor oltre al sistema nel suo complesso. E allora non posso che riconfermare quanto ho detto né vedo argomenti validi per cambiarlo. Il settore degli ordinari è stato gonfiato all'eccesso (e per questo è anche un po' ridicolo parlare di "baroni", casomai "baronetti" o "cavalieri"...). I docenti sembrano pochi se vogliamo tenere in piedi tutti i corsi che sono stati lasciati proliferare fino al ridicolo. Che poi in questa proliferazione vi siano stati i figli di un dio minore, è indubbio. Ma che c'entra?

Unknown ha detto...

Beh, sicuramente ci sono atenei (ma non il mio) nei quali esistono corsi poco commendevoli e sono proliferati gli insegnamenti. Ma nel nostro dip. siamo passati in pochi anni da 60 a 46 unità. Il senso del 3+2 (almeno per come è stato venduto, a me e ad altri: se poi si scherzava, gradirei saperlo) era quello di offire molti più corsi di base (storia greca, romana, medievale, moderna, contemporanea generali) con un numero basso (ca. 40) di frequentanti, in modo da poter organizzare diversamente la didattica. Quindi noi (professori di I e II fascia e ricercatori) serviamo tutti, altrimenti questa offerta formativa non ci sarebbe. Quest'anno, stante l'indisponibilità dei ricercatori a coprire gli insegnamenti di base, alcuni colleghi si sono trovati 100-120 persone a lezione. Qui non stiamo parlando di tenere in piedi tutti i corsi. Stiamo parlando di tenere in piedi, oltre a qualche corso per la laurea magistrale, quelli di base. La stessa cosa avviene in altre facoltà. Da noi i ricercatori coprono circa il 30% della didattica frontale (quella integrativa è ovviamente a parte). A me non sembra che consentire ad alcuni (4500 su 26000) di passare di ruolo sia un'ope legis, e mi sembra anche che sarebbe doveroso risolvere la questione dello stato giuridico dei ricercatori. La legge credo di averla letta con attenzione e non mi sembra che si affronti minimamente questo problema. Si ritiene, cioè, che una volta messi ad esaurimenti gli attuali ricercatori scompaiano dal sistema.
Il problema (che però non viene mai seriamente affrontato) è che non tutti questi 26000 ricercatori sono il frutto della 382. Una buona metà hanno vinto un concorso, e mi scusi se rifiuto di credere che in Italia vincano solo i deficienti. Il sistema certo è falsamente trasparente: la cosiddetta valutazione comparativa consente spesso di far vincere un candidato gradito (ma non necessariamente un cattivo candidato). E comunque - lo dico avendo vissuto e lavorato in altri paesi - non è che altrove non vi sia un sistema di cooptazione. Semmai il problema è che qui ci sono docenti che possono cooptare persone impresentabili senza subire nessun tipo di conseguenza. In Germania ti tagliano drasticamente i fondi di ricerca.
Ciò che voglio dire è che trovo vi sia una enorme disparità tra gli enunciati del DDL Gelmini (alcuni dei quali certamente condivisibili) e i metodi utilizzati per perseguirli. I continui riferimenti al merito dovrebbero tradursi in azioni atte a dare ai meritevoli delle chances di carriera (come avviene in tutti i paesi del mondo civile) e la possibilità di lavorare in un contesto stimolante.

Cordialmente

Alessandra Veronese
Dip. di storia
Università di Pisa

GiovanniP ha detto...

La seguo e la ammiro da tempo per la sua grande capacità di andare a fondo delle cose come nella matematica anche nella realtà. Approvo gran parte del suo articolo ma mi sento ferito e non mi spiego il suo attacco contro la luiss presso la quale studio da 4 anni e che mi sta dando piu' di quanto a riguardo di conoscenze e rapporti umani una sterile classifica possa descrivere. Con stima incondizionata
Giovanni

Giorgio Israel ha detto...

Io non attribuisco alcuna importanza particolare alle graduatorie. Ma se, chi le attribuisce - e mi riferisco in particolare agli ambienti confindustriali - denigrano continuamente le università statali per il loro modesto posto nelle classifiche internazionali, allora c'è da dire che farebbero bene a tacere e poi aprire bocca quando appariranno in queste graduatorie. Non capisco con quale diritto Celli si senta in diritto di dire sciocchezze come quella che bisogna togliere di mano le università ai docenti e metterle in mano alla "società civile" e all'"esterno". Nessuno vuole attaccare la Luiss o la Bocconi, ma capisco molto la reazione del mio rettore quando si sente fare la lezioncina e spiegare "come si deve fare". La risposta ai "bocconiani" è: siete al penultimo posto nella classifica delle università commerciali, con quale diritto pontificate? Tutto questo se si attribuisce tutto questo valore alle classifiche. Ma lei credo sappia che io non glielo attribuisco, perché credo nella cultura e la cultura non si misura. Lei dice bene: quel che uno ottiene in termini di conoscenze e rapporti umani è molto di più di quel che una classifica possa descrivere. Ma chi è che ci asfissia dalla mattina alla sera con le classifiche e le misure delle qualità, se non gli uffici studi confindustriali e il loro guru, ing. Abravanel? Proprio per questa manifesta ottusità insisto che l'idea di mettere in mano le università all'imprenditoria è quanto di più sbagliato e dannoso si possa pensare.

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