Pagine

domenica 29 maggio 2011

Se non fosse già chiaro...

Se non fosse già chiaro che la scuola finlandese è un bluff, vale la pena di leggere questo link:
http://www.matematica.blogscuola.it/?p=838
Ora, studio a memoria a parte (gli insegnanti imbecilli ci sono sempre, come gli studenti imbecilli, ma non mi si venga a dire che in Italia è obbligatorio imparare a memoria), l'immagine che ne esce fuori è di una scuola da paese dei balocchi.
Ognuno studia quello che gli pare, tanto poi paga pegno: e allora perché andare a scuola?...
Studiare Shakespeare è roba d'altri tempi, basta l'inglesaccio da guida turistica.
E quanto alla matematica, vale la pena di leggere la risposta del giovane italiano.
Se questa è la grande scuola innovativa, teniamoci la nostra ben stretta.
In barba alle statistiche Ocse-Pisa, nuove Tavole delle Legge e nuovi Vangeli dei nostri giorni.
Le Sacre Scritture raccontano balle e storielle da cretini (Odifreddi docet), ma le Tavole Ocse-Pisa dicono la Verità: da leggere e commentare.

17 commenti:

Charly ha detto...

Gentile signor Israel, mi permetto di non essere d’accordo. Per quanto riguarda l’inglese la ragazza finlandese ha perfettamente ragione: non si impara una lingua leggendo opere scritte in un linguaggio arcaico già secoli orsono. Tant’é che mentre i “nordici” sono tranquillamente bi-lingue gli studenti italiani arrancano. Per carità, bravissimi a citare Amleto (non è vero…) ma incapaci di chiedere le indicazioni stradali. Ulteriore riprova viene dalla preparazione di esami internazionali quali lo IELTS e il TOEFL (richiesti per lavorare e studiare all’estero). Si leggono opere contemporanee, non di certo il bardo immortale.
E la matematica? La scuola finlandese è brutta e il PISA è un test inadeguato. Va bene, eppure la Finlandia ha performance economiche migliori rispetto a quella italiana in tutti i settori: dal Pil, alla disoccupazione, dalla ricerca e lo sviluppo all’occupazione femminile (con tanto di una maggiore natalità). O la matematica non serve a nulla o il giudizio è fin troppo precipitoso.
E non si può certo sostenere che i risultati siano merito dell’immigrazione. La Finlandia ha pochi milioni di abitanti con pochi immigrati ma un’elevata percentuale di laureati. Ecco il suo segreto e i risultati sono chiari: non è una scuola da buttare. Inoltre i dati del PISA riguardano anche altri settori nei quali finlandesi eccellono. Insieme ai coreani, ad onor del vero: anche loro devono rientrare nella casistica dei gonzi?
Cordiali saluti

Giorgio Israel ha detto...

Gli studenti italiani arrancano perché l'inglese non si insegna affatto bene, anzi non si insegna proprio, non perché non sia corretto accompagnare lo studio di una lingua con la letteratura. Non mi pare un buon argomento ironizzare sul bardo immortale. Di questo passo perché non abolire lo studio di Dante e sostituirlo con i libri di Saviano? Quel che va percepito di quel commento è la rozzezza culturale che ne traspare. Il resto del suo discorso è superficiale: i parametri che cita non hanno niente a che vedere con l'istruzione, altrimenti dovremmo dire che la Cina è il paese più colto del mondo. Le questioni vanno viste nella loro specificità e l'idea di stimare l'utilità della matematica col Pil è grottesca: visto che hanno un Pil più alto studiano matematica meglio, altrimenti la matematica non serve a niente. Ma che ragionamento è? Il valore di una conoscenza non si valuta dalla sua utilità immediata o in un contesto puramente economico. Se così fosse, distruggiamo tutta la cultura: come diceva un certo politico, la cultura non si mangia. Poi però, alla lunga, di assenza di cultura si muore.
Comunque, si legga prima il mio articolo che non è basato su mie invenzioni ma su analisi di fonte finlandese. Il fatto che i coreani eccellano nei test Ocse Pisa non significa che sono gonzi (anche questo è un ragionamento fasullo). Se si sa bene la matematica, si possono anche superare quei test. Se ci si addestra soltanto per superare quei test non è detto che si sappia nulla di matematica. E, comunque, non ho mai sostenuto che la scuola vada bene, al contrario, se ha la bontà di leggere quanto vado scrivendo. Ho osservato soltanto che se questo è il modello che ci si offre per migliorare, meglio lasciar perdere.

Giorgio Israel ha detto...

La seguente notizia vale a commento di quanto precede. Le agenzie informano dell'eccellente prestazione di Israele di cui sotto. Però le università israeliane hanno una cattiva posizione nei ranking internazionali. Come la mettiamo?
Les israéliens peuvent savourer une victoire mondiale bien plus importante que toutes : la R&D du pays (indice d’investissement en Recherche par tête d’habitant) est classée en numéro un dans le classement de l’IMD de Lausanne. 59 pays sont en compétition dans ce classement très sérieux et bourré d’analyses. Dans le classement global, Israël est plaçée à la 17ème place. Sans aucune équivoque Israël se retrouve dans le TOP 20 des meilleures performanes économiques au monde. L’économie israélienne est donc en progression et ce fait vient d’être confirmé encore une fois par son classement qui lui a accordé pour l’année 2011.
L’IMD (Institute for Management Development) est un institut qui examine chaque année les performances économiques de plus d’une cinquantaine de pays en matière de compétitivité. Cette année encore, Israël se distingue par sa capacité de résistance aux crises économiques touchant le monde.

L’information a été communiquée par l’Union des Chambres de Commerce, qui représente l’IMD en Israël. Il s’agit, précisons-le, d’un institut qui classe chaque année les économies des Etats en fonction du niveau de leur compétitivité, en prenant en compte plus de 300 paramètres économiques et en se basant sur des données recueillies auprès de groupes financiers dans le monde. A la tête de ce classement, on trouve presque toujours Singapour, Hong Kong, les Etats-Unis, la Suisse et l’Australie

Charly ha detto...

Si insegna male l’inglese a scuola? Altroché. E quale sarebbe la miglior modalità per apprendere una lingua? Leggere opere vecchie di secoli? Certo che no. Per l’appunto. Peccato che abbia passato il liceo a farmi il Beowulf, Dickens e Wilde (6 anni fa, per intenderci). Per carità, roba carina, ma poi la lingua non la sai mica. E torno al punto di partenza: i “nordici” conoscono meglio la lingua. Punto. La domanda che si pone è quale sia l’obiettivo della scuola. Formare dei micro critici letterari uccidendo il gusto per la lettura (la rimando al saggio di Rondoni, Contro la letteratura) o altro?
E Dante? Mica lo si studia per apprendere l’italiano! È Lei che mi cade nella fallacia argomentativa. Suvvia.
La citazione del rapporto col Pil e la matematica non è stata casuale. È un discorso lungo da fare, quindi taglio: in un mondo globalizzato per competere bisogna puntare sui prodotti ad alta tecnologia che richiedono conoscenze e competenze scientifiche. Visto che come Lei mi insegna la matematica è la base portante dell’attività scientifica, com’è possibile un simile risultato? I fattori che ho citato (occupazione, Pil, innovazione…) sono perfettamente rilevanti essendo tutti collegati fra loro e figli dell’istruzione. È l’abc dell’economia (materia che non si insegna a scuola, detto en passant). Se i finlandesi sono così stupidi, essendo in balia di pedagoghi ed altri tizi marrani [1] perché fanno così bene? Mistero. Le va bene che non sono un Michele Boldrin qualsiasi, altrimenti avrei usato altri toni. Scherzo, ovviamente!
Quanto alla rozzezza culturale rimando al mittente. Sono un laureando in sociologia e conosco perfettamente la differenza la fra la concezione di cultura del mondo classico e quella delle scienze sociali. Parlare di società senza cultura è risibile. La rimando ai testi in materia. Li legga o usando i Suoi toni sempre gentili e cortesi se li faccia leggere (cit.).
Così come conosco perfettamente i limiti dei test. E non solo l’unico: come scrive Tito Boeri su Repubblica di oggi sono solo uno strumento di misurazione, non l’unico. La Sua proposta (complimenti per dare per scontato l’ignoranza del suo interlocutore, fra l’altro) pone un problema piuttosto vecchio: who watches the watchmen? O se preferisce: quis custodiet ipsos custodes? C’è da discutere in merito? Altroché. Ma si potrebbe evitare di demonizzare chi propone strumenti differenti.
Quanto a Israele sinceramente non ho compreso l’attinenza della citazione. Le classifiche dell’università non vanno bene? Bene, basta far rilevare che i ricercatori italiani sono stabilmente nella top ten per numero di lavori e citazioni. Allora la scuola italiana è perfetta? Direi di no. Ogni classifica misura certi fattori e bisogna saperle leggere. Sono d’accordo. Ma bisogna anche saper accettare responsi negativi.
Cordialità

[1] Comunque non si può presentare tutti i critici dell’impostazione umanista della scuola italiana come dei demagoghi scolastici. Sostengo di dare spazio a discipline quali l’economia, la sociologia e la psicologia nel sistema scolastico al posto di latini e klingon vari. Nessun problema, basta differenziare il liceo classico da quello delle scienze sociali. Chiedo di passare skills senza contenuti? No, contesto solo determinati contenuti. È una questione di rispetto. Come Lei scrive:

Nell'articolo-post precedente abbiamo parlato delle orecchie da mercante con cui si usano accogliere le critiche che suonano sgradite quando non si vuol rinunciare ai propri pregiudizi e alla propria ideologia.

Se Lei dà del gonzo a qualcuno puoi quel qualcuno potrebbe rispondere con “gonzo tu!”.

P.S. Ho una laurea triennale in storia. Non sono certo un ingegnere o un nemico della “cultura”.

Giorgio Israel ha detto...

Dante non serve a imparare l'italiano? Il latino e il klingon? Gli ingegneri nemici della cultura? (spesso molto meno di certi "umanisti" e di certi scienziati sociali). I test che "misurano"? Un consiglio di lettura di una "roba carina": Plutarco, L'arte di ascoltare. Va bene anche in italiano. Ho già detto che sono convintissimo che la scuola italiana sia in crisi. Produce giovani privi di qualsiasi modestia e senso dei propri limiti, che se non ottengono ragione subito strepitano e danno fuori di testa.

Alessandro Marinelli ha detto...

Gentile Manuel,
lei dice che si potrebbe evitare di demonizzare chi propone strumenti differenti. Ma cosa succede quando si tenta non di proporre, ma di imporre strumenti differenti? Per esempio, quando si ignora a bella posta ogni critica e ogni posizione diversa dalla propria (vedi faccenda dei test) perché risulta molto più comodo far credere che non vi sia dibattito né scelta alternativa?

Riguardo a Dante, il mio parere è che serva (visto che pare propria debba servire a qualcosa...) ad affinare la propria conoscenza e la propria padronanza dell' Italiano. Oserei dire che la lettura di Dante (e dei poeti in generale) serva a mostarci le vette cui può ascendere il linguaggio che usiamo normalmente. Pensa che possa avere qualche fondamento, questa mia opinione, o sono irrecuperabilmente uscito di senno? Stesso discorso vale per la poesia nelle altre lingue; non si capisce perché si dovrebbe limitare la propria padronanza dell' inglese alla capacità di chiedere informazioni per strada o di ordinare fish and chips al fast food. A parer mio sarebbe molto consigliabile una certa cautela in questo tipo di discorsi perché la critica del tipo "a cosa serve", come è già stato detto, è già avvenuto in passato e avviene ancora più oggi, degenera molto presto nella svalutazione e nel rigetto di patrimoni culturali di inestimabile valore (ritenuti però "inutili"). Tanto per farle un esempio, se lei è davvero convinto che occorra puntare tutto su prodotti ad alta tecnologia per competere domani e che la conoscenza della matematica sia uno strumento indispensabile a tal fine, allora potrebbe pensare che la cosa migliore sia insegnare una matematica pratica e utile alle applicazioni, magari senza vuoti e formali astrattismi. Solo che questo sarebbe il primo passo verso il fallimento...

paolo casuscelli ha detto...

Ho provato a impegnarmi in uno sforzo di immaginazione, a prevenire la possibilità che un mio alunno qualunque possa farmi una domanda così idiota: “A che serve Dante?”. E non riesco proprio a immaginarlo. La mia inventiva ha dei limiti. Ma lo sappiamo: “ci sono più cose tra cielo e terra di quante non ne possa immaginare la tua”...fantasia.

Nautilus ha detto...

Però secondo me Manuel UNA :) cosa giusta l'ha detta:
"E Dante? Mica lo si studia per apprendere l’italiano!"
Davvero, fosse indispensabile studiar Dante per padroneggiare decentemente l'italiano staremmo freschi...
La "Divina Commedia" è bellissima, ma la si legge e gusta quando (e se) l'italiano lo si padroneggia ampiamente, potrà pure servire ad approfondirlo e apprezzarne le sfumature ma per apprenderlo proprio no.

Giorgio Israel ha detto...

Padroneggiare decentemente, no, sono d'accord. Affinare la propria conoscenza e padronanza dell'italiano (come dice Marinelli), assolutamente sì. La Divina Commedia è uno scavo interminabile, e ogni rilettura, a prescindere dai contenuti, è un'avanzata nel possesso della lingua. Ma difatti, non so chi mai si è sognato di INSEGNARE l'italiano leggendo Dante, l'inglese leggendo Shakespeare, il francese leggendo Stendhal, Balzac o Anatole France, il tedesco Goethe... Viceversa, è davvero impagabile credere che l'apprendimento di una lingua possa finire con una paccata di dvd comprati all'edicola.

paolo casuscelli ha detto...

Caro Nautilus,
glielo dico con simpatia: è chiaro che Dante non si studia per apprendere l'italiano. Dante “è” l'italiano. Non è uno strumento, ma un punto di riferimento fondamentale nell'orizzonte del linguaggio entro cui siamo tutti compresi. Manzoni “è” l'italiano, così Leopardi e Dino Campana. Così come i molteplici riferimenti della nostra letteratura, più o meno significativi, che strumenti non sono del linguaggio, ma mondi. Non si studiano i classici per “padroneggiare” la lingua, ma per attraversare mondi complessi. Che questo attraversamento comporti anche un affinamento nell'uso strumentale della lingua, è una semplice conseguenza, ma non un presupposto metodologico.
Insomma, detto chiaro e tondo, che significa studiare l'italiano a scuola? Significa conoscere delle regole grammaticali e la logica su cui le regole si strutturano; e significa sporgersi su quell'orizzonte del linguaggio che è la tra-dizione letteraria.
Non è vero che la Divina Commedia “la si legge e gusta quando (e se) l'italiano lo si padroneggia ampiamente”, cioè da adulti (forse). A scuola, un insegnante dovrebbe far questo: farla capire e farla gustare. Altrimenti, di che si occupa? Le antologie scolastiche sono piene zeppe di spazzatura “letteraria”, di strizzatine d'occhio al sociale, di compromessi funzionali alla promozione di illustri e immeritevoli sconosciuti, di confessioni di ex terroristi elevati al rango di sociologi, etc. Ma un insegnante è responsabile anche, e soprattutto, di ciò che fa leggere.
Se gli alunni sono educati al grande, lo amano.
Certo, con Dante il P.i.l. non aumenta. Il P.i.l.....figlio dell'istruzione...Sull'apporto che, come insegnante d'italiano, potrei dare al P.i.l. ci andrò riflettendo :-)

Nautilus ha detto...

Caro Junco
prima di tutto simpatia ricambiata. Il che non significa (come spesso quando si comincia così) che non sia d'accordo con te. Quel che dici mi trova nella sostanza concorde .
Ma quel che volevo dire è diverso e limitato: interpretando Manuel credo volesse solo affermare che non c'è bisogno di Dante per esprimersi in un italiano chiaro e corretto, tutto qua.
Infatti lui lo dice in riferimento allo studio delle lingue straniere, dove in effetti non si pretende molto più che questo. E magari si riuscisse.
Tu scrivi:"Non si studiano i classici per “padroneggiare” la lingua, ma per attraversare mondi complessi."
Infatti, ed è giustissimo! Ma, da insegnante di materie scientifiche e quindi profano in materia, mi incuriosisce il problema di come si faccia a insegnare almeno un italiano corretto, e soprattutto a strutturare il proprio pensiero ed esprimerlo con logica e chiarezza.
Per raggiungere questo obiettivo, non certo minimale visto come scrivono tanti ragazzi oggi, non credo sia indispensabile Dante, anzi, una lettura qualunque andrebbe meglio.
Come esempio chiarificatore: alle elementari scrivevo già discretamente (almeno dai voti) grazie principalmente all'assidua lettura di Salgari, Verne e Urania.
Per tornare allo studio dei classici a scuola: ne condivido l'assoluta necessità, ma c'è bisogno di insegnanti bravi che riescano a farli amare, come dici te: non mi ricordo lezioni più noiose di quelle di letteratura tenute da certi professori pedanti e pignoli, che riuscivano a uccidere in culla qualunque barlume d'interesse.
Accidenti-mi dicevo-ma Omero, Dante, Manzoni immagino scrivessero soprattutto per "divertire" il lettore...com'è che qui si muore di noia?

vanni ha detto...

L'angolo del pivello. Mi sbaglierò, ma in queste ricorrenti discussioni su scuola e cultura, mi sembra che da una certa parte ci sia un continuo tirare al ribasso, all'economia più tirchia nell'istruzione (ho scritto economia da ipocrita: penso a superficialità, approssimatività, faciloneria), come se il rischio di un sovrappiù intellettuale creasse fastidio. Ma perché?
Una volta si accusavano i preti di oscurantismo: loro obiettivo mantenere al livello minimo la cultura del popolo. Tanto a che cosa ti serve? Meno sai, meglio stai.
La filosofia non riempie la pancia e Dante Shakespeare ecc. rubano il tempo - ce n'è così poco, eh? - a cose fondamentali o più utili.
Con un po' di vergogna un ricordo da fessi, senza senso delle proporzioni, una inezia irrilevante, giusto per provocare e insieme suscitare compatimento: in TV si parla quotidianamente di avvenimenti mortali, incidenti guerre crimini... è tutto uno straparlare di “corpi” o “cadaveri”. Ebbene: ogni volta mi torna alla memoria il professore di lettere delle medie, che ci diceva:” ... salma... nella parola c'è la carezza della nostra pietà, c'è la compostezza della spoglia nella quale l'anima non più presente ha però lasciato il suo ricordo”. Ma a che cosa serve? Salme o cadaveri sempre di morti si tratta, si capisce lo stesso. Mica siamo tutti dei Borges.
E il prof di matematica, quello che ci mostrava come non fosse proprio la stessa cosa recitare:” ... preso un є qualunque a piacere ecc. “ oppure :” ... preso un є a piacere, qualunque esso sia, ecc. “, anche lui alla ricerca di che cosa andava?.
Quale importanza e quali ricadute avranno mai avuto queste bagattelle minime e senza costrutto - minuzie languide o manìe logiche che fossero - per noi studenti? Roba da specialisti; il presente richiede ben altra concretezza nella vita, non c'è più tempo da perdere. O no?
Se non si indicherà continuamente qualcosa da raccattare, saranno pochi - sempre meno? - coloro che raccoglieranno qualcosa.
E stringi stringi, alla fine a che cosa fu fatto l'uomo, come sermoneggiava non so più chi?

paolo casuscelli ha detto...

“Non c'è bisogno di Dante per esprimersi in un italiano chiaro e corretto, tutto qua”.
E no, caro Nautilus, l'affermazione ti sembra innocente, nella sua ovvietà, ed è maligna, nella sua protervia.
Stiamo parlando di scuola e di italiano, nevvero? Leggila così:
“Non c'è bisogno di Dante, a scuola, per esprimersi in un italiano chiaro e corretto, tutto qua”.
Togliamo la subordinata finale, lasciamo la reggente, e leggiamo:
“Non c'è bisogno di Dante, a scuola”.
Immaginando un tempo in cui Dante venisse escluso dai programmi scolastici, nel giro di qualche generazione avremmo pochissime persone in grado di sporgersi spontaneamente, extra-scolasticamente, su Dante. Quindi, dovremmo prendere atto di quanto conseguirebbe:
“Non c'è bisogno di Dante”.
Ma, siccome diciamo Dante e potremmo dire Manzoni e Leopardi, etc., dovremmo ammettere candidamente:
“Non c'è bisogno di letteratura, non c'è bisogno di classici”. Tutto qua. Tutto qua?
Da insegnante di italiano, dovessi fare a meno dei classici, non avrei più nulla da trasmettere, nulla da insegnare.
Andiamo alla subordinata finale (vedi che scrivo tecnicamente :-)): “per esprimersi in un italiano chiaro e corretto”. Sembra l'obiettivo da raggiungere, e sembra che ad esso possa esser sacrificato ogni contenuto. Come esistesse un linguaggio senza significati. Ma il linguaggio è un segno che indica. In che direzione dobbiamo condurre il linguaggio? Ad indicare che? Togliamo i significati e “ogne lingua deven tremando muta”, e non perché passa la bella signora, ma perché ai significati il linguaggio non può rinunziare senza venir meno a se stesso.
Non è possibile pensare a un insegnamento dell'italiano che formi al “come dire” senza passare dal “cosa dire”. Perché il “cosa dire” è essenziale al linguaggio, non glielo si può sottrarre.
Per questo motivo, di Dante, di Leopardi, di Manzoni, eccetera eccetera, c'è, nella scuola italiana, assoluto bisogno.

Dici dei professori che annoiano spiegando i classici? Ma non è obbligatorio insegnare, ci sono altri lavori socialmente utili, anche più utili.

“mi incuriosisce il problema di come si faccia a insegnare almeno un italiano corretto, e soprattutto a strutturare il proprio pensiero ed esprimerlo con logica e chiarezza”, ti chiedi.
Per gli alunni non c'è che un modo: imitare modelli, cioè, leggere classici, ascoltare gli insegnanti che hanno un linguaggio, prendere appunti, riformularli. E' il solo modo per conquistare una corrispondenza tra pensiero e linguaggio.

Nautilus ha detto...

Caro Junco
sicchè io avrei sostenuto: "Non c'è bisogno di classici, a scuola" !
Almeno secondo te è quello che il mio discorso inferisce.
Chiamo a testimoni gli astanti (qualora ve ne siano) se ho mai inteso dire una bestialità simile!
Io dico (ed è la terza volta, mi scuso) che un italiano corretto lo si impara leggendo qualunque cosa, purchè scritta bene.
Che poi l'italiano sia ben altro dallo scrivere correttamente non ci piove, e figurarsi se non hai ragione quando dici che senza classici non avresti nulla da insegnare, infatti a me per imparare l'italiano corretto bastò il maestro e i libri per ragazzi.
D'altra parte mi ricordo sempre in una "storia semplice" di Sciascia quando il vecchio prof, di lettere dice:"L'italiano non è l'"Italiano", è il ragionare..." quindi...
Comunque, se ritieni che la mia opinione nasconda subdolamente e protervamente il disprezzo per i pilastri della nostra lingua, nulla posso fare per farti cambiare idea, magari c'è del vero :), che ognuno si tenga il suo punto di vista e a risentirci.

paolo casuscelli ha detto...

“interpretando Manuel credo volesse solo affermare che non c'è bisogno di Dante per esprimersi in un italiano chiaro e corretto, tutto qua”.

Interpretavi, giusto? E interpretavi giustificando, comprendendo, confidando nelle altrui buone intenzioni, giusto?
Ma, caro Nautilus, io non ti ho accusato proprio di nulla: non è nelle mie abitudini esprimere simpatia a qualcuno e due righe dopo dargli del baro. E sono davvero dispiaciuto di essere stato frainteso.
Il senso dei miei commenti era questo: stiamo attenti a giustificare, presupponendo buona fede, perché c'è chi vuole andare a parare a... C'è l'ideologia del “come” contrapposto al “cosa”, c'è chi pretende che a scuola sparisca la lezione cosiddetta frontale a vantaggio esclusivo delle cosiddette metodologie alternative, eccetera.
E c'è persino, nella scuola italiana, la supplente (comunista, ma non so se è indicativo) che un giorno entra nella mia classe e dice: “Ma ancora studiate i Promessi sposi? Sono così noiosi. Ammettetelo che sono noiosi, tanto il vostro professore non c'è”. I miei alunni, mi dicevano, la guardavano sbigottiti, e siccome non vollero proprio ammetterlo, quando la supplente uscì dalla classe di quella scuola di Stato, dopo il suono della campana sentenziò: “Siete una classe di reticenti, mafiosi e reticenti”.

Nautilus ha detto...

Caro Junco
per post si creano equivoci:
non mi son sentito affatto accusato di nulla nè ho dubitato tu volessi farlo.
Avevo anzi letto il tuo post sorridendo e ho risposto scherzando un poco, ma per post càpita non riuscire a spiegarsi. Comunque apprezzo il chiarimento sul senso, ora ho capito bene la questione.
I Promessi Sposi noiosi? Certo, se anche costei appartiene a quella categoria di docenti che li rende tali..
saluti cordiali.

Caroli ha detto...

Ho letto l'articolo. E ho scritto che una iscrizione in latino sono in grado di leggerla, dopo trentotto anni dall'aver fatto latino a scuola. Sono ingegnere, so quasi a memoria i "Promessi Sposi", e dei miei studi umanistici mi vanto.
Detto questo, ritorno nell'ombra da cui sono uscito dopo nove mesi.

Posta un commento