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domenica 24 novembre 2013

L'educazione dei figli spetta alla famiglia, non allo Stato

Giorni fa, su queste pagine [Il Messaggero], ho proposto di rispondere al dilagare dei casi di prostituzione minorile con un rilancio dell’educazione sentimentale: «Leggiamo una poesia alle baby-squillo». I molti commenti favorevoli ricevuti hanno colto il senso della proposta: leggere poesie ai ragazzi (e fiabe ai bambini, ha aggiunto giustamente qualcuno) è un invito a non appiattire i problemi dello sviluppo sul mero aspetto sessuale, rivalutando ed esaltando il lato emozionale, la capacità di vivere in modo pieno i sentimenti come la cosa più importante e non come una debolezza di cui vergognarsi. Qualche “esperto” ha storto il naso in modo prevedibile, proponendo la ricetta opposta: gettare alle ortiche l’amore “romantico” che, chissà perché, sarebbe una leggenda – che tristezza non aver mai provato quanto sia bello essere innamorati in modo sentimentale… –, e dedicarsi a sviluppare nei ragazzi le “competenze” della propria corporeità. Non sfiora il dubbio che il difetto di questa ricetta stia proprio nel suo materialismo radicale che declassa i sentimenti a epifenomeni della corporeità e della sessualità, e guarda con il risolino dello “scettico blu” (come si diceva un tempo), gli immaturi che ancora si attardano dietro a queste bubbole, di cui sono espressione scritta le poesie, le fiabe, i romanzi.
Se tutto questo fosse un’opinione che si confronta con altre non varrebbe neanche la pena di scriverne. Ma quando si constata che non si tratta di opinioni, ma di qualcosa che rischia di tramutarsi in direttive da seguire obbligatoriamente, il discorso cambia. Desta autentico sconcerto la lettura del documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, prodotto dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità). Sarebbe lungo riassumere 68 pagine. Diremo soltanto che sono ispirate a un’ideologia sessuocentrica, nella cornice di un politicamente corretto così spinto da confermare l’impressione che in materia ormai l’Europa stia stracciando gli USA. Dopo una premessa “filosofica” farraginosa, il documento indica le linee guida operative per le fasce di età 0-4 anni, (in cui già il bimbo va introdotto alla “gioia” della masturbazione precoce), 4-6 (in cui approfondisce la conoscenza dei genitali e viene informato sulle diverse concezioni di famiglia), 6-9 (in cui è informato dei propri “diritti sessuali”), fino a 9-12 e oltre, in cui gli si parla di mutilazione genitale femminile, circoncisione, anoressia e bulimia (tutto messo assieme).
La cornice descrittiva è quella tipica del più piatto burocratismo psico-pedagogico. In colonna sono le informazioni da trasmettere, le competenze da creare, gli atteggiamenti da sviluppare, in riga corpo, fertilità e riproduzione, sessualità, affetti, stili di vita, sessualità, diritti. Così, per la fascia 0-4 anni, all’incrocio affetti-competenze si prescrive il gioco del dottore e a quello sessualità-informazione il diritto di esplorare le identità di genere e la nudità.
Fin qui, è un’opinione come un’altra la nostra secondo cui questo documento, prima ancora che moralmente deplorevole è intellettualmente infimo, meriterebbe una solenne bocciatura e una pessima valutazione dei suoi autori. Purtroppo, non si tratta di teoria, quando si apprende che in Svizzera, nel Cantone Basilea, sono state introdotte lezioni obbligatorie di sessualità nelle scuole dell’infanzia, munendo addirittura i maestri di una “sex-box” contenente peni di legno e vagine di peluche, e un gruppo di lavoro è in azione per estendere queste iniziative a tutto il paese, al punto che contro di esse è partita una petizione che ha raccolto più di 90.000 firme. Ma il vero problema è che un documento del genere aspira manifestamente a diventare una direttiva europea.
La famiglia è sempre stata la sede di formazione affettiva e sessuale dei figli. E, si badi bene, anche dei genitori, i quali sanno quale lezione (e crescita) sia per loro affrontare tutte le fasi delicatissime della crescita di un figlio. Per questo, le famiglie hanno un ruolo sociale tanto importante. Lo hanno esercitato bene e male. Il miglioramento va perseguito, con il confronto e lo stimolo; ma solo chi crede che sia possibile mettere le braghe al mondo pensa di risolvere tutto d’un colpo, mettendo l’educazione in mano allo stato, secondo regole calate dall’alto. Conosciamo questa visione: si chiama totalitarismo. L’hanno praticata i paesi fascisti, la si è vista all’opera negli asili sovietici di Aleksandra Kollontai, nelle teorie pedagogiche che Makarenko applicava agli orfani dei deportati nel Gulag. Come è possibile che una simile mala pianta attecchisca in società democratiche e liberali? Sembra impossibile, e proprio per questo la vigilanza è bassa. E invece è possibile, se si creano centri di potere formati da burocrazie fuori controllo che si scelgono in modo arbitrario i propri esperti per formulare teorie da trasformare in direttive continentali. Non è solo la famiglia a essere espropriata del proprio ruolo, trasformando gli insegnanti in meri esecutori delle direttive promulgate da quei centri di potere; ma anche la politica è espropriata della propria autonomia di decidere le forme dell’istruzione nazionale. La scuola viene così ridotta a centro di costruzione del “nuovo cittadino europeo” secondo direttive imposte dall’alto. Come chiamare tutto ciò, se non una forma neanche tanto subdola di totalitarismo che rende banale la profezia del “mondo nuovo” di Huxley?

Pare che il nostro governo abbia stanziato ben 10 milioni di euro per l’“aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività”. Visto il rischio che, per superiori direttive, tali “competenze” assumano la forma sopra descritta, non sarebbe il caso di esercitare qui una radicale “spending review”? In un paese in cui una grande città ha i mezzi pubblici fermi da giorni e si viaggia nei treni locali con l’ombrello, non sembra proprio una buona idea spendere 10 milioni per far fare il gioco del dottore a bambini di tre anni.
(Il Messaggero, 23 novembre 2013)

44 commenti:

d. ha detto...

Se qualcuno fosse interessato alle politiche, non complotti, ma vere e proprie politiche culturali, che stanno dietro alla sostituzione delle famiglie da parte degli stati, può fare una lettura interessante:

http://costanzamiriano.com/2013/11/25/rivoluzione-sessuale-globale/

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Professore, riesce a scrivere su un giornale di richiamo qualcosa contro il liceo di quattro anni? Lo so che lo ha già fatto, ma la ministra torna alla carica. Non si riesce più a fermarli perché non incontrano nessuna vera opposizione.

Giorgio Israel ha detto...

Veramente torna alla carica? Sono stupito. Comunque, quando si è intervenuti su un tema su un giornale nazionale è difficile ottenere di fare il bis.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

E bravo Onida!
(Tratto da Repubblica):
Scuola, Onida: ''Liceo di 4 anni? Inutile abbreviare le superiori''
Valerio Onida, presidente della Corte Costituzionale, è intervenuto al convegno “In difesa della scuola pubblica” organizzato a Milano dalla Società Umanitaria. Onida ha espresso il suo parere negativo sull'idea del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, di sperimentare il liceo ridotto a quattro anni: «Non credo sia molto utile abbreviare gli studi delle scuole superiori, può essere forse utile anticipare l’inizio del percorso scolastico». Un accorciamento del percorso liceale da cinque a quattro anni, nell'arco di un quinquennio, determinerebbe la perdita netta di quasi 40mila cattedre con un risparmio per le casse del ministero di oltre un miliardo e 300 milioni di euro all'anno. «L’istruzione non può essere subordinata a calcoli economici», sottolinea Onida. «Gli insegnanti sottopagati e i tagli sulla manutenzione degli edifici scolastici non sono un buon segnale, lo Stato ha il dovere di agire direttamente»

(di Ivano Pasqualino)
Leggi su Repubblica.it

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Mi scusi gli off-topics: comunque è chiaro che si tratta di un piano per tagliare costi in un paese sempre più di poveracci cui deve essere impartita un'istruzione breve e di serie B. Comunque vedo che l'anestesia funziona: parlo con e mamme dei compagni di mio figlio e vedo che quasi nessuna mette come priorità delle medie quella dello studio, perchè ha paura che i ragazzini sviluppino sentimenti di rifiuto, si stanchino, facciano troppi compiti etc.

Alessia ha detto...

Gent. Prof. Israeli,
insegno lettere nella scuola media da più di dieci anni (oltre ad essere madre di due bambini di nove), mi sento quindi particolarmente coinvolta dalla discussione sulla necessità di un percorso educativo circa la sessualità. Ad essere sincera non capisco bene la sua irritazione a proposito dell'idea dell'educazione sessuale a scuola. Certo, dovrebbe essere fatta con criterio, dopotutto nella fase della pubertà e quelle successive soprattutto, l'innamoramento romantico si fonde in modo inscindibile con lo svegliarsi del corpo e dei sensi, negarlo sarebbe assai dannoso (come dimostrano le svariate educazioni a sfondo religioso che in un modo o nell'altro hanno prodotto sempre degli scempi). I ragazzi si svegliano da un giorno all'altro con un corpo che spesso faticano a riconoscere e si disorientano quando questo corpo reagisce in modo inconsueto, perché non aiutarli a tranquillizzarsi a vivere il più serenamente possibile questo momento unico e irripetibile della propria vita? La famiglia, professore, non mi sembra proprio il luogo più adatto all'educazione affettiva e sessuale, non lo è mai stata, in genere sono stati i pari o gli amici più grandi che delucidavano i piccoli in merito alla sessualità (con esiti non sempre felici.) Le ricorderei, inoltre, che la maggior parte degli abusi sessuali avviene proprio in famiglia e questo è un dato che dovrebbe escluderla dall'essere il luogo privilegiato di educazione sessuale. Naturalmente non tutte le famiglie sono violente, in molte famiglie si apprende il rapporto con l'altro/a e con gli altri in modo sano, ma lo stato deve tutelare i suoi cittadini e, vista la cultura degenerata in cui siamo immersi, tutt'altro che sessuocentrica (la mercificazione del corpo e la considerazione del rapporto sessuale come semplice meccanismo idraulico niente ha a che fare con la sessualità è violenza tout court ) direi che confrontarsi con i compagni di classe sul significato del corpo nei rapporti umani orientati da un adulto consapevole, potrebbe essere una premessa accettabile alla formazione di persone meno turbate e più consapevoli dei troppi adulti che oggi fanno tanta mostra di sé e della miserevole realtà dei propri rapporti umani.
Cordialmente
Alessia Barbagli

Giorgio Israel ha detto...

La famiglia non è il luogo per l'educazione affettiva? Certo, una famiglia di disturbati, di genitori che picchiano i figli. Grazia sua non sono tutte così... Ma scusi, dove vive? Ha mai avuto dei figli? Se li ha avuti e se li ha amati, ha mai pensato di delegare ad altri la loro formazione affettiva e di ridurre la propria casa a un dormitorio senza alcun ruolo se non quello di fornire un letto, vestiti e alimenti? Lo stato è espressione della società, e se la società è corrotta non si vede come lo stato potrebbe fornire qualcosa di migliore. Lei ha una visione provvidenzialistica dello stato, tipica del totalitarismo. Sarò sincero, Trovo quello che dice un'aberrazione dalla prima all'ultima parola. (E comunque il mio cognome è Israel e non Israeli).

d. ha detto...

La professoressa Barbagli, suo malgrado temo, ci ha fornito tutto il campionario dei pregiudizi in base ai quali chi lavora nella scuola e chi si occupa di programmi scolastici crede di essere "più uguale" degli altri e di avere il diritto di imporre alle famiglie e ai ragazzi ciò che "è meglio per loro", anche qualora questi non fossero d'accordo.
1. L'educazione religiosa produce scempi per definizione, non va dimostrato. Quella laica, va da sé, è molto meglio.
2. La famiglia è incompetente: solo gli specialisti lo sono davvero, indipendentemente dall'ideologia che li può permeare.
3. Nella famiglia c'è l'uomo nero. Non sempre, di grazia, ma spesso. Meglio un falansterio di fourieriana memoria. Se invece il falansterio è cattivo, come in questo caso: http://www.ilfoglio.it/soloqui/20472, si tratta di incidenti di percorso.
4. Gruppi di coetanei senza formazione, per il solo fatto di essere messi nella stessa stanza a parlare, produrrebbero educazione tra pari.

Mi complimento con la professoressa per il campionario!

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Ci si potrebbe fermare a un'opera di informazione-prevenzione (l'educazione sessuale ognuno se la fa da sé) impartita in età adatta, altrimenti la scuola diventa non meno invadente e indiscreta di certi modelli oppressivi che vorrebbe combattere.

Alessia ha detto...

Prima di tutto mi scuso per il refuso, Israel e non
Israeli,era un refuso professore. Come Le ho scritto ho due figli e come ho scritto ci sono molte famiglie sane. Io lavoro a Roma, ma, soprattutto, leggo i dati sulle violenze. Continuo, comunque a sorprendermi per il tono con cui viene affrontato l'argomento. io sono abituata, a confrontarmi su ogni argomento con persone che la pensano anche in modo molto differente dal mio, generalemnte evito le invettive, sa mi ricordano climi di totalitarismo, sempre per restare in argomento. Nessuno si sostituisce a nessuno comunque, esiste la possibilità di coesistenza e pacifica, le dirò di più, esiste la possibilità di cooperazione tra luoghi educativi diversi di educazione, ed è ciò che avviene tra me e i genitori dei miei alunni e tra me e le maestre dei miei figli. Anche quando abbiamo visioni del mondo diverse, semplicemente ci confrontiamo. Parlo di una realtà con cui ho a che fare ogni giorno, realtà anche molto difficili, spesso faticose,Non capisco cosa ci sia di aberrante in ciò che ho detto, credo sia più aberrante lasciare le cose come stanno e affidarsi alla sorte. Per stato intendevo la scuola quale istituzione pubblica. Mi premeva solo chiarire alcuni punti, mi sembra che non ci sia molto spazio per un confronto, peccato, immaginavo che avessimo idee differenti,ma non credevo fosse così difficile discuterne.

Alessia ha detto...

Mi scusi ma non la capisco, in base a che cosa avrei parlato di pregiudizi? Vorrei precisare che:
1) Io ho parlato con cognizione di causa di scempi dell'educazione religiosa ma non ho detto che quella laica è meglio
2) non ho detto che gli specialisti, tutti, sono migliori della famiglia
3) L'uomo nero, signora, spesso è in famiglia, è melgio non continuare a negarlo, Spesso, le faccio notare, che non siglifica sempre. Non siglific neppure che nella maggior parte delle famiglie c'è l'uom nero, significa che quando l'uomo nero c'è, questo 8 volte su 10 si nasconde in famiglia (dati e non pregiudizi)
4) I gruppi di coetanei senza formazione sono il riferimento che normalmente hanno gli adolescenti (non è un mio suggerimento) il confronto guidato da un adulto insieme ai pari è cosa diversa. Io non mi sento più uguale di nessuno, però toni più rilassati quando esprimo le mie opinioni e penso che di per sé sia una buona cosa.

mac67 ha detto...

Posso solo condividere le parole della collega Barbagli, che si è espressa in modo garbato e argomentato a favore di una educazione sessuale che non avvenga solo (sottolineo: solo) in famiglia, dal momento che il tema finisce per avere una dimensione pubblica di interesse generale. Dove stia il suo presunto totalitarismo, mi sfugge anche dopo una terza lettura.

Grazia Dei ha detto...

Mi conforta il fatto che le stanno sparando così grosse che sembra comincino a svegliarsi in tanti, anche nel mondo laico e progressista (eccetto la prof. Barbagli).

Contro l'adozione del rapprto Estrela ispirato al documento della sezione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dal titolo “Standards for Sexuality Education in Europe”, si può firmare sul sito
http://www.citizengo.org/it

Giorgio Israel ha detto...

Garbato, certamente. Argomentato, no di certo. Quando uno dice che la famiglia non è MAI stata il luogo dell'educazione affettiva, come si può prendere sul serio una simile affermazione? Sarebbe un dato che 8 volte su 10 l'uomo nero è in famiglia... Mi viene in mente Benjamin Disraeli: “There are three kind of lies: lies, damned lies, and statistics". Di uomini neri tra gli specialisti ne conosco parecchi, anche se non mi azzardo a fare statistica. E cos'è la proposta di introdurre i bambini da 0-4 anni a scuola alla "gioia" dice della masturbazione precoce? Incitamento alla pedofilia. Io uno specialista che si permettesse di fare simili propositi lo manderei semplicemente in galera. A gente simile dovremmo affidare i nostri figli? Del genere di quelli che trovano DSA in ogni angolo? Il totalitarismo sta nell'idea di trasferire l'educazione dell'individuo allo stato. Se uno non lo capisce e non conosce la storia, è un problema. Uno dei tanti che affliggono la nostra scuola.

Giorgio Israel ha detto...

E comunque vorrei aggiungere.
1. L’educazione religiosa fa scempi. Quella laica non va da sé che sia meglio: per esempio, non quella che praticherebbero (e praticano) certi personaggi stile UAAR.
2. Se gli specialisti non sono di per sé migliori della famiglia, perché dovremmo affidare a questi la cura dei nostri figli?
3. Su questo ho già detto. È un’affermazione non commentabile.
4. Ho riletto varie volte la frase e penso che sia sgrammaticata e asintattica, Non si sa a cosa rispondere.
Infine, nessuno dice che la scuola non abbia un ruolo educativo – educa (dovrebbe educare…) alle regole, alla disciplina, al rispetto delle opinioni altrui, a distinguere diritti e doveri, a saper ascoltare, ad organizzarsi, a stabilire corrette relazioni con i coetanei e con gli adulti, a studiare, ecc. e educa fornendo conoscenza, che è uno strumento di libertà. Quindi il ruolo educativo non è affatto tutto interno alla famiglia. Ma è nella famiglia – se non è patologica – che, in modo naturale, deve esplicarsi la crescita affettiva e anche la conoscenza del proprio corpo (dove si fa il bagnetto, a casa o a scuola?…). Chi è che ha un rapporto fisico coi bambini, se non i genitori, e soprattutto la madre? O pensiamo che uno deve astenersi dall’avere tale rapporto perché devono averlo soltanto insegnanti e specialisti a scuola?… La famiglia dovrebbe ridursi a una pensione, a un bed e breakfast, mentre la vita vera si svolge altrove? Su questo punto nessuna risposta. Forse perché è proprio questo che si pensa. Una società di tipo sovietico. Beh, se è questo che si vuole, sarà una brutta storia. Ma forse è soltanto una grandissima confusione mentale e di principi, una cosa molto penosa.

Giorgio Israel ha detto...

Gentile prof. Barbagli, mi scuso per non aver messo in rete l’altro suo post, non so perché non mi sia arrivato sulla posta. Non c’è alcuna intenzione aggressiva, e se lei parla di cooperazione di luoghi educativi siamo già sulla buona strada. Ma temo che lei non abbia letto il rapporto OMS-Europa, altrimenti capirebbe l’emozione che ha provocato la lettura di questo documento, tanto che il mio articolo su Facebook ha avuto un gran numero di adesioni, è stato rinviato a non so quante altre persone ecc. È un documento indecente, ignobile, non dico altro. Non sa quante persone hanno avuto la stessa reazione: diffidare gente simile dal mettere le mani sui bambini. Il tono con cui viene affrontato l’argomento dipende da questo. Si può essere favorevoli a forme di educazione sessuale a scuola, ben controllate e in modo consensuale con le famiglie – detesto l’impazzare di psicologi nelle scuole, gente che spesso non capisce nulla e trova disturbati ad ogni angolo – ma quando emergono proposte come queste… beh, no, non si può intervenire in in un modo che sembra essere di supporto. Ripeto che se venissi a sapere che un mio figlio/a viene indotto a tre anni a iniziarsi toccando peni di legno e vagine di peluche, o a fare il gioco del dottore con la coetanea, non dico che andrei con un bastone a scuola perché non sono un violento, ma farei uno scandalo epocale. Ma quale differenza c’è con certi casi di pedofilia? E ci mettiamo a parlare dell’uomo nero che starebbe soprattutto in famiglia?… Suvvia. Cerchi di rendersi conto.

mac67 ha detto...

La collega Barbagli non ha argomentato? Ha ricordato che l'educazione sessuale è spesso avvenuta più tra amici che tra genitori e figli (difficilmente confutabile) con risultati non sempre positivi.

Ha ricordato che la famiglia non è un contesto ideale in assoluto, e gli esempi purtroppo non mancano.

Ma soprattutto si è premurata di non generalizzare. In sostanza, ha fatto presente che la situazione è alquanto più complessa e che una educazione sessuale passa "anche" attraverso la scuola.

Un conto è dire che la famiglia "dovrebbe" essere il centro principale dell'educazione affettiva, un altro è dire che "lo è". Tra l'altro tutta la discussione nasce da un fatto di cronaca in cui i genitori sono ben lungi da ricalcare un modello positivo di genitorialità.


Infine, una nota: fare riferimento ad affermazioni mai fatte dall'interlocutore per attaccarlo meglio è un espediente retorico molto usato, ma anche indice di scarsità di argomenti. E la sua risposta alla collega, con menzione delle "gioie della masturbazione precoce" e la "società di tipo sovietico" ne è un esempio.

Giorgio Israel ha detto...

Lei mistifica o non sa leggere. Non ho mai detto che la prof. Barbagli abbia parlato di "gioie della masturbazione precoce". Questo si riferiva al documento OMS (come risulta anche dal mio articolo) e invitavo pacatamente la signora a tenere conto che la discussione aveva assunto un carattere acceso a causa di questo. E ancora società di tipo sovietico si riferiva al modello che viene fuori da quel documento e dai suoi sostenitori. Inoltre la discussione se non le dispiace, è attorno al mio articolo e ai suoi contenuti e non attorno a quel che pare a lei: sulla crisi delle famiglie ho parlato nell'altro articolo.
Quindi attribuirmi un comportamento scorretto, come lei fa, è gravemente scorretto. Alla faccia del richiamo al garbo... Provi ad avere l'equilibrio di chiedere scusa. Altrimenti non le risponderò più.

mac67 ha detto...

Non ho scritto "che ha attribuito" quelle frasi alla collega. Ma le ha menzionate in risposta al suo intervento (quello in 4 punti), il che può creare un corto circuito; capisco il bisogno di brevità, ma mettere tutto nella stessa risposta non aiuta la comprensione.

Prendo atto che le affermazioni sulla "masturbazione precoce" e "la società di tipo sovietico" non erano riferite alla collega Babagli e non ho difficoltà a crederle. Non so se vorrà rispondermi ancora, questo blog è casa sua e naturalmente può farci entrare (o tenerne fuori) chi vuole.

Giorgio Israel ha detto...

Non chiudo le porte a nessuno, quantomeno è una cosa che mi dispiace enormemente fare e bisogna mettermi all'angolo perché lo faccia. Noto che lei ha una tendenza ad arrampicarsi sugli specchi, pur di non ammettere il minimo errore, che – mi permetta la franchezza – non è la dote ideale per un insegnante. Lei parla di “fare riferimento ad affermazioni mai fatte dall'interlocutore" per attaccarlo. Se non le ha mai fatte non vedo in che senso lo attaccherei: al più ho invitato a dire se le condivide e, in caso affermativo, avrei attaccato. Siccome non le ho attribuito nulla non capisco che diamine di corto circuito ci sarebbe. Insomma, gira e rigira, l'errore sarebbe mio. Ma le pare che questo modo di ragionare sia un esempio di equilibrio? Se le sto antipatico lo dica, ma non cerchi pretesti inconsistenti per manifestare la sua antipatia. Chiuso.

mac67 ha detto...

Caro Professore, nonostante il suo "Chiuso" mi permetta un chiarimento, almeno personale.
Le lascio la decisione se pubblicarlo o meno.

Nel primo post di risposta alla Dott.ssa Barbagli (il Nr.7) ha scritto
" Lei ha una visione provvidenzialistica dello stato, tipica del totalitarismo.
Sarò sincero, Trovo quello che dice un'aberrazione dalla prima all'ultima parola".
Questo di certo non riguarda il documento OMS.

Nel post Nr.14, in risposta al mio, si parla dell'argomentazione della Dott.ssa Barbagli.
Nel Nr.15 risponde ai 4 punti della Dott.ssa Barbagli, elencati uno per uno.
Se nella seconda parte di questi post passa a parlare del documento dell'OMS,
la cosa non è affatto evidente. Non c'è alcuna interruzione di linea, alcun
cambiamento evidente di argomento (per es. "Ma torniamo al documento dell'OMS"),
il che produce in chi legge la sensazione, tutt'altro che immotivata, che siamo
ancora alle risposte alla Dott.ssa Barbagli. Questo è il corto circuito di cui parlavo.

In merito alla questione "antipatia": ci sono cose su cui concordiamo, altre (la maggioranza credo)
su cui abbiamo opinioni diverse. L'eventuale antipatia non c'entra nulla.

d. ha detto...

Mi sembra che alcuni non comprendano esattamente in cosa consisterebbero questi progetti di educazione sessuale: masturbazione precocissima, sdoganamento della pedofilia, destrutturazione della famiglia tradizionale, basata su padre e madre, in favore di formazioni variabili tutte ugualmente classificabili sotto il nome di famiglie, o "famiglie arcobaleno" come si dice adesso. Non solo, incoraggiamento dei ragazzi a "scegliere" il proprio sesso, accettazione di ogni comportamento sessuale, con la sola esclusione delle conseguenze. In tal modo un adolescente competente non è quello che fa rientrare la propria sessualità all'interno di una sfera emotiva più globale, ma quello che sa dribblarne abilmente le conseguenze: evitate gravidanze e malattie indesiderate, tutto il resto va bene. E si tratterebbe di corsi OBBLIGATORI. Può darsi che io abbia alzato un po' i toni, ma sia chiaro che l'attuazione di questi programmi sui miei figli mi fa orrore e, se sarà necessario, attuerò tutte le possibili forme di obiezione.

Pat Z ha detto...

A proposito di psicologi che vedono malattie psichiche dappertutto, tema toccato di scorcio da questo post (ma spessissimo approfondito dal professore), segnalo l'interessante volume: "Primo, non curare chi è normale. Contro l'invenzione delle malattie". L'autore è Frances Allen ed è edito da Bollati Boringhieri. La cosa è particolarmente interessante perché pare un caso assai significatico di pentimento a ragion veduta. Trascrivo dal sito di libri IBS: "Considerato dagli psichiatri di tutto il mondo il testo imprescindibile di riferimento, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual), pubblicato dalla American Psychiatric Association e tradotto in decine di lingue, è la fonte primaria che definisce il limite tra ciò che è normale e ciò che è patologico in relazione alla psiche. Passato attraverso quattro edizioni, il manuale è giunto ora alla quinta stesura, il DSM-5, ma questa volta la pubblicazione ha scatenato feroci e allarmanti polemiche. A capo dei critici più agguerriti si trova Alien Frances, l'autore di questo libro, scienziato autorevole e psichiatra tra i più apprezzati, che sa bene di cosa parla, dal momento che proprio lui aveva diretto la redazione del precedente DSM-IV. Secondo la sua analisi, precisa e convincente, la nuova edizione del manuale diagnostico rischia di fare più male che bene. L'impostazione del volume allarga infatti a tal punto lo spettro delle patologie psichiche da lasciare ben poco spazio alla "normalità", che quasi scompare. Siamo tutti malati: un regalo alle industrie degli psicofarmaci e una resa di fronte alla crescente medicalizzazione della società, divenuta sempre meno capace di gestire serenamente fenomeni comuni, che sono sempre esistiti, come il lutto, l'invecchiamento o la naturale vivacità dei giovani. Si moltiplicano invece le diagnosi di patologie per ogni comportamento, perdendo in questo modo la visione pluralista dell'universo psichico... "

Giorgio Israel ha detto...

Guardi, il suo commento è un cavillo dall'inizio alla fine. Lo pubblico volentieri. Potrei smontarlo pezzo a pezzo, ma francamente non ne ho proprio voglia. Dica pure che non ho argomenti se questo può gratificarla.

Giorgio Israel ha detto...

Ovviamente – ma qui nulla è ovvio – mi riferivo al commento di Mac67. Aggiungo che a me pare che d. non abbia alzato affatto i toni. Buona serata.

Alessandro Marinelli ha detto...

Gent. Alessia Barbagli,
io non credo affatto che le «svariate educazioni a sfondo religioso» abbiano prodotto «sempre» gli «scempi» che dice Lei. Se consideriamo (per esempio) la fascia di italiani che ha oggi tra 50 e 70 anni, tantissima gente ha studiato dai preti o dalle suore, o ha frequentato l' oratorio con tutti gli annessi e connessi (pallone, catechismo, gite, ecc.), poi ha preso nella vita le strade più disparate riuscendo nella stragrande maggioranza dei casi a contruirsi una vita perfettamente normale: famiglia, lavoro, ecc. Di sicuro, quel tipo di educazione non ha sfornato una massa di debosciati capaci di prostituirsi in cambio di ricariche telefoniche o di suicidarsi per un brutto voto o per qualche presa in giro. Ad ogni modo, se tutta questa gente portasse tracce così evidenti di mai superati traumi infantili e adolesenziali o di un' educazione troppo repressiva, credo che quantomeno me ne sarei accorto, considerando quanti parenti ho di quell' età. Forse ha un pò esagerato...

Vorrei poi analizzare alcune sue considerazioni che mi hanno lasciato parecchio perplesso. Anzitutto, visto che la «cultura degenerata in cui siamo immersi» è «tutt'altro che sessuocentrica», vorrei che mi spiegasse qual' è, secondo Lei, la genesi della «mercificazione del corpo e la considerazione del rapporto sessuale come semplice meccanismo idraulico». Pensi che io mi ero proprio convinto che un bel problema fosse la vera e propria ossessione per il sesso che si respira ovunque e comunque, che impera in televisione e su internet, che monopolizza le conversazioni. Una cosa è certa: uno di noi due si sbaglia di grosso. Poi vorrei che mi spiegasse qual' è il «significato del corpo nei rapporti umani», di cui l' adulto deve essere «consapevole» Consapevole di cosa? Io vorrei sapere come è possibile che esista un solo significato, una sola risposta che valga per tutti, e, quand' anche fosse così, perché debba esserci per forza un «confronto». E se un ragazzo pensa che il «significato» del suo corpo riguardi solo chi decida lui e non necessariamente i vicini di banco? E se il «confronto» non può esserci perché un altro ragazzo non se la sente di parlare di sé in modo così intimo ad altre 30 persone (più un "adulto")? Deve essere obbligato a farlo? E se ha un amico di cui si fida o un fratello maggiore a cui preferisce chiedere 'informazioni'? Non va bene perché gli «esiti» non sono sempre stati «felici»? Lei si preoccupa del diritto a non essere «turbati», ma non pensa che sostenere quello che ha scritto potrebbe calpestare altri diritti, come quello alla propria intimità? Personalmente, se a 14 anni mi avessero propinato certe lezioni, avrei detto chiaro e tondo all' "adulto" in questione di farsi i casi suoi. Naturalmente sto parlando di ragazzi e adolescenti, perché ogni e qualsiasi discorso di questo tipo che coinvolga bambini non dico di 4 anni, ma anche di 10 anni, merita solo una denuncia ai carabinieri. Infine, anche ammesso che «l'uomo nero» sia nella maggior parte dei casi in famiglia, non vedo come le cose potrebbero migliorare con lezioni di educazione sessuale negli asili e nelle scuole elementari.

Alessandro Marinelli ha detto...

Per concludere, al signor mac67, che non vede il «presunto totalitarismo» da nessuna parte, vorrei far notare che il documento 'Standard per l’educazione sessuale in Europa', il cui titolo è già un aberrazione, concepito e partorito non si sa da chi né da chi eletto, è stato praticamente adottato in alcuni cantoni svizzeri, mi immagino dopo quanto dibattito tra le forze politiche e con quanto consenso da parte dei cittadini. Il rapporto Estrela verrà proposto e votato il 26 novembre a livello comunitario, di nuovo senza che ci degnino della minima considerazione. Infine, tra le entusiasmanti indicazioni del documento, di cui in Italia si sentiva fortemente la mancanza, non mi pare ci sia quella della facoltatività. Detto in altri termini, le lezioni di perversione ai bambini non sono facoltative (come l' ora di religione, per capirsi). Forse ora riuscirà a mettere un pò più a fuoco il totalitarismo.

Mi scuso con il prof. Israel (che, visto la piega che sta prendendo la discussione, ha dato prova di un non comune dominio di sé) per la lunghezza del commento precedente.

Alessia ha detto...

Gentile professore,
Le rispondo in merito ad alcune osservazioni che Lei mi ha fatto. È vero, quando Le ho risposto io non avevo letto il rapporto OSM-Europa, per questo non l'ho mai citato. Nel primo post intendevo rispondere alla sua affermazione circa la necessità di affidare alle famiglie onere e onore dell'educazione sessuale. Per altro, in modo forse non sufficientemente esplicito, ho affermato che l'educazione sessuale dovrebbe essere fatta con criterio ovvero senza scinderla dall'educazione affettiva. Non intendevo negare quest'ultima alla famiglia, la famiglia dovrebbe essere il luogo provilegiato dove apprendere e agire l'affettività, ma, come ha sottolineato mac67, dovrebbe non significa purtroppo che lo sia sempre, a lei non piacciono le statistiche, ma è un modo di osservare la realtà un po' più obbiettivo delle sensazioni personali. Ribadisco l'importanza della coesistenza di luoghi educativi diversi. Per altro la discussione mi sembra che fosse partita da un problema ciò significa che si cercano della impotesii per migliorarlo. In tal caso è difficile (direi improponibili e)intervenire nelle famiglie piuttosto meglio fare prevenzione nelle istituzioni pubbliche. In merito al rapporto OSM-Europa confesso di non averlo letto per intero per questioni di tempo, però ho guardato le premesse e lo schema legato alle diverse fasce d'età. Trovo condivisibili le prime, mentre nutro perplessità per alcuni punti delle seconde in particolare quello che lei ha più volte citato in merito alla masturbazione infantile. No, è vero, non è accettabile, perché i bambini fino alla pubertà non hanno raggiunto uno psicofisico tale da poter parlare di sessualità e questo dovrebbe essere evidenziato e segnalato pena il rischio di sdoganamento della pedofilia (che drammaticamente è una piaga fin troppo diffusa con e senza statistiche). Farlo presente e mettere in discussione alcuni punti di questo programma (che ripeto non ho approfondito) credo sia utile piuttosto che respingerlo in toto. Le ricordo che la prevenzione messa in opera dai vari consultori territoriali a partire dagli anni Ottanta ha permesso la riduzione del numero di aborti e di gravidanze precoci. Lo so è un po' diverso dall'educazione sessuale nelle scuole, ma è sempre una forma di educazione e prevenzione rispetto alla quale è importante valutare i risultati. Non voglio dilungarmi oltre e per questo non posso rispondere al sig. Marinelli, per rispetto del Suo spazio. Ripeto che considero lo scambio di idee anche diverse un buon esercizio di civiltà, la ringrazio quindi per aver ospitato le mie opinioni nel suo Blog.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Sarebbe bello se si decidesse che il nuovo cittadino europeo deve aver letto a scuola Omero, Dante, Balzac, Mann ...

ggsg456 ha detto...

Professoressa Barbagli, potrebbe mettere un riferimento a queste statistiche che cita?
Mi scusi, non è per pura vis polemica, ma se lei pensa che le statistiche siano tout court un modo più obbiettivo di osservare la realtà, lei mi spaventa in quanto insegnante. Gli studi statistici si fanno in mille modi, oggi la maggior parte sono sponsorizzati e servono a supporto e conferma d'ipotesi e non a cercare una verità fattuale.

Giorgio Israel ha detto...

La statistica è una scienza seria, ma molto difficile e che si presta a equivoci e misinterpretazioni colossali.
Non c'è nulla di più devastante che bersi le statistiche senza un'accurata analisi del campione usato, dei metodi, ecc. ecc.
Suggerirei la lettura obbligatoria nelle scuole di:
D. Huff, How to Lie with Statistics, W.W. Norton & co., New York-London 1954 (trad. it. Mentire con le statistiche, Monti & Ambrosini, Pescara 2007).
Libro premiato dall'International Institute of Statistics.

MBB ha detto...

Una cosa che mi inquieta è la frase "orientati da un adulto consapevole" usata come metodo incontestabile di una procedura bella e corretta, operata da un personale di cui non si può dubitare (mentre della famiglia sì).
Cosa significa "consapevole" , Visto che si parla di bambini, anche molto piccoli? Consapevole della tecniche sessuali (come da manuale OMS) o che altro?
Come genitore,riguardo all'insegnamento dell'italiano, matematica etc. posso valutare se quell'adulto è consapevole o no della materia che insegna, ma qui si parla dell'intimità di una persona in erba, del suo sviluppo sentimentale ed emotivo che solo i genitori possono assicurare al meglio possibile. Che possano sbagliare è un dato di fatto, senza tirare in ballo le statistiche. Anche perché, secondo statistica, quanti e quante volte gli insegnanti, o psicologi o altro personale "pubblico" "consapevole", sbagliano o non sono all'altezza del compito? Avremmo forse cifre ben più alte?


Alessia ha detto...

Dunque, mi sembra che questa discussione sia colma di spunti polemici d’altra parte la polemica è un buon modo per dibattere sempre che non giunga a nutrirsi di se stessa (citando malamente Shakespeare). In ogni modo vorrei chiarire, per quanto è possibile, la mia posizione circa i dati statistici. Il prof. Israel è un professore esperto e studioso conoscitore di numeri e del significato dei numeri, parlare di numeri per me significa entrare in un campo minato (che non è specificatamente il mio) e provo un certo imbarazzo, ugualmente proverò a dire che secondo me se si utilizzano i numeri per parlare di realtà umana si opera necessariamente una riduzione e quindi si perde qualcosa, a volte molto, però diamo per scontato che quando si tratta di dimensioni sociali, i numeri non siano la realtà ma il risultato di un modello per leggerla; credo che ciò che leggiamo attraverso i numeri sia il parziale fermo immagine di una realtà in movimento. Però un modello se rispettai canoni del rigore scientifico può permette a molte persone di partire da un punto comune, poi le idee, i pensieri sul mondo e sulla vita faranno la differenza al momento dell’interpretazione.
Mi preme specificare che non è mia abitudine prendere per buono qualsiasi numero in percentuale relativo alla descrizione della realtà; ho un’impostazione umanistica e mi sono avvicinata alla statistica da poco per un lavoro ricerca, sono quindi tutt’altro che un’esperta ma scelgo fonti che considero autorevoli (alcuni istituti di ricerca (istat) o organizzazioni internazionali, Onu, Oms ecc ) questo non significa (così escludiamo un’altra possibile polemica) che ogni informazione che questi forniscono corrisponda a verità o sia il frutto di uno studio rigorosissimo, d’altra parte è anche impensabile verificare ogni volta il rigore del procedimento dell’elaborazione el campionamento ecc.
Prendo comunque nota dell’indicazione bibliografica che lei professore, mi ha fornito, sicuramente sarà una lettura utile.
Credo che un buon aiuto per la comprensione del mondo possa darlo il buon senso. Oltre ai numeri sono i volti e le storie dei miei tanti alunni che mi hanno portato alle convinzioni che ho esposto.
In ultimo continuo a non capire quale sia l’interesse a confutare considerazioni sulle violenze interne alla famiglia, perché è di quello che stiamo veramente parlando. Basta leggere i resoconti di qualunque associazione, organizzazione internazionale ecc che si occupi di bambini e di tutela di minori per trovare informazioni simili. Veramente non capisco. In ogni modo segnalo a ggsg456 dei link all’interno dei quali può trovare alcuni dati; in caso glie ne servissero altri non è difficile trovarli, ma non credo che possa cambiare qualcosa perché temo che la questione sia un’altra.
http://www.unicef.it/doc/283/studio-onu-sulla-violenza-contro-i-bambini-conclusioni.htm
http://www.pfse-auxilium.org/pdf/eventi/CI_uscire_labirinti_violenza_27_11_2010_bollini.pdf
http://www.grusol.it/informazioni/31-01-10.PDF

B'Rat ha detto...

(ugh, i tempi di Internet in cui una discussione muore dopo una manciata di giorni al massimo e non viene più considerata per essere rimpiazzata da 10 altre, restando quindi in uno stato embrionale... spero di non arrivare troppo tardi nella mischia per ricevere risposte, ho avuto da fare...)


Gentile prof.ssa Barbagli, (e per estensione mac67)
personalmente, penso che la reazione del professor Israel sia stata del tutto appropriata... (ricordiamo che essendo qualche "gradino di notorietà" sopra a noi non ha il tempo a rispondere nel dettaglio a tutte le boiate che gli arrivano) Cercherò di spiegare nel dettaglio cosa penso ci sia di profondamente assurdo nel suo sragionare. Spero di non sembrare troppo freddo sull'argomento pedofilia, ma preferisco affrontarlo così per non farmi prendere dallo schifo.

L'idea che lei insegni lettere un po' mi deprime... Mi permetta, ma lei si trova a giudicare la coerenza logica dei temi dei ragazzi, e come sto per spiegare mi pare che qua non abbia dato grande prova di questa abilità.

Come buona "regola di pollice", suggerisco di partire da un buon, umile "Uhm, io insegno lettere alle medie, lui è un matematico che si è occupato diffusamente di questioni scientifiche e sociali. Sono proprio sicura discutendo con lui di statistica di potermi permettere smargiassate come : -a lei non piacciono le statistiche, ma è un modo di osservare la realtà un po' più obbiettivo delle sensazioni personali-?"

Se il prof. Israel parla di mancanza di argomentazioni è proprio perchè lei fa un salto logico a me difficilmente comprensibile da "la maggior parte degli abusi sessuali avviene proprio in famiglia" a "questo è un dato che dovrebbe escluderla".

L'unica cosa che possa giustificare la seconda affermazione sarebbe se il dato dimostrasse che la famiglia ha una percentuale maggiore di degenerati degli educatori. Se lei pensa che ciò avvenga, per favore si faccia un lungo ripasso delle varie fallacie logiche.

B'Rat ha detto...

Le faccio un esempio che penso spieghi bene la questione.

Negli Stati Uniti muore circa una persona all'anno uccisa degli squali, e la cifra è più o meno la stessa se prendiamo le morti causate dalle mucche in solo 4 dei 50 stati americani.

Cos'è, abbiamo sbagliato tutto, applicando il suo stesso ragionamento su chi causa più danni dobbiamo concludere che i ruminanti sono più pericolosi del più temuto predatore dei mari?!

Oppure, le propongo, ribaltando la questione, non pensa che le statistiche dicano chiaramente che il luogo migliore per tenere i bambini senza rischiare che incontrino degenerati sia un cinema a luci rosse? Fatti, non pugnette! Sono abbastanza sicuro che almeno in Italia non ci siano mai stati casi di vera pedofilia (prepuberi) in alcun cinema a luci rosse, o se ci sono stati, sono sicuramente una percentuale risibile rispetto alle violenze avvenute invece in famiglia che ha denunziato lei.

Immagino che lei inizi a capire il punto.
La percentuale di violenze in un dato ambiente non è certo una misura della sola presenza in quell'ambiente di predatori, ma anche (soprattutto) della possibilità che questi hanno di approfittare i bambini. Perché il pedofilo non è una bestia senza cervello che preda bambini, ma una bestia con un cervello che preda bambini, e come tale lo farà se le condizioni gli permettono di agire in modo relativamente semplice (niente rapimenti drammatici) e sperare di non essere scoperto.

Ha notato infatti come quando si sente parlare di casi violenza sui bambini tranne rare eccezioni (che in realtà sono di solito più raccontate dalla stampa del resto) si parla oltre che di famiglia (sarebbe da capire se nelle sue statistiche lei metta solo il nucleo o anche parenti vari) di personale nelle scuole, baby sitters, allenatori, amici di famiglia e vicini, ovvero persone a cui vengono affidati i bambini? Ma allora se per ipotesi i vicini fossero al secondo posto per percentuale di violenze dopo la famiglia vuol forse dire che la categoria vicini è pessima per affidare i bambini, come per lei dice per la "prima in classifica", la famiglia? (A differenza magari di chi sta in un altro quartiere?) Che diamine, no!

Semplicemente i pedofili presenti nelle famiglie hanno gioco facile ad abusare dei piccoli. Ma se affidassimo maggiormente i bambini agli educatori vari, è facile presumere che daremmo maggiori opportunità alle mele marce presenti fra di essi e vedremmo salire i casi di violenza commessi da queste.

B'Rat ha detto...

A questo punto provo a fornire un argomento più consistente.

La percentuale di pedofili presenti nelle famiglie può essere in prima approssimazione stimata essere pari a quella nella popolazione generale, visto che la stragrande maggioranza delle persone fa comunque parte di una famiglia (la saggezza popolare dice anzi di diffidare di chi non si sposa, il chè diminuirebbe l'impatto sul nucleo familiare, ed effettivamente in questo documento si afferma che a sposarsi durante la vita sono intorno al 50%, che dovrebbe essere meno della media, ma senza statistiche un po' più certe non mi esprimo). Invece è famoso che i pedofili tendano a lavori che li mettano in contatto con le loro prede, profilo che combacia perfettamente con l'esperto di educazione sessuale che riceve privatamente i bambini per permettere loro di parlare di questioni delicate (pare che un tipico meccanismo sia di ottenerne la fiducia). Quindi, negli educatori la percentuale di pedofili è maggiore che nella popolazione generale.
Q.E.D.

Cosa facciamo quindi, aboliamo gli educatori? Ricorderei a tutti che le scelte da fare riguardo alla società non si decidono con l'inferenza meccanica dalle statistiche.
E sarebbe buona cosa ogni tanto ragionare per assurdo per vedere fin dove porta il proprio approccio.

Si potrebbe obiettare che il rapporto fra molestatori uomini e molestatrici donne è stimato essere dell'ordine di 10 a 1 e allora basta far fare le educatrici solo alle donne (ma questo per quanto drammatico non è certo l'unico tratto che renda indegni di educare), ma si può fare di meglio. Se c'è una cosa sicura statisticamente è che gli uomini commettono molti più crimini violenti delle donne: se seguissimo la sua linea di pensiero, allora concluderemmo che per i bambini (e non solo?) dovremmo creare una sottosocietà fatta di sole donne...

Fate voi...

B'Rat ha detto...

Leggo ora l'ultimo commento, non mi pare di avere nulla da aggiungere a quanto ho scritto, solo...

mi sono avvicinata alla statistica da poco per un lavoro ricerca

Giorgio Israel ha detto...

Purtroppo, l'ossessione statistica internazionale cade come il cacio sui maccheroni di una tradizione italiana in materia che risale ai tempi di Mussolini,. Era maniaco delle statistiche. Faceva venire con gran frequenza da lui il Presidente dell'Istat Corrado Gini, con grandi tabulati che il Duce divorava avidamente. Diede a Gini un potere smisurato: era l'unico non ministro che poteva presentare dei progetti di legge direttamente in Parlamento... Arrivò al punto di entrare in conflitto con ben sei ministeri, tanto che alla fine il Duce (persino lui...) fu costretto a farlo dimettere per le proteste... A me ricorda (mutatis mutandis) l'Invalsi e l'Anvur... Ma qui pochi protestano, quantomeno tra gli universitari...

bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Io protesto e molti la pensano come me: la statistica è un dominio massificante nel quale l'individuo è stritolato come un tritacarne e ora viene applicata a qualsiasi livello, dall'asilo all'università. Il problema è che il pesce puzza dalla testa:i capi si prostrano ai tecnoburocrati. Dovrebbe innescarsi un circolo virtuoso, di impronta umanistica, che torni a considerare l'uomo come individuo da seguire e formare con delicatezza, serietà, attenzione.

B'Rat ha detto...

Boh, quello che con prolissità ho cercato di spiegare nei miei interventi è: almeno chi usa le statistiche come verità assoluta le sapesse leggere...

Unknown ha detto...

In Italia nulla si crea e nulla si distrugge: Mussolini maniaco delle statistiche mi ricorda qualcun altro maniaco dei sondaggi.
Lo so, è off-topic ma non ho resistito.

ggsg456 ha detto...

Gentile Professoressa la ringrazio per la sua risposta, ma i documenti da Lei segnalati non dicono nulla a supporto delle sue affermazioni, ovvero che l'uomo nero sia 8 volte su dieci in famiglia o che contengano altri altri elementi validanti l'idea per cui l'educazione affettiva sia sconsigliabile avvenga all'interno della famiglia. Vi è un rapporto OMS su base mondiale in cui si cita la problematica della violenza assistita e vi è il documento del Garante dell'Infanzia che cita le denunce intrafamiliari come base della discussione sulla violenza assistita oltre ad una ricerca pubblicata nel 2006 in cui i numeri sono altissimi e meritevoli di un'occhiata in più. Secondo tale studio il 49% delle donne italiane ha assistito ad episodi di violenza, seppure non gravi. Leggendo lo studio s'impara che verrebbero ricomprese fra gli episodi violenti le litigate fra i genitori. E questo credo possa aiutare a porre in una valutazione più corretta i risultati dello studio Ora il tema delle denunce all'interno della famiglia in Italia direi che è in sè alquanto controverso. Il fare invece riferimento a denunce indica basarsi su versioni unilaterali, su dichiarazioni e tesi di una parte. Dichiarazioni e tesi che che devono essere dimostrate all'interno di procedimenti giudiziari. Il dato certo sono gli esiti di queste denunce, le sentenze. Lei sa che la maggior parte di queste denunce avvengono durante le separazioni conflittuali e che polizia e procure indicano come false o strumentali il 90% di esse?

Alessia ha detto...

Questa discussione sull'opportunità di far riferimento ai dati statistici a volte appare un po' dissociante. Come ho già specificato, penso che i dati abbiano valore in base a due premesse, la prima il rigore del metodo applicato per elaborarli e il secondo il senso che noi diamo ad essi in base all'interpretazione che ne facciamo. Riguardo al fatto che la fonte principale dei dati sulle violenze in famiglia derivino da denunce mi sembra abbastanza naturale, nel senso che risulta più complesso e difficile ottenerle in altro modo (si fa, ci sono molte metodologie di indagine, ma diciamo che si prende atto che qualcosa non va in primo luogo quando ciò viene dichiarato). Per altro è vero che le separazioni spesso portano fuori il peggio delle persone, però si potrebbe pensare che a volte le separazioni avvengono proprio perché ci sono violenze: è una questione di lettura dei fatti. Vorrei per altro sottolineare a B'Rat che io non considero i dati verità assolute e l'ho ripetuto più volte,merita leggere bene i post prima di muovere critiche, nel suo caso francamente inutilmente pesanti, penso comunque che ci siano questioni ben più importanti nella vita per deprimersi che non il fatto che io insegni lettere, per altro non ha la minima idea di cosa io faccia (avrà pure ragione, ma Lei non può saperlo), data questa premessa preferisco non dibattere oltre.
Ci sono due cose che continuo a non capire (anche io sono polemica, probabilmente per le mie origini toscane) se si afferma che i dati statistici sono inaffidabili e fuorvianti nel trattare temi sociali perché continuare a confutarli? Un'opinione personale tout court è più affidabile?(tout court significa che non penso che si possa dibattere soltanto in base a dati o statistiche, l'ho già detto e ripetuto, ma utilizzarli insieme ad altri criteri, questo sì credo sia ragionevole). Molte affermazioni vengono fatte senza alcuna motivazione, neppure teorica, ognuno è libero di esprimere qualsiasi opinione, ma a volte è importante considerare anche il contenuto ed esplicitare i propri scopi.
Continuo ad essere convinta che il nocciolo della questione che irrita molti sia un altro, ovvero il pensiero che la famiglia possa essere o meno origine di violenza, che la famiglia possa essere il solo referente educativo per questioni personali o, piuttosto che possano coesistere luoghi educativi diversi che talvolta siano anche di sostegno alle famiglie. Gli educatori a cui mi riferisco operano in luoghi pubblici e generalmente sono supervisionati (non sempre funziona ma ciò significa che dobbiamo adoperarsi perché la supervisione funzioni!)con possibilità di controllo da parte delle famiglie. Per ultimo, forse ho esagerato e nell'affermare che 8 volte su 10 l'uomo nero è in familgia, non ho tempo adesso per controllare la conversione dei dati,) ho fatto (forse)un errore involontario ... però vorrei dire che se anche fosse 3 volte su 10 l'interesse della collettività dovrebbe essere quello di alleviare e prevenire la sofferenza di quei tre, e per quanto mi riguarda l'interesse per il benessere di una minoranza è più importante che difendere a spada tratta il senso della famiglia. Tanto che io lo difenda o meno non cambia niente, se una famiglia funziona è un bene per i singoli e per la società, altrimenti c'è sofferenza ma non si dice e non si può far niente.

B'Rat ha detto...

Devo dire che farebbe piacere se rispondesse anche ai rilievi di Alessandro Marinelli, comunque...

Trovo curioso che lei prima dica che per argomentare le statistiche sono migliori delle opinioni personali e poi ammetta candidamente di non sapere cosa dicesse di preciso la statistica da lei "citata". Alla faccia dell'errore involontario, questo è da matita blu! Se "non ha tempo" per controllarlo, non le usi come base per i suoi discorsi! Altrimenti se si tratta di "citare" alla buona roba che ci pare di ricordare, molto meglio l'esperienza personale...
(ciò detto, non credo che la statistica effettiva sarà molto diversa, ma per favore, un po' di serietà quando si tirano fuori i numeri, sennò una persona a caso potrebbe anche andare in tv a dire che il CNR ha prodotto 15.000 pubblicazioni quando in realtà sono più di 10 volte tante...)

E per favore, niente salvataggi in corner con "Ma anche se fossero 3 su 10 sarebbe un problema". Lei è partita dall'affermazione ben precisa che siccome la maggior parte delle violenze avverrebbe in famiglia, questa sarebbe un luogo meno adatto per l'educazione rispetto alla scuola.


[...] merita leggere bene i post prima di muovere critiche, nel suo caso francamente inutilmente pesanti [...]
Premetto che sono anche io tendenzialmente polemico, e toscano, e studio Fisica.
Potevo essere meno tagliente? Certamente, forse avrebbe anche semplificato le cose. Ho superato il limite? Onestamente non credo.
Lei come reagirebbe se io partissi a fare una tirata su come Dante Alighieri era solo un cretino qualunque che ha avuto fortuna nello scrivere? Lei per quanto mi riguarda ha fatto qualcosa del genere. E diciamo che affermazioni assolute, arroganti e irrispettose tipo "come dimostrano le svariate educazioni a sfondo religioso che in un modo o nell'altro hanno prodotto sempre degli scempi" non aiutano. (Sì, questa la prendo sul personale. Credo di potermi dire fieramente il frutto di un'educazione religiosa e alla faccia di quel "sempre" francamente non credo affatto di rientrare fra gli scempi, anzi).
D'altra parte, non mi pare di averle dato della stupida o simili: ho "semplicemente" sottolineato che il suo totale sragionamento non rispettano qualsivoglia forma di logica, e non si è fermata nemmeno dopo che ciò le è stato fatto notare.


"data questa premessa preferisco non dibattere oltre."
Per favore, rispetti la nostra intelligenza. Che fosse sincera o meno, ho visto troppe volte qualcuno ritirarsi da una discussione basata su argomenti razionali con la "scusa" che i suoi sentimenti erano stati feriti. Se lei si inserisce in un dibattito facendo affermazioni forti, mi pare il minimo aspettarsi risposte forti. Il prof. Israel, lui sì, si è sentito recapitare ogni sorta di epiteto ed insinuazione, ma penso di poter dire che in questi casi la sua risposta sia stata proprio quella di smascherare la miseria intellettuale degli autori.


Avanti, alla fine dietro alla mia prolissità l'argomento che porto è molto semplice.
Poichè le mucche fanno più morti degli squali, vuol dire che i bovini sono più violenti? Poichè il numero di violenze nei cinema a luci rosse sono risibili rispetto a quelle in famiglia, questi sono luoghi più sicuri e adatti all'educazione?

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