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lunedì 21 novembre 2011

AGENDA PER L'ISTRUZIONE


La politica dell'istruzione in Italia si caratterizza per l'incoerenza tra fini dichiarati e perseguiti. Da decenni si parla di promuovere l'autonomia di scuole e università; l'esito è un dirigismo di rigidità mai vista. "Autonomia" dovrebbe significare lo spostamento delle verifiche da monte a valle: fate le vostre scelte liberamente, assumete chi volete (lo si propone anche per le scuole) e sarete valutati in base ai risultati. Ma le scuole e gli insegnanti sono sommersi da una valanga crescente di adempimenti e controlli preventivi, di prescrizioni tendenti a trasformarli in meri esecutori. Paradossalmente, anche i meccanismi di valutazione man mano introdotti non sono tesi a verificare a posteriori, ma a prescrivere a priori. Ad esempio, la tendenza a sostituire le prove d'esame con test preparati dall'Invalsi non è innocua: l'Istituto di valutazione del sistema dell'istruzione travalica la sua funzione di valutazione di sistema surrogando la funzione dell'insegnante nella valutazione degli allievi, con la conseguenza grave di trasformare la didattica in addestramento a superare i test e di "valorizzare" gli insegnanti peggiori.
Una situazione analoga si verifica per l'università. La nuova legge di riforma doveva rafforzare l'autonomia e la nuova Agenzia per la valutazione (Anvur) doveva valutare le scelte in base ai risultati. I tanti emendamenti hanno dato un carattere dirigista alla legge e l'Anvur ha dettato prescrizioni talmente stringenti per le modalità di valutazione dei nuovi docenti da ridurre la selezione a un procedimento meccanico, con l'effetto di creare un malessere profondo nella comunità universitaria. 
Si potrebbe continuare con gli esempi ma il problema è lo stesso: il dirigismo; nel migliore dei casi per l'intenzione di conferire "oggettività" alle procedure, nel peggiore per la tendenza a controllare tutto di un'amministrazione poco avvezza ai principi di uno stato liberale. È sbagliato credere che l'oggettività si raggiunga moltiplicando le regole, per il banale motivo che queste regole deve farle qualcuno che agisce in modo inevitabilmente soggettivo, né esistono sistemi "scientifici" atti a sopprimere la soggettività del giudizio.
Un esempio può illustrare meglio la questione. Conversando con un "tecnico" proponevo il sistema delle ispezioni interne come il migliore per valutare gli istituti d'istruzione (a tutti i livelli). Questi rispose: «Certo, ma i valutatori debbono avere un patentino». Bene. Chi conferirà il patentino? Qualcuno dotato di un patentino. Poiché la regressione all'infinito è impossibile, è chiaro che il patentino lo darà l'amministrazione: quanto questo sia oggettivo giudichi il lettore. Va ancora peggio se si partoriscono escogitazioni strampalate, come quella di far nominare i valutatori da enti esterni, come i dipartimenti di psicologia dell'università.
Ho avuto la diretta esperienza di come il dirigismo concepisca l'autonomia a rovescio, nel partecipare alla redazione delle nuove Indicazioni nazionali per i licei. Il testo fu accusato di essere troppo prescrittivo sui contenuti e troppo poco sui metodi. Proprio qui sta l'errore. Autonomia non significa lasciar libero il docente di non insegnare conoscenze imprescindibili e invece imporgli il metodo d'insegnamento. È esattamente il contrario, se non si vuole trasformarlo in passacarte, e i passacarte sono sempre i peggiori elementi. Ma la tentazione è sempre in agguato, come si vede nei progetti di editoria digitale che prevedono l'introduzione dei videogiochi a scuola, o nella tendenza a imporre in modo coattivo all'insegnante l'uso di tecnologie informatiche.
Valutazione a posteriori, quindi, ma essendo consapevoli che non esistono regole meccaniche per eseguirla.  Quando un ricercatore presenta un articolo a una rivista non viene giudicato da colleghi col "patentino" o con regole automatiche, bensì da "pari" che giudicano il contenuto, e possono sbagliare. Anzi, l'esperienza dice che il confronto che così nasce è fonte di miglioramento per tutti. Quindi, valutazione come processo interno al sistema, come processo di crescita scientifico-culturale. Nella ricerca si tratta di valutare nel merito la produzione scientifica, per la didattica è auspicabile operare con commissioni di ispezione composte da "pari". L'opinabilità e le contestazioni vi saranno comunque: sono di gran lunga preferibili quelle che fanno crescere nel confronto.
Sarebbe auspicabile che l'agenda del nuovo ministro fosse ispirata al principio di combattere il dirigismo a tutti i livelli, restituendo respiro e autonomia al sistema, costruendo processi di valutazione che valorizzino il merito costruito su autentici contenuti culturali, anziché sull'ossequio di regole amministrative.
Questo porta a una riflessione generale. È noto che quel che più rende difficile uscire dalla crisi è l'aver costruito, a livello europeo, un sistema che non ha vitalità perché ha messo il carro dell'economia davanti ai buoi della politica e della cultura; col risultato che la seconda non è pensata come l'interazione e, in prospettiva, la sintesi di grandi culture nazionali che, anche attraverso la scienza, hanno posto i fondamenti della società moderna. Le questioni culturali e dell'istruzione sono in mani amministrative, ridotte a problemi di facilitazione dello scambio di forza-lavoro e a liste burocratiche di "competenze". Se non si riuscirà a ridare slancio al sistema dell'istruzione e della ricerca, a restituire dignità alla funzione dell'insegnante ed entusiasmo ai giovani – e l'unica via a tal fine è valorizzare il processo della conoscenza, fare dell'istruzione un luogo in cui ha senso quel che si fa e non una macchina burocratico-amministrativa fondata sulla moltiplicazione delle regole, quella che il grande matematico italiano Bruno de Finetti chiamava "il culto dell'imbecillità" – i proclami contro il declino saranno vuote grida manzoniane.
(Il Messaggero, 18 novembre 2011)

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