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mercoledì 29 dicembre 2010

La scuola fa schifo. E se fosse ottima?



Gli ingegneri francesi dell’Ottocento se ne intendevano di valutazioni numeriche: furono loro a inaugurare l’applicazione della matematica alle questioni sociali, economiche e gestionali, e proprio per questo erano disincantati. Affermavano che i numeri possono essere usati per neutralizzare decisioni politiche scomode e per rendere accettabili le affermazioni più contraddittorie, producendo statistiche inconsistenti «perché nulla è più elastico dei numeri». Con i numeri si può convalidare tutto e il contrario di tutto.
Abbiamo già parlato qui delle conclusioni contraddittorie che emergono dalle varie classifiche delle università e delle scuole. Si aggiungono ora i risultati Ocse-Pisa che attestano la superiorità delle scuole statali italiane su quelle private e paritarie. L’Invalsi è arrivato alla conclusione opposta… Inoltre, su queste pagine, il governatore lombardo Formigoni ha sottolineato l’ottimo risultato conseguito dalle scuole della regione nei test Ocse-Pisa, e si sa che la Lombardia ha un elevato numero di scuole private e paritarie. E allora? Oltre alla contraddizione – certamente dovuta all’uso di parametri e test differenti, il che ridicolizza ancora una volta il mito della tanto vantata “oggettività” – siamo di fronte statistiche del genere “pollo di Trilussa”, che informano sulla frazione di pollo che mangia “in media” ogni persona in un dato periodo. In realtà, qui interessa sapere esattamente quanti polli vengono mangiati da ciascuno. Altrimenti, dando retta a Ocse-Pisa, una famiglia rischia di iscrivere il figlio a occhi chiusi a una scuola statale di infima qualità, oppure, dando retta all’Invalsi, di iscriverlo a una pessima scuola paritaria.
Ne segue che l’unica cosa sensata e utile non sono queste statistiche, bensì una valutazione capillare dei singoli istituti scolastici e anche dei singoli insegnanti. Il problema è però come fare questa valutazione. Uno dei metodi suggeriti da coloro che inseguono l’“oggettività” è di far ricorso ai test. Un progetto sperimentale varato dal ministero dell’istruzione propone di valutare le scuole misurando il livello di miglioramento degli apprendimenti degli studenti mediante i test Invalsi: in parole povere, si tratta di proporre dei test all’inizio e alla fine dell’anno per constatare l’esistenza di un miglioramento. Questo metodo ha due difetti. In primo luogo, i test servono a stimare il miglioramento degli apprendimenti in ambiti molto ristretti, come l’ortografia o la grammatica, ma già in matematica non rispondono affatto allo scopo di valutare le capacità di ragionare matematicamente, di formulare e risolvere un problema, bensì non vanno oltre il dar conto dell’esattezza della risposta, che è poca cosa. Non parliamo poi di materie come la storia o la letteratura. Vi è inoltre il rischio di indurre le scuole a limitarsi alla funzione di addestramento a superare i test, riducendo gli studenti a risolutori di quiz, magari abili allo scopo specifico pur essendo autentici ignoranti e incapaci. Il secondo difetto è che i test non piovono dal cielo: sono formulati da persone con una specifica preparazione e vedute personali, talvolta persino da ditte di dubbia competenza. In definitiva, essi non danno alcuna garanzia di serietà ma servono soltanto a creare un’aria di rigore “scientifico”, nascondendo la “spazzatura” della soggettività sotto il tappeto. Si apprende poi che si terrà conto di altri indicatori come il rapporto scuola famiglia – e chi non sa che purtroppo molte famiglie di fronte a un brutto voto schiaffeggiano il professore anziché lo studente? – e che il risultato verrà valutato da un team composto da un ispettore e da due esperti indipendenti, senza dire come sarà certificata la competenza di questi “esperti”.
Ancor meno convincente è il metodo di valutazione proposto per i singoli docenti. Essa dovrebbe essere condotta da una commissione composta dal dirigente scolastico e da due docenti dell’istituto eletti dal collegio dei docenti. È sconcertante l’idea che coloro che debbono essere valutati eleggano i loro valutatori. Ancor di più che a presiedere tale nucleo sia il dirigente scolastico. Non dubitiamo che la maggior parte dei presidi siano persone rigorose. Ma coloro che non lo sono, e certamente esistono, e che hanno la tendenza a creare cordate e “camarille” di docenti “amici”, troveranno un’opportunità per favorirle e per penalizzare le “pecore nere” che potrebbero anche essere i docenti più validi. Senza contare che questa modalità di valutazione si incrocia con la tendenza a trasformare il preside in manager, che tende a promuovere in tutti i modi l’immagine della propria scuola, come un’azienda di biscotti promuove la qualità del proprio prodotto. Inoltre, anche qui si propone di usare come criterio di valutazione il giudizio di famiglie e studenti e persino il curriculum presentato dal docente (come dubitare che vi sarà chi avrà il coraggio di parlar male di sé?).
Ritorna la questione iniziale: come valutare? Non c’è dubbio che l’unica modalità valida sia quella delle ispezioni. Ma, sia ben chiaro, non alla maniera dell’autoreferenziale corpo di ispettori in vigore in Inghilterra che, di certo, non può vantare di aver contribuito al miglioramento della scuola inglese, il cui sfascio è ormai denunziato da ogni lato. Di recente, in una riunione di “esperti” scolastici, ho assistito a un’interminabile presentazione delle virtù del sistema inglese di valutazione. Dopo un’ora di ascolto posi una piccola domanda: «Secondo voi com’è la scuola inglese?». Coro unanime: «Fa letteralmente schifo!». E tuttavia l’elogio riprese come se nulla fosse. Così ragionano gli “esperti”: a loro interessa solo la metodologia. Peraltro, una delle ultime prove del disastro della scuola inglese è data dalla constatazione che un numero crescente di famiglie, pur di non mandare i figli in scuole in cui non si apprende nulla e regna la violenza, affittano a ore docenti qualificati in tutte le materie. I costi oscillanti tra 30-50.000 mila l’euro l’anno vengono coperti quasi completamente dai voucher che le famiglie ricevono.
Tornando alle ispezioni, l’unico sistema che appare appropriato è quello in uso in diverse università straniere: farle eseguire da commissioni composte da insegnanti provenienti da scuole di diverse città, da un ispettore ministeriale, e anche da insegnanti in pensione. La commissione ispettiva si installa in un istituto scolastico per un periodo di una decina di giorni rivoltandolo come un calzino, assistendo alle lezioni, esaminando libri di testo, registri, interrogando docenti, studenti e famiglie, e raccogliendo il suo giudizio finale in un rapporto di valutazione concernente sia l’istituto nel suo complesso che i singoli insegnanti, il quale verrà sottoposto agli Uffici scolastici regionali e al ministero. La valutazione potrà investire soltanto una quota annua degli istituti che sarà tuttavia sufficiente ad avviare un processo virtuoso. Il punto fondamentale è che la valutazione non deve essere concepita come una tecnica gestionale bensì come un processo culturale. I rapporti di valutazione saranno inevitabilmente oggetto di commenti incrociati, a differenza del sistema dei test che nasconde dietro una falsa oggettività scelte operate da soggetti incontrollati. Ma questo è altamente positivo poiché avvia nell’insieme delle scuole e nella comunità degli insegnanti un vasto processo di controllo interno alla dinamica dell’istituzione scolastica, rigoroso, indipendente e alla luce del sole, che è l’unico modo per produrre un’autentica crescita culturale e della qualità dell’insegnamento e per favorire l’emergere delle scuole e degli insegnanti migliori.

Giorgio Israel     (Il Giornale, 27 dicembre 2010)

Di quanta matematica abbiamo davvero bisogno?

Frase conclusiva: «Sopravviveremo probabilmente a questa evangelizzazione, grazie all'irrilevanza dell'innovazione pedagogica»

How much math do we really need?
By G.V. Ramanathan
Saturday, October 23, 2010; A15 
Twenty-seven years have passed since the publication of the report "A Nation at Risk," which warned of dire consequences if we did not reform our educational system. This report, not unlike the Sputnik scare of the 1950s, offered tremendous opportunities to universities and colleges to create and sell mathematics education programs.
Unfortunately, the marketing of math has become similar to the marketing of creams to whiten teeth, gels to grow hair and regimens to build a beautiful body.
There are three steps to this kind of aggressive marketing. The first is to convince people that white teeth, a full head of hair and a sculpted physique are essential to a good life. The second is to embarrass those who do not possess them. The third is to make people think that, since a good life is their right, they must buy these products.
So it is with math education. A lot of effort and money has been spent to make mathematics seem essential to everybody's daily life. There are even calculus textbooks showing how to calculate -- I am not making this up and in fact I taught from such a book -- the rate at which the fluid level in a martini glass will go down, assuming, of course, that one sips differentiably. Elementary math books have to be stuffed with such contrived applications; otherwise they won't be published.
You can see attempts at embarrassing the public in popular books written by mathematicians bemoaning the innumeracy of common folk and how it is supposed to be costing billions; books about how mathematicians have a more clever way of reading the newspaper than the masses; and studies purportedly showing how much dumber our kids are than those in Europe and Asia.
As for the third, even people who used to proudly proclaim their mathematical innocence do not wish to abridge the rights of their children to a good life. They now participate in family math and send the kids to math camps, convinced that the path to good citizenship is through math.
We need to ask two questions. First, how effective are these educational creams and gels? With generous government grants over the past 25 years, countless courses and conferences have been invented and books written on how to teach teachers to teach. But where is the evidence that these efforts have helped students? A 2008 review by the Education Department found that the nation is at "greater risk now" than it was in 1983, and the National Assessment of Educational Progress math scores for 17-year-olds have remained stagnant since the 1980s.
The second question is more fundamental: How much math do you really need in everyday life? Ask yourself that -- and also the next 10 people you meet, say, your plumber, your lawyer, your grocer, your mechanic, your physician or even a math teacher.
Unlike literature, history, politics and music, math has little relevance to everyday life. That courses such as "Quantitative Reasoning" improve critical thinking is an unsubstantiated myth. All the mathematics one needs in real life can be learned in early years without much fuss. Most adults have no contact with math at work, nor do they curl up with an algebra book for relaxation.
Those who do love math and science have been doing very well. Our graduate schools are the best in the world. This "nation at risk" has produced about 140 Nobel laureates since 1983 (about as many as before 1983).
As for the rest, there is no obligation to love math any more than grammar, composition, curfew or washing up after dinner. Why create a need to make it palatable to all and spend taxpayers' money on pointless endeavors without demonstrable results or accountability?
We survived the "New Math" of the 1960s. We will probably survive this math evangelism as well -- thanks to the irrelevance of pedagogical innovation.
The writer is a professor emeritus of mathematics, statistics and computer science at the University of Illinois at Chicago.

lunedì 27 dicembre 2010

Tra i banchi tutto è permesso se c’è di mezzo l’islam



Sempre più provo un sentimento di fastidio nei confronti dell’integralismo religioso, quale che sia la fede coinvolta, senza eccezione alcuna. Sono convinto che esso fornisca uno degli apporti più consistenti alla crescita dell’intolleranza e alla disgregazione della convivenza civile, creando sacche comunitarie autoreferenziali e refrattarie nei confronti di ogni regola condivisa. Un episodio emblematico in tal senso è quello accaduto in una scuola media statale di Reggello (Firenze): da oltre un anno una quindicenne assiste alle lezioni di musica con i tappi alle orecchie per volere di suo padre, un marocchino di fede islamica, che considera la musica un prodotto “impuro” della cultura degli “infedeli”. La faccenda va avanti da molto tempo: pur di non ascoltare la musica la ragazzina si assentava da scuola, per le troppe assenze fu bocciata, vi fu anche una denuncia. Niente da fare. I genitori furono irremovibili.
Tuttavia, l’aspetto più grave della vicenda non è il fatto in sé, l’ennesima manifestazione di becero integralismo neppure giustificato dai precetti coranici, ma il comportamento delle autorità scolastiche. Con l’accordo di insegnanti e genitori è stata trovata una “soluzione”: la ragazzina assiste alle lezioni di musica con i tappi alle orecchie. «La vicenda non va enfatizzata», dichiara la dirigente scolastica, chiaramente preoccupata del clamore sorto attorno alla vicenda. Ed è giusto che clamore vi sia, anzi ve n’è troppo poco. Difatti, è inaudito che un’istituzione scolastica retta dalle leggi dello stato consenta una condizione di frequenza menomata, degradante, al di fuori di qualsiasi regola decente. È estremamente grave che chi ha escogitato questa “soluzione” non si renda conto del gravissimo precedente che, in tal modo, si è creato. E se domani qualcuno si rifiutasse di studiare la Divina Commedia? Si consentirà che non la studi e che venga a scuola con i tappi nelle orecchie e una benda sugli occhi? E se qualcuno si rifiutasse di studiare ogni argomento che contenga riferimenti a religioni diverse dalla propria? Non ci vuole fantasia per immaginare la cataratta si potrebbe aprire se la “deroga” introdotta a Reggello dovesse essere confermata. Sarebbe il caso di dire chiaro e forte che l’Italia è un paese che ha una cultura consolidata nei secoli che costituisce il nerbo dell’insegnamento scolastico, il quale è governato da leggi e regole: se a qualcuno questo non piace è meglio che cerchi una dimora altrove.
Frattanto, leggiamo che a tanto lassismo fa da “pendant” il rigore di un istituto scolastico di Cardano al Campo (Varese), dove la dirigente scolastica ha severamente vietato la benedizione del prete cattolico nella scuola. Si può certamente discutere sulla modalità, in modo che la benedizione non risulti opprimente per alunni di altra fede. Ma colpisce il contrasto tra il lassismo di Reggello nei confronti dell’islam e il rigore di Cardano nei confronti del cattolicesimo. È un contrasto che si ripropone continuamente, in particolare a Natale dove si fa di tutto non soltanto per non fare presepi ma neppure alberi che non siano politicamente corretti: ora vanno di moda quelli decorati con materiali riciclati. La dirigente di Cardano ha dichiarato: «Noi ci occupiamo di istruzione e lo facciamo da scuola di stato non confessionale». Bene. Lo vada a spiegare alla sua collega di Reggello. Sarebbe opportuno che il ministero batta un pugno sul tavolo richiamando a un ricorso più responsabile dell’autonomia scolastica da parte di funzionari che danno tanto scarsa prova di senso istituzionale e del rispetto delle regole e delle leggi, soprattutto quando si tratta di islam.
(Tempi, 22 dicembre 2010)

venerdì 24 dicembre 2010

Dimmi in cosa credi e ti dirò come vedi, l’ultima gag neuroscientifica


Ben tre università – Bologna, Leiden e Ben-Gurion – si sono messe assieme per una ricerca condotta su un campione di soltanto 126 persone volta a misurare “al millesimo di secondo” la prontezza con cui la fede o la laicità influenzerebbero la percezione delle immagini. Il campione era suddiviso in 7 gruppi di 18 persone: 4 gruppi olandesi (calvinisti conservatori e progressisti, atei e atei di formazione religiosa), 2 israeliani (ebrei ortodossi e laici), 2 italiani (cattolici osservanti e laici). I risultati mostrerebbero che i gruppi si sarebbero distinti per un modo di vedere le immagini radicalmente diverso e stabile. In particolare, i laici sarebbero attenti al dettaglio, mentre cattolici osservanti ed ebrei ortodossi sarebbero propensi a una visione sintetica e globale delle immagini. Si aggiunge che le religioni “individualistiche”, come il calvinismo olandese, sarebbero anch’esse attente ai dettagli, a differenza delle religioni orientate alla solidarietà sociale, come il cattolicesimo e l’ebraismo.
Pur senza conoscere i dettagli di questa ricerca, vengono spontanee alcune osservazioni. In primo luogo, l’irrilevanza statistica del campione, addirittura risibile in relazione ai singoli gruppi. Come può essere considerato rappresentativo e significativo rispetto alle attitudini visive un campione di 18 persone? Per rendere irrilevanti gli innumerevoli altri fattori – culturali, fisici, ecc. – che possono influenzare il risultato occorrerebbero campioni di ben altra dimensione e ben miscelati. Ma colpisce soprattutto la leggerezza con cui vengono manipolate le caratterizzazioni culturali. Ammesso che si possa dire che il cattolicesimo e l’ebraismo, e non il calvinismo, siano orientati alla solidarietà sociale, ciò è assai poco credibile per le loro versioni ortodosse. Gli ortodossi sono tendenti al comunitarismo e a un senso di solidarietà ristretto al gruppo e scarsamente interessato (se non ostile) a ciò che accade fuori. È bizzarro considerare un simile atteggiamento come senso di solidarietà sociale in senso proprio. Quando poi i vari fattori culturali vengono associati ai processi visivi si cade nel grottesco. Se c’è qualcuno che può considerarsi attento ai dettagli questi è l’ebreo ortodosso, che passa la giornata a spaccare il capello in quattro per non contravvenire ai 613 precetti. Che una simile ossessione del particolare sia associata a una visione fisica sintetica e globale, è un problema e non una spiegazione di alcunché. E cosa dice il fatto che calvinisti “individualisti” e laici sarebbero entrambi attenti ai particolari: forse il laicismo è di per sé individualista?
Delle due l’una: o i solerti ricercatori hanno scoperto l’assenza di qualsiasi correlazione dotata di senso, oppure hanno usato le categorie culturali (laicismo, religiosità, visione sintetica e globale, individualismo) senza alcuna attenzione per il loro significato. Questa è, con ogni probabilità, la spiegazione. L’unico senso di queste stravaganti “ricerche” è mirare alla dissoluzione dei fattori culturali in fattori di carattere fisico. Insomma è il solito ossessivo materialismo neuromaniaco.
Di fronte allo spettacolo di una scienza che va a arenarsi su queste spiagge non si riesce neanche a ridere. Ma neppure a piangere. Pensando al fatto che una seria e profonda ricerca culturale e antropologica non sarebbe mai stata finanziata, si è assaliti soltanto da un’uggiosa malinconia.
(Il Foglio, 23 dicembre 2010)

domenica 12 dicembre 2010

Il sistema dell'istruzione, le classifiche inattendibili e i test tossici



Secondo le ultime analisi Ocse-Pisa le posizioni della scuola italiana nelle classifiche internazionali sarebbero migliorate. Le considerazioni che vorrei sviluppare si riassumono così: questi dati, come tutte le analisi basate su test, hanno scarsa attendibilità oggettiva e quindi vanno presi con le pinze; inoltre, anche a prenderli per buoni, sono il risultato di una ripresa di rigore disciplinare in direzione opposta agli intenti di chi vorrebbe ridurre la scuola italiana a un sistema aziendale basato sui test e che, con sfrontatezza, tenta in questi giorni di intestarsi questo miglioramento.
Su queste pagine ci siamo già occupati della scarsa attendibilità di test e graduatorie e della necessità di valutare a fondo i sistemi dell’istruzione sulla base dei contenuti dell’insegnamento. Ciò vale anche per l’università e per il sistema della ricerca. Inizierò di qui con qualche esempio.
Di recente, su “Sette”, due giovani italiani che lavorano negli USA e sono diventati personaggi importanti nella Microsoft hanno lamentato l’inesistenza in Italia del sistema meritocratico americano aggiungendo però: «l’Italia vanta un livello di istruzione altissimo, lontano anni luce da quello che si trova qui… a volte durante certe conversazioni si finisce con l’essere imbarazzati per loro». Nel dibattito convulso e fazioso di questi giorni è un luogo comune parlare dell’università italiana come se fosse la sentina del mondo. Al contrario, si esaltano gli USA come se fossero l’Eldorado, come se in quel paese non esistessero le cordate accademiche, non esistessero restrizioni di bilancio, ignorando che grandi università americane hanno persino tagliato gli stipendi. Chi si straccia le vesti sul precariato e aspira al posto fisso non dice che nelle università statunitensi puoi essere cacciato su due piedi anche dopo anni di insegnamento.
Le cattive posizioni delle università italiane nelle classifiche internazionali, dipendono da una quantità di parametri che hanno poco a che fare con la ricerca e la didattica. Basta cambiarli di poco per modificare le graduatorie in modo sorprendente. Non a caso le università migliori sono quelle dei paesi che dettano la scelta dei parametri. Qualche esempio. Nel QS World University Rankings, la Sapienza di Roma è passata in un solo anno dalla posizione 205 alla 190: è bastato aver cura di alcuni aspetti organizzativi, come l’efficienza nella registrazione degli esami. Ma sebbene in posizione modesta, la Sapienza precede università prestigiose come la Technische Universität di Berlino e la Sorbonne parigina (al posto 229). Se poi si guarda a certi settori come le scienze fisico-matematiche e naturali, la Sapienza supera la celebre École Polytechnique di Parigi, la University of California di San Diego, la Humboldt Universität o il Technion di Israele. Mentre è assurdo che l’università di Parigi 6 – uno dei centri migliori al mondo per le scienze – non compaia da nessuna parte. Per altro verso, l’università Bocconi figura al penultimo posto nella graduatoria delle università in scienze e sociali e management, e l’università confindustriale Luiss è introvabile. Forse questo ha infastidito qualcuno. Così il network Vision di laureati italiani con esperienze estere ha redatto una classifica italiana scegliendo parametri diversi e alquanto bizzarri: numero di studenti stranieri sul totale degli iscritti, numero di fuori sede, numero di citazioni non tratte dai consueti database bensì da Google Scholar (considerato, chissà perché, più “semplice” e “trasparente”). Risultato del 2009: i primi tre posti vanno al Politecnico di Milano, all’Università Bocconi e al Politecnico di Torino, seguiti (manco a dirlo, visto quel parametro) dalla Università per Stranieri di Perugia… Un ulteriore aggiustamento ha portato, nel 2010, la Bocconi al primo posto, la Luiss dal decimo al sesto, declassando la Statale di Milano dal quinto al tredicesimo posto…  Mentre nella classifica QS la Sapienza surclassa il Politecnico di Milano (295-esimo) e quello di Torino (451-esimo) nella classifica Vision scende al posto 22. Quale attendibilità ha questa sarabanda di cifre?
La stessa situazione si presenta per la scuola. Leggiamo sui giornali tante statistiche elaborate a partire da test. La serietà di queste analisi non è in discussione. Ma se i dati su cui sono state sviluppate non fossero attendibili esse si ridurrebbero a un semplice esercizio. Insomma, quel che conta è il contenuto dei test proposti. Di questi non si parla mai, non si sa chi li ha preparati né con quale competenza. Ne ho esaminati alcuni e mi si sono rizzati i capelli. Per non dir altro, erano disomogenei in termini di difficoltà. Quali risultati “oggettivi” possono mai ottenersi su simili basi?
Quanto alle statistiche internazionali mi limito a un esempio. Nei commenti si da per scontato che la scuola finlandese sia una delle migliori del mondo. Ma non è tutto oro quel che riluce. Studi recenti hanno messo in discussione quella immagine. Per quanto riguarda la matematica, è chiaro che la Finlandia primeggia in quanto i test Pisa stimano i successi nella matematica pratica ma – come è stato ammesso da autorevoli personalità finlandesi – se valutassero la capacità di intendere i concetti matematici, la Finlandia finirebbe agli ultimi posti. Si insegna una matematica definita da uno specialista come un “soggetto educativo” privo di relazioni con la matematica propriamente detta. Il simbolo “=” è stato soppresso e sostituito con V, che sta per Vastaus, ovvero “risposta”. Ma identificare “=” con “risposta” significa che uno studente non sa più cosa sia un’equazione. Un recente articolo spiega che, se entrate in una macelleria finlandese e chiedete ¾ di chilo di carne, non sarete capiti: dovete dire 750 grammi, perché i numeri sono insegnati soltanto in forma intera o decimale, in quanto digitabile sul calcolatore. Ciò vuol dire che non si sa più cosa sia una frazione e questo è un autentico disastro concettuale.
D’altra parte, nei sondaggi Pisa trionfano anche paesi come la Cina, la Corea o Singapore le cui scuole sono diversissime: ipertradizionaliste, improntate a disciplina, rigore e amore per la conoscenza, in cui l’ossessione per i test è sconosciuta e i bambini usano i pallottolieri, altro che “nativi digitali”. Come mai? Per il semplice motivo che la capacità di risolvere i test “pratici” Ocse-Pisa è un sottoprodotto secondario di una preparazione completa sul piano concettuale e in cui il calcolo mentale la fa da padrone. Uno studente cinese sa risolvere quei problemini ma sa e sa fare anche molto di più. È forse un caso che ormai più della metà dei dottori di ricerca negli USA siano di provenienza asiatica?
Negli ultimi anni in Italia è stata fatta un’iniezione di rigore in un senso più “cinese” che “finlandese”: questa è l’unica spiegazione possibile del piccolo miglioramento che i sondaggi attestano. Ma è indubbio che se, dopo qualche decennio di disastri realizzati dal pedagogismo costruttivista “progressista” – e che non a caso si è stracciato le vesti per le politiche seguite nell’ultimo biennio – esso dovesse cercare una rivincita ripresentandosi sulla scena nelle vesti della tecnocrazia aziendalista, cascheremmo dalla padella nella brace. Difatti, si finirebbe per non parlare più nemmeno alla lontana di conoscenza. L’obbiettivo sarebbe di trasformare la scuola in una macchina volta al successo nei test e in cui l’unica attività sarebbe addestrarsi a superarli. È il miserando “teaching to the test” che ormai è messo in discussione nei paesi in cui è stato implementato. Ma, si sa, noi in Italia raccattiamo le “innovazioni” quando ormai altrove iniziano ad essere accantonate come cibi guasti.
(Il Giornale, 11 dicembre 2010)

mercoledì 8 dicembre 2010

Barenboim, la Walkiria e la Palestina


 Daniel Barenboim è uno dei più grandi musicisti viventi. Le sue interpretazioni come direttore d’orchestra sono contrassegnate da quel particolare stile romantico di impronta furtwängleriana capace di scavare in profondità estenuante gli adagi e di imprimere un ritmo dionisiaco agli allegri. In un recente intervento sulla musica di Wagner – pubblicato dal Corriere della Sera col titolo “Wagner, Israele e i palestinesi” – egli ha mostrato anche di essere un musicista profondamente colto. La sua analisi della musica di Wagner mette in luce gli strati più profondi della tecnica espressiva del musicista – spesso complessa, mai “complicata”, osserva con una formula penetrante – e permette di comprenderne la straordinaria grandezza.
Barenboim inquadra storicamente in modo convincente la figura di Wagner e prende di petto la questione spinosa del suo antisemitismo che lo spinse persino a scrivere un odioso libello dal titolo «Il giudaismo nella musica». Non ho simpatia per la tendenza (oltretutto controproducente) a cercare l’antisemitismo ovunque, anche dove non c’è o è presente in dosi minime. Ma nel caso di Wagner è difficile trovare attenuanti, né Barenboim lo fa. Ricorda un commento di Wagner alla moglie Cosima in cui affermava che, se avesse dovuto riscrivere degli ebrei, avrebbe detto di non avere nulla contro di loro: «è solo che ci sono piombati addosso, tra noi tedeschi, troppo in fretta e non eravamo ancora pronti ad assorbirli»; ma non minimizza le «posizioni antisemitiche estreme» di Wagner, che definì la razza ebraica nemica di ciò che vi è di più nobile nella razza umana. Appare convincente nel sostenere che la musica di Wagner non è in alcun modo un veicolo del suo antisemitismo e che l’appropriazione di Wagner da parte dei nazisti fu un abuso, come denunciò anche il compositore ebreo Ernest Bloch.
Ciò conduce a una questione cruciale. Ha senso proscrivere assieme alle manifestazioni di antisemitismo di una personalità di genio la sua opera in quanto intrinsecamente indistinguibile da tali manifestazioni? Dobbiamo rinunciare alla filosofia di Kant o ai romanzi di Thomas Mann? Dobbiamo liquidare assieme a “La Questione ebraica” di Marx anche Il Capitale? Occorre proscrivere assieme all’antisemitismo di Voltaire anche la sua opera storiografica?
Non voler vedere la complessità e le sfumature della realtà conduce alle condanne totali da “tricoteuses” giacobine. Quindi, se il male e il bene si intersecano e ciò favorisce il riproporsi di pregiudizi razzisti, possiamo seguire Barenboim quando invita gli ebrei israeliani a comprendere i palestinesi e le loro rivendicazioni. Ma qui ci fermiamo, perché il suo invito alla comprensione reciproca non si attiene all’equilibrio richiesto.
Barenboim parla dell’antisemitismo che ha afflitto l’esistenza degli ebrei per secoli. Ma dimentica che l’intellettuale americano-palestinese Edward Said, suo grande amico e collaboratore, sosteneva che gli ebrei non avevano alcun diritto a considerarsi vittime dell’antisemitismo, ma anzi che erano la quintessenza dell’antisemitismo. Oggi il messaggio di Said si ripropone nelle parole di Mahmoud Zahar, leader di Hamas, secondo cui gli ebrei non sono mai stati vittime: «sono stati espulsi per secoli dai paesi europei per la loro implicazione nell’assassinio di imperatori e dirigenti e per la loro tendenza a seminare rancore e discordia nel mondo»; anzi, sono «i primi antisemiti». Ma le rampogne di Barenboim si rivolgono a una parte sola. Quando egli rammenta agli israeliani di aver occupato una terra non vuota, non dice che quella terra fu per secoli l’oggetto del desiderio di generazioni di ebrei. Un artista come lui, il poeta medioevale Yehuda Ha-Levi volle finire i suoi giorni a Gerusalemme e fu trafitto dalla lancia di un saraceno davanti al Muro del pianto. Che dire allora di chi, come il vice ministro per l’informazione del “moderato” Abu Mazen, sostiene che il Muro del pianto è solo il sostegno del terrapieno delle moschee ed è proprietà islamica? La negazione di ogni rapporto tra l’ebraismo e la Palestina può creare comprensione? Cosa di buono può nascere dalla pretesa di azzerare la storia? E dalla richiesta ad una parte soltanto di azzerare la storia?
Sì, questa vicenda rafforza la convinzione che l’animo umano ha facce molteplici e contraddittorie che la mentalità della “tricoteuse” giacobina non lascia comprendere. Per questo, siamo ansiosi di ascoltare l’interpretazione della Walkiria di Barenboim, certi che sarà un grande dono, certi che, anche se l’artista non trasferisce nel contesto della questione israelo-palestinese la stessa limpidezza di giudizio di cui da prova altrove, ciò non interferirà né oggettivamente né soggettivamente con la qualità della sua arte.
(Il Foglio, 7 dicembre 2010 - questa versione è quella integrale non ridotta)

mercoledì 1 dicembre 2010

Là dove c’era l’università ora c’è un ufficio studi parastatale



 Può avere implicazioni molto rilevanti la determinazione dell'Autorità di vigilanza sui contratti e lavori pubblici che consente alle università di partecipare alle gare per l'affidamento dei progetti pubblici. Una nuova prateria si stende di fronte agli atenei. Ma questa prospettiva innesca polemiche virulente e minacce di ricorrere in sede europea. Il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, Gianni Rolando, protesta: «È inaccettabile che un settore composto da migliaia di professionisti, debba fare i conti con la concorrenza delle università che invece dovrebbero accentrare tutti i loro sforzi verso la formazione». È indubbio che, in una situazione di crisi, la concorrenza dell'università mette in grave difficoltà coloro che tradizionalmente concorrono alle gare pubbliche, come ingegneri, architetti, geologi. È una concorrenza pesante perché le università possono svolgere queste attività nelle loro sedi, senza spendere un centesimo per affitti, energia e l'accesso alle banche dati, a differenza dei privati. D'altra parte, questa porta spalancata alle università rappresenta una sorta di bocchetta di ossigeno in una situazione di drammatica carenza di fondi: allo stato dei fatti, se non vi sarà rifinanziamento da parte del governo, il taglio dei fondi di dotazione ordinaria per il 2011 equivale a chiudere tutti gli atenei, anche i più virtuosi, e quindi è da attendersi che ci si getterà a capofitto nella nuova opportunità.
Questa vicenda è molto significativa perché permette di capire che sono nel giusto coloro che denunciano la tendenza a trasformare l'università in qualcosa di diverso rispetto alla funzione istituzionale che essa ha in qualsiasi parte del mondo: dal ruolo di alta formazione a quello di ufficio studi e di consulenza per le aziende sul territorio. Se si tagliano eccessivamente i fondi e si costringono le università a cercare quattrini in attività esterne, in particolare di consulenza, l'attenzione per la formazione si attenua e si verifica quel che denuncia Rolando: una «distrazione dell'università dalla sua missione». Non si capisce – egli prosegue «perché un docente, pagato per svolgere attività didattica, dovrebbe distogliere la sua attenzione per dedicarsi alle gare». Invece si capisce benissimo, e il perché lo ha spiegato il direttore generale della Luiss, l'università di Confindustria, Pier Luigi Celli, dicendo che bisogna «togliere la governance totale dell'università all'accademia. E aprirla alle imprese, alle istituzioni, alla società civile».
Si chiede qualcosa che non esiste neppure nelle università statunitensi private, dove i docenti conservano un ruolo determinante nella governance. E quantomeno là i privati pagano. Qui, invece, secondo il tipico modello dell'industria assistita italiana, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca: un'università che fa lavoro di consulenza a bassi costi per le aziende le quali, oltre a spendere meno, non contribuiscono con un centesimo e, per giunta, si accaparrano il controllo totale. Insomma, è l'università come ufficio studi e consulenze confindustriale. Non è la via per costruire istituzioni prestigiose: le più grandi università del mondo non sono certamente famose perché fanno consulenza sul territorio. Ma di che stupirsi? Per capire cosa produca questo modello basta cercare la posizione della Luiss nelle classifiche internazionali delle università (in quelle internazionali, non in quelle nazionali addomesticate). È semplicemente introvabile.
Questa è la filosofia del capitalismo italiano: spremere la mucca statale per ottenere il massimo vantaggio possibile in tempi minimi, a costo di farla schiattare.

(Tempi, 1 dicembre 2010)

domenica 28 novembre 2010

Le ipocrisie sulla pelle dell’università dei suoi fasulli paladini



Questa riforma universitaria contiene molte cose buone come il sistema di reclutamento, altre discutibili, come un eccesso di dirigismo e di minuzia normativa e un assetto della governance che concede troppo a manager esterni di dubbia qualifica. Ma altro che discutere: siamo in piena sagra dell’ipocrisia e della demagogia persino violenta.
Forze politiche e universitarie che hanno taciuto di fronte a riforme efferate (come quella del cosiddetto 3 + 2) che hanno condotto l’università nell’attuale stato di degrado e che hanno taciuto di fronte a tagli di finanziamenti non meno imponenti, urlano come se venisse giù il mondo. Questa riforma è stata patrocinata in buona misura dal Pd che però ora, per ragioni di ben altra natura, sale a cantare “Bella ciao” sui tetti. È poi divenuto un indecente sport nazionale rovesciare tonnellate di immondizia sull’università ogni volta che se ne discute in Parlamento. Con lo stile del bue che da del cornuto all’asino, un mondo politico che ha colpe enormi in materia parla dei docenti universitari come “ignoranti” e “nullafacenti”. Come se, malgrado tutto, la Facoltà di Scienze della Sapienza di Roma non venisse avanti alla prestigiosa École Polytechique parigina nelle graduatorie internazionali, per fare soltanto un esempio. Nelle quali graduatorie sono introvabili università private gestite da un mondo industriale che nonostante ciò si sente titolato a far la lezione su quella pubblica. Il gioco a parlare di “merito” per l’università è una colossale ipocrisia, dato che non si ha il coraggio di parlarne per la magistratura o per la scuola, dove in silenzio sono stati ripristinati gli scatti di anzianità per tutti, senza alcun legame con il merito. Sarebbe anche da aggiungere che per la scuola, i primi modelli sperimentali di premio del merito sono basati su criteri che, se introdotti all’università, farebbero gridare al prepotere dei baroni; il quale, visibilmente, è ormai una barzelletta, forse perché i docenti universitari non hanno né un Consiglio Superiore né una rappresentanza sindacale.
Vedremo come finirà la sagra. Ma vi sono due questioni in ballo che ne rappresentano la manifestazione estrema e di cui sono ambigui protagonisti i “finiani”. Si parla continuamente dei ricercatori come “precari”, e magari chi legge le cronache ci crede, mentre i ricercatori sono dipendenti stabili che vanno in pensione a 65 anni. Ora, se si tratta di trovare quattrini per inquadrare nel ruolo di associati quei ricercatori che hanno già vinto un concorso, nulla da dire. Se si tratta di garantire a 4500 (alcuni parlano di 9000) ricercatori dei concorsi riservati per il passaggio ad associato, allora si tratta di un ope legis malamente mascherato, un atto demagogico che rischia di scassare la riforma prima ancora che parta. Poi c’è la questione del ripristino di scatti di anzianità “meritocratici”, ovvero legati al merito. Anche qui circola la strana voce che debbano riguardare solo i più giovani. A parte l’ossimoro di scatti di “anzianità” per i “giovani” – che suscita notevole ilarità in giro – è grottesco che come primo titolo “meritocratico” venga introdotto quello dell’età. Secondo questo criterio gli “asini” di cui sarebbe piena l’università sarebbero soltanto i professori anziani. Se invece si tratta di una scelta demagogica, per ingraziarsi coloro che non sono prossimi a togliersi di torno andando in pensione, allora lo si dica senza camuffarsi dietro la parola “meritocrazia”.
In conclusione, tutta la vicenda si sta rivelando come una partita puramente politica attorno alle sorti del governo in cui i temi dell’università e del suo assetto sono un mero pretesto per atteggiarsi a paladini (fasulli) del rigore e della cultura.
(Il Foglio, 26 novembre 2010)

sabato 27 novembre 2010

Difendiamo l'Universita' dalla Demagogia

E OGGI (DICEMBRE 2012) AGGIUNGO A COMMENTO QUANTO SEGUE:
Come tanti firmai questo appello sperando che l'intenzione dichiarata di alleggerire l'università dalla burocrazia e dal dirigismo, e introducendo criteri di merito autentici, sarebbe stato un giovamento. Già allora fummo in tanti ad avvertire che si doveva essere fedeli al principio che la valutazione si fa a valle e non a monte, e che si doveva evitare l'uso meccanica di criteri bibliometrici. Ebbi il modo di dirlo con chiarezza sia in un incontro a Bologna, presenti i presidenti delle commissioni parlamentari, sia in un incontro del gruppo interparlamentare della sussidiarietà alla Camera, insistendo su entrambi i punti. Il capo dell'ufficio tecnico del Miur mi rispose indispettito sostenendo che non vi era motivo alcuno di ritenere che si sarebbe ricorsi alla bibliometria.
E ora ecco dove siamo, a seguito di stravolgimenti della riforma e soprattutto di decreti attuativi indecorosi. La valutazione è tutta a monte, in mano a un ente come l'Anvur che gestisce tutto d'imperio con stile sovietico-bottaiano (ognuno scelga il riferimento che preferisce), e la bibliometria impazza con le demenziali mediane.
Perciò, oggi come oggi, dopo quello che è accaduto - in un paese in cui ad averla vinta è sempre centralismo burocratico e ufficio complicazione affari semplici – questo appello non lo firmerei più. E come me tanti dei firmatari, posso ben dirlo.

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Per aderire a questo appello rispondere a questo messaggio o inviare una mail a difendiamoluniversita@gmail.com, specificando il proprio nome e cognome, l'incarico e l'Universita' di appartenenza.


Difendiamo l'Universita' dalla Demagogia

E’ troppo tempo che l’Universita' italiana ha bisogno di una cura incisiva ed efficace. E' troppo tempo che il mondo accademico aspetta una riforma capace di restituirgli il prestigio perduto. E' troppo tempo che gli studenti italiani bravi e meritevoli non hanno più la possibilita' di frequentare istituzioni universitarie competitive rispetto al resto dell’Europa e del mondo.
Pertanto i sottoscritti docenti universitari intendono ribadire il loro generale apprezzamento per il disegno di legge sull’Universita' in discussione in queste ore alla Camera.
Per più di un motivo:
- perche' riorganizza e moralizza gli organi di governo degli atenei;
- perche' limita la frantumazione delle sedi universitarie, dei corsi di laurea e dei dipartimenti;
- perche' introduce norme più efficaci e razionali per il reclutamento dei docenti;
- perche' stabilisce regole certe e trasparenti per disciplinare i casi di disavanzo finanziario e di mala gestione;
- perche' fissa dei criteri di valutazione per le singole sedi universitarie e per i singoli professori;
questo provvedimento rappresenta un passo nella direzione giusta per cercare di far uscire l’Universita' italiana dallo stato di grave prostrazione in cui essa si trova.
Tutto e' sempre migliorabile; anche questo disegno di legge lo e'. Ma non ci sembra ne' logico ne' onesto invocare la diminuzione dei finanziamenti all’intero comparto dell’istruzione, provocati dalla difficile situazione finanziaria del Paese, come una buona ragione per respingere il provvedimento. Tanto più adesso che il governo sembra si stia trovando le risorse utili per avviare il necessario processo riformatore.
Ci sembra, inoltre, intollerabile che, dopo anni e anni di tanto sistematico quanto sterile ostruzionismo, una parte del mondo universitario e del corpo studentesco prepotente nei comportamenti ma modesto nelle dimensioni abbia saputo produrre solo una protesta demagogica fine a se stessa, dando spazio alla violenza di piazza e contribuendo al contempo a lasciare gli Atenei italiani fermi nel loro attuale stato di crisi.

Firme:







MARIO ACAMPORA Università degli Studi di Padova
ELENA AGA ROSSI Università degli Studi dell'Aquila
MARIA PIA ALBERZONI Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
LEONARDO ALLODI Università degli Studi Bologna
CLELIA ALTIERI Università degli Studi di Foggia
RENZO ALZETTA Università degli Studi di Trieste
FRANCESCA AMATI Università degli Studi di Roma Tor Vergata
ANTONIO AMBROSETTI Università degli Studi di Trieste
MICHELE AMORENA Università degli Studi di Teramo
FELICE ANCORA Università degli Studi di Cagliari
CARLA ANDREANI Università degli Studi di Roma Tor Vergata
LUCA ANSELMI Università degli Studi di Pisa
IPPOLITO ANTONINI Università degli Studi di Camerino
ANNAMARIA ARCARI Università degli Studi dell'Insubria
REMO ARDUINI Università degli Studi di Milano
PAOLO ARMAROLI Università degli Studi di Genova
MARIO ASCHERI Università degli Studi di Roma Tre
DEODATO ASSANELLI Università degli Studi di Brescia
FRANCESCO ASTA Università degli Studi di Palermo
FRANCESCO ASTONE Università degli Studi di Messina
ANDREA ATREI Università degli Studi di Siena
ALBERTO AUDENINO Politecnico di Torino
GIAN CARLO AVANZI Università degli Studi del Piemonte Orientale A. Avogadro
GEREMIA B. BOLLI Università degli Studi di Perugia
GIACINTO BACIARELLO Università degli Studi di Roma La Sapienza
PIERO BAGLIONI Università degli Studi di Firenze
MAURIZIO BALESTRINO Università degli Studi di Genova
GRAZIANO BARBERA Università Vita Salute San Raffaele
GIULIANO BARSOTTI Università degli Studi di Pisa
CLARA BARTOCCI Università degli Studi di Perugia
ADRIANA BASILE Università degli Studi di Napoli Federico II
LUIGI MARCO  BASSANI Università degli Studi di Milano
CRISTINA BASSO Università degli Studi di Padova
GIUSEPPE BEDESCHI Università degli Studi di Roma La Sapienza
SERGIO BELARDINELLI Università degli Studi di Bologna
CARLO BELLIENI Università degli Studi di Siena
GIUSEPPE BERSANI Università degli Studi di Roma La Sapienza
PIERALBERTO BERTAZZI Università degli Studi di Milano
EUGENIO BERTELLI Università degli Studi di Siena
FABRIZIO BERTI Università degli Studi di Bologna
GIORGIO BERTON Università degli Studi di Verona
GIUSEPPE BERTONI Università Cattolica del Sacro Cuore
LUIGI MARZIO BIASUCCI Università Cattolica del Sacro Cuore
EZIO BIGLIERI Politecnico di Torino
STEFANO BOCCALETTI Università Cattolica del Sacro Cuore
MONICA BOCCHIA Università degli Studi di Siena
ROSANGELA BOCCHIO Università degli Studi di Milano
ANTONIO BODINI Università degli Studi di Parma
GIANFRANCO BOFFA Politecnico di Torino
CRISTIANO BOITI Università degli Studi di Perugia
DONATELLA BOLECH CECCHI  Università degli Studi di Pavia
LUCIA BONFRESCHI LUISS GUIDO CARLI
ANNA BONO Università degli Studi di Torino
CORRADO BORAGNO Università degli Studi di Genova
GIANLUIGI BORGATO Università degli Studi di Padova
FLAVIO BOSCACCI Politecnico di Milano
PATRIZIA BOTTA Università degli Studi di Roma La Sapienza
LIVIO BOTTANI Università degli Studi del Piemonte Orientale
CARLO BOTTARI Università degli Studi di Bologna
SALVATORE BOZZARO Università degli Studi di Torino
MARIO BRESSAN Università degli Studi di Chieti - Pescara
LUIGI BRUGNANO Università degli Studi di Firenze
FRANCESCO BRUNO Università degli Studi di Napoli Federico II
MICHELE BUQUICCHIO Università degli Studi di Bari
GIUSEPPE BURRAFATO Università degli Studi di Catania
GUIDO BUSCA Università degli Studi di Genova
SILVESTRE BUSCEMI Università degli Studi di Palermo
EZIO BUSSOLETTI Università degli Studi di Lecce
FEDERICO BUSSOLINO Università degli Studi di Torino
ERNESTO BUZANO Università degli Studi di Torino
CLAUDIO CACCIAMANI Università degli Studi di Parma
ERNESTO CAFFO Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
GIOVANNI CALABRIA Università degli Studi di Genova
VIOLA CALABRO Università degli Studi di Napoli Federico II
FRANCESCO CAMBULI Università degli Studi di Cagliari
ANDREA CAMPERIO CIANI Università degli Studi di Padova
LEONARDO CANNAVO' Università degli Studi di Roma La Sapienza
EUGENIO CAPOZZI Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
IGNAZIO CARABELLESE Politecnico di Bari
ANGELA CARACCIOLO ARICO' Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
ANNA MARIA  CARAFA Università degli Studi di Napoli Federico II
ELISABETTA CARAMELLI Università degli Studi di Bologna
LUIGI CARAMIELLO Università degli Studi di Napoli Federico II
BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO Università degli Studi di Roma La Sapienza
GABRIELLA CARISTI Università degli Studi di Trieste
GIOVANNI MARIA CARLOMAGNO Università degli Studi di Napoli Federico II
ANNA MARIA  CAROLI Università degli Studi di Brescia
ROSARIO CARUSO Università degli Studi di Messina
SALVATORE CASALE Università degli Studi di Catania
NARCO CASTELLANI Università degli Studi dell'Aquila
PATRIZIO M. CASTELLI Università degli Studi dell'Insubria
PAOLO CASTELNUOVO Università degli Studi dell'Insubria
MARIA  CATRICALA' Università degli Studi di Roma Tre
DONATELLA CAVANNA Università degli Studi di Genova
GIORGIO CAVICCHIONI Università degli Studi di Ferrara
ENRICO CAVINA Università degli Studi di Pisa
GIULIANO CAZZOLA Università degli Studi di Bologna
PIA GRAZIA CELOZZI BALDELLI Università degli Studi di Roma Tre
ROBERTO CERIONI Università degli Studi di Parma
CESARE CERRI Università degli Studi di Milano Bicocca
GIANCARLO CESANA Università degli Studi di Milano Bicocca
BERNARDINO CHIAIA Politecnico di Torino
ACHILLE CHIAPPETTI Università degli Studi di Roma La Sapienza
ROBERTO CHIARINI Università degli Studi di Milano
ADRIANA CHILLIN Università degli Studi di Padova
CLAUDIO CHIOLA Università degli Studi di Roma La Sapienza
EMILIO CHIRONE Università degli Studi di Brescia
MASSIMO CIAMBOTTI Università degli Studi di Urbino
ROBERTO CINGOLANI Università degli Studi di Lecce
FABIO CINTIOLI Libera Università San Pio V
MARIA LAURA  CIOMPI Università degli Studi di Pisa
MASSIMO CIRILLO Seconda Università degli Studi di Napoli
TIZIANA CIVERA Università degli Studi di Torino
FRANCESCO CLEMENTI Università degli Studi di Milano
MARIO CLERICI Università degli Studi di Milano
MARINA CLERICO Politecnico di Torino
LUCA CODIGNOLA Università degli Studi di Genova
DINO COFRANCESCO Università degli Studi di Genova
DANIELA COLI Università degli Studi di Firenze
GIUSEPPE COLOMBO Università Cattolica del Sacro Cuore
ANGELA CONTE Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
MARIA ADELAIDE CONTINENZA Università degli Studi dell'Aquila
PATRICK J. COPPOCK Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
ANDREA CORVI Università degli Studi di Firenze
AUGUSTO COSENTINO Università degli Studi della Calabria
PASQUALE COSTANZO Università degli Studi di Genova
GIROLAMO COTRONEO Università degli Studi di Messina
MAURIZIO COTTA Università degli Studi di Siena
PIERO CRAVERI Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
GIOVANNELLA CRESCI Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
ANTONELLO CRISCI Università degli Studi di Napoli Federico II
RENATO CRISTIN Università degli Studi di Trieste
RAIMONDO CUBEDDU Università degli Studi di Pisa
MARIA PIA CUNICO Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
ALBERTO CUOMO Università di Napoli
LUISA CUSINA Università degli Studi di Trieste
FRANCAMARIA D’ALESSANDRO Università degli Studi di Catania
FRANCESCO D'AGOSTINO Università degli Studi di Roma Tor Vergata
LEONARDO DAMIANI Politecnico di Bari
VITO DANIELE Politecnico di Torino
BRUNO DANIELI Università degli Studi di Milano
PIERO DE DOMINI Università degli Studi di Siena
DOMENICO DE FALCO Seconda Università degli Studi di Napoli
BIAGIO DE GIOVANNI Università degli Studi di Napoli L'Orientale
LEONARDO DE LEO Università degli Studi della Calabria 
PIETRO DE LEO Università degli Studi della Calabria
MASSIMO DE LEONARDIS Università Cattolica del Sacro Cuore
PIETRO DE MARCO Università degli Studi di Firenze Istituto Superiore di Scienze Religiose
ROBERTO DE MATTEI  Università Europea di Roma
FRANCESCO DE NOTARISTEFANI Università degli Studi di Roma Tre
GIUSEPPE DE VERGOTTINI Università degli Studi di Bologna
FLAVIA MARIA DE VITT Università degli Studi di Udine
ANTONIO DEL POZZO Università degli Studi di Messina
RICCARDO DEL PUNTA Università degli Studi di Firenze
DIONISIO DEL VESCOVO Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIOVANNI DELOGU Università Cattolica del Sacro Cuore
FILIPPO MARIA  DENARO Seconda Università degli Studi di Napoli
ANTONIO DESSANTI Università degli Studi di Sassari
MARIARITA DESSI’ Università degli Studi di Roma Tor Vergata
ENRICO DESSY Università degli Studi di Brescia
RICCARDO DESTRO Università degli Studi di Milano
ANNA GLORIA DEVOTI Università degli Studi di Siena
LEONARDO DI CARLO Università degli Studi di Foggia
GIUSEPPE DI MAIO Seconda Università degli Studi di Napoli
ENNIO DI NOLFO Università degli Studi di Firenze
EUGENIO DI RIENZO Università degli Studi di Roma La Sapienza
MARCO DIANA Università degli Studi di Sassari
GIORGIO DILLON Università degli Studi di Genova
GIANLORENZO DIONIGI Università degli Studi dell'Insubria
ANNIBALE DONINI Università degli Studi di Perugia
ANTONIO DONNO Università degli Studi del Salento
GIANNI DONNO Università degli Studi di Lecce
WALTER DORIGO Università di Firenze
PIETRO DRI Università degli Studi di Trieste
ALFREDO DUPASQUIER Politecnico di Milano
GIACOMO ELIAS Università degli Studi di Milano
MARCO ELLI Università degli Studi di Milano
ASSUNTA ESPOSITO Università La Sapienza
ENRICO FACCO Università degli Studi di Padova
MASSIMO FANFANI Università degli Studi di Firenze
STEFANO FANTONI Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati - SISSA - Trieste
GIUSEPPE FELLONI Università degli Studi di Genova
CLAIRE FENNELL Università degli Studi di Trieste
ALBERTO FENZI Università degli Studi di Verona
GIUSEPPE FERA Università degli Studi  "Mediterranea" di Reggio Calabria
GIOVANNI FERRARIS Università degli Studi di Torino
RUGGERO FERRO Università degli Studi di Verona
ALESSANDRO FINZI Università degli Studi di Viterbo La Tuscia
VINCENZO FIORENTINI Università degli Studi di Cagliari
Angelo Fiori Università Cattolica del Sacro Cuore e Campus Biomedico di Roms
SILVANO FOCARDI Università degli Studi di Siena
MARIO FONTANA Università degli Studi di Roma La Sapienza
FRANCESCO FORTE Università degli Studi di Roma La Sapienza
Marcello FOSCHINI LUISS GUIDO CARLI
RENATA  FRANCHI  Università degli Studi di Parma
MASSIMO FRANCO Università degli Studi di Bari
DARIO FRISIO Università degli Studi di Milano
TOMMASO EDOARDO FROSINI Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
CARLO FUSARO Università degli Studi di Firenze
STEFANIA FUSCAGNI Università degli Studi di Firenze
PIERO GAGLIARDO Università degli Studi della Calabria
GAETANO GALANTE Università degli Studi di Napoli Federico II
GIORGIO GALANTI Università degli Studi di Firenze
MICHELE GALEOTTI Università degli Studi di Roma La Sapienza
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA Università Vita-Salute San Raffaele
FABIO GALVANO Università degli Studi di Catania
ATTILIO GARDINI Università degli Studi di Bologna
ANDREA GATTO Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
GIANCARLO GENTA Politecnico di Torino
CARLO GHISALBERTI Università degli Studi di Roma La Sapienza
CRISTINA GIACOMA Politecnico di Torino
FABIO GIANNONI Università degli Studi di Camerino
PINA GIARRUSSO Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIOVANNI GIAVELLI Università degli Studi di Parma
PIERO GILI Politecnico di Torino
NICOLA GIOCOLI Università degli Studi di Pisa
PAOLA  GIORDANO Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
ALESSANDRO GIORGETTI Università degli Studi di Firenze
CLAUDIO GIORGI Università degli Studi di Brescia
ORAZIO GIUSTOLISI Università degli Studi di Bari
ANTONIO GODINO Università degli Studi del Salento
ALFREDO GORIO Università degli Studi di Milano
BRUNO GRANCELLI Università degli Studi di Trento
FABIO GRASSI ORSINI Università degli Studi di Siena
MAURIZIO GRASSINI Università degli Studi di Firenze
ROBERTO GRECO Università degli Studi di Napoli
MAURO GREPPI Università degli Studi di Milano
STEFANO GRESTA Università degli Studi di Catania
MAURIZIO GRIFFO Università degli Studi di Napoli Federico II
PIETRO GRILLI DI CORTONA Università degli Studi di Roma Tre
FLAVIA GROPPI Università degli Studi di Milano
FRANCESCO GUERRERA Università degli Studi di Urbino
LUCIANO GUERRIERO Politecnico di Bari
GUGLIELMO GUGLIELMI Politecnico di Torino
LAURA GUIDOTTI Università degli Studi di Bologna
GIORGIO GUIZZETTI Università degli Studi di Pavia
UGO GULINI Università degli Studi di Camerino
GIUSEPPE GULLINO Università degli Studi di Padova
MARIA LUDOVICA GULLINO Università degli Studi di Torino
ERNESTO GUZZANO Università degli Studi di Torino
GIULIO IANNELLO Università Campus Biomedico di Roma
SEBASTIANO IMPOSA Università degli Studi di Catania
BRUNA INGRAO Università degli Studi di Roma La Sapienza
SERGIO INVERNIZZI Uiversità degli Studi di Trieste
BENEDETTO IPPOLITO Università degli Studi di Roma Tre
GIORGIO ISRAEL Università degli Studi di Roma La Sapienza
GALEAZZO IMPICCIATORE Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIULIANA IURLANO Università degli Studi del Salento
PIETRO JOLI ZORATTINI Università degli Studi di Udine
SERGIO LA CHINA Università degli Studi di Genova
GIAMPAOLO LADU Università degli Studi di Cagliari
ALDO LAURENTINI Politecnico di Torino
FABIO LAVAGETTO Università degli Studi di Genova
GIAN LUIGI LENZI Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIUSEPPE LEONE Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Universitario Agostino Gemelli
VITTORIA LO FARO Libera Università San Pio V
CLAUDIO LO STERZO Università degli Studi di Teramo
EVANDRO LODI-RIZZINI Università degli Studi di Brescia
MAURIZIO LOGOZZO Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
GIUSEPPE O. LONGO Università degli Studi di Trieste
GIOVANNI LUCHENA Università degli Studi di Bari
SILVIO  LUGNANO Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
MARCO LUISE Università degli Studi di Pisa
FRANCESCO PIO LUISO Università degli Studi di Pisa
FRANCESCO MACARIO Università degli Studi di Roma Tre
Patrizia Macera  Università degli Studi di Pisa
PAOLO MACRY Università degli Studi di Napoli Federico II
TOMMASO MAGGIORE Università degli Studi di Milano
MARIO MAGO CLERICI Università degli Studi di Milano
LAURA MALECI Università degli Studi di Firenze
Franco  Maloberti Università di Pavia
STEFANO MARGARITORA Università del Sacro Cuore
FRANCESCO MARTELLI Università degli Studi di Firenze
SALVATORE MASALA Università degli Studi di Roma Tor Vergata
SANDRO MATTIOLI Università degli Studi di Bologna
DOMENICO MAUGERI Università degli Studi di Catania
MARCO MAZZAMUTO Università degli Studi di Palermo
ROBERTO MAZZEI Università degli Studi di Sassari
PIER GINO MEGALE Università degli Studi di Pisa
VALERIO MELANDRI Università degli Studi di Bologna
FELICE MENICACCI Università degli Studi di Siena
MANUELA MERLI Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIORGIO MIRANDOLA Università degli Studi di bergamo
MAURIZIO MONACI Università degli Studi di Perugia
RAFFAELE MONTAGNANI Università degli Studi di Pisa
FABIO MORA Università degli Studi di Messina
ANTONIO MORETTI Università degli Studi dell'Aquila
GIACOMO MORPURGO Università degli Studi di Genova
FILIPPO MARIA  MOTTA Università degli Studi di Pisa
GIANCARLO MOVIA Università degli Studi di Cagliari
ARMIDA MUCCI Seconda Università degli Studi di Napoli
LUIGI MUSELLA Università degli Studi di Napoli Federico II
STEFANIA NANNI Università degli Studi di Roma La Sapienza
CARLO NATALI Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
LUIGI NAVAS Università degli Studi di Napoli
IDA NICOTRA Università degli Studi di Catania
ALBERTO NOCENTINI Università degli Studi di Firenze
ANDREA NOVELLI Università degli Studi di Firenze
FRANCESCO OCCHIUTO Università degli Studi di Messina
MARIO OLIVARI Università degli Studi di Cagliari
TITO ORLANDI Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIOVANNI ORLANDI Università degli Studi di Firenze
GIOVANNI ORSINA LUISS GUIDO CARLI
ANTONIO OSCULATI Università degli Studi dell'Insubria
FABIO PADOVANO Università degli Studi di Roma Tre
PAOLO PALATINO Università degli Studi di Padova
ROBERTO PALLINI Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
FABIO PAMMOLLI Università degli Studi di Firenze
ANNA PANDOLFI Politecnico di Milano
GIULIANO PANE Università degli Studi di Napoli Federico II
PAOLO PAOLUZZI Università degli Studi di Roma La Sapienza
MICHELE PAPA Università degli Studi di Firenze
FEDERICO PAPINESCH Università degli Studi di Pisa
MASSIMO PARADISO Università degli Studi di Catania
GIUSEPPE PARLATO Libera Università San Pio V
LUCILLA PARNETTI Università degli Studi di Perugia
RENATO PASQUALI Università degli Studi di Bologna
PAOLO PASTI Università degli Studi di Padova
BIAGIO PECORINO Università degli Studi di Catania
PAOLO PEDERZOLI Università degli Studi di Verona
LUCIANO LUIGI PELLICANI LUISS GUIDO CARLI
ANTONINO PENNISI Università degli Studi di Messina
GIUSEPPE PENNISI Università Europea di Roma
FRANCESCO PERFETTI LUISS GUIDO CARLI
GUIDO PERIN Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
ROBERTO PERTICI Università degli Studi di Bergamo
GUIDO PESCOSOLIDO Università degli Studi di Roma La Sapienza
ROBERTO PETROLANI Università degli Studi di Milano
GREGORIO PIAIA Università degli Studi di Padova
AMEDEO PIETRI Università Cattolica del Sacro Cuore
FEDERICO PIGLIONE Politecnico di Torino
GIUSEPPE PILLONI Università degli Studi di Padova
CARLO PINCELLI Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
ALESSANDRO PINI Università degli Studi di Siena
FRANCO PIRRI Università degli Studi di Firenze
MICHELE PISANTE Università degli Studi di Teramo
GIOVANNI PITRUZZELLA Università degli Studi di Palermo
PAOLA PITTAU Università degli Studi di Cagliari
GUIDO PIZZELLA Università degli Studi di Roma Tor Vergata
MAURO PODDA Università degli Studi di Milano
NELLO POLESE Università degli Studi di Napoli Federico II
VALERIA POLONIO FELLONI Università degli Studi di Genova
PAOLO POMBENI Università degli Studi di Bologna
CARLO POMPEI Università degli Studi di Milano
EUGENIO POMPEO Università degli Studi di Roma Tor Vergata
MIRELLA PONTELLO Università degli Studi di Roma La Sapienza
VITTORIA POSSENTI Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
GIORGIO PRADERIO Università degli Studi di Bologna
ROBERTO PRETOLANI Università degli Studi di Milano
GRAZYNA PTAK Università degli Studi di Teramo
PAOLO EMILIO PUDDU Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIGLIOLA PUPPI Università degli Studi di Roma La Sapienza
FABIANA QUAGLIA Università degli Studi di Napoli Federico II
PAOLO RANDACCIO Università degli Studi di Cagliari
FRANCO ORESTE RANELLETTI  Università Cattolica del Sacro Cuore Roma
MATTEO RANIERI Politecnico di Bari
STEFANO RAPISARDA Università degli Studi di Catania
MARCO RAVERA Università degli Studi di Torino
DOMENICO REGOLI Università degli Studi di Ferrara
GIOVANNI RESTA Università degli Studi di Genova
GIAMPAOLO RICCI Università degli Studi di Bologna
UGO RIGONI Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
SEBASTIANO RIZZO Università degli Studi del Salento
RENATO RIZZOLI Università degli Studi di Torino
VITTORIO RIZZOLI Università degli Studi di Parma
CESARE RODA Università degli Studi di Udine
FRANCO ROSA Università degli Studi di Udine
ANNALISA ROSSI Università degli Studi di Bari
AROLDO ROSSI Università degli Studi di Perugia
MICHELA ROSSI Politecnico di Milano
MARIA CLARA RUGGERI Università degli Studi di Palermo
MARIA VITTORIA RUSSO Università degli Studi di Roma La Sapienza
DARIO SACCHETTI Università degli Studi di Roma La Sapienza
CLAUDIO SANGIORGI Politecnico di Milano
ANGELO SANTAGOSTINO Università degli Studi di Brescia
ALBA P. SANTO Università degli Studi di Firenze
FRANCESCO SAVERIO PAPADIA Università degli Studi di Genova
LAURA SBORDONE Università degli Studi di Napoli Federico II
MARCO SCALERANDI Politecnico di Torino
CESARE SCANDELLARI Università degli Studi di Padova
LUCETTA SCARAFFIA Università degli Studi di Roma La Sapienza
FRANCA SCIARAFFIA Università degli Studi di Milano
GIUSEPPE SCIDA’ Università degli Studi di Bologna
GIANFRANCO SCORRANO Università degli Studi di Padova
NICOLETTA SCOTTI Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
VITTORIO SCRIBANO Università degli Studi di Catania
FRANCESCO SECHI Università degli Studi di Sassari
SALVATORE SECHI Università degli Studi di Firenze
RENATO SEEBER Università degli Studi di Modena e Reggio Emilila
GIOVANNI SERRA Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa
MONICA SIENA TANGHERONI Università degli Studi di Pisa
VINCENZO SIMEONE Università degli Studi di Bari
BIAGIO SIMONETTI Università degli Studi del Sannio
BRUNO SITZIA Università degli Studi di Milano Luigi Bocconi
CARLO SOAVE Università degli Studi di Milano
LUCA SOLARI Università degli Studi di Milano
GIULIO SOLDANI Università degli Studi di Pisa
GIGLIOLA SOLDI RONDINI Università degli Studi di Milano
ERNESTO SOMMA Università degli Studi di Bari
DAVIDE SPARTI Università degli Studi di Siena
DOMENICO SPINELLI Università degli Studi di Bologna
MAURIZIO SPOLITI Università degli Studi di Roma La Sapienza
ROBERTA STRAPPINI Università degli Studi di Roma La Sapienza
GIANCARLO SUCCI Libera Università di Bolzano
GIUSEPPE TAGLIOLI Università degli Studi di Bologna
CATERINA TANZARELLA Università degli Studi di Roma Tre
BRUNA TELLIA Università degli Studi di Udine
GIUSEPPE TISONE Università degli Studi di Roma Tor Vergata
FRANCO TOGNONI Università degli Studi di Pisa
ROBERTO TOMATIS  Università degli Studi di Ferrara
MARIO TONIN Università degli Studi di Padova
ANTONIO TONIOLO Università degli Studi dell'Insubria
DONATO TRIGIANTE Università degli Studi di Firenze
GIACONO TRIPODI Università degli Studi di Messina
PIERO TUNDO Università degli Studi di Venezia Cà Foscari
NICOLA A. UCCELLA Università degli Studi della Calabria
CARLO VALENTE Università degli Studi di Perugia
FOSCO VALOROSI Università degli Studi di Perugia
BIANCA VALOTA CAVALLOTTI Università degli Studi di Milano
GIAN MARIA VARANINI Università degli Studi di Padova
DANIELA VERDUCCI Università degli Studi di Macerata
STEFANIA VERGATI Università degli Studi di Roma La Sapienza
PAOLO VESTRUCCI Università degli Studi di Bologna
ANDREA VINDIGNI Princetown University
LORENZO VIOLINI Università degli Studi di Milano
SILVIO VITA Università degli Studi di Roma La Sapienza
RAFFAELE VITIELLO Università degli Studi di Roma La Sapienza
ANDREA ZAMBRINI Università degli Studi di Viterbo La Tuscia
MARCELLO  ZANATTA Università degli Studi della Calabria
AUGUSTO ZANELLA Università degli Studi di Padova
GIOVANNI ZANINOTTO Università degli Studi di Padova
NICOLETTA ZANNI Università degli Studi di Trieste
GIOVANNI ZANNONI Università degli Studi di Ferrara
ROBERTO ZANNOTTI LUMSA
NICOLÒ ZANON Università degli Studi di Milano
ANTONIO ZICHICHI Università degli Studi di Bologna
GAETANO ZILIO GRANDI Università degli Studi di Venezia Cà Foscari

Per aderire a questo appello rispondere a questo messaggio o inviare una mail a difendiamoluniversita@gmail.com, specificando il proprio nome e cognome, l'incarico e l'Universita' di appartenenza.