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sabato 27 ottobre 2012

Quanti danni dal mito della scienza infallibile...


La formulazione più radicale del determinismo scientifico fu data, a fine Settecento, da Pierre-Simon Laplace, secondo cui ogni evento ha una causa determinata e una mente onnisciente potrebbe prevedere l’evoluzione di qualsiasi oggetto dell’universo. Ma neppure Laplace pensava che un simile programma fosse umanamente realizzabile. Anzi, sosteneva che la mente umana limitata ne sarebbe rimasta sempre infinitamente lontana. Non a caso questa formulazione del determinismo è premessa al primo trattato sulle probabilità, le quali riflettono «in parte la nostra ignoranza, in parte le nostre conoscenze». Insomma, essendo impossibile prevedere tutto con esattezza dobbiamo accontentarci di approssimazioni in termini di probabilità.
Nonostante ciò, l’aspirazione alla massima esattezza è rimasta come un ideale della scienza. Anzi la scienza è comunemente vista come l’unica forma di conoscenza che permette di acquisire risultati indiscutibili. Gli scienziati stessi sono talvolta tentati dal farlo credere, per nobilitare l’immagine delle loro discipline. Ma sappiamo che non è così e assai più che non ai tempi di Laplace. Non solo perché la fisica, avventurandosi nel microscopico ha dovuto rinunciare all’approccio strettamente deterministico, ma perché l’estendersi del metodo scientifico a campi dominati da un’enorme varietà di interazioni complesse ha ristretto ulteriormente le capacità di previsione. È di una quarantina di anni fa la scoperta che i modelli matematici meteorologici presentano un fenomeno (detto “caos”) che rende inattendibili le previsioni oltre un breve periodo. La previsione esatta dei terremoti è al di fuori della portata della scienza. E non parliamo delle previsioni nei processi vitali (per esempio i tentativi di prevedere la diffusione dell’Aids hanno prodotto solo insuccessi) ed economici, dove è evidente che non si riesce a dire neppure cosa accadrà tra un’ora.
Eppure l’aspirazione alla previsione esatta è nella natura umana. Vorremmo sapere che cosa ci riserva il futuro, se vivremo in benessere e in buona salute. Il caso non ci piace affatto, anzi è un nemico da battere; non soltanto quando è ostile, ma anche quando potrebbe essere favorevole: se compiliamo la schedina del totocalcio è per sfidare il caso, non lo faremmo di certo se pensassimo alla probabilità infima di fare un tredici. Questa aspirazione alla certezza può diventare molto pericolosa se si incrocia con il mito dell’esattezza della scienza. In tal caso si rischia di concentrare su di essa e sugli scienziati ogni aspettativa. Gli scienziati hanno la loro parte di responsabilità che deriva spesso da un uso sconsiderato della statistica, che indica al più l’esistenza di correlazioni tra eventi: quando accade l’evento X nel tot% dei casi accade l’evento Y. Ma questo non implica affatto che se accade X allora accadrà certamente Y. Esiste una forte correlazione tra fumo e cancro polmonare, ma fumare non implica deterministicamente il cancro. Se poi la correlazione non è forte si rischia la cialtroneria. I medici che proposero di asportare la mammella alle giovani con un malfunzionamento genico correlato al 60% al cancro al seno, erano scienziati mediocri e persone irresponsabili.
Quindi, il corto circuito nefasto dipende dalla pretesa di trasformare le statistiche in leggi scientifiche: in mezzo c’è un abisso non sempre valicabile. Se non si comprende questo e si continua ad alimentare il mito di una scienza infallibile saranno guai per tutti. Saranno guai per gli scienziati che finiranno in galera per non aver previsto terremoti e temporali. Saranno – e lo sono già – guai per i medici che, se non riescono a guarire un malato, pagheranno somme salate o finiranno sotto la scure penale. Saranno guai anche per gli economisti che saranno tradotti in ceppi per non aver previsto le crisi economiche. Saranno guai per la gente che soffrirà credendo di vivere in un mondo ostile che, chissà perché, nega loro benessere, salute, tranquillità. Nessuna situazione come questa illustra meglio il paradosso per cui la credenza mistica nel potere assoluto della ragione può essere fonte di irrazionalità e di infelicità.
(Il Giornale, 25 ottobre 2012)

8 commenti:

SPM ha detto...

Egregio professore,
quello che ha scritto mi trova pienamente concorde.
E tuttavia, ancora più difficile di mettere ceppi a questa "fede nella scienza" è che "gli economisti" siano "tradotti in ceppi per non aver previsto le crisi economiche."
Nonostante quella attuale, è sempre a questa genia che ci stiamo affidando per uscirne; la quale, anzi, considerate le "aderenze", se non vogliamo definirle 'collusioni', che vanta con i più potenti e importanti ceti sociali (politica, imprenditoria, intellighenzia) ne uscirà sostanzialmente immacolata.
Buon lavoro

paolo casuscelli ha detto...

Leggerò questo articolo ai miei alunni, a sostegno scientifico di quel che giorni fa discutevo (spiegavo) in classe, a proposito de “Il giocatore” di Dostoevskij. Cercavo appunto di dire che il calcolo delle probabilità, le previsioni su basi statistiche, non forniscono nessuna prevedibilità degli eventi. “Il Giocatore” studia i casi delle puntate alla roulette, dopo quante esce un numero o un colore, sulla base degli eventi imposta un criterio razionale di prevedibilità, punta e perde. Previsione statisticamente corretta, in realtà perdente. E' chiaro che nel giocatore d'azzardo il rischio celi una volontà più o meno inconscia di auto-distruzione, nonché una predisposizione masochista (è chiaro in Dostoevskij), così com'è evidente che ogni giocatore d'azzardo tenda a legittimare il proprio operato con la pseudo-razionalità del calcolo delle probabilità.
La volontà di auto-distruzione segue molti canali, ma negli ultimi anni l'azzardo diventa sempre più un fenomeno di massa. La scuola se ne occupa? Eppure le nostre città sono stracolme di macchinette video-poker, legali, difronte alle quali sempre più persone ipnotizzate rovinano se stesse e le loro famiglie. Lo spot ministeriale invita a giocare “con moderazione”, ipocrisia intollerabile. Come se la mamma di Valentino Rossi raccomandasse al figlio in pista: “non correre”.

Caro prof. Israel,
vorrei sapere se il Vostro “Pensare in matematica” uscirà in formato kindle.
Quest'estate ho letto “La Kabbalah” (l'e-book per i miei occhi è stato una manna, riesco a leggere quanto desidero, senza stancarli). Nel Suo blog, di questo libro non se n'è parlato o mi è sfuggito?

Giorgio Israel ha detto...

In "Pensare in matematica" questi aspetti delle probabilità e della statistica sono discussi a lungo. Le decisioni circa l'e-book spettano all'editore. La Kabbalah è uscito ormai da tempo (anche se continua a vedere indefessamente) e quindi non ricordo neppure se nel blog se ne sia parlato.

Giorgio Israel ha detto...

Leggo uno strampalato articolo della onnisciente Dacia Maraini secondo cui sono gli scienziati ad aver proposto l'idea che i terremoti si prevedono in quanto hanno rassicurato la popolazione. Dimentica di dire che in quei giorni un tecnico laureato, sulla base di una sua teoria stranamente ignorata da tutta la comunità scientifica internazionale, aveva previsto una catastrofe. Non era strano dire che, sulla base di quanto visto a quel momento, non c'era motivo di temere il peggio. Il nodo della questione è se quel signore ha scoperto qualcosa di cruciale che tutti si ostinano a ignorare o ha creato un allarme privo di fondamenti che poi, per puro caso, ha trovato una conferma. Ma di questo si preferisce non parlare.

Pat Z ha detto...

Giusto ieri una mia ex alunna molto brava, appena approdata all'università, mi raccontava di come nella sua facoltà di Psicologia i docenti ci avessero tenuto molto, fin dalle prime lezioni del primo anno, a sottolineare che oggetto degli insegnamenti ivi impartiti sono le SCIENZE psicologiche. Sembra quasi che, per avere una giustificazione al suo esistere, qualsiasi disciplina debba ammantarsi col nome di Scienza, altrimenti tratterebbesi di aria fritta, ambito di serie B, non degno di ammirazione e dignità riconosciuta a livello sociale. Mi chiedo quando parleremo di Scienze musicali, o Scienze poetiche, di questo passo. Ma se in realtà sono perfino le cosiddette "scienze esatte", come giustamente lei ci fa osservare, a trovarsi in difficoltà davanti al mito dell'esattezza della scienza, cosa si dovrebbe dire della psicologia, che porta nel suo stesso nome la parola "anima" (psyché), che è quanto di meno soggetto a rigorose leggi razionali si possa immaginare, e oggi pretende però di vendersi come una disciplina scientifica a tutto tondo che permette di conseguire risultati indiscutibili? A mio modesto modo di vedere dovrebbe essere esattamente il contrario: la psicologia dovrebbe essere una delle discipline più difficili da apprendere e da applicare proprio in quanto non può obbedire a precise e rassicuranti formule e modelli matematici, ma richiede da parte del vero psicologo una grande cultura, una grande sensibilità, une grandissima esperienza, e soprattutto umanità, quell'HUMANITAS che gli antichi mettevano al centro del loro sistema di valori in quanto capacità, donata dall'esperienza e dalla comune appartenenza alla debole stirpe dei mortali, di "sentire", ancor prima che comprendere, la situazione degli altri. Questo non significa certo che lo psicologo non debba possedere un grande bagaglio di specifiche conoscenze professionali, va da sé, ma tuttavia è un'illusione, e un'illusione pericolosa, credere che basti la superficiale applicazione di qualche formuletta poco ponderata, da parte del primo psicologo della Usl, per interpretare la vita di una persona, e prendere decisioni conseguenti. Penso con preoccupazione a quella sigla P.A.S., sindrome da alienazione parentale, che ultimamente - nelle circostanze di un doloroso caso di cronaca - ci è stata propinata come verbo scientifico a fronte di una realtà certamente ben più complessa, e che ha dato legittimità "scientifica" a quello che di fatto tutti hanno potuto vedere e giudicare correttamente come il rapimento traumatico dai suoi affetti di un bambino, e conseguente potentissimo trauma. Non voglio ora entrare nel merito del caso in questione, che come migliaia di altri casi simili sarà sicuramente molto complesso, ma quel che è certo è che quel bambino è stato gravemente ferito, e si è voluta addurre a giustificazione di un'azione come l'averlo gravemente ferito il fatto che bambino fosse "malato" di P.A.S. Ecco dove ci porta la medicalizzazione, la riduzione a oggetto di analisi "scientifiche" di una persona: un bambino diventa un oggetto da impacchettare senza tanti complimenti "per il suo bene", in quanto "malato", da curare. Quindi non più persona giudicata normale e valutata nella complessità delle sue emozioni, dei suoi affetti e del suo mondo spirituale, ma come paziente cui praticare terapie quanto mai invasive nella certezza scientifica - che mi chiedo come possa giustificarsi - che così lo si "guarirà". Penso ai tanti (non tutti, per carità!) alunni normalissimi ma poco studiosi e poco seguiti che si sono ritrovati "dislessici" all'improvviso a 18 anni, e così - trattati e considerati da tutti come dei malati - hanno avuto non tanto un via libera estemporaneo per un diploma che avrebbero comunque preso, ma una giustificazione e quasi un "alibi" per tutta la vita per non prendersi la responsabilità della propria esistenza applicandosi sulle cose in modo più serio.

Pat Z ha detto...

(continua)
Penso alla gravità delle situazioni in cui la "diagnosi" viene fatta su dei piccoli anche se non necessaria e non veritiera, e il bambino viene marchiato come malato quando magari è un bambino normalissimo ma un po' troppo vivace, con genitori che non si sono mai occupati di lui, che non si sono mai posti il problema del perché avesse 5 in italiano in quinta elementare; e però - se accade che qualcuno tiri fuori la parola "dislessia" - vanno inferociti a chieder conto alla maestra del perché non abbia diagnosticato il disturbo al loro bimbo anni prima. Ma vivaddio, fatti salvi i casi di disturbi reali che vanno certamente individuati e seguiti, è chiaro che un bambino che ha risultati scolastici insoddisfacenti stia incontrando delle difficoltà nella strada dell'apprendimento; è chiaro che un bambino conteso dai genitori stia vivendo una situazione di disagio. Ma da qui a farne un malato ce ne dovrebbe correre! Ci vorrebbe tanta prudenza e tanto senso di responsabilità prima di pronunciarsi. Invece noi creiamo delle sigle, delle formulette rassicuranti - e ben distanti dal vero ragionamento scientifico! - e così abbiamo la parola magica per orientarci nel mondo, per dividere con sicurezza il bene dal male, per far contenti i giornalisti (che - mi dispiace dirlo - sono sempre più ignoranti e superficiali nel fare le cose). Crediamo di aver capito tutto e non abbiamo capito niente, e il nostro mondo va tanto più a rotoli quanto più noi lo etichettiamo con cura, con le nostre pretese di possedere le chiavi della verità. Mi viene in mente Leopardi con la sua irrisione del "secol superbo e sciocco" suo contemporaneo, vittima delle fiducie positiviste, nella "Ginestra". E Leopardi era un materialista di prima riga, non certo uno spiritualista. Con questo non voglio dire che sia sbagliato aspirare all'esattezza e alla verità: dico solo che arrivarvi è molto, molto più difficile di quanto pensa un sacco di gente. Mi viene in mente quello che ci dicevano all'università i nostri professori di glottologia, che, quando parlavano di "leggi" linguistiche, precisavano sempre che si trattava di "tendenze", per quanto regolari e spesso prevedibili, perché realizzantisi in contesto umano. E, quando ci spiegavano la critica delle varianti negli esami di filologia greca e latina, nel mostrarci le caratteristiche specifiche di questo e quel criterio valutativo (criteri spesso contrapposti tra loro), sottolineavano che in ultima istanza doveva essere sempre lo "iudicium" del filologo a scegliere la variante ritenuta corretta, e prendersi la responsabilità della scelta. Ma la gente non fa più studi classici, e non sa niente di queste cose...

Giorgio Della Rocca ha detto...

«Alla nostra scala il mondo è fatto in grandissima parte di oggetti separabili che si combinano in insiemi secondo la familiare equazione 1 + 1 = 2. È per questa ragione che l’evoluzione ha ancorato questa regola nei nostri geni. Forse la nostra aritmetica sarebbe stata radicalmente differente se, come i cherubini, ci fossimo evoluti nei cieli, dove una nuvola più un’altra nuvola fanno ancora una nuvola» [Stanislas Dehaene, neuroscienziato, “The number sense. How the mind creates mathematics” (1997); ho tratto questa citazione da: “Perché ancora la filosofia” (Ed. Laterza 2008, p. 100) di Carlo Cellucci, filosofo particolarmente interessato alla matematica e alla logica matematica].
Premesso che avrei preferito la scrittura: «identità 'uno + uno = due'», per rendere l’identità stessa indipendente dal sistema di rappresentazione dei numeri utilizzato, nel brano riportato si allude al fatto secondo cui le "verità" della matematica non sono da considerarsi verità oggettive in senso assoluto (con riferimento anche agli enunciati e agli assiomi delle teorie matematiche formalizzate) ma solo in un senso relativo, cioè in dipendenza della costituzione biologica degli esseri umani (che le hanno scoperte o/ed elaborate) e della struttura di gran parte del mondo nel quale essi vivono.
Se perfino la matematica - definita "la regina delle scienze" dal matematico Carl Friedrich Gauss - non può garantire l’infallibilità in senso assoluto, tantomeno possono farlo le scienze diverse dalla matematica.

Salve!
Il Regno dei Cieli non è il regno dei cieli...

Giorgio Della Rocca

Alessandro Marinelli ha detto...

"Se gli scienziati della Commissione Grandi Rischi non hanno ritenuto di dover emettere un allarme a L’Aquila è perché l’andamento delle scosse erroneamente definite ‘premonitrici’ non era tale da accrescere la probabilità di un evento sismico rispetto a quella ricavata dalle serie storico-statistiche. Diverso sarebbe stato se avessero ignorato, volutamente o no, una parte dell’evidenza empirica scientificamente rilevante. Tuttavia, da quel che risulta, hanno fatto tutto il necessario per raccogliere i dati su cui basare una previsione."

Mio padre è un ingegnere strutturista e mi ha pienamente confermato che una serie di lievi scosse non è premonitrice di un bel niente, neanche se dura da mesi. Può esserlo, naturalmente, e l' evento finale può verificarsi più o meno violentemente, ma il fenomeno potrebbe anche assestarsi e ridursi da solo senza che noi se ne possa avere il minimo sentore. Anche perché è vero che tante lievi scosse possono significare una dissipazione graduale dell' energia con minore probabilità di eventi traumatici. Concordo inoltre pienamente con il prof. Israel quando ricorda una cosa che ultimamente pare svanita dalla memoria di molti, e cioè gli eventi e le contingenze immediatamente precedenti quella riunione. C' era un signore che, pur non potendo scientificamente motivare alcunché, andava dicendo di aver previsto una catastrofe imminente. Infatti quello degli 'imbecilli' di Bertolaso (vedasi intercettazione) non era un vago riferimento a non meglio precisate voci allarmistiche diffuse chissà da chi tra la popolazione. Il punto, secondo me, è questo: Bertolaso, quando ha parlato di eventi che si verificano normalmente, ha mentito o no? De Bernardinis ha mentito o no? Gli scienziati di cui citava le rassicurazioni, sulla base del protocollo operativo che la legge impone in quelle circostanze e dello stato attuale delle conoscenze scientifiche, hanno mentito o no? Secondo me le risposte sono no, no e no.

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