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venerdì 4 novembre 2011

Restituire la matematica alla cultura

4 commenti:

GiovaneDiLungoCorso ha detto...

Egregio professore, la ringrazio del suo bell'articolo.
Per quanto mi riguarda, in un periodo in cui soffrivo di insonnia stavo scrivendo la mia autobiografia (ovviamente incompleta e impubblicabile). Le giro il brano in cui spiego che, fatto gravissimo che mi accadde nella vita, fui costretto dalla famiglia a studiare informatica, quando io volevo studiare giurisprudenza.

...Ma soprattutto intuivo senza capirlo che il mio cavarmela meglio in matematica che nelle altre materie era indice della mia attitudine per gli studi giuridico-filosofici, e della mia idiosincrasia per la tecnica. Riuscii a formalizzare il perchè alcuni anni dopo: al liceo scientifico si faceva matematica “alla greca” mentre i tecnici usano la matematica “alla babilonese” o “alla pre-colombiana”. Mi spiego meglio.
La matematica greca si sviluppò nelle polis. Ogni polis aveva la propria struttura organizzativa, che spesso cambiava, ma mediamente era complessa e prevedeva diverse cariche che venivano elette o nominate. A volte le fazioni si tiravano brutti scherzi e si azzannavano, ma normalmente i vari VIP locali vincevano le loro battaglie “convincendo” la popolazione, cioè “dimostrando” che sul tema in questione, loro avevano “ragione”. La matematica greca nasce in questo contesto “democratico”. Si rivolge ad un interlocutore capace di giudicare, di raggiungere nuove certezze a partire dati acqusiti. Nella dimostrazione ogni frase è insostituibile, ogni parola deve essere definita e non ci sono sinonimi con cui giocare. Nella matematica greca non ci sono formule da memorizzare: basta ricordare l'essenziale ed il resto si ricava. Questa matematica è filosofia, è giurisprudenza, è racconto.
Invece nei grandi regni fluviali chi comandava comandava, chi ubbidiva ubbidiva, nessuno doveva convincere nessuno. Ogni casta si faceva gli affari suoi, rendeva conto solo dei risultati. Ai “matematici” era chiesto solo che le piene o le fasi lunari fossero previste, che i conti dei magazzini tornassero... poi “come” avessero fatto era un segreto (anche perchè non fregava niente a nessuno) che doveva essere rivelato solo ai discepoli. La tecnica usa questa matematica. Tutta una caterva di formule da applicare ai problemi risolvibili con la loro applicazione. Un'operazione molto più simile ai temi di italiano, dove bisognava applicare dei “template” di frasi fatte, cioè di luoghi comuni che dovevano sembrare originali, nel contesto oppotuno. Nulla di più lontano dalla mia inclinazione.
....

distinti saluti
Roberto Bera

Gianfranco Massi ha detto...

Ma allora reintroduciamo nelle scuole, fin dalle elementari, queste concezioni alte della matematica. Liberiamoci della falsa cultura degli anni settanta. Rriportiamo nelle aule scolastiche lo studio “a memoria” dei necessari capisaldi, dalle “tabelline” ai bambini alle poesie che scandiscono l’evoluzione letteraria nel corso dei secoli ai licei!
Far capire ai bambini quanto sia necessaria la memoria non è poi così difficile in un mondo in cui nonne e nonni “scordarelli” si trovano in quasi tutte le famiglie. Così pure, con la diffusione dell’informatica, dovrebbe essere ormai acquisita l’esperienza del valore relativo tra computer le cui memorie si misurano in MB e quelli nei quali si misurano in GB !
La sua battaglia, professore è in controtendenza, ma le mode cambiano .

vanni ha detto...

È vero quanto scrive l'egregio Gianfranco Massi: sì, le mode cambiano. Ma le cose belle restano belle sempre. Egregio Professore, che la matematica è bella lo potremo dire?
Pur nel blog di un cattedratico in matematica e filosofia della scienza, mi azzarderò comunque a ricordare quanto il mio prof di liceo più o meno - anzi, certamente meglio - raccontava, ovvero che la matematica, figlia del pensiero creativo, lo organizza poi nello sviluppo del ragionamento, gli offre il sostegno più solido quando esso si spinge con ambizione più in alto, anche o soprattutto in contesti articolati e complessi.
Ma, per girare ancora intorno alla bellezza della matematica ed alla bellezza semplicemente, mi par di ricordare che Paul Adrien Maurice Dirac (P.A.M. ! Dirac: la mia invidia non per le sue qualità intellettuali ma per la sigla dei suoi nomi, diretta come una schioppettata) sostenesse che una teoria descritta in forma matematica bella ha probabilità maggiore di essere vera di quanta ne abbia una teoria sostenuta da brutte formulazioni matematiche, perfino se quest'ultima sembra convalidata dai dati sperimentali. Insomma, che le leggi fisiche sono in armonia con la bellezza matematica (Professor Israel, perdoni l'approssimazione se trascurabile o mi corregga).
Quando viene postulato (di frequente? di rado?) un nesso fra la bellezza e una qualche fede, io resto colpito. Ma qui si rischia di rinfocolare ricorrenti e interminabili dispute.

Giorgio Della Rocca ha detto...
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