Pagine

giovedì 8 maggio 2014

Scuola: il Ministro mantenga gli impegni

Alcune persone non apprezzano che un medico esiti prima di fare una diagnosi e di indicare la cura relativa, o addirittura cambi idea. Pensano persino che sia un incapace e preferiscono quel medico che, quasi senza averti guardato in faccia, dopo pochi minuti impugna penna e ricettario. Sbagliano, e di grosso. Per questo, non soltanto non pensiamo che vada a demerito del ministro dell’istruzione Giannini aver espresso propositi diversi o persino divergenti da altri precedenti, ma anzi che abbia dato prova di quella riflessività e di quella capacità di ascolto di cui ha assoluto bisogno un sistema dell’istruzione disastrato da troppe prescrizioni avventate. Insistiamo sulla capacità di ascolto perché troppe amministrazioni hanno fin qui dato prova di voler andare avanti a testa bassa, ascoltando soltanto sé stesse o alcuni gruppi “influenti”, senza guardare alla sostanza dei problemi e ignorando tutte le voci provenienti dal mondo della scuola e dell’università che non siano in consonanza con le decisioni precostituite.
Siamo quindi ben lieti che il ministro abbia mostrato importanti segni di apertura su due temi scottanti. Il primo riguarda la questione delle fonti di finanziamento delle università: non ci si può disinteressare della clamorosa disparità tra università settentrionali e meridionali con una scrollata di spalle (“se la vedano loro”), ignorando superficialmente le conseguenze disastrose per tutta la comunità nazionale di un crollo del sistema universitario del sud. Ben venga quindi una riflessione che tenga conto di criteri di merito ma evitando di applicare parametrizzazioni meccaniche prive di senso che penalizzano un’area culturale che presenta aspetti profondamente positivi e che non può essere raccontata con generalizzazioni da serial televisivo. Va quindi salutato come un fatto assai positivo l’importante apertura del ministro su questo tema.
Non meno importante è la presa di posizione sui test d’ingresso a medicina. Fino a qualche giorno fa alcune dichiarazioni del ministro lasciavano pensare che ci si era resi conto degli aspetti problematici – è un eufemismo… – di questa modalità di selezione, ma che non appariva possibile rinunciare alla sua impalcatura generale. Ora il ministro fornisce un’indicazione che coincide con quella che ha dato questo giornale e che gode di un largo consenso: orientarsi verso il sistema francese, che non pone sbarramenti all’ingresso all’università, ma compie una serie di selezioni sul merito degli apprendimenti conseguiti nel primo anno di frequenza – e quindi sulle materie propriamente mediche e non su fumisterie generaliste – con un’ultima possibilità di recupero al secondo anno. È un sistema che ha mostrato una capacità di selezione altamente rigorosa e quindi risponde sia ai vincoli numerici che all’esigenza primaria di creare una classe di medici di alto livello professionale.
Molto bene, quindi. C’è però un “ma” o, meglio, un “purché”: purché tutto ciò non resti allo stadio dei proponimenti e poi non si faccia nulla, oppure si snaturi un modello semplice e collaudato inventando chissà quali marchingegni, correzioni, eccezioni e deroghe, magari conciliandolo con una prima batteria di test a base di Chomsky e Hobsbawm. Non è malignità la nostra perché fin troppe volte abbiamo visto dimenticare i migliori propositi o abbiamo visto stravolgere riforme semplici – si pensi al disastro che è stato combinato sui TFA – e trasformarle in qualcosa di contrario alle intenzioni. Abbiamo un modello francese che funziona, e che piace al ministro: è troppo chiedere di copiarlo pedissequamente e velocemente?
Tra gli episodi che inducono alla prudenza e, al contempo, alla speranza che il ministro Giannini mostri di avere la determinazione necessaria, vi è quello relativo alla vicenda del liceo “breve” di quattro anni. Si è partiti con la solita “sperimentazione” ristretta a qualche liceo, contro il fatto la parola “sperimentazione” dovrebbe essere cassata dal vocabolario dell’istruzione italiana, visto che questa prassi ipocrita è stata all’origine dei peggiori disastri. Poi, è subentrata una valanga di prese di posizioni contrarie, ben argomentate, e non solo da parte di personalità autorevoli ma anche da parte di insegnanti e famiglie: ogni giorno ricevo lettere di insegnanti che dichiarano di desiderare soltanto la pensione nel caso in cui passi questa “innovazione”, temendo l’invenzione di sciagurate materie-centauro (come la geostoria); né si vede chi potrebbe essere contento di fare un orario lungo per compensare l’anno mancante. Tutti hanno capito che l’unica autentica motivazione è il taglio di qualche decina di migliaia di cattedre. Ma l’amministrazione ministeriale si è tappata le orecchie, ha lasciato passare l’occhio del ciclone, ed è prontamente passata ad accreditare altre cinque sperimentazioni di liceo breve. Così, quando le sperimentazioni saranno un centinaio la riforma sarà stata imposta di fatto. Bene: questo è proprio il decisionismo di cui non abbiamo bisogno, un retaggio della gestione burocratico-autoritaria del ministro Bottai, il contrario di quello che sembra essere l’approccio del ministro Giannini quando mostra di aver ascoltato le critiche sui due temi di cui sopra, e di aver riflettuto.
Ci permettiamo di suggerire al ministro un’analoga capacità di riflessione sul tema della scuola superiore di primo grado (o “scuola media”, come si dice comunemente). Non prenda per oro colato certe tiritere secondo cui la scuola media è il buco nero del sistema dell’istruzione italiano, mentre la scuola primaria sarebbe la perfezione. Si lasci tentare dall’ipotesi che la scuola media richieda certamente delle riforme, ma che il vero problema sia proprio la scuola primaria: la più devastata da innumerevoli sperimentazioni pedagogiche spericolate. Chi abbia un minimo di cultura matematica sa che è nella didattica rinunciataria e minimalista delle primarie che si costruisce l’analfabetismo matematico che dilaga nel corpo studentesco e che le scuole medie non fanno altro che attestare. Il discorso è complesso, va argomentato e ci ripromettiamo di tornarvi su, ma l’atteggiamento del ministro incoraggia a sperare che vada affrontato con la dovuta riflessività. Intanto, ci si lasci sperare che alle positive dichiarazioni sui fondi universitari e sulle modalità di accesso alle facoltà di medicina seguano i fatti.


(Il Mattino, 7 maggio 2014)

6 commenti:

Grazia Dei ha detto...

Speriamo che il ministro l'ascolti XD

Bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Meno male che Lei riesce a scrivere queste cose sui giornali. Non è facile sentire voci autentiche.

Unknown ha detto...

Sono totalmente d'accordo con lei, ma ho una domanda: per quello che riguarda l'accesso alla facoltà di Medicina, leggevo in un articolo tempo fa che sono i docenti stessi delle Università a insistere per il numero chiuso subito perché, affermano, non è possibile fare lezione con un numero di studenti elevato. Che ne pensa?

Giorgio Israel ha detto...

Eho, lo so, ma questo è un problema che deve risolvere il governo. Se l'unica cosa che sanno fare è tagliare risorse, magari per spendere e spandere con quei baracconi che sono l'Anvur e l'Invalsi, c'è poco da fare. È indubbio che, se si taglia il numero dei docenti, non si può far lezione. Anche il ministro, al forum del Mattino, ha ammesso che addirittura tra qualche anno vi sarà una carenza di medici in Italia. Sta a loro dare le risposte. Questo non può essere l'unico paese "avanzato" dove si tagliano risorse alla scuola, all'università e alla ricerca. Salvo magari all'ITT, dove Renzi ieri ha fatto un deplorevole spot.

Unknown ha detto...

Capisco, grazie mille per la risposta, professore. A latere, secondo me i medici sono troppo pochi anche adesso...

paolo casuscelli ha detto...

Per non tacere dell'albero della cuccagna, fonte di iniquità e vergogna, che sono le agenzie di preparazione ai test d'ingresso a Medicina, che procurano soldoni a tanti docenti coinvolti nel mercato...

Posta un commento