Non si può che ammirare chi ha il coraggio di sedersi su una
poltrona difficile come quella della Pubblica Istruzione. Da anni ogni ministro
riceve in dote dal precedente un’eredità sempre più pesante, per l’accumularsi
di problemi aggravati da mediocri compromessi politico-sindacali e da cattive
riforme ispirate all’ideologia anziché al buon senso, una merce ormai rara nel
sistema dell’istruzione. Quindi, l’unica via per un ministro è perseguire il
difficile dosaggio tra una grande determinazione nel tagliare nodi
aggrovigliati fino all’inverosimile e una grande saggezza nel tener conto di
esigenze tutte rispettabili. È una miscela necessaria di fronte al lascito di
personale scolastico precario e all’esigenza di aprire una porta ai giovani;
perché un sistema dell’istruzione che non sia alimentato da nuovi apporti innestati
con continuità sulle esperienze precedenti è destinato a sicuro declino.
Inoltre, occorre por fine alla prassi disastrosa dell’immissione in ruolo di
nuovi insegnanti senza verifiche di merito.
Pertanto, la scelta del ministro Profumo di ripartire un
contigente di posti per metà al fine di sanare le situazioni pregresse e per
l’altra metà per far svolgere un concorso, va considerata come una decisione
coraggiosa ed equilibrata. Purtroppo le buone intenzioni non bastano. Pare che
il concorso sarà riservato agli abilitati, il che, in linea di principio, è
sacrosanto. Ma, nei fatti non si conferiscono abilitazioni da anni né si
avranno nuovi abilitati – con i TFA, Tirocini Formativi Attivi – prima di un
anno, per cui si rischia di fare una sola cosa, ossia assumere precari, con due
modalità diverse. Non sarebbe meglio far svolgere il concorso al termine del
primo anno di TFA? Si è anche proposto di aprirlo agli ammessi ai TFA, sotto la
condizione che conseguano l’abilitazione. Ad ogni modo, una soluzione va
trovata, altrimenti i più giovani si troveranno di fronte alla solita porta
chiusa, che tale resterà per chissà quanto tempo. Difatti, sarebbe un miracolo
se il proposito di bandire concorsi “leggeri” a brevi intervalli finalmente si
realizzasse.
Sorvoliamo sui problemi enormi che pone un concorso
“pesante”, soprattutto se aperto da un test preliminare di “scrematura”,
indispensabile dato il numero enorme dei candidati. Si è parlato di un test
unificato per tutte le classi di concorso mirato alle capacità
“logico-deduttive” il che suscita allarme, sopra ove si pensi ai disastri passati,
dal concorso per dirigenti scolastici a quello per i TFA. Ma lasciamo da parte
la tematica dei test per porre un problema più generale di cui essa è solo un
aspetto.
Di anno in anno, gli adempimenti e le verifiche che si
accumulano sul sistema scolastico crescono come una palla di neve che diventa
valanga. La quantità di scartoffie che incombono su insegnanti e dirigenti
cresce esponenzialmente. Ora si prospetta l’autovalutazione delle scuole
mediante griglie fornite dal ministero,
poi la valutazione mediante commissioni ispettive gestite dall’Invalsi
(l’Istituto di valutazione del sistema scolastico), poi la formazione in
servizio gestita dell’Indire (l’Istituto di documentazione e ricerca educativa);
e così via. Un’immensa macchina burocratico-amministrativa si appesantisce
sempre di più sulla scuola. La massa di prescrizioni e direttive si infittisce
lasciando sempre meno spazio alla libertà metodologica personale, e
restringendo il tempo dedicato all’insegnamento propriamente detto.
Nell’ambito della politica economica è difficile trovare chi
sia contrario alla crescita: ma poi ci si divide (anche in modo politicamente
trasversale) sull’idea se vada perseguita con interventi dirigisti o rimuovendo
i vincoli che intralciano lo sviluppo delle forze produttive. Non diversamente
nel campo dell’istruzione: c’è chi pensa che la crisi della scuola si possa
superare con un controllo sempre più stringente dall’esterno – da parte di
“tecnici” – e chi pensa che occorra mettere in atto solo i meccanismi che
favoriscono l’emergere delle forze migliori. Per i primi la valutazione del
merito si fa a monte, per i secondi a valle. I primi vedono il ministero come
un controllore onnipresente, i secondi gli attribuiscono il ruolo di favorire
discretamente e costruttivamente l’evoluzione positiva del sistema. Il
ministero italiano, per una lunga tradizione, propende a un dirigismo che sta
diventando ipertrofico, parossistico, ed è sostenuto da ideologie didattiche
soffocanti. Non esitiamo a dire che sarebbe auspicabile che il ministro si
orientasse a contrastare tendenze più adatte a un paese totalitario che a una
democrazia liberale. Si risolverebbero così anche tanti disastri (si pensi
ancora ai test) che sono conseguenza del potere eccessivo di “esperti” che
valutano il “prodotto” senza sapere cosa contiene, e cioè sulla base di analisi
statistiche e dati quantitativi e formali nell’ignoranza completa dei contenuti
in gioco. Non è elementare buon senso che prima di escogitare rimedi per la
scuola si faccia un’analisi dei suoi mali? E chi ha mai fatto una simile
analisi in modo serio, ovvero sui contenuti, e non limitandosi a statistiche di
dubbia interpretazione? Per esempio: chi ha mai fatto un’analisi seria dei
contenuti che circolano nei libri scolastici? E questo non per imporre questo o
quel modo di insegnare ma per aprire un dibattito di merito che solo può far
migliorare la qualità dell’insegnamento.
Inutile dire che, oltre ad avere buoni testi, vorremmo avere
buoni insegnanti. Il ministro ha recentemente proposto la sua visione di come
deve essere un buon insegnante. A noi pare che sarebbe meglio non impelagarsi
nel tentativo di definire una figura tanto complessa. Tuttavia, se proprio
dovessimo scegliere la definizione preferita, ricorderemmo quella di Hannah
Arendt: l’insegnante è colui che «si qualifica per conoscere il mondo e per
essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto,
di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al ragazzo è una sorta di
rappresentante di tutti i cittadini della terra che indica i particolari
dicendo: ecco il nostro mondo». E così facendo – osserva Arendt – fornisce al
giovane gli strumenti per avanzare liberamente con le proprie gambe.
Secondo il ministro
l’insegnante deve saper stabilire e gestire buone relazioni con gli studenti,
saper stare bene in classe, e alternare la sua posizione di docente con quella
di discente, lasciando talora la cattedra agli allievi. A parte quest’ultimo
aspetto che riporta a sessantottismi di cui non v’è proprio bisogno, la figura
che emerge è quella del “facilitatore” nell’ideologia dell’autoapprendimento. Sapere
star bene in classe e gestire bene i rapporti con gli allievi è molto importante,
ma non crediamo che si tratti di una scienza codificabile. Colpisce l’omissione
di un requisito cruciale: che l’insegnante sia colto, che conosca la sua
materia. Tolto questo, tanto varrebbe affidarsi a Pippo Baudo, che certamente
ne sa più di certi teorici dello “stare in classe”, che propinano i loro precetti
nel modo più noioso, cattedratico e trasmissivo che si possa immaginare. Abbiamo
il ricordo di insegnanti non molto capaci di gestire la classe, ma dotati di
una cultura tale da lasciare una traccia indelebile sugli allievi; ed altri,
brillanti e simpatici quanto vacui. Migliorare il mondo dell’insegnamento si
può. Mettere le brache al mondo è tipico delle visioni illiberali. Se poi riduciamo
i contenuti dell’insegnamento a un “optional”, a qualcosa che può essere “costruito”
pescando indifferentemente ovunque, senza distinguere tra libri seri e
Wikipedia, possiamo scommettere sul definitivo declino della scuola italiana.
(Il Messaggero, 3 settembre 2012)
10 commenti:
Lei ha criticato la valutazione quantitativa a tutti i costi, anche nel campo dell'economia.
Allora perchè scrive su giornali (Il Foglio, Il Giornale), tiene stretti rapporti con comunione e liberazione ecc. proprio quella parte di cultura che nel passato ha sostenuto il liberismo ed il Tatcherismo?
Come mai è un sostenitore del centro destra? Il centro destra del "CON LA CULTURA NON SI MANGIA"?
Io la seguo da tempo, concordo al 100% con le sue idee (tranne omosessuali e politica israeliana) sopratutto quando parla di scuola e di istruzione; idee che purtroppo sembrano eretiche (oggi si direbbe fuori dal "mainstram culturale") e proprio per questo spero che riesca a diffonderle sempre ad un pubblico maggiore.
Mi piacerebbe che mi chiarisse questa, secondo me, incoerenza.
Con stima
Pippo Pippa
Gent.mo Professore,
la divulgazione delle prime schede di verifica sui siti specializzati, come prevedibile, ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora. Esistono motivazioni del tutto arbitrarie. Ciò conferma che le proteste dei primi ammessi non sono vuoti proclami, ora che le motivazioni sono scritte attendiamo riscontri da parte della stampa e di altri docenti. Crediamo non si possa rimanere insensibili.
Gentile Pippo Pippa, la ringrazio molto per la richiesta di chiarimento cui rispondo con piacere, anche se una risposta esaustiva richiederebbe molto più spazio. Sono stato per vent'anni iscritto al Partito Comunista, del che non mi vergogno, perché di tale esperienza non rinnego affatto molti intenti ragionevoli e giusti. Con gli anni ho compreso che tale esperienza non poteva essere continuata e come tantissimi altri avrei voluto rimanere di sinistra (e, di fatto, per molti aspetti lo sono rimasto sempre) però tagliando nettamente con la tradizione comunista. Questo non ha significato per me diventare "liberista" (termine che esiste solo in Italia e che all'estero non viene neppure capito), ma di certo acquisire la validità di molto principi del pensiero liberale: tanti come me hanno seguito questo percorso, in certo senso persino l'attuale presidente della repubblica… Quando scrissi nel 1998 un libro "Il Giardino dei noci" - se lo cito, come altri, per esempio "Liberarsi dai demoni", non è per invitare narcisisticamente a leggerli, ma per indicare le tappe di un mio percorso - cercavo di ricostruire una visione che, all'interno di un pensiero liberale, recuperasse molti temi validi di un pensiero di sinistra (lontano dai miti palingenetici marxisti) e che era ben lontana dal mitizzare le virtù del mercato. Del resto, proprio nella mia ricerca scientifica, "La mano invisibile" aveva rappresentato una critica radicale dei miti mercatisti. Il Giardino dei noci era quindi un libro rivolto a sinistra, ma presto mi resi conto che non trovavo interlocutori perché (come purtroppo ancora oggi) il cordone ombelicale col comunismo era lungi dall'essersi rotto. Venne dai miei ex-"compagni" stupidamente preso come un "tradimento", magari soltanto perché citavo Popper, il che non significava essere "popperiano": ho rotto i ponti per sempre con l'idea di un mondo diviso tra bene e male, una buona idea può venire da ogni lato. Da allora sono rimasto una persona del tutto indipendente e che costruisce le sue idee in piena autonomia. Pensi al percorso di persone come Nicola Rossi o Peppino Caldarola: mi sento molto vicino ad esso. Perché scrivo su certi giornali e altri no? Perché è innegabile che nell'ultimo quindicennio si sia manifestata una apertura al dibattito libero e una capacità innovativa molto più nel centrodestra (in senso lato) che a sinistra: pensi ancor oggi al modo folle con cui stanno linciando Matteo Renzi, qualsiasi cosa se ne pensi. Questo non significa che io sia di centro destra, men che mai berlusconiano. Di certo, ho apprezzato certe aperture e - come avevo aderito con entusiasmo alla possibilità di collaborare col ministero Fioroni - ritenni e ritengo che la prima fase del ministero Gelmini avesse prospettato sviluppi molto positivi. Poi, quando le cose sono andate come sono andate, non l'ho certamente mandata a dire. Dovrebbe provare chiedere all'ex-ministro cosa pensa di me… A lei può non piacere il Foglio: le dico che è stato un giornale aperto alla discussione e alla elaborazione di idee nuove come pochi. Il Giornale mi ospita: non ho mai scritto nulla che non corrispondesse ai miei pensieri, talora attaccando senza riserve il centrodestra. Fintantoché manifesteranno questa disponibilità continuerò a scrivervi, visto che altri non me lo permettono. Peraltro scrivo spesso sul Messaggero – che certo di centrodestra non è – o su Avvenire. Se La Repubblica mi chiedesse un intervento lo scriverei senza meno. Invece danno spazio al signor Odifreddi che scrive cose da querela su di me, senza che il giornale mi abbia permesso neppure di rispondere. Quando mi sono stati chiesti interventi o interviste da organi di sinistra, l'ho dati senza esitare: sul Riformista, sul Fatto, su Left e ne dimentico altri. Ma sta di fatto che questo accade di rado e che c'è maggiore disponibilità da una parte.
(segue)
Mi si vuole invitare a un incontro promosso dal Pd sulla scuola o sull'università: ci vado di corsa. Ma non accade, invitano soltanto "yesmen". Due volte sono stato invitato dall'ex-ministro Berlinguer a convegni da lui promessi: ci sono andato di corsa. Credo che fosse dovuto al fatto che allora presiedevo una commissione ministeriale ed ero membro di altre tre: quando mi sono ritirato, in dissenso con le tendenze prese dal ministro Gelmini, non ho ricevuto più inviti… Può sembrare paradossale? Non lo è, se lei conosce un minimo i meccanismi del potere.
Quanto a Comunione e Liberazione, so bene che esistono diverse anime in CL: ne esiste una tecnocratica, ma c'è anche un'anima che crede profondamente nel valore spirituale della cultura e dell'educazione e che sarebbe assurdo definire "di destra" o "liberista". C'è un popolo di CL che è sensibile alle idee sull'istruzione che piacciono a me e a lei, come pochi altri. Sono reduce da un incontro a Rimini dove ancora una volta ho verificato la profonda, ricca apertura spirituale e culturale di tanta gente di CL. E perché mai non dovrei avere un rapporto profondo con questa realtà, dal mio punto di vista? I settarismi li ho lasciati a casa da lungo tempo. Il che non significa che io non dica sempre e comunque quel che penso, a costo di avere attriti, in particolare con il centro destra, che peraltro si sta disintegrando nella irrilevanza.
Formule come "la cultura non si mangia" o "la scuola delle tre i" le ho attaccate senza pietà. Che altro dovrei fare? Tacere e non scrivere fino a che organi di sinistra mi diano spazio? Insomma, tornare a vecchi precetti del Partito Comunista: mai col "nemico" e stare da una parte qualsiasi nequizia vi si commetta? Scherziamo?
Quanto all'istruzione, lei dovrebbe sapere meglio di me che ormai esiste un fronte politicamente trasversale che sostiene quel "mainstream" che combatto (d'accordo con lei, a quanto mi dice). Pensi a quel fronte composto da parte di Confindustria (Fondazione Agnelli), da personaggi come l'ex ministro Berlinguer e da molti altri intellettuali di sinistra o estrema sinistra, era un vasto stuolo di pedagogisti di sinistra e di destra (ma d'accordo su una posizione costruttivista). Come lo definirebbe politicamente? Crede che esista uno spazio migliore a sinistra che non a destra per opporvisi? Mi creda - glielo dico per esperienza diretta – non è così. Si può dire "purtroppo", ma è così. Mi stupisce anzi l'acquiescenza supina di molte persone di sinistra che, pur di non dir male dei sindacati o di quei tecnocrati del Pd che sostengono a spada tratta tutta questa baracca della valutazione, tacciono o mandano avanti persone come me, senza avere il coraggio di fare i conti a casa propria.
Spero quindi di averla convinta non tanto di quel che penso - non pretendo tanto - ma che di incoerenza non v'è proprio traccia.
Tralascio di commentare le molte cose su cui concordo, sarei ripetitivo. Vorrei invece aggiungere due commenti.
Lei dice "Chi ha mai fatto un'analisi seria dei contenuti che circolano nei libri scolastici?". La fanno (la dovrebbero fare) i docenti. Personalmente ho trascorso ben più di un centinaio di ore a esaminare i testi (quasi 50 volumi) di matematica e fisica che mi sono arrivati l'anno scorso. Non capisco chi altri dovrebbe farlo. Una commissione minsiteriale? Non credo sia questa la sua idea. Qual è la sua proposta?
Veniamo alla definizione di insegnante della Arendt. Qui purtroppo caschiamo male. Il docente medio italiano è tra i lavoratori che meno hanno conoscenza del mondo. Parlano poco e male le lingue, usano poco e male il computer, in molti lavori d'ufficio sarebbero persi, non parliamo nel mondo industriale, non per mancanza di qualificazione specifica, ma perché è un mondo con regole totalmente diverse. Se non è chiaro cosa intendo, basta un esempio: i docenti che si lamentano per una riunione pomeridiana in più.
Non di certo una commissione ministeriale, Dio ce ne scampi. Gli insegnanti, come dice lei. Ma anche se lo facessero, come lei lo fa, chi conosce il loro giudizio e quando mai diventa parte di un dibattito collettivo? Se le associazioni professionali, invece di scimmiottare i sindacati, divenissero dei centri di discussione culturale, allora quelle potrebbero essere le sedi in cui far convergere giudizi, e aprire dibattiti, ecc. Nel mio piccolo, ho aperto un fronte sulla legge dissociativa dell'addizione e altre barbarie pseudomatematiche, come le buffonate sul "sopra/sotto", "davanti/dietro" come "indicatori topologici". Mi auguro, anche con altri strumenti, come il libro appena uscito e il sito connesso, che si sviluppi una consapevolezza che porti a buttare al cestino certi libri che le contengono. In breve, si tratta di aprire e moltiplicare centri di discussione in cui converga il giudizio degli insegnanti e di chiunque abbia competenza in materia.
Quanto alla definizione di insegnante, esiste sempre uno iato tra aspirazioni e realtà, e talvolta lo iato è impietoso. Ma se ci neghiamo gli ideali, che cosa ci resta?...
Una piccola replica fuori argomento: il fatto che in geografia si usi l'espressione "indicatore topologico" non vuol dire che abbia lo stesso significato che ha in topologia. Basta mettere le due parole su Google per rendersi conto che si tratta di una terminologia diffusa nella geografia per la scuola primaria. Le definizioni sono arbitrarie, e in ambiti diversi possono riferirsi a cose diverse.
Abbia pazienza, le parole hanno un senso preciso, e l'aggettivo topologico riferito a sopra/sotto ecc. è una semplice bestialità. Si aggiunga che non è vero che venga usato soltanto in geografia - dove comunque è un abuso di linguaggio da ignoranti - ma anche nella matematica delle primarie da molti testi, e persino nelle indicazioni nazionali, e questo è un autentico scandalo. Nelle tesi di laurea di formazione primaria di matematica, docenti che non sanno niente di matematica inducono i poveri laureandi a usare questa terminologia. Dedicherò un "bestiario" apposito a questa faccenda. Ho anche avuto discussioni con insegnanti di matematica (si fa per dire) che usavano questa terminologia. Mi dispiace se sono brutale, ma questa faccenda sta diventando un autentico scandalo e, ripeto, non si può proprio assolverla ascrivendola tutta alla geografia. Non è così.
Caro professore voglio ringraziarla per la lunga risposta che mi ha dedicato e della sua gentilezza. Quello che lei scrive l'avevo intuito già da tempo. In realtà, volevo solo una conferma.
L'avevo capito dai suoi articoli passati, dai suoi ragionamenti, dalle sue riflessioni.
Nella sua risposta sembra di rileggere quello che ho passato io (nel mio piccolo si intende) nella mia esperienza come militante a sinistra e che continuo anche se in forme diverse.
Sappia che ci sono persone anche a sinistra che leggono e discutono sui suoi articoli condividendone spesso i contenuti. Io sono uno studente universitario, frequento un'università (privata purtroppo) dove ignorano il pedagogismo e la metodologia. Risultato? Dopo anni di scuola dell'obbligo ove la metodologia imperava, tranne qualche raro professore, arrivato all'università ho ricevuto tanti calci nel sedere e solo ora sto recuperando; forse se avessi avuto una formazione "diversa" questa fatica di mettermi in riga, non l'avrei dovuta fare. Io spero che un giorno venga un governo,magari di centro sinistra nuovo perchè no, che metta fine a questa pagliacciata delle "teste ben fatte" e che nessuno debba più provare quello che ho subito io. Ci faccia caso i ministri della metodologia parlano per gli altri, i loro figli li mandano all'estero o in istituti privati dove vengono utilizzati i metodi tradizionali di insegnamento.
LORO accederanno ai lavori migliori, LORO saranno la futura classe dirigente, non lo trova uno squallido modo di reinterpretare la differenza in classi sociali? Che di tutto ciò ne sia artefice proprio la sinistra,scusi scusi il linguaggio, mi fa girare gli attributi.
Nonostante ciò di CL continuo ad avere una pessima opinione, per quello che vedo in università, per quello che vedo in regione, nel clientelismo e diciamolo, nella loro strafottenza ideologica.
Buona sera
PS Al meeting, la sua critica all'infelice espressione del ministro Fornero "capitale umano" l'ho apprezzata moltissimo. Ci crede che è la prima volta che ho sentito una voce levarsi contro il tecnocratichese (per lo meno in modo così palese ed ad una platea vasta)?
Pensare ai problemi della scuola, e in particolare delle metoologie didattiche, in termini di destra e sinistra è un grosso errore. Conosco una quantità di docenti che votano a sinistra e a solo sentire parlare di "pedagogisti" e simili ha un attacco di orticaria. Le "teste ben fatte" ovviamente servono, ed è anche ovvio che per essere ben fatta deve contenere qualcosa.
Le metodologie didattiche si dividono in due categorie: quelle che spesso funzionano e quelle che in genere non funzionano. Il che dipende anche dall'età degli alunni.
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