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mercoledì 29 dicembre 2010

Di quanta matematica abbiamo davvero bisogno?

Frase conclusiva: «Sopravviveremo probabilmente a questa evangelizzazione, grazie all'irrilevanza dell'innovazione pedagogica»

How much math do we really need?
By G.V. Ramanathan
Saturday, October 23, 2010; A15 
Twenty-seven years have passed since the publication of the report "A Nation at Risk," which warned of dire consequences if we did not reform our educational system. This report, not unlike the Sputnik scare of the 1950s, offered tremendous opportunities to universities and colleges to create and sell mathematics education programs.
Unfortunately, the marketing of math has become similar to the marketing of creams to whiten teeth, gels to grow hair and regimens to build a beautiful body.
There are three steps to this kind of aggressive marketing. The first is to convince people that white teeth, a full head of hair and a sculpted physique are essential to a good life. The second is to embarrass those who do not possess them. The third is to make people think that, since a good life is their right, they must buy these products.
So it is with math education. A lot of effort and money has been spent to make mathematics seem essential to everybody's daily life. There are even calculus textbooks showing how to calculate -- I am not making this up and in fact I taught from such a book -- the rate at which the fluid level in a martini glass will go down, assuming, of course, that one sips differentiably. Elementary math books have to be stuffed with such contrived applications; otherwise they won't be published.
You can see attempts at embarrassing the public in popular books written by mathematicians bemoaning the innumeracy of common folk and how it is supposed to be costing billions; books about how mathematicians have a more clever way of reading the newspaper than the masses; and studies purportedly showing how much dumber our kids are than those in Europe and Asia.
As for the third, even people who used to proudly proclaim their mathematical innocence do not wish to abridge the rights of their children to a good life. They now participate in family math and send the kids to math camps, convinced that the path to good citizenship is through math.
We need to ask two questions. First, how effective are these educational creams and gels? With generous government grants over the past 25 years, countless courses and conferences have been invented and books written on how to teach teachers to teach. But where is the evidence that these efforts have helped students? A 2008 review by the Education Department found that the nation is at "greater risk now" than it was in 1983, and the National Assessment of Educational Progress math scores for 17-year-olds have remained stagnant since the 1980s.
The second question is more fundamental: How much math do you really need in everyday life? Ask yourself that -- and also the next 10 people you meet, say, your plumber, your lawyer, your grocer, your mechanic, your physician or even a math teacher.
Unlike literature, history, politics and music, math has little relevance to everyday life. That courses such as "Quantitative Reasoning" improve critical thinking is an unsubstantiated myth. All the mathematics one needs in real life can be learned in early years without much fuss. Most adults have no contact with math at work, nor do they curl up with an algebra book for relaxation.
Those who do love math and science have been doing very well. Our graduate schools are the best in the world. This "nation at risk" has produced about 140 Nobel laureates since 1983 (about as many as before 1983).
As for the rest, there is no obligation to love math any more than grammar, composition, curfew or washing up after dinner. Why create a need to make it palatable to all and spend taxpayers' money on pointless endeavors without demonstrable results or accountability?
We survived the "New Math" of the 1960s. We will probably survive this math evangelism as well -- thanks to the irrelevance of pedagogical innovation.
The writer is a professor emeritus of mathematics, statistics and computer science at the University of Illinois at Chicago.

6 commenti:

Nautilus ha detto...

Grande Ramanathan..quasi quasi passo l'articolo alla collega d'inglese che lo faccia tradurre ai ragazzi...alla fine coro generale (ammessa la corretta traduzione):"Lo dicevamo da quel dì, noi!!"
Mi suggerisce un'ideuzza maligna, a me cultore e propagandatore della scuola di massa: e se non servisse a nulla? E se bastasse tirar su quei 140 che prenderanno il nobel più quegli altri 100-200mila che faranno i medici, gli ingegneri, i magistrati ecc.ecc. come ai bei tempi andati?
Proprio oggi è venuta un'amica, il figlio uscito dal liceo non sa scrivere e vuol fare un concorso dove è previsto un tema. Come non sa scrivere? Sì, ha una grafia illeggibile, non si capisce niente, me lo bocceranno! Ma com'è possibile? Eh, non gli capitava quasi mai di dover scrivere a mano...
Lì per lì son rimasto...poi ci ho ripensato: e IO, quant'è che non scrivo a mano? Un tempo avevo la passione per le stilografiche, ora son lì con l'inchiostro seccato, e quando mai le uso?
Insomma oggi si può vivere bene senza saper la matematica ma anche senza saper impugnare una penna, una volta beninteso superato il concorso.
Mah, vecchia storia...checchè dica Ramanathan, il quale considera l'effettivo uso della matematica nella vita di tutti i giorni, si vive bene anche senza filosofia, fisica, poesia, latino...la nazione non sarà a rischio per questo, è proprio vero, e non c'è da far drammi epocali.
Ma intanto laggiù all'est la studiano eccome!
E poi scriveva Sciascia:"L'italiano è il ragionare...", e la matematica no?
Dubbi diabolici...per intanto cerco di farla capire il più possibile, poi si vedrà.
PS. A scanso equivoci trovo l'articolo acuto e interessante.

Andrea Viceré ha detto...

Caro Israel,

l'articolo provoca in modo intelligente, ma certi aspetti lasciano perplesso anche me: "all the mathematics one needs in real life can be learned in early years without much fuss.".
L'autore astutamente non definisce gli "early years", si riferirà agli anni delle primarie?
Premesso che sarebbe già bello se tutti ricordassero quanto appreso alle primarie, che non serva altro non mi sembra vero.
Se debbo comprare o vendere il pane le quattro operazioni mi bastano, ma se debbo leggere un articolo di giornale, e in un paese democratico tutti i cittadini debbono essere in grado di farlo, ho bisogno ad esempio di sapere cos'è un dato statistico, e avere un'idea di cosa condiziona la sua attendibilità.
Se accendo un mutuo, non debbo farmi abbindolare dal linguaggio del promotore finanziario.
Ma non è questa l'obiezione principale che vorrei avanzare.
Quando Ramanathan scrive che la matematica non è più importante della "grammar and composition", cioè della padronanza linguistica, sono senz'altro d'accordo, ma che c'entrano "curfew" (a letto presto!) o "washing up after dinner"? La matematica come parte della buona educazione?
E ancora quando scrive "Unlike literature, history, politics and music, math has little relevance to everyday life.", mi trovo davvero in imbarazzo.
Se si tratta di contrastare, magari esagerando, una tendenza a sopravvalutare una parte del curriculum rispetto ad altre, capisco pienamente l'intento.
Ma in generale trovo assurdo definire quali materie siano importanti sulla base di cosa poi si usi nella "everyday life".
Così ragionando, finiremmo per cancellare ad esempio lo studio delle scienze dal curriculum delle medie, per rimandarlo alle superiori. Scelta per me assurda, perché proprio negli anni delle medie nascono quegli innamoramenti per certe materie che possono poi portare molto frutto.
In realtà, nella vita di tutti i giorni utilizziamo un bagaglio di conoscenze e di schemi mentali, acquistato anche a scuola, nel quale tutto si tiene, e noi stessi fatichiamo a rintracciare l'origine di qualcosa che troviamo utile.
Ad esempio le versioni di latino, lingua poco usata nella vita di tutti i giorni, insegnano ad alcuni lo scrivere in modo chiaro come nessun altro mezzo.
Non si deve pretendere che tutti diventino forti in matematica, come non ci si aspetta che tutti imparino a scrivere a furia di versioni; siamo tutti diversi e seguiamo strade differenti per sviluppare la nostra mente.
E' giusto quindi non giudicare il progresso educativo solo sulla base di alcune materie "forti"; però non si deve neppure esagerare in senso contrario.
In fondo lo scopo della Scuola è aprire delle porte sugli aspetti diversi della conoscenza, lasciando ai giovani lo scegliere la propria strada, con la consapevolezza che hanno inclinazioni diverse. Scegliere per loro, e sulla base di cosa si presume "servirà" nella vita mi pare un grave errore, un vero scippo.
Forse l'intento di Ramanathan è solo di riequilibrare una situazione distorta; e magari capisco male il suo scritto perché ignoro buona parte del contesto.
Ma trovo dubbi i suoi argomenti.
E l'ottimismo sullo stato della alta cultura scientifica in America, paese con ottime scuole di Dottorato, ma piene di insegnanti di importazione, mi sembra mal riposto; come altre, è una situazione insostenibile.

Buon Anno

Andrea Viceré

Andrea Viceré ha detto...

Caro Israel,

l'articolo provoca in modo intelligente, ma certi aspetti lasciano perplesso anche me: "all the mathematics one needs in real life can be learned in early years without much fuss.".
L'autore astutamente non definisce gli "early years", si riferirà agli anni delle primarie?
Premesso che sarebbe già bello se tutti ricordassero quanto appreso alle primarie, che non serva altro non mi sembra vero.
Se debbo comprare o vendere il pane le quattro operazioni mi bastano, ma se debbo leggere un articolo di giornale, e in un paese democratico tutti i cittadini debbono essere in grado di farlo, ho bisogno ad esempio di sapere cos'è un dato statistico, e avere un'idea di cosa condiziona la sua attendibilità.
Se accendo un mutuo, non debbo farmi abbindolare dal linguaggio del promotore finanziario.
Ma non è questa l'obiezione principale che vorrei avanzare.
Quando Ramanathan scrive che la matematica non è più importante della "grammar and composition", cioè della padronanza linguistica, sono senz'altro d'accordo, ma che c'entrano "curfew" (a letto presto!) o "washing up after dinner"? La matematica come parte della buona educazione?
E ancora quando scrive "Unlike literature, history, politics and music, math has little relevance to everyday life.", mi trovo davvero in imbarazzo.
Se si tratta di contrastare, magari esagerando, una tendenza a sopravvalutare una parte del curriculum rispetto ad altre, capisco pienamente l'intento.
Ma in generale trovo assurdo definire quali materie siano importanti sulla base di cosa poi si usi nella "everyday life".
Così ragionando, finiremmo per cancellare ad esempio lo studio delle scienze dal curriculum delle medie, per rimandarlo alle superiori. Scelta per me assurda, perché proprio negli anni delle medie nascono quegli innamoramenti per certe materie che possono poi portare molto frutto.
In realtà, nella vita di tutti i giorni utilizziamo un bagaglio di conoscenze e di schemi mentali, acquistato anche a scuola, nel quale tutto si tiene, e noi stessi fatichiamo a rintracciare l'origine di qualcosa che troviamo utile.
Ad esempio le versioni di latino, lingua poco usata nella vita di tutti i giorni, insegnano ad alcuni lo scrivere in modo chiaro come nessun altro mezzo.
Non si deve pretendere che tutti diventino forti in matematica, come non ci si aspetta che tutti imparino a scrivere a furia di versioni; siamo tutti diversi e seguiamo strade differenti per sviluppare la nostra mente.
E' giusto quindi non giudicare il progresso educativo solo sulla base di alcune materie "forti"; però non si deve neppure esagerare in senso contrario.
In fondo lo scopo della Scuola è aprire delle porte sugli aspetti diversi della conoscenza, lasciando ai giovani lo scegliere la propria strada, con la consapevolezza che hanno inclinazioni diverse. Scegliere per loro, e sulla base di cosa si presume "servirà" nella vita mi pare un grave errore, un vero scippo.
Forse l'intento di Ramanathan è solo di riequilibrare una situazione distorta; e magari capisco male il suo scritto perché ignoro buona parte del contesto.
Ma trovo dubbi i suoi argomenti.
E l'ottimismo sullo stato della alta cultura scientifica in America, paese con ottime scuole di Dottorato, ma piene di insegnanti di importazione, mi sembra mal riposto; come altre, è una situazione insostenibile.

Buon Anno

Andrea Viceré

Angus Walters ha detto...

Il punto di Andrea e` ben fatto. Non si puo` essere in disaccordo. Ma bisogna pure tener presente che l'autore dell'articolo non e` un semplice insegnante di greco o di latino, per cui farebbe bene ripristinare queste materie al livello secondario o primario. Rabanathan e`"professor emeritus of mathematics, statistics and computer science at the University of Illinois at Chicago". Come tale, la sua opinione, anche se apparentemente estrema, serve adeguatamente a riequilibrare l'argomento sulla riforma pedagogica odierna, e anche come risposta ai nuovi paladini della cultura pseudo-umanistica, agli Odifreddi di questo mondo, che preferirebbero sostituire lo studio della matematica a quello delle materie umanistiche tradizionali. Da questo punto di vista, immagino che anche il Professor Israel sia d'accordo con Rabanathan.

Buon Anno a tutti i lettori del Blog di Giorgio Israel, nonche` al Professor Israel stesso.

Angus Walters

vanni ha detto...

Già. A che cosa serve? La domanda ricorrente: per la matematica, il latino, l'italiano...
È vero: c'è una scuola di pensiero che con ottime ragioni sostiene che il progresso del mondo dipende alla fine soltanto da un numero relativamente basso di intelligenze. Può essere.
Non va poi proprio così liscia, perché il progresso dev'essere applicato, seguito e diffuso; ci sono scelte da fare, iniziative da guidare, realizzazioni da compiere. Si mette in gioco tutta una eterogenea abbondanza di competenze, in gerarchia ed in estensione. È la vita che abbiamo costruito in tanto tempo, che non discende da una pianificazione a priori a tavolino di caste sagge e lungimiranti che ci ha guidato fin qui, ma dalla porta tenuta sempre spalancata alla creatività.
Il sapere – tutto sommato – non dovrebbe esser temuto, perché non pare faccia troppi danni. Qualcosa va imposto, senza esagerare. Quanti strumenti facciamo funzionare senza sapere come funzionano.
La vita comunque dev'essere vissuta, e almeno la playstation bisognerà pur averla e saperla usare.
Sarà giusto insistere oltre un certo limite con le persone, se non sono interessate a una certa cosa? Rimanga spazio per tutti. L'equilibrio e il ruolo - anche di una nazione - si possono trovare a vari livelli. Si dice che anche gli Yanomami vivano felici e che nelle isole fortunate del Pacifico troppe preoccupazioni - cibo vestiario riscaldamento - non le abbiano mai avute.
Del resto G.V. Ramanathan scrive con il sorriso sulle labbra, e mena argutamente il nostro pensiero ad una impegnativa meditazione sull'astuzia del marketing aggressivo ed evangelico - applicato al la matematica e ad ogni altro - e sulla potenza dell'innovazione pedagogica.

Caroli ha detto...

Sto leggendo il "Sidereus Nuncius" di Galileo Galilei, e leggo la sola parte latina: dopo 5 righe della traduzione italiana a fronte mi sono accorto quanto sia raffazzonata. Nel lavoro uso la matematica e, da ingegnere, non può essere che così. Ma leggersi un testo in lingua originale (potendo), come mi suggeriva l'amico professor Aleksej Judin, di Mosca, è un piacere unico. Cosa c'entra questo con l'argomento di cui si discute? La realtà è fatta di tutto, e "Homo sum, et nihil humanum a me alienum puto" (Terenzio).

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