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sabato 30 marzo 2013

Le imprese del "ministro per il disbrigo degli affari correnti"

Sul Sussidiario

Buona Pasqua a tutti, ringraziando chi ha fatto gli auguri per la Pasqua ebraica (Pesach).
Cogliendo l'occasione per trasmettere un esilarante commento che ho ricevuto.
«Far scegliere l'università prima? E perché no? Anzi, si potrebbe fare la scelta al momento della nascita con un esame del DNA...»

domenica 24 marzo 2013

5 STELLE DI RAZZISMO E DI NAZISMO


Ci si renderà finalmente conto che questo non è un problema degli ebrei, ma un problema che riguarda la democrazia e la libertà in questo paese?

venerdì 22 marzo 2013

Dov'è finita la politica se, pur di governare, il Pd tratta con Grillo?


Quando il candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca frustò l’Italia dicendo che erano stati eletti due clown, lo sdegno era inevitabile, e per due ragioni strettamente collegate. Innanzitutto perché era allucinante un simile sarcasmo da parte del possibile cancelliere di un paese che un tempo, accodandosi a un tragico clown – qualcuno ha mai provato a rivedere nei filmati le contorsioni isteriche del busto e delle mani di Hitler mentre urlava un discorso? – ha trascinato il mondo in una catastrofe inaudita. E la seconda ragione è che quel signore aveva messo sullo stesso piano clownesco un uomo politico – su cui si possono dare tutti i giudizi negativi del mondo ma che ha sempre rispettato le regole democratiche, andandosene senza difficoltà ad ogni sconfitta elettorale – e un personaggio che dirige dalle quinte un movimento come una schiera di marionette, promettendo l’inferno a chi non obbedisce e dichiarando che la sua unica aspirazione è il 100% del Parlamento, niente di meno, e che, a sua volta, ha dietro le quinte un tecno-millenarista che prospetta una guerra mondiale di venti anni, con la distruzione di San Pietro e altro, dopo la quale vi sarà la pace universale informatica.
Ora dobbiamo sperare che una riflessione più attenta da parte di una comunità nazionale che ha mostrato tanta capacità di guardarsi allo specchio – passeggiare per Berlino significa cogliere a ogni metro lo spietato spirito autocritico con cui la Germania esibisce e frusta il proprio passato nazista – conduca a cogliere quale distruzione della cultura politica e dei fondamenti della democrazia si stia verificando in Italia con l’avvento del grillismo. Dobbiamo sperarlo perché qui i segni di resipiscenza non si vedono. Al contrario.
Per anni si è discettato e litigato sulla morte del comunismo o sulla sua sopravvivenza in vecchie o nuove forme o come mutazione più profonda. Non toccheremo qui un tema che non può essere seriamente approfondito in un articolo di giornale. Ma gli eventi di questi giorni dicono una cosa inequivocabile al riguardo, e cioè che almeno una componente di ciò che di indiscutibilmente positivo ha dato il Partito comunista alla storia politica del paese è svanita del tutto. Mi riferisco a quel senso di responsabilità nazionale che, in più occasioni drammatiche, ha permesso di sostenere le istituzioni a un passo dal crollo. Molti sono troppo giovani o hanno una memoria vacillante, e non sanno o non ricordano gli anni settanta del Novecento, il periodo delle Brigate Rosse, culminato nella terrificante immagine del baratro in cui stava precipitando il paese, rappresentata dal cadavere di Aldo Moro accartocciato nel bagagliaio di un auto. E troppi non sanno o non ricordano quanto poco un personaggio come Giulio Andreotti fosse indigeribile o francamente inviso alla stragrande maggioranza del popolo di sinistra. Eppure, il Partito comunista, per quanto colpito dagli eventi e smarrito di fronte alle “foto di famiglia” dei mostri che stavano aggredendo la democrazia e la vita di tante persone, seppe compiere una scelta di solidarietà nazionale e seppe farla capire al popolo di sinistra, contribuendo in modo determinante a salvare il paese.
Si dirà che la situazione presente è meno grave. Per certi versi lo è molto di più, per la dissoluzione della politica e del senso istituzionale, che è proprio testimoniata dallo stato miserando cui è ridotto l’epigono del Partito comunista di un tempo. È l’immagine desolante di un grande partito politico che si richiama a una cultura delle istituzioni che risale al compromesso che ha dato luogo alla tanto venerata Costituzione, ridotto a inseguire un movimento estremista che strumentalizza l’esasperazione della gente a progetti assurdi, a prassi lontane da qualsiasi elementare forma di democrazia, che manifesta simpatie per tutto ciò che di peggio propone il panorama mondiale, fino al fondamentalismo iraniano, in cui si dice sul serio che negli USA il Grande Fratello mette i chip sotto la pelle per controllare la gente. È un’immagine desolante vedere questo partito dichiarare una sintonia con quei progetti assurdi nella misera speranza di raccattare qualche voto con cui costruire un improbabile governo per fare non si sa che cosa, nell’unico desiderio compulsivo di ottenere il potere. Almeno il vecchio Pci aveva un programma, per quanto ormai impossibile: realizzare il socialismo su una terza via. Questi epigoni, pur di fare un governicchio, sono pronti anche ad accettare un dialogo con chi vuole uscire dall’Europa, dopo aver predicato di volere il contrario. È mai possibile che non vi sia più tra loro chi conservi un minimo di senso politico e istituzionale?
(Il Foglio, 21 marzo 2013)

E aggiungo che mi fa piacere constatare che un esponente della sinistra come Michele Salvati, sul Corriere della Sera di oggi dice le stesse cose, pregando Bersani di non rimettersi a fare il furbo sulla presidenza della Repubblica. Una Repubblica ormai sfregiata e ridicolizzata dalla figura penosa sulla vicenda dei Marò e dallo spettacolo indegno dei grillini al Quirinale, che sfottono Napolitano-"Morfeo", che è apparso loro meno morto di sonno di quanto avevano creduto, anche perché l'ha svegliato "Beppe". Il quale non si capisce a che titolo sia andato alle consultazioni. Con questo criterio, Berlusconi poteva andarci con Ruby...

giovedì 21 marzo 2013

Bilancio del dialogo ebraico-cristiano


Quando si parla dell’antisemitismo cristiano non occorre dimenticare il percorso compiuto in circa mezzo secolo. Constato senza esitazione che i miei figli non hanno conosciuto nemmeno una piccola parte delle cattive parole, delle insinuazioni devastanti, delle pressioni psicologiche che ho subito nei miei anni scolastici. L’insegnamento del disprezzo sopravvive, ma in circoli ristretti ed esterni alla dottrina ufficiale della Chiesa. Come dimenticare quel che veniva scritto ancora meno di un secolo fa sull’organo ufficiale dei Gesuiti, “Civiltà Cattolica”? Prose come quelle stentano a uscire – almeno in quei termini – persino dal covo più accanito dell’antisemitismo cattolico, la comunità lefebvriana. Un grande cammino è stato compiuto in mezzo secolo dopo duemila anni di odio e di persecuzioni. Eppure questo non ci basta, ed è giusto che sia così. Ma non sarebbe giusto svalutare l’importanza di quel cammino, altrimenti non sapremmo neppure cosa resta da fare.
L’opera di Giovanni XXIII e la Nostra Aetate hanno segnato l’inizio della svolta. Quel testo contiene l’embrione della tesi più audace, secondo cui i «doni» e la «vocazione» di Dio sono «senza pentimento», accanto a un atteggiamento di generica benevolenza: gli ebrei sono «ancora» carissimi a Dio e da rispettare per «religiosa carità evangelica». Era un passo decisivo per sbarazzare il campo dell’insegnamento del disprezzo incorniciato in un invito ai fedeli alla tolleranza e al rispetto malgrado le incomprensioni depositate nei secoli. Per iniziare a spazzare via  il terreno da queste incomprensioni occorrevano atti concreti, spettacolari, carichi di emozioni. Tale fu la visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma. Il papato di Woytila non è stato esente da passi incespicanti, soprattutto in certe occasioni pasquali in cui rispuntarono ambigui accenni sul ruolo degli ebrei nella Passione di Gesù. Ma la nota dominante fu quella della traduzione sul piano concreto dell’invito contenuto nella Nostra Aetate. Giovanni Paolo II dichiarò che «chi incontra Gesù, incontra l’ebraismo». Fu, ancor più che un asserto teologico, un proclama pratico, un invito a incontrare non soltanto un ebraismo astratto e cristallizzato nel passato, ma l’ebraismo vivente e, in definitiva, a incontrare gli ebrei.
Ma neanche questo poteva bastare. Non poteva bastare la professione di fratellanza e il fatto emotivo, perché le radici più profonde, ostinate e difficili da sradicare sono sul terreno teologico. Chi ha compreso che questo era il passo decisivo da compiere è stato il Cardinale Ratzinger, prima sotto il papato di Giovanni Paolo II, e poi come quel papa Benedetto XVI che si è dimesso con un gesto che ha lasciato il mondo attonito.
Sono in tanti, quasi tutti, a riconoscere l’importanza dell’opera da lui fatta, ma nel passato non sono stati altrettanti ad averla compresa e apprezzata; soprattutto ad aver valutato lo straordinario sforzo concettuale e teologico compiuto con il documento del 2001 su Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana. È un testo che sviscera tutti i passi evangelici in cui trova alimento l’antigiudaismo, al fine di eliminare le potenzialità negative che essi possono contenere. A questo testo occorre aggiungere varie parti dei libri di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, che hanno sottratto ogni spazio al tragico mito del deicidio.
C’è chi ha minimizzato l’importanza di quest’opera – che invece, a mio avviso, costituisce la conquista più solida di tutte – a causa della visione complessiva ratzingeriana tesa a una forte difesa della dottrina e della tradizione. È curioso che questa accusa sia venuta talora da chi propone una difesa del tutto analoga in ambito ebraico. È un atteggiamento incoerente: perché mai si dovrebbe chiedere un atteggiamento riformatore alla Chiesa quando si considera un indirizzo del genere una sciagura per sé stessi? Chi scrive considera negativo – per dirla con le parole di Alberto Cavaglion – che siano sempre i “modernisti” ad avere la peggio. Ma non si può predicare il “modernismo” a tutti salvo che a sé stessi.
L’importanza dell’opera teologica di Benedetto XVI è provata dal fatto che essa ha reso possibile il dialogo sul tema più difficile. Basti pensare al noto libro del rabbino Jacob Neusner, Un rabbino parla con Gesù; o all’affermazione del rabbino Gilles Benheim – che ricordavo nell’ultima rubrica di Shalom – secondo cui l’antigiudaismo sarà superato definitivamente quando i cristiani riusciranno a percepire il significato positivo del “no” ebraico alla divinità di Gesù.
Cosa resta da fare? Il lavoro lungo e complesso di trasportare questi risultati nelle coscienze dei singoli e radicarli in profondità. È un lavoro tanto più complesso in un periodo di grande difficoltà e di sfide epocali per il mondo cattolico, e cristiano in generale, di cui le dimissioni del Papa sono la testimonianza. Sta alla saggezza di tutti mettersi gli occhiali di quel che unisce, persino quando si guarda a quel che divide, anziché darsi all’opera di distruzione, la più facile di tutte.
(Shalom, marzo 2013)

lunedì 11 marzo 2013

E noi che facciamo?...

NEGLI STATI UNITI UN IMPORTANTE MOVIMENTO SI E' CREATO CONTRO L'ABUSO DEI TEST.
E NOI CHE FACCIAMO, DI FRONTE A PROGRAMMI DELLE FORZE POLITICHE TUTTI PESSIMI SU QUESTO ASPETTO?... DORMIAMO IN PIEDI?
http://www.washingtonpost.com/blogs/answer-sheet/wp/2013/03/08/ravitch-forms-advocacy-group-to-counter-rhee-and-other-school-reformers/

mercoledì 6 marzo 2013

INNI

L'INNO DEL PD DI BERSANI: «MENO MALE CHE SILVIO C'È !...»

venerdì 1 marzo 2013

Il Pd che "apre" a Grillo, gli ha chiesto cosa pensa di Ahmadinejad?


Mai termine su cui si potrebbero scrivere manuali di sociologia e di teoria politica fu più usato con leggerezza e a sproposito come in questi tempi: populismo. Non potendo né sapendo scrivere uno di questi manuali mi limiterò a ricordare che, tra le tante, ne esiste un’accezione importante, anche se spesso dimenticata nonostante indichi la via con cui vanno al potere i movimenti antidemocratici. È il caso in cui le “élite” politiche si inchinano di fronte all’espressione di un potente movimento di popolo in nome del principio malinteso del rispetto della volontà popolare.  
È un fatto che un quarto degli italiani abbia votato per il Movimento 5 Stelle. Solo uno sciocco può rifiutarsi di capire le ragioni per cui l’hanno fatto e rinchiudersi in un atteggiamento di disprezzo, nello stile di chi diceva che chi vota per Berlusconi o è deficiente o è un ladro. Ma di qui a chiudere nel cassetto lo spirito critico e a imboccare la via dell’opportunismo politico ne corre. Pur rispettando chi ha votato Grillo, e cercando di capirne le ragioni, gli chiederei cosa pensa di molte affermazioni del capo, se le conosce e se pensa di poterle condividere. Un politico dovrebbe chiederne conto al capo in persona.
Bersani ha aperto a Grillo, rappresentando i sentimenti di una parte del suo partito secondo cui dialogare con il Pdl è assolutamente impossibile, mentre dialogare con Grillo è possibile. Anzi, come si affannano a dire esponenti a lui vicini, il movimento di Grillo ha molte cose in comune con la sinistra (manca solo di dire che ne è una costola). Passi pure che si dimentichino certe espressioni – “Arrendetevi! Siete circondati dal popolo italiano. Uscite con le mani alzate.” – derubricandole a folklore. Ma occorrerebbe rinfrescare la memoria su cose molto più serie, per esempio sulle dichiarazioni fatte da Grillo appena pochi mesi fa in un’intervista al quotidiano israeliano Yedioth Ahronot. Contenevano un’accozzaglia di pregiudizi anti-israeliani che spiegano come mai sul suo blog siano tollerati commenti che sconfinano nell’antisemitismo. Secondo il guru di M5S «tutto quel che in Europa sappiamo su Israele e Palestina è filtrato da un’agenzia internazionale che si chiama Memri. E dietro Memri c’è un agente del Mossad”. Chi gliel’ha spiegato? L’ex sindaco di Londra Ken Livingstone (il noto “Ken il rosso”) che avrebbe usato testi arabi con traduzioni indipendenti. Del resto, anche i propositi di Ahmadinejad di cancellare Israele dalle mappe sarebbero una balla, come certe cose attribuite a Bin Laden: è stato il suocero iraniano a spiegargli che le traduzioni erano inesatte. Ma lasciamo pure perdere Israele, perché ha spiegato Grillo che “parlare d’Israele è un tabù, come parlare dell’euro: appena lo tocchi ti dicono che sei antisionista e razzista”. Per capire il pensiero di Grillo basta riferirsi a quello che pensa dei massacri in Siria: “Cose che non possiamo capire. Non sappiamo se sia una vera guerra civile o si tratti di agenti infiltrati nel paese”. L’Iran degli ayatollah, poi, è un paese meraviglioso, “l’economia va bene, le persone lavorano”, chi scappa è solo un “oppositore” e chi resta “non ha le stesse preoccupazioni che abbiamo noi all’estero”. Le esecuzioni capitali? Nulla di paragonabile a quello che accade negli USA: là “hanno messo a dieta uno, prima di ucciderlo, perché la testa non si staccasse. E allora: cos’è più barbaro?”.
Non sorprende affatto che questo genere di propositi siano in perfetta sintonia con quelli di certa estrema sinistra che ha confezionato la tesi secondo cui le Twin Towers sono state abbattute dai sionisti in combutta con la CIA; ma non sembra che Bersani e la maggior parte del Pd appartengano a questa compagnia e concordino con la tesi secondo cui “noi italiani siamo sotto occupazione dell’America”. 
Come dicevo, da privato cittadino, chiederei a un elettore di Grillo se conosce questi propositi (e i tanti analoghi), come li concilia con le motivazioni che l’hanno spinto a quel voto, e se non ritiene opportuno chiedere al suo capo di smentirli. Un politico che si accinge ad “aprire” a Grillo, dovrebbe chiedergli preventivamente, con una qualche dignità, di rimetterli nel cassetto. Altrimenti, con che faccia si presenterà alla Casa Bianca il presidente del Consiglio Bersani?
(Il Foglio, 28 febbraio 2013)