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lunedì 19 dicembre 2005

Una replica

Questa è la replica all'articolo di Paolo Franchi (Corriere della Sera del 14 dicembre 2005, v. sotto), per ora non pubblicata:


«È impossibile, in storia, evacuare i fatti e spiegare tutto» (A. Koyré). Nel nostro caso i fatti sono che, dopo la liberazione, vi furono vendette ed esecuzioni sommarie e che vi fu un’epurazione-amnistia che troppo spesso infierì su personaggi imputabili di colpe minori e assolse autentici mascalzoni, soprattutto gli attori delle politiche razziali. In che modo – si chiede Paolo Franchi – queste due movenze, a prima vista antitetiche, permettono di individuare un coerente capo d’imputazione nei confronti del comunismo togliattiano? Non è detto che sia possibile racchiudere in una sola spiegazione unitaria tanti fatti disparati (senza che tuttavia ciò autorizzi a evacuarli). Ma, per cercare una spiegazione, non bisogna mettere tutto nello stesso calderone. Restringiamoci al livello dei ceti dirigenti, soprattutto intellettuali. Qui, nell’ambito della prima movenza, spicca l’esecuzione di Giovanni Gentile, che fu istigata in alto loco, con parole indegne. Gentile era un fascista non pentito, ma non coinvolto in atti criminosi e che più di chiunque altro si tenne alla larga dalle politiche razziali. Era un intellettuale di primo piano (altro che Bottai!) e un grande organizzatore culturale (ben più di Croce), autore di una riforma dell’istruzione che ha plasmato l’Italia moderna e di una straordinaria impresa culturale (l’Enciclopedia Treccani). Poteva essere un temibile riferimento per una cultura di destra nell’Italia del dopoguerra. Non altrettanto temibili erano tanti altri intellettuali, chiaramente pronti a servire ogni padrone e ad adattare di conseguenza la loro “cultura”, compromessi non soltanto con il fascismo ma spesso con il razzismo e l’antisemitismo, e pertanto ricattabili e pronti a cambiar casacca in cambio di un lavacro purificatore. Franchi non ritiene che l’amnistia sia stata ingiusta. Certo, esisteva un problema di riconciliazione nazionale: costoro non andavano certo passati per le armi, pur essendosi sporcati ben più di Gentile. Tuttavia, si poteva collocarli a riposo o pretendere un periodo di pensoso ritiro, quantomeno privarli delle posizioni di comando che avevano acquisite sotto il regime, spesso approfittando immeritatamente dei vuoti aperti dalle leggi razziali. (Persino la rivista fascista “Vita universitaria” aveva segnalato il fenomeno avvertendo che non erano stati cacciati gli ebrei dalle università «per saturarle di impreparati o di furbi». E il libro di Mirella Serri documenta con quanta “magnanimità” Bottai creò cattedre e posti per servi spesso neppure diplomati). Il processo di epurazione-amnistia andò in senso opposto. Si preferì riciclare e privilegiare un’intero ceto intellettuale compromesso col fascismo e persino col razzismo. Mentre professori e funzionari ebrei venivano reintegrati su posti strapuntino in attesa del pensionamento, fascistoni e razzisti conservavano, con una nuova divisa, le posizioni di comando. Questa non era riconciliazione nazionale ma perpetuazione della struttura culturale dirigente del regime fascista sotto mentite spoglie. Le vittime del razzismo e il loro diritto a riprendere le posizioni perdute furono sacrificati all’intento di conquistare l’egemonia culturale, creando delle “casematte” sul modello di un “Primato” cambiato di segno politico rispetto a quello di Bottai. Il riciclaggio di questi intellettuali fu facilitato dal fatto che si chiedeva loro non di aderire a un antifascismo qualsiasi, ma a un antifascismo comunista, anticapitalista, antioccidentale, che guardava all’URSS, e quindi capace di offrire una certa continuità ideologica.
Quindi il capo d’imputazione è preciso, coerente e per nulla contraddittorio. Mi creda Paolo Franchi: non sono cose che si dicono a cuor leggero, ma con autentico turbamento. Difatti, si tratta di una storia che in tanti abbiamo vissuto inconsapevolmente, per tutto ciò che è stato occultato, accanitamente negato o minimizzato. Se avessimo saputo cosa avevano fatto e scritto personaggi come Galvano della Volpe o Mario Alicata – senza mai farci i conti e offrendosi persino con arroganza come modello di pensiero e azione, mentre altri avevano fatto pubblica ammenda di colpe molto minori, riflettendo a fondo sul senso di quel che era successo loro – avremmo capito che costoro stavano trasportando da una parte all’altra la loro visione e il loro animo totalitario, illiberale e antidemocratico e stavano ingannando alcune generazioni di giovani. Le responsabilità di Togliatti – che ha costruito un nuovo ceto dirigente intellettuale con questi personaggi, mentre additava Gentile come figura da eliminare – sono immense. Per questo, non può che essere un gran bene per una sinistra che è una componente così fondamentale della vita politica e sociale del nostro paese, guardare ad occhi aperti e fino in fondo in questo passato storico.

Giorgio Israel


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