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lunedì 24 giugno 2013

Tirocini a scuola? Importanti. Ma le basi generaliste di più


Le dichiarazioni del ministro Carrozza sull’esame di maturità e sull’orientamento degli studenti in funzione del lavoro futuro presentano aspetti interessanti e condivisibili. Troppi sono gli abbandoni scolastici e l’università è spesso un’area di parcheggio in cui i tempi di conseguimento della laurea si dilatano in modo eccessivo. È più che opportuno che le scuole superiori accompagnino la funzione di formazione con una funzione di orientamento che permetta allo studente di capire meglio sé stesso, esplicitare le proprie preferenze, individuare la direzione per sviluppare nel modo migliore le proprie potenzialità.
Sono propositi condivisibili ma perché abbiano successo occorre gestirli con equilibrio. Vi sono situazioni in cui l’orientamento verso una specializzazione definita si manifesta chiaramente, in altri casi una certa indecisione può essere persino un fatto positivo. Sono noti i casi di famosi scienziati di formazione classica e, viceversa, di persone che dal liceo scientifico sono approdate alle scienze umane: talora è il segno di un’ampiezza di interessi che sarebbe stolido soffocare nella culla. Abbiamo bisogno di persone qualificate nelle professioni tecniche, ma una società avanzata ha anche bisogno di persone dotate di basi generaliste solide tali da permettere il passaggio da un ambito a un altro e determinare quella “cross-fertilization” che è fondamentale nelle scienze di base; senza cui parlare di “società della conoscenza” è chiacchiera. Quindi, il processo di orientamento deve essere concepito in modo costruttivo, come parte integrante della formazione e non come un meccanismo di selezione standardizzato che rischia di orientare in modo troppo brutale la formazione delle capacità.
Occorre evitare una patente contraddizione: da un lato non si fa che parlare di una scuola adattata ai singoli, persino con curricula individualizzati e, dall’altro, si standardizzano sempre più le valutazioni. Va detto chiaramente: da un processo serio di orientamento i test debbono restare fuori. Ed è da augurarsi che a nessuno venga in mente una selezione di tipo psicologico-neuronale, secondo quella moda un po’ razzista per cui sarebbe già scritto nei geni se faremo il pompiere o il giornalista. Il profilo dello studente, in funzione del suo futuro, deve essere costruito in modo accurato e cauto dall’istituzione scolastica, in primo luogo dagli insegnanti. L’idea di stage e tirocini nel mondo del lavoro è una buona idea ma, come ha detto il ministro, è adatta in particolare negli istituti professionali e quando l’opera di orientamento ha raggiunto un grado di determinazione elevato, altrimenti si rischia la dispersione e altre forme di parcheggio e perdite di tempo. Purtroppo in Italia nel mondo imprenditoriale esiste una tradizione assistenzialista: speriamo che qualcuno non persegua l’idea di usare l’istruzione come sistema di formazione di addetti per le aziende a spese dello stato. Da questo punto di vista colpisce che non si parli di stage ed esperienze nei settori culturali che rappresentano il patrimonio più importante del paese. Perché non pensare a orientare giovani (con opportuni stage di formazione) verso il recupero archeologico, il restauro delle opere d’arte, la riqualificazione dei musei e dell’immenso patrimonio librario del paese? Ci si rende conto che l’Italia è uno dei pochi paesi avanzati al mondo che non ha fatto nulla per digitalizzare questo patrimonio librario? Eppure si tratta di uno straordinario bacino di ricchezza che può costituire un volano importante per il tanto agognato sviluppo.
È tristissimo vedere in quale conto vengono tenuti i nostri beni culturali, artistici e architettonici. Chi dovrebbe coltivare questi beni se non un paese come il nostro? E, non solo per sfruttarne l’enorme potenzialità economica, ma per fare di molte nostre università il polo di attrazione dei tanti studenti stranieri interessati agli studi classici, alle arti figurative e all’architettura e disposti a studiare l’italiano. L’interesse a studiare in Italia è più stimolato da simili intenti che non dal perfezionamento in alcuni settori tecno-scientifici in cui è difficile recuperare in breve tempo una posizione di primo piano. Ma, come sento raccontare da colleghi, gran parte degli studenti che vengono da noi con quegli interessi non sono di madre lingua inglese, e si dà lo spettacolo penoso di lezioni impartite in un inglese mediocre a persone che non lo sanno… Speriamo quindi che i buoni propositi del ministro Carrozza riescano a imporre una visione culturale ampia di tutto ciò che l’istruzione può dare al paese.

(Il Giornale 19 giugno 2013)

2 commenti:

bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Le risulta che le università italiane si avvieranno a considerare il libro un costo e quindi dismetteranno progressivamente gli acquisti cartacei?

Giorgio Israel ha detto...

Non mi risulta, ma ormai nulla mi sorprende più.

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