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mercoledì 5 febbraio 2014

AUTOCRITICA DELL'EUROPA ANCHE SULL'ISTRUZIONE E LA CULTURA

Con coraggio e chiarezza il Presidente Napolitano non ha usato mezzi toni davanti all’Europarlamento. Ha parlato di crisi strutturale senza precedenti della costruzione europea e ha denunciato sia le agitazioni distruttive e i meschini egoismi, che le «gravi carenze e storture» del cammino comunitario: i cittadini non devono essere costretti a scegliere una di queste alternative. Come scriveva Alessandro Campi su queste pagine, per frenare l’onda del populismo antieuropeo serve un europeismo finalmente autocritico. Ma l’autocritica sulle politiche economiche non basta. Per andare fino in fondo occorre dire che sono state fatte scelte sbagliate su un tema ancor più importante: la cultura e l’istruzione. Difatti, proprio qui si gioca il difficile rapporto tra la costruzione di un tessuto comunitario e culture e identità nazionali, che non possono essere liquidate rozzamente senza alimentare reazioni euroscettiche e ridare smalto alla formula gollista dell’Europa delle patrie.
La sfida di ridare anima alla costruzione europea non si gioca soltanto abbandonando l’austerità ad ogni costo, ma sul terreno della cultura e dell’istruzione. Per chiarire a quale immiserimento si sia giunti su questo terreno, partirò da esempi concreti. Scrive un genitore che, alla presentazione di un liceo di fama, il dirigente avrebbe detto: «Qui non s’insegnano conoscenze, ma si formano solo competenze». Udito ciò il genitore si chiedeva se fosse il caso di iscrivere il figlio a un istituto del genere. Se la ragione avesse corso la risposta sarebbe un tondo “no”. Bel liceo quello in cui si apprende a risolvere problemi di matematica senza studiare teoremi, problemi di fisica senza conoscerne le leggi, a scrivere in italiano senza aver mai letto i classici della letteratura, e così via. Eppure, basta constatare quanto l’addestramento alla risoluzione di quiz stia spodestando lo studio ordinario per capire che l’andazzo è proprio questo, sotto il vessillo delle “competenze”. Se non si vuol fare la figuraccia del rudere attaccato alla “vecchia” scuola delle conoscenze disciplinari, bisogna riempirsi la bocca della parola “competenze”, anche non sapendo di cosa si tratti. Alcuni anni fa, l’analista di questioni dell’istruzione Norberto Bottani, pur accreditando la tesi che la nozione di competenze è una caverna di Alì Babà concettuale in cui sono accatastati tutti i punti di vista della psicologia moderna, anche i più contrari tra loro, sosteneva che la sua voga “travolgente e stravolgente” era dovuta al fatto che la rivoluzione scientifica degli ultimi due secoli ha mandato in frantumi un’organizzazione della conoscenza bimillenaria basata sull’“epistemologia disciplinare aristotelica”. È sorprendente la leggerezza con cui si possono avanzare tesi tanto inconsistenti. Non c’è epoca della storia dell’umanità in cui l’istruzione non sia stata articolata per discipline. La modernità ha proposto una sua epistemologia disciplinare ancor più strutturata di quelle del passato e l’idea di abolire la ripartizione disciplinare è priva di senso. Più in generale, occorre sempre diffidare dei discorsi sulle “rivoluzioni epocali senza precedenti” che sconvolgerebbero l’intero corso della storia. È quel che accade con la faccenda dell’era digitale e dell’istruzione 2.0. Si fanno convegni in cui si proclama l’avvento di una nuova epoca nella storia della cultura e dell’istruzione determinata dalle nuove macchine, ma non si dice una parola sul “perché e come”: tablet, smartphone, Lim, per fare cosa? Eppure neanche l’avvento della tipografia sarebbe stato così importante se non vi fosse stato nulla da comunicare. Le macchine da sole non producono niente. La risposta strampalata è che non si deve più trasmettere alcuna “conoscenza”, bensì solo fornire strumenti per formare “competenze”, anzi per lasciare che i giovani se le formino da soli.
In Europa queste visioni sono state alimentate dal tentativo di aggirare la difficoltà di creare una cultura e un’istruzione europea unificata, dovuta all’esistenza di culture fortemente identitarie e strutturate: tutti i paesi europei hanno un imponente lascito di letterature, filosofie, culture scientifiche nazionali di straordinaria consistenza. Come venirne fuori? Nella dichiarazione di Sorbona del 1998, i ministri dell’istruzione dei principali paesi europei non trovarono di meglio che proporre l’armonizzazione dei sistemi d’istruzione nazionali sul modello delle università medioevali: «a quei tempi gli studenti e gli accademici potevano circolare liberamente e diffondere rapidamente il sapere attraverso l’Europa». Lodi assai inopportune di un tempo che fu, che non era barbarie come si pretese, ma in cui la cultura era privilegio di pochissimi, in cui la circolazione era spesso fuga dall’intolleranza, e continuò ad esserlo fino al Seicento. Era un’epoca in cui le università avevano una struttura disciplinare incompatibile con la condizione moderna: facoltà teologiche, medicina, scienze giuridiche e poco altro. Perché mai ignorare il modello ottocentesco, tanto più vicino a noi, basato sugli assi delle facoltà umanistiche e scientifiche, con un rilievo senza precedenti per le scienze e la tecnologia, e in cui la circolazione del sapere era infinitamente più intensa? Si è preferito ignorarlo perché quella circolazione non era astratto universalismo ma rapporto tra identità culturali nazionali forti, che è ormai moda superficiale identificare con i nazionalismi. Chi conosca un minimo la storia sa che gli scienziati dell’Ottocento erano assai capaci di superare le barriere linguistiche senza rinunciare alle loro identità culturali. Invece di approfondire questo modello, per perfezionarlo e superarne i difetti, si è seguita l’idea che una visione europea debba basarsi sulla demolizione delle identità nazionali. Invece di affrontare la via difficile ma ineludibile di far dialogare tra loro le culture nazionali si è pensato di accantonarle a profitto della formazione di un cittadino europeo fornito di capacità di base minime riconoscibili ovunque, tali da facilitare la sua “occupabilità” e la circolazione della forza-lavoro. La codificazione della figura di questo cittadino europeo – basata su un penoso minimalismo economicista – è data dalle famose otto “competenze chiave di Lisbona per l’apprendimento permanente”, varate dal Parlamento europeo nel 2006. È un’esperienza deprimente leggere le quattro vacue banalità con cui sono definite le competenze in campo matematico, scientifico e tecnologico; e constatare con quale rozzezza lo straordinario spessore delle culture umanistiche nazionali europee è stato ridotto a competenze linguistiche.

Sulla cultura e l’istruzione si misura la capacità di correggere le gravi storture della costruzione europea. Se, al contrario, si continua come prima, delle due l’una: o si riuscirà davvero a spianare a zero culture secolari per realizzare un deserto di cui già si vedono i segni nell’imbarbarimento dei linguaggi e nell’ignoranza della propria storia; oppure queste culture saranno difese a oltranza da movimenti radicali che riusciranno a veicolare il loro estremismo ricorrendo a buone ragioni abbandonate dagli altri. La storia insegna a cosa portano le degenerazioni patologiche dell’universale e del nazionale. Ma se, in nome delle “competenze”, avremo distrutto anche la conoscenza della storia nessuna luce aiuterà a imboccare la via della ragione.

(Il Messaggero, 5 febbraio 2014)

37 commenti:

Ettore Martinez ha detto...

Anche se non c'è tutto, quello che c'è è tutto a proposito. Grazie

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Nella Formazione Professionale lombarda, dominata ieri e oggi dal binomio Aprea-Bertagna, la progettazione basata sul concetto di competenza è un dogma, con i suoi inquisitori e il rogo per gli eretici.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Come al solito sono d'accordo. L'Europa deve svegliarsi, perché scimmiottare gli Americani non serve a niente. Dal mio osservatorio universitario: è ormai impensabile dare per scontato qualsiasi cosa: prima e dopo Cristo, cos'è un caso grammaticale, individuare sulla carta un qualsivoglia paese extraeuropeo, in che lingua sono scritti i Vangeli, cosa si intende per Impero Romano d'Oriente e d'Occidente. Alcuni studenti credono che il nome del Natale derivi da Babbo Natale. Oggi non siamo in grado di far lavorare un laureando di Lettere moderne su Dante perché non sa il latino, un aspirante filosofo su Platone perché non sa il greco e ovviamente nemmeno una parola di tedesco(ciononostante si laurea in filosofia con centodieci e lode!). Ho sentito con le mie orecchi discutere tesi che hanno per argomento i video su You-tube, sull'uso della LIM, sul giornalismo da passeggio etc. etc.: stiamo creando una frattura culturale che è pura perdita di conoscenze per le generazioni più giovani. E se un mediocre viene premiato perché questo sistema è tagliato su misura per lui, gli studenti più seri e intelligenti scappano dalle facoltà umanistiche che si avvitano in una spirale di decadenza progressiva.
Ieri sfogliavo un catalogo di tesi discusse quarantacinque anni fa con la vecchia quadriennale: oggi non riusciremmo ad assegnare gli stessi argomenti neanche a un laureando magistrale.

Unknown ha detto...

Sena la scienza la cosidetta competenza ben presto si estingue. Nell'Organizzazione Scientifica del Lavoro è basilare il principio SCIENZA INVECE DI EMPIRISMO.
Solo la scienza rende possibile l'aggiornamento della competenza. E chi dice di insegnare la competenza senza la scienza inganna il popolo.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Aggiungo che è quanto mai opportuno il richiamo all'Ottocento: fu davvero una grande epoca per gli studi, resa possibile dal continuo e fecondo contatto con la classicità.

Il Romanaccio ha detto...

http://slygames.wordpress.com/2014/02/03/does-the-future-of-the-euro-really-depend-on-the-italians-2/

DOES THE FUTURE OF THE EURO REALLY DEPEND ON THE ITALIANS?

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Mi scusi se ancora approfitto, ma voglio essere impopolare fino in fondo aggiungendo qualche considerazione scomoda. Nei primi tempi del Fascismo Mussolini gettò le fondamenta dello stato unitario: pensò a fondare e ad ampliare gli Atenei e, poichè era piuttosto ignorante, si rivolse ai migliori studiosi sulla piazza. Scuola e Università furono riprogettate da uomini colti, che avevano come modello di riferimento la Germania e alle spalle la grande tradizione filosofico.matematico.letteraria classica. Dopo la follia delle leggi razziali, la guerra etc. la scuola ha continuato a sopravvivere su quelle strutture. Cosa è stato aggiunto dopo? Che lo studente deve andare avanti a qualunque costo, che gli spazi di studio vanno ridotti a favore di quelli sociali, che i sindacati decidevano immissioni in ruolo massicce e scriteriate, che la scuola deve collegarsi all'impresa etc. etc. A me questo non sembra progresso e l'Europa che abbiamo voluto costruire su tali pseudovalori una nuova identità sembra la premessa di un'inevitabile decadenza (del resto già in atto).

Grazia Dei ha detto...

Ma perché preoccuparsi tanto se i nostri giovani sono e saranno sempre più ignoranti? Se seguiremo l'esempio della Svizzera e accoglieremo i preoccupati inviti della U.E. (e ora dell'O.N.U. alla Chiesa retrograda e sessuofoba) a modernizzare la nostra legislazione in materia di diritti, educazione sessuale, riproduttiva, ecc. ecc., i nostri giovani dovranno dimostrare di essere competenti a farsi le "p...." e tralascio il resto! Dopo potranno cercare sbocco occupazionale nel fiorente mercato del porno, più o meno casalingo. Evviva Rocco Siffredi!
Freud, che oggi sarebbe un gran bacchettone, comprese chiaramente che il principio di piacere non arginato dal principio di realtà diventa distruttivo e questi disonesti e squallidi personaggi, oggi, in un'epoca che di sicuro non soffre per il rigore dei costumi sessuali, vogliono insegnare la masturbazione ecc. ai bambini di quattro anni. Non è pedofilia di stato? Credo che sarei disposta a finire in galera piuttosto che lasciare i miei figli in balia di simili "educatori".
Mi scuso per la deviazione dall'argomento, ma l'aria si sta facendo ogni giorno più pesante e non si può dire cos'altro inventeranno per demolire e deformare l'uomo riducendolo a nulla.
Considerate, vi prego, la possibilità di firmare gli appelli del sito www.citizengo.org

Raffaella ha detto...

Da qualche tempo mi chiedo se questa faccenda dell’era digitale e dell’istruzione 2.0 non rappresenti davvero una rivoluzione epocale, come lo fu la scrittura prima e la stampa poi. Mi chiedo se non siamo noi, e mi ci metto anch’io fra questi, a porci con sguardo eccessivamente critico e se non abbia un po’ di ragione lo scrittore e filosofo Michel Serres, che in “Non è un mondo per vecchi” (scritto peraltro a 83 anni) vede “le nostre istituzioni brillare di una luce simile a quella delle costellazioni che gli astronomi ci dicono morte da molto tempo”, istituzioni che reagiscono a questi mutamenti sofisticando la realtà agli occhi di cittadini sempre più informati e perciò sempre meno disponibili a sottomettersi a governi avidi ed inetti.
“Le condivisioni in rete rendono simmetrici l’insegnamento, le cure malati, il lavoro….”. Serres fa l’esempio di quanti oncologi confessino di aver appreso di più dai blog delle donne colpite da cancro al seno che negli anni passati in facoltà. Serres dichiara che, grazie alla tecnologia digitale, sta finendo l’epoca in cui tutto scorreva dall’alto in basso, dalla cattedra ai banchi, dagli eletti agli elettori. L’epoca in cui grandi capi, grandi biblioteche, ministri, uomini di Stato, presumendo l’incompetenza altrui, fanno cadere a pioggia i loro benefici su chi non può vantare alcuna grandezza.
Nella cosiddetta era 2.0 forse non è più necessario avere quelle conoscenze che dimostravano di avere gli studenti che discutevano le tesi mezzo secolo fa, così come per questi studenti non era necessario sapere a memoria Tucidide e Tacito come avveniva prima di Gutenberg. Attraverso la stampa la memoria è cambiata a tal punto che Montagne preferiva una “testa ben fatta” ad “una testa ben piena”. Questa testa sta cambiando ancora una volta, ci dice Serres, ma non significa che ciò sia negativo, ci suggerisce. A patto che i neuroni liberati vengano sostituiti da un “nuovo genio, una nuova intelligenza inventiva, una nuova autonomia dell’intelletto”.
Non è che condivida tutto quello che Serres scrive, e so già cosa Lei pensa, Professore, a proposito di queste teste ben piene (o ben vuote), ma dato che mi è capitato il libro sottomano, desideravo comunque condividere qui alcune riflessioni.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Ecco i nuovi modelli che avanzano all'università:
Modello Auditel: è più bravo quello il cui articolo viene letto da più persone;
Modello aziendalistico: interminabili riunioni per addestrare il corpo docente a uso di tecnologie informatiche, uso di criteri matematici (?) per conteggiare ore, insegnamenti, accreditamenti, aprire e chiudere corsi, persino suggerire i voti da dare (né troppo alti né troppo bassi, ma tutti devono passare ad ogni costo) ...
Scomparsi: cultura, qualità della didattica, rapporto umano con gli studenti, offerte fuori programma (cioè non creditizzate). E' tutto una conta ragioneristica di credito-debito, dare-avere etc. etc.
Se qualcuno mi spiega dov'è il progresso gliene sono grata.

Giorgio Israel ha detto...

Molti tenteranno di spiegarglielo con il principio d'autorità del "quantitativo". Con me sfonda porte aperte: questa è barbarie culturale, regressione anti-umanistica.
P.S. Michel Serres è un trombone che si è sempre adeguato a ciò che dà più visibilità nel senso di aderenza alle mode, mostrarsi "giovane". È il terrore di passare per "vecchio", fuori dalla linea del "progresso". Non è un mondo per vecchio, ma se si è un vecchio che ha capito i giovani e il futuro, allora si è ottenuto un lasciapassare per il paradiso... Tutto questo fu ben descritto da Platone in un brano che ho citato tante volte che mi imbarazza riproporlo.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Mi darebbe il riferimento a Platone? Grazie.
Come dice una mia eccelsa collega: fanno finta che Platone non esista ma non se ne può fare a meno ...

Papik.f ha detto...

Per Unknown: ciò che lei dice è esattamente quanto è già accaduto nella scuola secondaria a partire da almeno un quindicennio e nella primaria forse anche da anni precedenti. Non che sia di sollievo il fatto che ora sta accadendo all'Università; anzi direi proprio l'opposto. Ma ben poche sono state le voci, a parte quella del titolare di questo blog, che si sono levate a protestare.

Giorgio Israel ha detto...

Forse adunque l'insaziabilità di quel bene che la democrazia si prefigge, la manda in rovina? - Ma quale bene? - La libertà - E in che modo? - Quando uno Stato retto a democrazia, assetato di libertà, si trovi ad avere per capi cattivi coppieri, e oltre il dovuto si inebrii di libertà non annacquata, allora esso punisce i suoi governanti se non sono molto miti e non concedono molta libertà, e li accusa di essere tristi e oligarchici. Ed è inevitabile che il disordine penetri anche nelle case private e finisca per ingenerarsi l'anarchia anche fra gli animali. - In che modo? - Così: che il padre si avvezzi a divenire simile al figlio e a temere i figli; ed il figlio si faccia simile al padre e non rispetti e non tema i genitori… in tale ambiente il maestro teme e adula gli scolari, e gli scolari fanno poco conto dei maestri e dei pedagoghi; e in tutto i giovani si mettono alla pari con gli anziani e con essi gareggiano a parole e in atti; e i vecchi, cedendo ai giovani, si mostrano pieni di arrendevolezza e di gentilezza, ed imitano i giovani per non sembrare sgraditi né autoritari. … tutto questo ammollisce l'anima dei cittadini… infine non si danno pensiero delle leggi né scritte né non scritte per non avere nessun padrone. Questo veramente è il bello e baldanzoso principio da cui si genera la tirannia.
(Platone, La Repubblica)

Raffaella ha detto...


Di Michel Serres ho sentito parlare in occasione del recente Premio Nonino, la cui giuria internazionale e blasonata - si dice - non è influenzata dalle case editrici e anticipa in diversi casi il Nobel. Tengo sempre in altissima considerazione i Suoi giudizi e per questo, considerando gli onori con cui è stato accolto in Friuli dove è stato definito “un maestro del nostro tempo”, il contrasto con la Sua definizione di “trombone” mi fa sorridere. Rispetto al fatto che la cosiddetta era digitale costituisca una “rivoluzione epocale senza precedenti” non sono però così diffidente; forse non sarà paragonabile a “quelle trasformazioni visibili nel neolitico, all’inizio dell’era Cristiana, alla fine del Medioevo, nel Rinascimento” che dice Serres, ma immagino che le tecnologie digitali imprimeranno davvero una forte accelerazione al progresso, non tanto di noi occidentali quanto di quelle popolazioni fra cui l’idea di benessere, e il conseguente desiderio di parteciparvi, potrà diffondersi molto più rapidamente.
Comunque, nel momento attuale, non posso che confermare per esperienza personale come da noi il livello di istruzione stia peggiorando di anno in anno, senza che nulla si profili all’orizzonte come il nascere di nuove abilità o altri vantaggi che ne compensino le conseguenze.
E’ triste invece osservare che l’istruzione di qualità torni ad essere, oggi più che in passato, un privilegio per ricchi o comunque solo per le famiglie che possono rispondere al proliferarsi di scuole inefficienti trasferendo i figli nelle scuole che funzionano meglio.

d. ha detto...

Le scuole che funzionano meglio sono un arcaico retaggio del passato, si sta facendo tutto il possibile per normalizzare questa deprecabile anomalia, in modo che le famiglie non abbiano proprio più nulla da scegliere.

Raffaella ha detto...

Le scuole che funzionano meglio un retaggio del passato? In teoria forse, in pratica non è così, non almeno dove abito io. E’ molto diverso trovarsi in un’aula con 26 bambini o con 15; in una scuola dove il turnover di insegnanti precari è elevatissimo o in un’altra che storicamente assicura una certa continuità didattica e collaborazione fra docenti; in un istituto comprensivo dove si è di fatto costretti a seguire progetti di friulano o mosaico piuttosto che in uno dove si può scegliere se approfondire la lingua l’inglese o la matematica; potrei continuare con molti altri esempi.
Per me non sono sfumature di poco conto.

d. ha detto...

Raffaella, ha ragione, quello che volevo dire un po' ironicamente e un po' con tristezza è che mi pare in atto uno spiegamento di forze volto a far peggiorare le scuole da molti punti di vista: non saranno quelle in difficoltà a migliorare, ma paiono destinate a peggiorare quelle che ancora hanno qualcosa da offrire. Tra programmi deliranti, dispiegamento di forze per mille cose marginali o assurde (educazione ambientale, stradale, alimentare, affettiva, ora siamo anche alla rieducazione sessuale e alla promozione della masturbazione negli asili), mancanza di fondi e test come se piovesse, temo che raggiungeremo le tanto agognate pari opportunità per ognuno: cioè zero. Solo la tabula rasa è veramente "democratica" secondo questi criteri.

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

In un paese normale il ministro dice: ogni classe non può avere più di 20 studenti; ogni scuola deve avere organico di ruolo; ogni preside è responsabile di uno o al massimo due istituti. Invece sono affaccendati con tablet, hub, LIM, accorpamenti, esperimenti, neodidattica, progetti, INVALSI ... Non hanno tempo per l'essenziale e parlano di fuffa!

d. ha detto...

Professor Israel, mi chiedevo se ha avuto modo di vedere il documento dell' UNAR "STRATEGIA NAZIONALE per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013 -2015)", recepito in tre volumi rivolti ai ragazzi che frequentano scuole di vario grado, intitolati "Educare alla diversità a scuola". I volumi, messi a punto dall’istituto A.T. Beck, sono stati di fatto redatti con la sola consulenza delle associazioni LGBT e propongono come valori positivi la masturbazione precocissima, la promiscuità più estrema e il pansessualismo più tetro. Si tratta di linee guida già recepite dal MIUR e in corso di diffusione nelle varie scuole italiane. In Francia il sito governativo “ABCD de l’égalité filles-garçons” segnala tra gli strumenti pedagogici il libro illustrato per bambini piccolissimi “Le chatouilles” dove si mette in scena un rapporto incestuoso tra fratello e sorella e lo si esalta dicendo “È così divertente, quando è proibito!”. Qui un saggio: https://scontent-b-cdg.xx.fbcdn.net/hphotos-ash3/t1/1607025_723437354356467_493761695_n.jpg
In Svizzera siamo già giunti alla sex box negli asili. Siamo alla pedofilia di stato e pare che non godremo neppure della facoltà di scegliere, anzi, proprio i genitori che più si opporranno si dimostreranno come i più bisognosi di rieducazione. Opporsi significa essere arretrati, avere pregiudizi.
Forse ha modo di dire pubblicamente qualche parola pubblica decisa sull’argomento?

Giorgio Israel ha detto...

Ma certo, è una cosa abbietta. Avevo già parlato della questione nell'articolo sull'educazione che spetta alla famiglia (qui su questo blog). Faccio quello che posso. Non è che il Messaggero mi fa scrivere un editoriale al giorno sulla questione... Ci vorrebbe più mobilitazione. Qualche volta ci si sente soli...

Giorgio Israel ha detto...

E comunque oggi è uscito questo mio intervento sul Foglio (faccio quello che posso...=:
Non compete a un non cattolico dire al mondo cattolico e alla Chiesa cosa debba fare di fronte all’offensiva rappresentata dal documento dell’ONU sulla pedofilia. È forse però legittimo dire che qualcosa va fatta; ed è necessario dire che quel che è successo riguarda tutti.
L’enormità dell’accaduto sta nel fatto che il vero obbiettivo non sono le colpe della Chiesa in tema di pedofilia – che è un problema purtroppo assai più vasto, se le statistiche offrono il dato sconvolgente che il 38% degli italiani considererebbe normali i rapporti sessuali tra un adulto e un minorenne – ma l’individuazione dell’origine della colpa nella concezione tradizionale della famiglia. Con un procedimento da Rivoluzione culturale maoista la Chiesa viene messa alla gogna: non tanto chiamata a emendare i suoi errori, ma a cancellare la sua dottrina morale, a rinunciare all’idea della centralità della famiglia basata sul rapporto tra uomo e donna, perché questa sarebbe la fonte di tutti i mali, inclusa la pedofilia. Per valutare l’immensa ipocrisia di questo attacco – e per comprenderne i veri intenti – basti pensare al fatto che in tempi recenti vi è stato un proliferare di iniziative volte a porre la sessualità al centro dell’educazione dei piccoli per sviluppare le “competenze” della loro corporeità. Valga per tutti il caso del documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, prodotto dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) in cui nelle linee guida operative per le fasce di età 0-4 anni il bimbo andrebbe introdotto alla “gioia della masturbazione precoce”, prescrivendo il “gioco del dottore” e ponendo al centro il suo “diritto” a esplorare le identità di genere e la nudità. Si ritiene di avere a che fare con un mondo talmente inebetito da credere che una scuola materna basata su simili principi sia definitivamente vaccinata contro la pedofilia a differenza da un ambiente in cui si privilegino i valori della famiglia tradizionale…
Non si dovrebbe essere costretti a spendere parole per illustrare i connotati totalitari dell’ideologia “politicamente corretto” che sta dietro a queste iniziative: ciò è stato abbondantemente e autorevolmente fatto. Merita però sottolinearne il carattere contraddittorio e suicida, nella misura in cui ci si adegua a colpire quel che è apertamente considerato come il punto debole, la Chiesa cattolica – ormai trattata come un qualsiasi signor Barilla – facendo finta di non vedere che, sulla base di quella ideologia occorrerebbe mettere ancor più sotto accusa l’islam. Ci si guarda bene dal farlo e la Francia è il modello per eccellenza di questa schizofrenia per cui, mentre si danno diritti a valanga alle minoranze, quella islamica non si unisce affatto all’ideologia del “gender” e anzi è in prima linea nel contrastare le “nuove” visioni del matrimonio. Alla fine, l’unica vittima di questa follia sarà la concezione della società basata sulla famiglia tradizionale, che si è accompagnata alla costruzione della democrazia moderna.
Come si diceva, nessuno può permettersi di avanzare suggerimenti, ma è difficile non vedere che il tentativo della Chiesa di riaprire un “idillio” con il mondo ha subito un altolà violento e non si vede come il mondo cattolico possa accettare la condizione umiliante di essere l’unico a non avere il diritto di una propria concezione della vita associata e della morale. D’altra parte, chi non è cattolico e paventa l’avanzare del nuovo totalitarismo non può voltarsi dall’altra parte come se la questione non lo riguardasse.

Grazia Dei ha detto...

Grazie D. per aver rilanciato l'argomento del documento dell'UNAR, ecc.
Nessun non cattolico dovrebbe insegnare alla Chiesa cosa fare, ma questi problemi non riguardano solo i cattolici: è in ballo il tentativo di imporre dall'alto una rivoluzione antropologica che riguarda tutti e basterebbe uno sguardo non superficiale per comprenderlo.
Prof. lei non è solo in queste battaglie, ma sono d'accordo: bisogna fare più rumore. Per questo mi sono permessa di segnalare il link di citizen.org per l'ottimo lavoro di monitoraggio delle deliranti proposte e iniziative pansessualiste in seno alla UE (a cui molti rappresentanti politici italiani di quasi tutti gli schieramenti stanno dando il "nostro" avallo) e per le campagne di raccolta firme che sta conducendo. Mi sembra che fra i lettori del suo blog ci siano tante persone sensibili al tema dell'educazione e del bene delle giovani generazioni. Spero che ciascuno si attivi e faccia la sua parte.
Mi permetto ancora di segnalare anche il sito "wwww.lanuovabq.it", che da una prospettiva cattolica segue con molta attenzione questi temi. Non è in gioco solo la libertà di coscienza ed educazione dei cattolici, ma quella di tutti gli uomini di buona volontà.
Dobbiamo cominciare a imitare i francesi, assumerci seriamente le nostre responsabilità e se serve scendere in piazza a manifestare (confido molto nei romani...).

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Sì, è senza dubbio un attacco alla Chiesa: in generale le élites dell'Occidente stanno procedendo a una sostituzione pilotata delle religioni e dei saperi tradizionali con una tabula rasa su cui ricostruire una sorta di uomo nuovo che ha moltissime libertà individuali ma la testa vuota.

Grazia Dei ha detto...

Giorni fa, una mia amica attivista del PD, con la quale facevo una passeggiata, con riferimento alla proposta di riconoscere all'aborto lo status di "diritto umano", mi ha gelidamente accusato di "negazionismo" (a proposito del numero delle donne morte per aborto clandestino in Italia prima della legge 194). Il termine che ha usato è sintomatico della chiusura a qualunque dialogo e della delegittimazione dell'interlocutore, che nel caso specifico è ciò che mi ha maggiormente ferito. Ha poi anche affermato che le persone progressiste (cioè simpatizzanti delle campagne cosiddette pro-choice) sono in generale migliori delle altre sul piano etico e umano.
Questi argomenti e toni vengono usati contro chi tenta di difendere civilmente valori che solo fino a pochi anni fa nessuno avrebbe messo in discussione apertamente fuori da certi circoli. Quanta strada hanno fatto certe menzogne...

Nautilus ha detto...

Cara Grazia Dei, è vero. Penso anch'io che "le persone progressiste (cioè simpatizzanti delle campagne cosiddette pro-choice) sono in generale migliori delle altre sul piano etico e umano."
Capiamoci bene: non sostengo che sia così, è più un sentimento che provo verso chi "difende la vita" in base alle sue concezioni religiose. A me sembra che una difesa estrema (come logicamente sarebbe quella di abolire la 194) non tenga conto delle tragedie umane che l'aborto legalizzato ha permesso di evitare o di ridurne l'entità.
Non intendo dibattere se l'aborto sia giusto o sbagliato, se un diritto o un crimine, se una scelta umanamente ammissibile o un omicidio premeditato: il punto è che le donne lo praticano e l'hanno sempre praticato, non c'è legge o riprovazione morale o religiosa che sia riuscita ad obbligare una donna a crescere dentro di sé una vita non voluta.
Si tratta solo di decidere se devono farlo clandestinamente o sotto controllo del servizio medico pubblico.
Ridotta a ciò la posizione di chi "difende la vita" ad ogni costo sembra non tenere conto del fatto che applicando rigorosamente questo pur rispettabilissimo principio, si produrrebbero di nuovo le tragedie della clandestinità.
E' questo "disinteresse" per il destino delle persone coinvolte che nei cosiddetti progressisti suscita sentimenti di superiorità morale, come dire: "io delle sofferenze dell'umanità mi preoccupo, tu in nome dei tuoi sacrosanti principi no."
Giusta o no, credo sia questa l'origine della (presunta) superiorità etica che i favorevole alla scelta delle donne credono di avere.

Grazia Dei ha detto...

Bé, caro Nautilus, forse non mi sono espressa bene o forse lei ha frainteso le mie parole, ma rispondere alle sue osservazioni mi sembra tanto faticoso quanto inutile. Non però perché mi manchino gli argomenti, ma perché mi sembrerebbe di tornare indietro di anni e perché al contrario il suo pensiero è chiarissimo (lo conosco a memoria da anni) e per quanto io non ne condivida una sola parola, non mi sogno di poterla convincere di nulla.
Comunque qui non si parlava di abolire la 194, ma di evitare che la libertà di aborto venga elevata al rango di "diritto umano", con la conseguente negazione del diritto all'obiezione di coscienza per tutti coloro che esercitano una professione implicata nella gestione di questa drammatica metodica o anche semplicemente di riproporre questo tema alla discussione. Quanto alla bontà e sensibilità dei progressisti, proprio oggi dopo le notizie dal Belgio, permetta che le risponda come Totò:- Ma mi faccia il piacere!

Unknown ha detto...

@Nautilus
A me sembra che una difesa estrema (come logicamente sarebbe quella di abolire la 194) non tenga conto delle tragedie umane che l'aborto legalizzato ha permesso di evitare o di ridurne l'entità.

Già. Ma quelle che restano in vita sono morte dentro. In genere si evita di parlare di questo problema eppure non sono poche quelle che poi ricorrono ad una terapia psicologica e anche farmaceutica. Ma è davvero così difficile scorgere questo effetto collaterale da quella vetta di "superiorità morale" in cui vi siete rifugiati?
Una passeggiata in un reparto ospedaliero dove viene praticato l'aborto potrebbe e dovrebbe bastare. Vedrà quante facce allegre!

E non dimentichiamo che sul campo si lascia comunque un morto: qualcuno che non ha chiesto neanche di nascere.


Qui invece la testimonianza di chi non sarebbe dovuta nascere.
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&ved=0CCwQtwIwAA&url=http%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DQO--IWwIvn8&ei=nqD-UtifFOnl0gGms4DYDw&usg=AFQjCNEkP05qoQQgTyQ_C1eRLRKPd_IhIA&bvm=bv.61535280,d.dmQ

Nautilus ha detto...

Cara Grazia, può ben darsi che parliamo di due cose diverse. Sulla questione dell'aborto come "diritto umano" non so che dire: eliminare una vita in potenza non mi sembra una questione di diritto o di rovescio, è un'altra cosa: una buona parte delle donne cui spetta di crescere questa vita decidono che non vogliono farlo, in questo senso mi pare un loro "diritto" poter scegliere. E comunque questo "diritto" se lo prendono comunque.
Concordo che sull'argomento è inutile discutere, volevo solo tentare di spiegare per quale ragione i progressisti si sentano migliori.
Le notizie dal Belgio non fanno che confermare questa tesi: i cosiddetti progressisti sono favorevoli a praticare l'eutanasia quando, anche nel caso di bambini, la loro vita sia diventata un inutile inferno di sofferenze.
E quindi ci sentiamo eticamente superiori a chi queste (ripeto inutili) sofferenze vuole che continuino in conseguenza dei propri principi religiosi.
Il punto è sempre lo stesso: i "progressisti" cercano di diminuire per quanto possibile le sofferenze fisiche dell'umanità, per i credenti le priorità sono altre.
Poi magari i progressisti sbagliano, chissà, ma razionalmente pensano di essere dalla parte del giusto.

Nautilus ha detto...

Max, non mi pare di aver detto che l'aborto sia cosa bella e augurabile, è sicuramente una scelta tragica anche quella e non ho dubbi che tante donne che vi ricorrono ne portino poi il peso, alcune magari per tutta la vita.
Semplicemente sostengo che si può rendere questa tragedia ancora peggiore, obbligandole alla clandestinità.
E l'impressione che hanno i "progressisti" è che proprio questo vogliano gli "anti": rendere l'aborto così difficile o impossibile nelle strutture pubbliche che le donne siano costrette a tornare dalle "mammane" o dai "cucchiai d'oro".
O c'è una terza via?

vanni ha detto...

Non penso che la questione dell’aborto e dell’eutanasia sia un problema da circoscrivere alla sofferenza, tanto così, perché chi ne sia fautore si senta migliore o uomo ben calato nella dura realtà dei fatti (…questi diritti uno se li prende comunque… !?!?).
Come già scrisse qui una persona intelligente, siamo sempre con la nostra coscienza e la nostra responsabilità - due fastidiosi fardelli dai quali lo stato benevolo vuole spesso sgravarci - davanti all’albero del bene e del male, ed in questiione ora c’è quella cosa da nulla che è la vita, ed il rispetto per la vita (con questo titolo - almeno nella traduzione italiana - Albert Schweizer scrisse al tempo brevi e lucide pagine).
Partire dal presupposto della vita dell’uomo quale culmine, dono e miracolo unico o quale casualità - magari prossimamente ben determinabile gestibile e plasmabile - porta a diversi sviluppi, così remoti tra loro.
Non sarei così temerario da dichiarare che i risultati delle mentalità progressiste abbiano condotto a minori sofferenze dell’umanità (magari anche sull’umanità e sulle sue sofferenze ci sarebbe da discutere senza veneirne a capo). E non sarei così inesorabile da pensare che altri voglia che le sofferenze continuino.
E dall’idea che si ha della vita discende l’idea di persona. Dal mio canto confido che nel nostro futuro non ci sia l’orrore belga o altre progressività del genere (Huxley Bradbury Dick Orwell e altri hanno detto già la loro), e non è un augurio per il mio egoismo, ché sono già passato di cottura (però si potrebbe con razionalità e per utilità cancellarmi - eutanasia o aborto tardivo per superfluità e veneficità manifesta - per sofferenza procurata altrui).
Meglio che smetta: troppa carne per le mie gengive sdentate. Continuerei a lungo, ma peggiorando e ingarbugliando tutto: egregio Nautilus, mi lasci peraltro dire che sono contento di vedere che lei si chiede se ci sia una terza via.
Un principio non ha niente a che fare con la precettistica.

vanni ha detto...

Egregio Professore, grazie per la sua inesauribile vis dialettica.
Si è accorto che ha scritto più di una volta famiglia “tradizionale” nel suo pezzo pubblicato da “il Foglio” di alcuni giorni fa?
Non a Riyad, non nelle selve del Borneo (in realtà non so come fossero le cellule minime nelle quali era organizzata la loro società), non nell’India del IV secolo, ma “qui e ora” lei deve scrivere così per farsi comprendere.
E’ acquisita una generalizzazione del concetto di famiglia? Non è unn probema di generalizzazione matematica: un certo modo di pensare è costretto a subire. Non è un buon segno per chi la vede come me.
Rido peraltro amaramente sul fatto che a cinque anni i fanciulli siano già maturi per essere introdotti alle gioie della masturbazione… ma per i discorsi sul gender sia opportuno aspettare ancora un annetto (che saggezza, che garbo e che delicatezza, vero?) … del resto, se devono impararlo dai compagni unpo’ più scafati… meglio che glielo dicano degli esperti certificati. O no?
Altro che vaccino contro la pedofilia et similia: le scuole saranno il nuovo Eden dei pederasti, per la diffusione delle loro competenze.

Grazia Dei ha detto...

Gentile Nautilus,
due piccole puntualizzazioni.
1) "Sulla questione dell'aborto come "diritto umano" non so che dire: eliminare una vita in potenza non mi sembra una questione di diritto o di rovescio": lei non sa che dire, ma la discussione è in agenda nella U.E. e all'O.N.U. e di questo parlavamo la mia amica progressista e io.
2)"...volevo solo tentare di spiegare per quale ragione i progressisti si sentano migliori": i credenti potrebbero avere sul piano umano fondatissime ragioni di presumersi a loro volta migliori degli altri e pestare i piedi in una gara puerile per affermarlo, se non fosse che Dio, al cui insegnamento si sforzano di conformarsi, chiede loro di esercitare, prima di ogni altra, la virtù dell'umiltà.
Grazie dei suoi interventi.

Nautilus ha detto...

Caro Vanni, forse avrai notato come ho disseminato di virgolette la qualifica di "progressista".
Per dire che è più un atteggiamento mentale (che a sua volta comporta il senso di superiorità)che fonte certa di effettivi miglioramenti della condizione umana.
Semplicemente, chi si definisce dalla parte del "progresso", si autocolloca in posizione privilegiata: per sua definizione il termine "progresso" è positivo sempre, mentre il termine "conservazione" può avere connotati negativi e il termine "reazione" negativi del tutto.

Per questo Grazia i credenti (a mio modesto avviso) si trovano in difficoltà a dichiararsi migliori: costretti come sono a difendere sempre posizioni di conservazione che, magari giuste e sacrosante, si scontrano col cammino in avanti dell'umanità.
Può essere un cammino verso il peggio o addirittura il disastro, ma resta il fatto che l'umanità ferma non può stare.
Perfino la Chiesa cattolica di questo è costretta a tenere conto, magari con qualche centinaio d'anni di ritardo.

Alessandro Marinelli ha detto...

Egr. Nautilus:

«non c'è legge o riprovazione morale o religiosa che sia riuscita ad obbligare una donna a crescere dentro di sé una vita non voluta»

A obbligare no, ma a convincere sì, e la cosa è tutt' altro che irrilevante. Ma ad ogni modo, sono d' accordo con lei riguardo, per esempio, ad una eventuale abrogazione della legge 194: i risultati a medio-lungo termine sarebbero scarsi o nulli e una donna che decidesse di abortire cercherebbe comunque un mezzo per farlo, sicuro o rischioso, legale o illegale; è la semplice realtà dei fatti. Il mio parere è che si tratti prima di tutto di un problema di testa e di coscienza, ambiti nei quali leggi e scartoffie sono in realtà poco più che del tutto impotenti. Converrà, però, che il modo più frequente con cui viene impostato di solito questo discorso è quello dell' aborto come diritto "punto e basta" (a parer mio l' approccio più insensato e assurdo che esista), senza tanti distinguo. E chi solleva dei dubbi o pone questioni di merito viene di solito irriso dai 'progressisti' (non sono così giovane da non poter ricordare cosa accadde anni fa a Giuliano Ferrara, per esempio).

Altra questione: secondo me, il suo «tentativo di spiegazione per quale ragione i progressisti si sentano migliori» fa acqua da tutte le parti. E non tanto perché generalizzare è sempre sbagliato, ma perché aspetti fondamentali del discorso non sono stati neanche accennati. Conosco tanti (troppi) progressisti che «cercano di diminuire le sofferenze fisiche dell'umanità» solo con la tastiera del pc e che si guardano bene dal sottoporre tanti loro convincimenti alla prova dei fatti (Luca Ricolfi scrisse un bell' articolo su questo tema anni fa). Conosco anche tanti credenti per i quali, invece, le priorità sono le stesse, ma i risultati tangibili e neanche lontanamente paragonabili alle chiacchiere da salotto bene. Questi ultimi neanche irrisi: proprio ignorati. Io non so se i credenti si trovino «in difficoltà a dichiararsi migliori»; penso solo che molti lo siano e molti altri non lo siano affatto, ma preferisco giudicare a partire dai fatti e dai risultati concreti, non sulla base di idee strampalate (spero non si offenda, ma voglio essere chiaro) come quella dell' essere «costretti a difendere sempre posizioni di conservazione che, magari giuste e sacrosante, si scontrano col cammino in avanti dell'umanità». Questi cliché sono stravecchi e palesemente privi di qualsiasi fondamento non appena si guardi un pò al di là di un' Europa in cui ci si è bevuti il cervello, mi creda.

Infine: lo sa, quando leggo cose del tipo «l'umanità ferma non può stare» o sento disquisire su quanti anni sarebbe in ritardo la Chiesa Cattolica in merito a non si sa quale questione, mi viene sempre in mente quella volta che mi capitò di assistere ad una discussione su questi temi tra mio padre (classe 1953) e uno dei miei zii (classe 1945) e di interloquire in questo modo: «perché non la piantate di fare previsioni e di pretendere di aver capito come girerà il mondo? Le vostre generazioni non ne hanno azzeccata una. UNA!»

Raffaella ha detto...

Sono dell’opinione che spetti alla donna la decisione finale; vorrei vivere in un Paese dove si tentino tutte le strade possibili per convincerla prima e supportarla poi nella scelta di non interrompere una vita, ma in cui sia anche chiaro che – nell’eventualità di una decisione diversa – la presenza di obiettori di coscienza non dia origine a disparità di trattamento fra una struttura ed un’altra, a maggior ragione se l’aborto è di natura terapeutica.

Se è vero che in Lombardia 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza, e in altre regioni la percentuale è ancora più alta, c’è da chiedersi quanto lo siano per convinzione personale basata su una precisa scelta morale/religiosa e quanto invece per ragioni di carriera, forse per non essere discriminati. Peraltro, non risulta che ci siano altrettante percentuali di obiezione quando si tratta di praticare l’amniocentesi, ad opera degli stessi obiettori, magari in strutture private che vivono sulla diagnostica prenatale. L’amniocentesi è un esame che prevede fra le “complicazioni” anche la morte del feto; seppure basso, il rischio viene accettato anche all’unico scopo di dare alla paziente la possibilità di scegliere (perché nella grande maggioranze dei casi è per questo che si pratica), salvo poi abbandonarla a sé stessa lasciando che siano gli altri a fare “il lavoro sporco”.

Condivido le obiezioni genuine, il non voler dedicare parte della propria vita a distruggere la vita altrui, non condivido quando l’essere obiettori significa semplicemente tirarsene fuori e creare perciò quella disparità di trattamento che dicevo sopra.

Nautilus ha detto...

Ciao Marinelli
sull'aborto non ho niente da aggiungere oltre quel che scrive Raffaella, forse solo che se alcuni affrontano rozzamente la questione con:"è un diritto e basta" può darsi sia perchè il timore che la 194 venga modificata o soppressa è sempre presente (pensiamo a cos'è successo con la fecondazione assistita) e si vogliono mettere le mani avanti...se lo si fa passare come "diritto inalienabile" è messo al sicuro.

Sulla questione della superiorità etica dei "progressisti"...beh intanto le virgolette ci stanno proprio perchè sono ben consapevole che la grande maggioranza è un progressista da tastiera, come dice lei.
Quanto al "progresso" non occorre nemmeno risalire a suo padre per verificare come spesso sia illusorio: basta andare al buonissimo articolo del Prof. Israel qui sopra sui test Invalsi. Immagino che i sostenitori dell'infame (quanno ce vo' ce vo') "teaching to the test" si sentano dalla parte del progresso contro la conservazione di prof. passatisti affezionati al vecchio modello d'insegnamento.

Ma nun c'è nulla da fa', si possono fare infiniti esempi contrari...il "progressista" si sentirà sempre superiore, e la storia dell'umanità è lì a dimostrare che ha ragione, naturalmente generalizzando, vedendola come una continua lotta fra il nuovo (il bene) e il vecchio che non vuol morire (il male).
E' quel che assurdamente fa arrabbiare miriadi di persone di destra l'ostentato e dichiarato senso di superiorità di quelli di sinistra, ma fra chi accetta l'esistente o rimpiange il passato (la dx) e chi vuole cambiarlo (la sx) non c'è gara: la seconda si sentirà sempre depositaria di valori superiori...io fossi di dx farei un sorrisino e direi: certo certo, come no...

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