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martedì 27 marzo 2012

La memoria? Né serbatoio, né mappa

Intervista per i Quaderni di Libertà di Educazione, n. 29, febbraio 2012, pp. 12-14.

 Si esalta una scuola nella quale è sempre domenica, nella quale ad ogni ora si celebra la festa dello spirito creatore, nella quale ogni attività è individuale, libera, piacevole, giocosa. Al bando la geografia sistematica … Morte alla scienza classificatoria: tre mesi di osservazione ed esperimenti sulle lumache formerebbero lo spirito scientifico... Basta con le date, colla successione cronologica e le periodizzazioni storiche … ».
Cosa fare perché questi “basta”, denunciati da Lucio Lombardo anni fa, siano definitivamente sconfitti ed esiliati dall’insegnamento? Cosa dovrebbe diventare, per esempio, l’ora di lezione perché la memoria non sia più guardata come un tiranno? 

Secondo Lombardo Radice quel che deve essere sconfitto ed esiliato dall’insegnamento non sono le date, le successioni cronologiche e le periodizzazioni storiche. Va ricordato che Lombardo Radice – che ho frequentato direttamente anche perché facevamo parte dello stesso dipartimento universitario – era un fautore di un insegnamento aperto e non convenzionale e di quelli che egli chiamava allora “metodi attivi” nell’insegnamento. Tuttavia, in questo brano di qualche decennio fa, si scagliava contro quella concezione antisistematica che vuole trasformare la scuola in un gioco perpetuo e difendeva a spada tratta la scienza classificatoria, lo studio sistematico, rigoroso. Il suo era un “basta” a quei “basta”. E vale la pena citare un passaggio successivo del suo discorso: «Si va anzi molto al di là della confusione tra due momenti educativi: si arriva ad annullarne uno, quello basilare, riducendo la scuola a escursione, esercitazione, libera ricerca, lettura occasionale o così via. […] Vogliamo sottolineare che un momento non eliminabile, per un solido sviluppo intellettuale in una direzione quale che sia, per la acquisizione di un permanente patrimonio culturale comunque configurato, è lo studio-lavoro, la lettura-riflessione, lo sforzo di comprensione tenace, l’applicazione disciplinata, organica, paziente, la faticosa organizzazione della propria mente e del proprio sapere». Bene, condivido in toto questa visione. Comprendo perfettamente l’esigenza di rendere l’ora di lezione accattivante, gradevole. Ma questo desiderio ha assunto i connotati di una pessima pedagogia che sta dando frutti molto peggiori di quelli che denunciava Lombardo Radice. Si potrebbe chiudere la questione dicendo che è inutile girarci attorno: la scuola ha una componente di sforzo e di impegno e volerla eliminare è quanto distruggere la scuola. Ma si può dire di più: una scuola dove non si fa niente o poco è massimamente avvilente per lo studente, produce frustrazione, sbandamento e disinteresse, vuoto mentale e spirituale. Nel merito poi, una scuola dove la geografia sia ridotta allo studio astratto della spazialità e a questioni politicamente corrette come l’inquinamento e in cui non si insegna neppure dove sta il lago di Como, spegne la mente dei bambini: lo vedo bene con mio figlio che si appassiona proprio alle questioni che i cattivi pedagogisti definiscono “nozionismo”. Lo stesso discorso vale per la storia, ovvero per la memoria. Non ci si rende conto che l’assurda trasformazione della storia in un sapere formale, prescritta dalle Indicazioni nazionali Fioroni per il primo ciclo, in cui si studia il “prima” e il “dopo”, si fanno cronologie di eventi personali o addirittura schemi astratti di successioni temporali, invece di studiare la storia propriamente detta, è la cosa più vuota di interesse per un bambino? I piccoli si appassionano alla storia come racconto, come narrazione, ai personaggi, agli eventi, e non ai vacui formalismi sulla “temporalità”. Quante volte ho sentito dire da bambini, figli di amici, frequentanti le elementari: «le materie che detesto di più sono la storia e la geografia». La memoria non è un tiranno se è “racconto”, se parla di vicende reali, che dicono qualcosa per noi, per la nostra vita, se consente di collocarci nella storia reale che precede e situa la fase della nostra esistenza e ci fornisce i materiali per intenderne il senso.

  1. L’uso della metafora per lo studio della memoria è molto diffuso anche nella ricerca scientifica.  Estremizzando potremmo dire che si oscilla tra un’immagine della memoria come magazzino e memoria come mappa. Quale delle due metafore le sembra più adeguata?  Il rapporto della memoria con l’apprendimento e la conoscenza è di tipo passivo -recettivo, quasi privo di intelligenza, intuito …?

La memoria umana non è certamente un magazzino. Se così fosse non perderemmo mai una sola informazione relativamente al passato se non in caso di lesioni cerebrali. L’esempio tipico di memoria magazzino è un calcolatore, che conserva la memoria nel disco rigido o nella memoria flash e la perde soltanto in caso di guasto. Tutto è sempre disponibile in quel magazzino mentre noi sappiamo bene che questo non accade affatto per la memoria umana. Si potrebbe rispondere che perdiamo memoria a causa della perdita di neuroni e sinapsi. Ma il cervello è un organo plastico e ricostituisce continuamente connessioni nuove. Il fatto più sorprendente della memoria è il fatto che ricordi apparentemente perduti possano essere recuperati, anche attraverso una ricostruzione mediante ricordi connessi, che segue vie molto complesse e oscure. La metafora della memoria come mappa non serve certamente a spiegare questa capacità. Francamente, nessuna delle due metafore mi interessa e mi sembra adeguata. Il discorso è estremamente complesso e non affrontabile in un’intervista. Mi limiterò a dire che non sono affatto d’accordo con una visione riduzionista che cerca di spiegare tutti i processi del pensiero attraverso meccanismi cerebrali. Sono convinto che dobbiamo restare all’idea di un’interazione mente-cervello senza la quale, appunto, la conoscenza diventa un processo di tipo passivo e meccanico.

  1. Quale rapporto c’è tra matematica e memoria?
Nella matematica si presentano precisamente i problemi anzidetti. Memorizzare la conoscenza matematica, nella sua enorme complicazione e con la massa di dettagli di cui è costituita sarebbe semplicemente impossibile. Il matematico capace è colui che sa ricostituire gli elementi che servono nella sua disciplina mediante il ragionamento. Le dimostrazioni matematiche non si ricordano – non avrebbe senso – bensì si ricostruiscono volta per volta, o addirittura se ne costruiscono di nuove, in base alla logica del risultato da dimostrare, al contesto dei concetti di cui è intessuto, alle tecniche cui fa ricorso. Inoltre, nella matematica gioca in modo essenziale l’intuizione: suggerisco al riguardo la lettura del bel libro di un grande matematico, Jacques Hadamard, “La psicologia dell’invenzione in matematica”. Aggiungo che neppure l’apprendimento delle tavole pitagoriche è un fatto mnemonico: esse si stabilizzano nella memoria come sottoprodotto dell’acquisizione delle regole della moltiplicazione. Tempo fa ho dovuto discutere accanitamente con uno psicologo che sosteneva che le tavole pitagoriche sono sequenze ordinate di parole, e quindi soltanto memorizzabili in modo meccanico. È un piccolo esempio di come circoli tanta incompetenza e incomprensione sul ragionamento matematico da parte di persone che credono di poter parlare di tutto.

  1. In un suo recente articolo Il "Capitale umano che i test ignorano” (Il Messaggero, 9 gennaio 2012) lei evidenzia come certe prove internazionali sembrano preparate e svolte per indurre ad un tipo di scuola e di insegnamento fondato sulle competenze, nemico dei contenuti e dei loro nessi profondi. Quale rapporto tra valutazione e memoria? La memoria è misurabile solo con i test cosiddetti oggettivi? È possibile arricchire “il capitale umano” senza promuovere la memoria?
Certamente la memoria è una delle poche cose valutabili in termini oggettivi. Ma, sia ben chiaro, parliamo della memoria meccanica, ovvero della mera accumulazione di ricordi. In tal senso, i test misurerebbero proprio quel che si considera deteriore nella scuola: l’acquisizione meccanica e passiva di nozioni. Se invece si tratta di valutare il livello di comprensione profonda dei concetti i test sono precisamente un modo per oscurare questa valutazione. I concetti non si misurano, il significato non si misura. Arricchire l’uomo, la persona – francamente comincio a non poterne più di questa terminologia economicista e aziendalista dilagante (“capitale umano”) – si fa promuovendo la capacità di approfondire il “senso” e a questo non contribuisce la memoria meccanica, ma un altro tipo di memoria, ovvero la memoria storica, che non si limita a registrare i fatti ma cerca di coglierne il significato, anche come lezione etica e morale, oltre che come espressione della forma più alta di razionalità.

  1. Un recente libro di Nicholas Carr propone una domanda provocatoria molto attuale: “Internet rende stupidi”? Lei cosa risponderebbe? Potremmo dire che “rende stupidi” perché indebolisce la memoria?
Non credo che di per sé Internet renda stupidi e neppure perché indebolisca la memoria. Internet può rendere stupidi se si trascorrono ore e ore a ingurgitare informazioni in modo caotico, se ci lasciamo inondare da un’overdose di informazioni e di messaggi senza fermarci mai a riflettere e pensare, a selezionare. È un ridursi allo stato di macchina – simulando appunto il comportamento del computer, che immagazzina passivamente informazioni – e quindi è una forma di abbrutimento. Pare che alla morte di Spinoza si siano trovati nella sua biblioteca meno di duecento volumi. I libri e i testi che hanno un ruolo effettivamente importante nel costituire il nostro pensiero sono, in definitiva, molto pochi. È bene che oggi sia disponibile un deposito di informazioni quanto più possibile vasto e accessibile, purché lo si usi in funzione di qualcosa e non per assoggettarsi ad esso, altrimenti sì, si finisce con l’instupidirsi.

  1. Si parla di sapere condiviso o “memoria collettiva” nel magazzino del web opponendola a “memoria personale” frutto di ricerca e riflessione nello studio. Cosa ne pensa?
La memoria collettiva esiste soltanto come magazzino. E, ripeto, che esista una memoria collettiva quanto più possibile vasta e accessibile (sul web) è un fatto positivo e utilissimo. Ma l’idea che attraverso il web si formi una sorta di conoscenza o di cultura collettiva è – non riesco a non essere franco – una delle più grandi sciocchezze circolanti. Oltretutto le visioni che tendono ad annullare il valore dell’individuo, della persona a favore di “coscienze collettive” sono sempre espressione di ideologie totalitarie. Proprio oggi leggo di una ricerca statunitense su api e formiche che andrebbero considerate come un modello di “superorganismo” che si collocherebbe a un livello intermedio tra l’individuo e l’ecosistema. Insomma, l’insetto parte di un superorganismo sarebbe un modello di “eusocialità”. Commenta bene Piero Ostellino: «chi pretende di ridurre l’umanità a un superorganismo sociale tende a costruire un inferno concentrazionario dentro il quale rinchiudere chi rifiuta di essere formica o ape». Anche Marx ha spiegato chiaramente la superiorià dell’architetto sull’ape, ma oggi il progressismo scientista ci fa tornare indietro verso visioni adatte al totalitarismo del Novecento, e quel che è desolante è assistere al modo con cui, forse per timidezza di fronte alla “scienza”, queste teorie vengono supinamente accettata anche da molti che erano marxisti e rinunciano persino a quel po’ di umanesimo che vi era ancora nel marxismo.

  1. Un’ultima domanda sul rapporto “Memoria e storia”. Serve celebrare la “Giornata della memoria” in una società in cui la scuola sembra diventare sempre di più il deserto dei ricordi del vero, del bello, del giusto?  Cosa occorre perché il “fare memoria” del passato diventi risorsa dell’educare istruendo?
La Giornata della Memoria sta diventando un rito vuoto, stanco e retorico che rischia di sortire effetti opposti a quelli per cui è stata istituita. Nella scuola – che, come lei dice giustamente sta diventando il deserto del vero, del bello e del giusto, e il luogo della più vuota e arida tecnocrazia – la Giornata della Memoria sta diventando un semplice componente del piano di offerta formativa. Mi raccontava un insegnante che addirittura è spuntato fuori l’uso del termine “festa della Shoah”. Non credo vi sia bisogno di commenti. Il fare memoria del passato come risorsa educativa ha senso soltanto come educazione storica, e quindi all’interno del processo formativo ordinario. La nostra scuola è ormai un susseguirsi di iniziative “accessorie” e straordinarie, un immenso bazar di attività alternative. L’insegnamento ordinario (serio, qualificato, profondo) sdella storia è la sola autentica base per una formazione consapevole della memoria.

2 commenti:

Nautilus ha detto...

"Le dimostrazioni matematiche non si ricordano – non avrebbe senso – bensì si ricostruiscono volta per volta, o addirittura se ne costruiscono di nuove, in base alla logica del risultato da dimostrare, al contesto dei concetti di cui è intessuto, alle tecniche cui fa ricorso."

Per cui anche la matematica e ancor meglio la fisica possono (e dovrebbero) diventare un "racconto" nel senso di una costruzione logica e consequenziale eretta su relativamente poche nozioni di base, poche sì ma insostituibili.
Con queste ben digerite e un solido quanto essenziale metodo di ragionamento si può far tutto, perfino diventare "competenti".
Senza ciò, si costruisce sulla sabbia, hai voglia a far "ricerche".
Ma non son queste cose sapute e risapute, anche gli "esperti" del ministero avranno ben studiato in questo modo no? La Palumbo in testa, protagonista dell'articolo seguente?
E perfino quello psicologo, che altrimenti vorrei vederlo "memorizzare sequenze ordinate di parole", senza senso nè legami logici fra loro.

vanni ha detto...

Egregio Professore, visto che in fondo al suo post si accenna alla Giornata della Memoria, veda un po' lei se è il caso di pubblicar sul suo blog questo commento, inviato solo per recapitarle il link
( http://www.legacoopservizi.coop/upload/Legainf%205-2012.pdf ),
che rimanda al fascicolo "legacoop informazioni" Anno XXIII - N. 5 - 3 febbraio 2012 (notato abbandonato su un tavolino in Azienda), e specificamente alle ultime due pagine (27 e 28), che riportano succintamente i risultati di un sondaggio SWG sui pregiudizi antisemiti dei giovani, fatto in occasione della Giornata della Memoria.
Qualora le interessi e non lo conosca, basterà un minuto scarso per dargli un'occhiata, già sufficiente per assestare - non me ne voglia - una sferzata di buonumore.

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