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giovedì 7 febbraio 2013

Università, il fallimento del "3+2"


Un anno fa, in occasione del dodicesimo anniversario della riforma universitaria berlingueriana del “3+2” (laurea specialistica e laurea magistrale) si fecero alcuni bilanci ottimistici. Con quanto fondamento lo vediamo ora, constatando che il numero degli studenti universitari è crollato, accanto a una pesante diminuzione del numero dei docenti. Né la diminuzione della natalità può giustificare simili numeri, anche in presenza di un aumento della scolarità e delle riforme che miravano ad aprire gli accessi a un numero sempre maggiore di studenti Può stupirsi solo chi non abbia seguito le vicissitudini dell’università in questo lasso di tempo. Al solito grido “l’Europa lo chiede” (il che era anche falso), si costrinsero le università a dedicarsi per alcuni anni al compito immane di mettere in piedi un sistema barocco ed elefantiaco di crediti. S’introdusse una laurea triennale dequalificata, spezzettata in micro-insegnamenti e che non da accesso a quasi nessuna professione. Si sostituì la collaudata laurea quadriennale con una laurea quinquennale, un “+2” di cui metà serve a tappare le falle del “3” e l’altra metà a fare appena qualcosina in più. Quindi, tre anni per ottenere un pezzo di carta che non vale niente, cinque anni per ottenere qualcosa che vale meno delle vecchie lauree quadriennali, spendendo un anno in più di tasse. Di che stupirsi se un simile sistema sia risultato assai poco attraente? Inoltre, uno dei canali fondamentali, quello della formazione degli insegnanti è stato prosciugato. Prima lo si è fatto passare attraverso un’istituzione a dir poco discutibile, le Siss (Scuole di specializzazione per l’insegnamento) che costringevano ad altri due anni di corsi (ben sette anni in totale!). E il tentativo di ridurli a uno con il Tfa (Tirocinio Formativo Attivo) è stato vanificato e ridotto a una parodia da una ridda di inteventi, modifiche, deroghe e test di accesso assurdi.
Si aggiunga che la frantumazione dei corsi in corsucci persino di poche ore ha creato un clima isterico in cui lo studente deve superare un numero esorbitante di esamini, senza potersi mai fermare a studiare seriamente una materia in modo organico. Le università hanno pesanti responsabilità nell’aver contribuito a questa frantumazione. Ciò riconduce all’antica questione se sia più colpevole Eva o il serpente. Sta di fatto che hanno giocato una parte rilevante i tanti serpentelli che hanno predicato (e predicano indefessamente) contro le università che sarebbero troppo dedite alla cultura, allo studio disinteressato, alla ricerca pura, invece di funzionalizzarsi in toto al mondo produttivo, uscendo dalle “torri d’avorio”. Dalle torri d’avorio si è usciti da un pezzo ed ecco il risultato.
V’è poi la questione del corpo docente. Dagli anni settanta vi furono grandi immissioni ope legis ed era chiaro che in questi anni vi sarebbe stata una valanga di pensionamenti. Nulla si è fatto, producendo un’enorme frattura generazionale e la conseguente mancata trasmissione di esperienze e competenze.
Le cifre – in controtendenza rispetto agli altri paesi avanzati e non – indicano un drammatico declino dell’università italiana che viene osservato con insensibilità pari a quella con cui viene osservato il disastro dei beni culturali, e anzi proponendo di calcare la mano sulle ricette rivelatesi fallimentari. Si parla di “società della conoscenza” e si crede che questa possa reggersi su nuove generazioni sempre meno qualificate. Infine, il continuo taglio delle risorse ha ormai raggiunto livelli incompatibili con l’esistenza di un’università degna di questo nome. Un conto è razionalizzare la spesa – ma allora perché si trovano quattrini a palate per le follie dell’Anvur? – altro conto è credere che si possano fare le nozze con i fichi secchi. Sono stato di recente in un’università svizzera neppure di primo livello, e mi sono vergognato nel vedere la qualità delle aule, del campus, dei servizi. Quale rispetto, interesse, attrattiva può suscitare un’istituzione ridotta in uno stato di vero e proprio sfacelo?

(Il Mattino, 2 febbraio 2013)

8 commenti:

Massimiliano ha detto...

Tra ciò che ho potuto sperimentare, proprio le SSIS vibrarono un colpo fatale al 3+2. La loro creazione sembrò inizialmente l’uovo di Colombo:, consentendo di formare insegnanti di scuola superiore come specializzazione inclusa nel corso ordinario, e quindi immettendo insegnanti giovani (23-24 anni), preparati ma non overqualified (una fonte non trascurabile di frustrazione per molti Ph.D., perlomeno per fisica e matematica, non posso parlare per altre discipline). La loro attuazione come corso post-laurea fu una evidente dimostrazione della nullità del titolo di primo livello: se non consentiva nemmeno l’accesso alle SSIS, allora non era veramente inutile. Le conseguenze, anche se magari non solo di questo (si potrebbe dire molto sull'efficacia didattica di certi corsi in forma semestrale), sono quelle che descrive.
Quanto alle presunte richieste del cosiddetto mondo produttivo, chiunque abbia una minima conoscenza del mondo industriale od aziendale è in grado di valutarne l'inconsistenza culturale, ed è semplicemente il tentativo di scaricare sul bilancio pubblico i costi di una formazione specifica destinata a diventare obsoleta nel corso di pochi anni: ho visto troppi brillanti laureati in Informatica, con profonde conoscenze di basi di dati, buona pratica di linguaggi object-oriented e sistemi operativi (secondo le richieste aziendali) assegnati a capi semianalfabeti (e magari laureati pure loro, anche se non ho mai capito come), scelti con logiche clientelari, che hanno condotto progetti fallimentari e costosissimi, per riuscire a considerarle seriamente.

mac67 ha detto...

Di certo il "3+2" non è stata una grande idea, sottoscrivo gran parte dell'intervento, a parte il giudizio negativo per l'introduzione dei crediti, quelli sì, "imposti" non dall'Europa, ma da un (sempre troppo lento e incerto) processo di integrazione europea.

Il declino dell'università segue quello della scuola e quello dell'industria ad alto contenuto scientifico e tecnologico. Tanti hanno visto, nel corso degli anni, quale sentiero avevamo imboccato, e lo hanno anche denunciato pubblicamente, in genere venendo derisi. Ricordiamo che il precedente Ministro del Tesoro disse che con la cultura non si mangia.

Unknown ha detto...

Mmmm, mirando a maggior concretezza, gentile Israel, la sua spiegazione vale, ma per un 30%, credo semmai che il vero e consistente motivo sia la percezione ormai diffusa che la cultura non serva a un beato accidente. Sappiamo onestamente che non è così, ma proviamo a ragionare come "l'uomo della strada". Da un lato l'enfasi sull'economicismo e sul tecnicismo ha reso l'idea di "farsi una cultura" roba da perditempo: se lo spirito di imprenditorialità richiede di inseguire di volta in volta obiettivi minimi di sopravvivenza e e sempre più negoziabili, chi me lo fa fare di investire anni in qualcosa di metodico? Se lenoni e truffatori diventano onorevoli e delle prostitute salgono a dettare legge, perché dovrei faticare e "sudarmi" le competenze? Se chi insegna è visto come un parassita e un perdente perché dovrei sentirmi gratificato a fare lo studioso? Queste sono le vere ragioni: un'economia assassina che disprezza il tempo dedicato al "pensare", la retorica di un opportunistico "fare", la sostituzione di obiettivi a brevissimo termine a progetti di vita e ultimo ma non ultimo la demolizione delle ideologie che altro non sono che le idee che si fanno organizzazione. Invece di distinguere fra ideologia e ideologia si è buttato a mare tutto, e con esse il valore delle idee.

Unknown ha detto...

Mmmm, mirando a maggior concretezza, gentile Israel, la sua spiegazione vale, ma per un 30%, credo semmai che il vero e consistente motivo sia la percezione ormai diffusa che la cultura non serva a un beato accidente. Sappiamo onestamente che non è così, ma proviamo a ragionare come "l'uomo della strada". Da un lato l'enfasi sull'economicismo e sul tecnicismo ha reso l'idea di "farsi una cultura" roba da perditempo: se lo spirito di imprenditorialità richiede di inseguire di volta in volta obiettivi minimi di sopravvivenza e e sempre più negoziabili, chi me lo fa fare di investire anni in qualcosa di metodico? Se lenoni e truffatori diventano onorevoli e delle prostitute salgono a dettare legge, perché dovrei faticare e "sudarmi" le competenze? Se chi insegna è visto come un parassita e un perdente perché dovrei sentirmi gratificato a fare lo studioso? Queste sono le vere ragioni: un'economia assassina che disprezza il tempo dedicato al "pensare", la retorica di un opportunistico "fare", la sostituzione di obiettivi a brevissimo termine a progetti di vita e ultimo ma non ultimo la demolizione delle ideologie che altro non sono che le idee che si fanno organizzazione. Invece di distinguere fra ideologia e ideologia si è buttato a mare tutto, e con esse il valore delle idee.

Giorgio Israel ha detto...

Certo, mirando alla concretezza che richiede un intervento contingente su un quotidiano. In termini più generali, è la sua spiegazione quella giusta, anche se occorrerebbe approfondirla in tutti i suoi aspetti. Il paradosso è che nei paesi "sottosviluppati" stanno investendo massicciamente sulla "conoscenza", seguendo un percorso simile a quello nostro di tanto tempo fa, e non scavalcandolo di un colpo, come i nostri tecnocrati superficiali credono...

Gianfranco Massi ha detto...

Mi chiedo se il nostro sistema di informazione – stampa, televisione e web – sia lo specchio o la causa del declino paese. Che è, a mio parere, generale, non solo limitato al sistema scolastico.
Gianfranco

Andrea Viceré ha detto...

Il declino dell'università ha certo molte cause, ma urge sottolineare la gravità dell'enorme frattura generazionale che si è creata, come giustamente Lei scrive, a causa della scelta dissennata di immettere in ruolo un gran numero di persone ope legis negli anni settanta e nei primi ottanta.

Scelta che da una parte ha saturato le piante organiche, costringendo per anni i migliori a emigrare, dall'altra ha incardinato nel sistema molte persone sostanzialmente mediocri, per mancanza di una reale selezione.

Lavorando in un esperimento Italo-Francese, ho potuto constatare quali vantaggi porta invece il sistema di reclutamento transalpino, che immette ogni anno in ruolo un numero piccolo di persone, ben selezionate, giovani e altamente motivate.
Noi invece costringiamo anche i migliori ad anni di precariato e di subalternità, con il risultato che intere generazioni sono ormai semplicemente non rappresentate; i loro migliori esponenti sono tutti all'estero, in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, persino in Sudamerica.

Purtroppo il declino dell'università è anche figlio di questa mediocrità di gran parte del corpo docente, che ha accettato senza ribellarsi ogni assurdità, dal 3+2, ai tagli sconsiderati alle risorse, alla preminenza dei consigli di amministrazione, zeppi di persone cui non interessa né la ricerca né la didattica.

Di recente leggevo di un rettore che dichiarava soddisfatto come sotto la sua gestione il numero di docenti si fosse ridotto del 20%, e di come grazie a questo l'università fosse divenuta più virtuosa, avendo ridotto la quota di finanziamento ordinario dedicata agli stipendi.
Ometteva però di menzionare come ormai molti corsi fossero affidati a pensionati o a persone del tutto estranee all'università, con le conseguenze che è facile immaginare per la qualità dell'insegnamento.
E come diversi corsi, anche con molti iscritti, fossero ormai a rischio di chiusura, per imminente perdita dei requisiti minimi.

Per carità, tutti sappiamo che l'università italiana è zeppa di sprechi, ma invece di ridurli si è deciso di tagliare proprio sugli investimenti, una politica che si è dimostrata suicida già per molte aziende.
Ma certo, dimenticavo che si vuole proprio che l'università diventi un'azienda! Fallita, è appena il caso di aggiungere.

Cordialmente

Andrea Viceré

Anonimo ha detto...

Ho letto un libro illuminante di Simone Colapietra intitolato "Il fallimento dell'università italiana - Dalla riforma-scempio del 3+2 ad oggi". Qualcuno ci aveva avvisato!

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