Alain Finkielkraut aveva previsto già una trentina di anni fa le conseguenze dell'introduzione del termine “genocidio”, coniato nel 1944 per distinguere lo sterminio degli ebrei dagli altri crimini contro l'umanità: il formarsi di un codazzo di aspiranti allo stesso privilegio; il dilagare dei "confronti" tesi a dimostrare il diritto ad ottenerlo e quindi tesi a sminuire la gravità del genocidio degli ebrei. Come osservò Finkielkraut, «dalle donne agli occitani, ogni minoranza oppressa proclamò il suo genocidio. Come se, senza di ciò, cessasse di essere interessante». E l’elenco continua ad allungarsi: non si è visto, a Roma l'anno scorso, un corteo di insegnanti sfilare con la stella gialla appuntata sul petto, proponendo il proprio genocidio?… A seguito del celebre film di Claude Lanzmann, i termini olocausto e genocidio (degli ebrei) furono sostituiti nell’uso con la parola ebraica Shoah (catastrofe). Una scelta del tutto normale: non è altrettanto accettabile denominare sinteticamente Gulag lo sterminio di milioni di cittadini sovietici da parte del regime comunista? Il problema è che il termine Shoah è stato associato al rafforzamento dell'idea già contenuta nel termine "genocidio": l’assoluta unicità di questo evento, la sua incomparabilità con qualsiasi altro crimine della storia, fino a farne un evento metastorico e a suscitare persino una metafisica e una teologia della Shoah.
Chi scrive ha ripetutamente criticato come infondata e rischiosa la collocazione della Shoah al di fuori della storia. Per esempio, il rifiuto di stabilire qualsiasi relazione tra Lager e Gulag è assurdo. La relazione è stata evidenziata in modo magistrale sul piano romanzesco da Vasilij Grossman. Sul piano storico essa risale alla folle ambizione di entrambe le dittature di rigenerare la società dalle fondamenta: l'una mediante l'igiene sociale, l'altra mediante l'igiene razziale, come osservò Victor Zaslavski. Paradossalmente, il mito dell'unicità della Shoah è servito ai postcomunisti per derubricare i crimini di Stalin a qualcosa di non tanto grave e moderatamente efferato. Naturalmente questo è frutto di cattiva coscienza. Così come è la cattiva coscienza che spinge ogni giorno qualcuno a sminuire la gravità della Shoah stabilendo confronti deliranti anziché relazioni magari discutibili ma ragionevoli, mescolandola con gli eventi più disparati. È la cattiva coscienza di un'Europa che non ha mai fatto davvero i conti con i propri totalitarismi.
Leggo l'intervista di Günther Grass e trovo che molte delle sue affermazioni sono discutibili sul piano storico e qualcuna anche sul piano morale. Ma non mi sento di fare scandalo sulla frase che, invece, più ha destato scandalo: «Non dico questo per diminuire la gravità del crimine contro gli ebrei, ma l'Olocausto non è stato l'unico crimine». Non mi sento di fare scandalo perché questa frase esprime un concetto persino ovvio. È una frase di cui non vi sarebbe stato bisogno se non si fosse avuta l'idea avventata di collocare la Shoah sul piedistallo metastorico e metafisico dell’unicità. Per il resto, Grass si è espresso in modo discutibile ma aperto e onesto. Efferato e losco è invece l'atto di quel funzionario francese che ha interdetto mediante una circolare l'uso della parola Shoah nelle scuole.
Mi ha colpito il riferimento di Grass al fatto che metà della Germania sia stata abbandonata al comunismo. Di questo oggi non si parla. Così, la Spagna zapaterista mette alla gogna i crimini del franchismo mentre stende una cortina su quelli non meno atroci compiuti dai comunisti spagnoli delle varie tendenze. L'Europa che non ha fatto i conti con tutti i totalitarismi del Novecento è la stessa che genera il nuovo antisemitismo, sotto forma di antisionismo e di odio per Israele e che, allo scopo, non si fa scrupolo di usare il negazionismo. Per contrastarla il mito dell'unicità della Shoah non serve. Al contrario. Al posto della circolare francese, occorrerebbe una circolare europea che prescriva in tutte le scuole la lettura di "Vita e destino" di Vasilij Grossman.
(Il Giornale, 2 settembre 2011)
5 commenti:
L'opinione del professore sulla "non unicità" della Shoah, quando l'ho letta in "Liberarsi dei demoni", mi ha colpito e turbato. La lettura di "Vita e Destino" di Grossman mi ha aiutato a pensare.
Ci sono stati grandi testimoni e narratori della Shoah: Primo Levi, Aaron Applefield, Claude Lanzmann e altri. Comunque, nonostante loro, per me la Shoah é rimasta un fenomeno non "spiegabile" se non come una delle più riuscite manifestazioni di quella realtà che noi chiamiamo "male". In particolare quello che si realizza attraverso coloro che credono di "redimere" l'uomo.
In effetti, invece di porre il problema del nome da dare al male, sarebbe più sensato chiedersi se quel male sia circoscritto a un luogo, un momento storico, una ideologia ben precisa o se é legato indissolubilmente al destino umano. Vasilij Grossman in "Vita e Destino", parla attraverso il suo personaggio "folle" Ikonnikov: "Un'esistenza crudele instilla il bene nel cuore dei grandi uomini, i quali lo rendono alla vita, bramosi di cambiarla a immagine del bene che hanno dentro di sé. Tuttavia, non sono la vita e i sui gironi a mutare ad immagine e somiglianza dell'idea del bene; é l'idea del bene che affonda nella palude della vita e si scinde perdendo la sua universalità". Il bene di Hitler, che per il nazismo era il bene di tutta l'umanità, si trasforma in oppressione totalitaria.
Grossmann era un ebreo ucraino che ebbe il "privilegio", come corrispondente di guerra, di essere fra i primi a scoprire le fosse comuni disseminate nel suo paese e ad entrare a Treblinka. Ma non si fermò lì, riusci a portare le sue riflessioni oltre quei terribili luoghi. Come i nostri "maestri" intellettuali di sinistra conosceva la realtà sovietica, ma, a differenza di loro, aveva preso coscienza della vera natura del comunismo reale e non aveva più intenzione di allinearsi al conformismo "progressista" che allora impediva di esserne viscerali oppositori. La parola "rivoluzione" (musica per le nostre giovani orecchie) aveva assunto per lui, testimone degli orrori della collettivizzazione forzata del '30. delle deportazioni basate sul sistema di delazione di massa inaugurato nel '36, un significato sinistro. Aveva capito che il sistema creato da Lenin e consolidato da Stalin era una immagine speculare di quello che aveva annientato le persone a lui pù care nelle fosse di Berdicev.
"Quando io e lei ci guardiamo in faccia non vediamo solo un viso che odiamo. E' come se ci guardassimo allo specchio. E' questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? Il mondo non é forse pura volontà anche per voi?" afferma l'inquietante ufficale delle SS che, in "Vita e Destino" si rivolge al vecchio bolscevico detenuto nel Lager.
E' proprio così, ci sono elementi comuni in tutti quei tentativi, passati e presenti, di "rigenerare", su questa terra, l'uomo sulla base di una idea del "bene" da estendere a tutta l'umanità. Per Grossmann, invece, il "bene" esiste come valore universale, eccome se esiste, é un istinto, una "luce" che accende i cuori degli uomini semplici, non si impone ma si manifesta nello scorrere dei milioni di destini individuali, non nei movimenti di massa.
Sempre attraverso il povero Ikonnikov: "La storia degli uomini non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell'uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell'umanità. Ma se anche in momenti come questi l'uomo serba qualcosa di umano, il male é destinato a soccombere".
Temo che, proclamando la unicità della Shoah, si rischia di portarla fuori dalla storia o di circoscriverne la portata, riducendola nell'ambito della critica all'ideologia nazista.
Sarebbe comunque sbagiato limitarsi ad estendere il concetto alla realtà sovietica. Bensì occorre andare oltre la critica delle ideologie, riconoscere che il male é pervasivo e ingoia come una marea gli uomini approfittando della loro debolezza. Moltitudini di "non tedeschi" e "non nazisti" con la loro complicità o indifferenza resero possibile uno sterminio che, da un punto di vista puramente logistico, non poteva essere eseguito solo dagli zelanti uomini sottoposti agli ordini del Fuhrer. Tantissimi intellettuali, funzionari, parenti, amici, vicini, magari neanche iscritti al partito, hanno contribuito alla macchina della delazione e della deportazione staliniana.
In definitiva, piuttosto che accapigliarsi con la nomenclatura e le classifiche generali degli orrori bisognerebbe riconoscere che questi sono parte integrante del nostro destino. E che, sotto forme diverse e ingannevoli, processi analoghi potrebbero essere in atto o stare per manifestarsi proprio oggi. E' compito nostro preservare quel "piccolo seme" che, secondo Grossman, consentirà all'uomo di rimanere tale.
Mi scuso per la lunghezza del commento.
Credo che non sia facile prescindere dall'emotività quando si parla di queste cose, e purtroppo è difficile non essere tentati dal fare a gara a chi ha avuto il genocidio più grosso.
Dalla rivoluzione francese la storia è costellata di massacri di varia natura e di varia entità. Non dimentichiamo quello della Vandea, che cito non in quanto cattolico, ma perchè è stato il primo della serie "illuministica".
Anche quello fu un massacro di pulizia ideologica. In Francia è, ipso facto, vietato parlarne.
Penso tuttavia che in determinati contesti storici si creino le condizioni per cui la massa sia portata a identificare un nemico e a volerne l'annientamento, su istigazione del potere. Ma il potere nulla potrebbe senza l'appoggio della massa che di per se non ha volontà, ma è composta da individui che hanno la facoltà di scegliere.
Quindi meglio non dimenticare di pregare Dio affinchè ci illumini e ci faccia scegliere il bene, e soprattutto che ci dia la forza e il coraggio di perseguirlo.
Ricordo male o Günther Grass disse, dopo la caduta del muro di Berlino, che la DDR avrebbe dovuto incorporare la Germania Occidentale e non viceversa, come avvenne? Quando nel 2006 egli dichiarò, in un'intervista al giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung, di aver militato durante la guerra nella 10. SS-Panzer-Division "Frundsberg" delle Waffen-SS, come volontario, mi sembrò un personaggio illiberale e antidemocratico, ma coerente.
Ho letto l'intervista, quel che mi ha colpito è stato il riferimento agli 8 milioni di militari tedeschi prigionieri, di cui 2 soli tornati.
Col che vi sarebbe anche una simmetria col numero delle vittime della Shoah.
A me risultano dati completamente inventati e mi domando come e perchè una persona della sua cultura abbia potuto fare un simile errore.
Vedo invece che si dimentica dei 3 milioni di prigionieri di guerra russi morti, quelli sì, nei lager tedeschi.
Insomma un intervista davvero discutibile.
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