«Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» (Dante Alighieri)
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mercoledì 29 ottobre 2014
domenica 26 ottobre 2014
DALLA SCUOLA DELLE TRE "I" ALLA SCUOLA "COOL-FIGO"
ALLA LEOPOLDA DAVIDE SERRA DIXIT:
«La cultura umanistica ha fatto il suo tempo. Deve diventare cool, figo, diventare matematici. Lo dico sempre ai miei bambini».
A parte la volgarità linguistica e stilistica - al mitico Bar Sport si parlava meglio – è quasi inutile chiedersi perché mai, per questo ineffabile guru renziano, la matematica sia la controparte della cultura umanistica. I più grandi pensatori dell'umanità, da duemilacinquecento anni a questa parte, hanno sempre ritenuto esattamente il contrario. Ma lui lo pensa perché crede che la matematica sia nient'altro che un tablet figo, sia nient'altro che informatica cool, sia calcolo puro e semplice per fare “cash” (la parola che usa di più, informano le cronache. Ecco in che mani stiamo cadendo...
«La cultura umanistica ha fatto il suo tempo. Deve diventare cool, figo, diventare matematici. Lo dico sempre ai miei bambini».
A parte la volgarità linguistica e stilistica - al mitico Bar Sport si parlava meglio – è quasi inutile chiedersi perché mai, per questo ineffabile guru renziano, la matematica sia la controparte della cultura umanistica. I più grandi pensatori dell'umanità, da duemilacinquecento anni a questa parte, hanno sempre ritenuto esattamente il contrario. Ma lui lo pensa perché crede che la matematica sia nient'altro che un tablet figo, sia nient'altro che informatica cool, sia calcolo puro e semplice per fare “cash” (la parola che usa di più, informano le cronache. Ecco in che mani stiamo cadendo...
domenica 12 ottobre 2014
EDUCATION CONFINDUSTRIA: SERVONO SCIENZA E CULTURA UMANISTICA
Troppo
spesso dimentichiamo il grande ruolo innovativo che ha rappresentato la
creazione della pubblica istruzione nella modernità, come istituzione che,
assieme ad altre, collabora a formare la figura del cittadino. Il suo ruolo
specifico è di contribuire a tal fine attraverso la creazione di conoscenza secondo
standard corrispondenti ai livelli più elevati del momento e nel senso più
ampio del termine, il che significa sia fornire conoscenze a tutti i livelli, sia
creare senso critico e capacità (oggi si dice “competenze”) di operare
attivamente e autonomamente. La divisione in “teoria” (racchiusa in “torri
d’avorio” ) e “pratica”, non è mai stata altro che espressione di una cattiva
istruzione: la buona istruzione è sempre e soltanto stata quella che si è
basata su una stretta integrazione tra i due aspetti. L’ingegnere Luigi Cremona
– fondatore con Francesco Brioschi ed altri della grande tradizione dei
politecnici ingegneristici italiani postunitari – definì coloro che denigravano
la scienza “pura” (oggi si dice “di base”) in nome del principio “a che
serve?”, come «apostoli delle tenebre». L’istruzione contribuisce alla
formazione del cittadino trasmettendo conoscenza e creando spirito critico e
capacità operative autonome come fondamento di libertà. Di questo approccio
deve far parte una vigorosa formazione umanistica. È una visione che ha
condotto alla costituzione di grandi tradizioni scientifiche e culturali, che è
alla base degli sviluppi della tecnologia contemporanea e che permise a un paese
inesistente come l’Italia di entrare in pochi decenni nel novero delle nazioni
più avanzate sul piano culturale e scientifico-tecnologico.
Tutto
questo va ricordato perché troppo spesso si contrappongono conoscenze e
“competenze”, lasciando intendere che le prime appartengano a una visione
obsoleta, e inducendo menti poco critiche a un’esaltazione premoderna della
“didattica delle competenze” contro le discipline e le conoscenze. Il modo
superficiale con cui è stata affrontata la tematica dell’istruzione comunitaria
non ha aiutato: invece di proporsi il compito difficile di integrare le grandi
tradizioni nazionali ai massimi livelli si è scelto di identificare una sorta di
minimo comun denominatore corrispondente ai requisiti per lo scambio della
forza-lavoro. La dichiarazione di Bologna propose come modello di scambi
internazionali nientemeno che le università medioevali, quando questi scambi
erano ristretto a poche élite e le università erano centri di teologia, scienze
giudiriche e poco più. Le famose otto competenze chiave di Lisbona
rappresentano quanto di più mediocre e rinunciatario si potesse pensare per
definire il profilo di un cittadino europeo istruito.
Ripetiamo
che tutto questo va ricordato nel momento in cui il governo Renzi lancia un
manifesto sulla “buona scuola” che dovrebbe costituire la carta da visita con
cui il paese si presenta in Europa, ridefinendo i connotati della propria
istruzione nazionale disastrata da tanti errori e sperimentazioni avventate.
Siamo convinti che ogni riforma che trascuri l’istruzione tecnica e
professionale, non curi una formazione scientifica che abbia una seria base
teorica e buone esperienze di laboratorio, o tagli la formazione umanistica
(storica, filosofica, artistica) non solo per il suo valore intrinseco ma per la
sua stretta relazione con un’autentica formazione scientifica, è destinata a
combinare l’ultimo e definitivo disastro. Ed è chiaro che il rischio è tutto
sull’ultimo fronte: perché sono i licei sotto attacco, è la cultura umanistica
a essere additata come un inutile orpello e persino la scienza è salvata a
condizione che non sia “pura” ma ridotta a tecnica e “innovazione”.
Questa
lunga premessa era necessaria per dire qualcosa circa il documento di quasi 200
pagine (“L’Education per la crescita”) con cui Confindustria è scesa nell’arena
con 100 proposte per l’istruzione. È impossibile analizzare in dettaglio in un
articolo un documento tanto corposo. Possiamo limitarci a esprimere tre
impressioni. La prima è che non può che essere salutato positivamente l’impegno
del mondo imprenditoriale ad occuparsi attivamente e con tanto dispendio di
forze del tema dell’istruzione. Casomai occorrerebbe segnalare l’impressionante
latitanza della cultura italiana, sintomo di una crisi crescente, certamente
sintomo dello stato esangue cui è stata ridotta l’università tra tagli e
burocratizzazione e una visione sciaguratamente tecnocratica della valutazione.
La seconda impressione è che è positivo che qualcuno scenda in campo per
difendere il valore della formazione tecnica e professionale, uno dei comparti
dell’istruzione tra i migliori del mondo che è stato sistematicamente fatto a
pezzi e ridotto a ricettacolo degli studenti che si sentivano incapaci di
frequentare i licei. È bene che le imprese, con i progetti di alternanza
scuola-lavoro illustrati nel documento, mettano le loro forze a disposizione
della riqualificazione della formazione tecnica e professionale. La terza
impressione è invece negativa e si ricava per contrasto con la nostra premessa.
I temi che il documento propone come assi fondamentali per la rifondazione
della “education” sono: domanda delle imprese, alternanza scuola-lavoro,
valutazione, merito, autonomia e innovazione didattica. Tutto qui? E dove
stanno le discipline fondamentali? Dove sta l’esigenza per un paese che voglia
dirsi avanzato di formare anche ottimi fisici, biologi, chimici, matematici, il
che significa anni e anni di studio anche teorico, come e più di prima? Dove
sta la cultura umanistica, e non solo per formare persone capaci di valorizzare
l’immenso patrimonio artistico, monumentale, librario del paese, ma anche per
formare persone dotate di spirito critico, capaci di muoversi con autonomia e
non come polli di batteria addestrati a una sola funzione, per avere la
coscienza di cittadini liberi? Dove sta la cultura? Dove sta la scienza?
Davvero si pensa che l’impresa possa avere un ruolo di supplenza in queste
direzioni? Oppure si pensa che si tratti di un “vecchiume” da gettare alle
ortiche? C’è da temerlo vedendo lo scarso interesse del documento per
l’impianto disciplinare, ché anzi si propone una riduzione delle materie e
della durata del percorso scolastico, ovviamente a danno dei detestati licei.
Questa
non è la via per riproporre l’Italia come un paese di primo piano nel consesso
internazionale, capace non solo di bricolage tecnologico al rimorchio delle
grandi potenze, ma di sviluppare in sede nazionale – e non espellendo le
proprie menti –la scienza e la tecnologia avanzata. Disinteressarsi della
cultura umanistica e classica non è la via per rimettere il paese sulla via del
progresso. Quel che si chiede a una discesa in campo come quella di
Confindustria è l’umiltà di dire che il proprio contributo, in un sistema
dell’istruzione degno di un paese moderno e avanzato, può essere soltanto una
parte del tutto. Altrimenti si fa avanti il sospetto che il movente sia la
solita trovata all’italiana di ridurre il sistema pubblico dell’istruzione a
luogo di formazione di forza-lavoro a costo zero.
Vi
sarebbero molte altre cose da dire sui temi della valutazione e dell’autonomia,
ma ci riserviamo di tornarvi in altra occasione.
(Il Mattino, 12 ottobre 2014)