(Informazione Corretta)
Mentre Abu Mazen dichiara che con Hamas non tratterà mai, non si siederà mai allo stesso tavolo, Piero Fassino dichiara (secondo quanto riferisce la stampa) che «bisogna provare a sedersi a un tavolo con Hamas, anche senza la pregiudiziale del riconoscimento dello Stato di Israele» perché «se ci siede a un tavolo, non è solo Israele che riconosce Hamas, ma viceversa». Da un lato si tratta di un’argomentazione risibile con la quale si potrebbe tranquillamente legittimare Monaco 1938: anche in quel caso, sedendosi a un tavolo, ci si è riconosciuti reciprocamente, e poi si è visto cosa è successo. Anzi, con questo criterio, il Congresso Mondiale Ebraico avrebbe dovuto partecipare a Monaco 1938, almeno in qualità di osservatore. Non è escluso che Hitler avrebbe accettato e sarebbe stato una bel riconoscimento, in attesa di passare alle camere a gas i “riconosciuti”.
Infatti, quel che Fassino forse non ricorda – vogliamo credere che non lo ricordi, altrimenti la cosa sarebbe molto grave – Hamas ha un programma che non ha nulla da invidiare a quello di Hitler. Ha messo addirittura nel suo statuto – o costituzione, secondo come la si vuol chiamare – che bisogna andare ad ammazzare ogni ebreo che si nasconda dietro qualsiasi pietra, e che questo è un assoluto dovere di un buon palestinese che pretenda di essere considerato un buon musulmano. Che Hamas sia disponibile a sedersi e a trattare lo sanno anche i gatti del cortile della casa di Fassino. Il problema è che bisognerebbe convincere Hamas quanto meno a cancellare quei passaggi della costituzione, che predicano il dovere assoluto di distruggere Israele, di trucidare ogni ebreo e via elencando orrori. Che ne dice Fassino? È una richiesta troppo spinta? È intransigenza tipicamente israeliana?
Che l’on. Fassino sia stressato appare chiaro, e che sotto stress dica cose che non vorrebbe dire, è cosa che può essere compresa. Ma c’è un limite a tutto, anche all’indulgenza. Soprattutto se lo stress deriva dal dover difendere l’impresentabile politica estera del suo impresentabile ministro degli esteri e, al contempo, alimentare la sua fama di amico di Israele, perché i due obbiettivi sono talmente incompatibili da spezzare la corda tirata oltre ogni limite.
Mentre persino Solana bacchetta i 10 che hanno scritto a Blair chiedendo di prendere atto del fallimento della Road Map (non del fallimento della questione palestinese!) e di aprire una linea di credito a Hamas, la nostra politica estera si distingue come la riedizione del chamberlainismo più smaccato. D’Alema si dichiara preoccupato che vi siano ulteriori sanzioni all’Iran «perché vi è il rischio che tra pochi anni ci troviamo nello scenario peggiore: o accettare la bomba atomica iraniana, o avere una guerra contro l’Iran». Un esempio sopraffino di quell’uso della logica, per il quale il nostro ministro degli esteri va famoso e viene definito “intelligentissimo” dai suoi adulatori. Difatti, sopprimendo le sanzioni, l’Iran si farà l’atomica e la guerra non si farà perché nessuno vorrà fare una guerra atomica. Salvo magari l’Iran contro Israele. Ma di questo al nostro intelligentissimo ministro non importa un fico secco. Del resto quale sia il concetto di “equivicinanza” lui l’ha finalmente svelato nell’ultima intervista in cui ha parlato di Israele: il suo massimo desiderio è che in un modo o nell’altro si creino le condizioni perché si riapra il dialogo tra Hamas e Abu Mazen. Insomma, voi credevate che D’Alema fosse “equivicino” a Israele e ai suoi nemici? No, egli è “equivicino” a Abu Mazen e Hamas. Il guaio è che Abu Mazen, dando mostra di un’intransigenza di stile israeliano, non vuole riaprire il dialogo. Bisognerà forse imporgli delle sanzioni?
Questa è la politica impresentabile che l’on. Fassino si è impantanato a difendere. Se lo fa credendoci o per disperazione, a causa di problematiche politiche casalinghe, è cosa che in fin dei conti non interessa più.
Un’ultima domanda rivolta a “Sinistra per Israele”: se ci siete battete un colpo. Questo è il momento giusto.
Giorgio Israel
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