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martedì 27 marzo 2012

LUBIANKA EDUCATIVA IN SEDICESIMO

Confesso che la lettura dell’intervista della dott. Carmela Palumbo mi ha sconcertato. Potrei limitarmi a menzionare quel che ho trovato platealmente più sconcertante, e cioé l’affermazione che i docenti vanno “ri-formati” perché «nella loro generalità, hanno una formazione di matrice universitaria che non è mai stata impostata sull’insegnamento per competenze”, ovvero sull’insegnamento - cito - che mira alla soluzione di problemi sulla base delle conoscenze acquisite nella “normale” attività didattica.
Ora - come ho osservato in un primo commento a caldo - so bene che è ormai uno sport nazionale il “tiro all’università”, ma qui stiamo passando ogni limite e ci sarebbe anche di che offendersi. Ma come ci si permette di dire cose simili? Davvero all’università è sconosciuta la formazione a risolvere problemi mediante le conoscenze acquisite, al punto che non soltanto i docenti della scuola vanno rieducati, ma anche le università debbono adeguarsi? Non so dove la dott. Palumbo viva e quali realtà conosca, ma in un tempo ormai lontano ho appreso, da studente, che non aveva senso studiare una materia scientifica senza acquisire la capacità di risolvere problemi. Tanto che, avendo avuto risultato alquanto modesti al mio primo esame di fisica, mi si spiegò che dovevo fare esercizi su esercizi, risolvere problemi su problemi, altrimenti non avrei mai capito un acca di fisica, e così feci, e così appresi a studiare fisica e matematica. Potrei continuare con gli esempi, le testimonianze, le prove, ma lo troverei persino umiliante. Quantomeno in qualsiasi materia scientifica questa è la situazione, da sempre, per cui questo discorso della “didattica per competenze” è semplicemente la scoperta dell’ombrello. E non aiuta rivestirlo di un linguaggio ornato di gergo didattichese: «mettere i ragazzi in situazione di realtà»… Ma che diamine è la «situazione di realtà»? La cultura sarebbe una situazione di irrealtà e il problem solving una situazione di realtà? Che linguaggio avvilente, burocratico, in definitiva, insensato...
Su queste basi, un «noi» che immagino vada identificato con il Ministero – che naturalmente si trincera dietro i suoi esperti, scelti non si sa come, o piuttosto si sa bene come – ha deciso di lanciare un piano di rieducazione dei docenti di ogni ordine grado, dalle scuole materne alle università che fa pensare ai piani quinquennali di sovietica memoria.
Con esemplare modestia i “nostri” (dirigenti, funzionari ed esperti) si sentono in diritto di compiere una simile opera di rieducazione collettiva, degna di uno stato totalitario, nei confronti dei docenti che “non sono pronti".... Chi da loro questa autorità? Il potere che detengono. Altrimenti, non potrebbero reggere un minuto, se soltanto si trattasse di discutere nel merito e confrontarsi su un piede di parità.
Ho partecipato a una grande manifestazione di presentazione delle università agli studenti degli ultimi anni dei licei laziali: un grande meeting con la presenza di tanti docenti, del ministro e di migliaia di ragazzi sui prati di Tor Vergata. E tutti gli oratori - non soltanto il sottoscritto - hanno vivacemente criticato la contrapposizione tra “sapere” e “saper fare”, insistendo anzi che bisogna mettere il “sapere” avanti al “saper fare”. Tutti l’hanno detto – che occorre farla finita con questa pseudo-scoperta del "saper fare" – non soltanto docenti di materie umanistiche, ma scienziati, ingegneri, medici. Ma nessuno di costoro conta un acca, per quanto autorevole sia, perché qualcun altro che tiene il bastone di comando in mano ha deciso altrimenti.
«Intendiamo»…. dicono... "Intendono" rifarci le teste. Un verbo che è un capolavoro e che è coronato dalla promessa di sviluppare un'azione a lungo termine. Un piano quinquennale (o decennale?) di rieducazione, per meglio dire, di lavaggio dei cervelli.
Ogni giorno si ripete la trombonesca formula dell’autonomia scolastica. Ma in realtà è il dirigismo, il dirigismo più sfrenato a farla da padrone. Il Sussidiario – dove è comparsa questa intervista – ha dato molto spazio a uno scritto di Vittadini che esemplarmente incita i professori a non essere burocrati, ma maestri.
Ma quali maestri potranno mai essere compatibili con un simile dirigismo? Quali maestri non burocrati potranno mai esserci quando si parla addirittura di «modello nazionale» per la valutazione delle competenze e all’intervistatore, che timidamente chiede se non si dovrebbe lasciare un grado di libertà alle singole scuole, la risposta è no, niente da fare, altrimenti viene meno il requisito del “linguaggio comune”. Insomma, è la solita tiritera dell’oggettività. Solo che l’oggettività la decide il Ministero e con quali idee lo si vede chiaramente. «Modello nazionale» con tanto di «linee guida», come se il dirigismo non bastasse.
Come ha scritto Piero Ostellino, in questo paese i cambiamenti di governo, come quello che abbiamo avuto, non ci fanno passare dal collettivismo al liberalismo, ma da una forma di dirigismo a un’altra. È il male nazionale.
Che dire? Bisogna avere fiducia nelle persone, quantomeno nei tanti insegnanti intelligenti, volenterosi, preparati che ci sono, eccome. A costoro bisognerebbe dire: usate la vostra intelligenza per riempire il modello nazionale di competenze nel modo più semplice possibile, e coerente con le valutazioni che date nel modo più sensato possibile.  Non perdeteci tempo sopra e compilatelo come ci si leva di torno una pratica burocratica insensata. Cercate in tutti i modi di farla in barba alla burocrazia dirigista, perché contro il totalitarismo l’unica risposta possibile è resistere sul fronte dell’intelligenza, della cultura, del buon senso, resistere in tutti i modi possibili. Sono convinto che saranno i docenti fannulloni, incapaci e impreparati i più solerti nel riempire le certificazioni nazionali di competenza secondo le linee guida. Li si lasci alla loro miseria. Il mondo dell’istruzione (scuola e università) alla fin fine è troppo vasto e ricco per essere irregimentato da una Lubianka in sedicesimo.

11 commenti:

Fausto di Biase ha detto...

a proposito di ``tiro all'universita`'' (inteso anche come mancanza di rispetto e considerazione e fiducia), vorrei raccontare un aneddoto, che spero non sia troppo fuori tema: ieri ero in commissione di laurea, e uno dei candidati al titolo di dottore magistrale ha infarcito la sua esposizione di numerose parole inglesi mal pronunciate, tra cui spiccava ``performance'': gli ho fatto osservare che la pronuncia corretta richiede l'accento sulla seconda vocale, e ... sono intervenuti, nell'ordine, la fidanzata del candidato, che si e` presentata come ``laureata in lingue'' (sic), e il padre del candidato, che poi ha dichiarato di essere ``bancario'', che hanno contestato nel merito la mia correzione (sic!); il ``bancario'' ha osato dirmi ``si informi!''

Giorgio Israel ha detto...

Mi auguro che tu li abbia messi a posto come meritavano. Senza contare che la pubblicità delle sedute di laurea non prevede la facoltà d'intervento del pubblico che assiste: bisognava cacciarli fuori d'autorità.

alfio ha detto...

Un aneddoto anch'io, se posso.

Studentessa: ma lo sa che la prof. xy prende 30 euro l'ora per lezioni di greco?

Io: e lo sai che un maestro di sci ne prende 40?

Studentessa: sì, ma fare il maestro di sci è difficile.

Io: ...
ps la studentessa è universitaria.

vanni ha detto...

Sì, un minimo di ricreazione ci vuole per rifocillare spirito e umanità in vista di qualche nuova - ma più facilmente vecchia e consueta - battaglia: qualche anno fa un professore dell'Università Federico II di Napoli esponeva alle sue spalle un cartello nello studio in facoltà, che implorava più o meno con queste parole: “Non dite a mia madre che sono un professore universitario, lei infatti mi crede pianista di piano bar”.
Absit iniuria verbis.

Kummer ha detto...

Risolvere il problema non è semplice. Ogni "struttura" (sia essa l'INVALSI, un Ministero o l'Unione Europea), cerca di espandersi il piú possibile. Purtoppo fa parte dell'umana natura. Certo ci si può opporre e allora la struttura opporrà la propria forza. Comunque, per fortuna c'è chi si oppone.

coccinella ha detto...

Non credo che gli insegnanti, alla fine degli esami, sentano il bisogno di certificare quello che hanno già chiarito con il voto. La certificazione delle competenze è stata subito generalmente ritenuta inutile o comunque sopportata come imposizione; tutto quello che non proviene dalle necessità dei docenti, che operano con i ragazzi e sanno come agire, è inutile.
È ora che gli insegnanti siano lasciati di nuovo lavorare in pace.

Ludwig Van Molleam ha detto...

Uno degli aneddoti che ai tempi dell'università (inizio anni '90) girava era legato al professore di Diritto Privato (credo) di Giurisprudenza che era noto per fare domande "strampalate".
Una di quelle più note era "che cos'è una capra su un campo di cavoli". La risposta doveva essere del tenore "un bene mobile su un bene immobile". [Relata refero, la dizione potrebbe essere sbagliata e io non sono laureato in Legge] Per quanto banale non era altro che una valutazione se il candidato aveva capito il significato dei concetti che si trovava a maneggiare nel corso dei suoi studi.
Ignoro se la ricerca di "situazioni di realtà" intenda cercare di calare la teoria nelle condizioni reali. All'esame di Campi Elettromagnetici il professore cercava di fare domande meno teoriche e più collegate a situazioni realistiche a coloro che di scritto prendevano i voti più alti. Capii solo dopo l'esame che era un modo per veramente sondare la capacità degli studenti di andare "oltre" il semplice studio a memoria di qualche dimostrazione.
La capacità di trasportare la teoria in pratica è però una cosa molto difficile e richiede anche da parte degli studenti un grosso sforzo intellettuale.

Se questa è l'idea del Ministero, non posso che rallegrarmi, ma temo che in realtà sia più vicina a quanto descritto dal prof. Israel.

Temo che il tutto nasca da una cattiva interpretazione (incapacità di calare in situazione di realtà la teoria?) del problema dello scollamento tra la preparazione teorica e le necessità pratiche richieste dai mestieri.
Da ingegnere informatico trovo effettivamente difficoltà con qualche laureato che si è imparato a memoria teoremi, definizioni, linguaggi, protocolli e poi sbatte la testa per ore su un problema apparentemente banale (non faccio esempi per non parlare di cose che non tutti potrebbero comprendere).
Che sia un problema di metodo di insegnamento ci può stare (e ricordando i miei studi universitari dico che c'è). Che questa sia la soluzione... mah...

Giorgio Israel ha detto...

Ma anche se fosse quella l'idea del Ministero, queste cose non si risolvono con le circolari e i moduli burocratici. Sono problemi culturali che richiedono un altro tipo di impegno. L'idea che possano risolverli la burocrazia ministeriale è degna di uno stato totalitario. In Urss imponevano a chiunque scrivesse un manuale scientifico di specificare continuamente il senso dei principi introdotti alla luce del marxismo-leninismo e di evitare qualsiasi concetto non fosse utile al proletariato. I poveretti riuscivano a cavarsela e rileggendo oggi i manuali di allora (spesso ottimi) quelle inclusioni fanno pena. Tali resteranno nella memoria futura le formule burocratiche della certificazione delle competenze.

Grazia Dei ha detto...

Caro prof. Israel,
prima ancora di finire di leggere il suo articolo avevo deciso di rassicurarla sul fatto che la maggior parte degli insegnanti non farà niente di insensato e continuerà a fare il proprio lavoro con maggiore serietà di quella che ci chiedono. D'altra parte siamo una delle categorie più "gattopardesche" (in tanti anni di riforme e cambiamenti nei modelli di programmazione, modulistica, indicazioni e O.S.A., abbiamo continuato a fare sempre le stesse cose, perdendo anche alcune occasioni).
Ultimamente ho avuto anche qualche piccola soddisfazione dai risulatati INVALSI dei miei alunni, ma solo perchè cerco di insegnare loro a ragionare e non ho alcuna intenzione di cominciare a insegnare in funzione di essi.
Ho visto da poco il film Scialla, dove c'è una bellissima tirata di uno dei protagonisti (il prof Beltrame, mi pare) contro "le competenze". Che goduria!
Ma questi perché non si guardano intorno e non capiscono che l'aria è cambiata?

Claudio Mancini ha detto...

Fuor di dubbio che queste proposte figlie di una cultura riduzionista del sapere vadano quando possibile ridotte a burocrazia compilativa. Tuttavia molti problemi sono reali e concordo in toto con Ludwig. Anch’io nella mia formazione matematica universitaria raramente sono stato sollecitato ad un minimo di riflessione applicativa, ad uno sguardo che andasse oltre le definizioni e le dimostrazioni. Per insegnare dignitosamente cerco da solo di ricostruire gli agganci culturali e applicativi che contestualizzano, danno senso alla teoria e mi pare siano importanti ed apprezzati dagli alunni.

Giorgio Israel ha detto...

Ognuno ha le sue esperienze, di docenti buoni e cattivi, ma l'idea che la formazione universitaria sia in sé quella del "sapere" e non del "saper fare" è un'assurdità priva di senso. Senza contare che il rapporto tra "puro" e "applicato" si pone in forme diversissime nelle differenti discipline. Abbassarsi a discutere di queste cose al livello della precettistica burocratica del ministero, come se in quei luoghi ne capissero qualcosa, mi pare davvero molto ingenuo.

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