Di fronte al dilagare di una letteratura antireligiosa vasta come non mai la mente potrebbe correre a Voltaire e alle pungenti irrisioni delle “superstizioni” religiose contenute nel suo Dictionnaire philosophique. Del resto, Voltaire è il modello di un libro come I dieci comandamenti nel ventunesimo secolo di Fernando Savater e l’illuminismo viene diffusamente evocato come il manifesto del libero pensiero razionale contro l’irrazionalismo dei credenti. Ma tracciare un parallelismo con Voltaire non sarebbe corretto, come non è corretto equiparare l’agnosticismo di Bertrand Russell (nel suo Perché non sono cristiano) – per quanto espresso con toni virulenti – all’ateismo militante di certi suoi mediocri epigoni contemporanei. Voltaire non era ateo bensì deista, e anzi scoccava frecce acuminate contro l’ateismo, e se oggi le sue considerazioni sui testi testamentari appaiono ingenue e grossolane, occorre ricordare che si era ai primi passi della storiografia critica moderna di cui lo stesso Voltaire fu uno degli iniziatori. Oggi scrivere come allora non è più ammissibile. D’altra parte, la lettura degli scritti di Voltaire sull’opera scientifica di Newton – comparata con quella di Descartes e di Leibniz – rivela un’accuratezza considerevole e anche una notevole attenzione agli aspetti teologici della visione newtoniana, tanto più apprezzabile in quanto Voltaire non poteva conoscere gli scritti teologici di Newton e aveva un’idea approssimativa delle sue concezioni religiose.
Esiste insomma un impressionante divario culturale – espressione di un degrado intellettuale inquietante – con i testi dell’ateismo antireligioso di oggi, per lo più firmati da scienziati. Richards Dawkins, nel suo libro L’illusione di Dio, appare preoccupato dall’esigenza di mostrare che, nonostante quel che si crede, quasi nessuno scienziato era davvero religioso. Egli appare soprattutto ansioso di provare che la religiosità di Einstein era tale soltanto di nome. Allo scopo egli ripropone la distinzione tra teismo, deismo e panteismo in modo consono ai suoi fini. Il teismo è l’abbietta credenza in un Dio personale. Il deismo è una visione a mezza strada, più nobile in quanto propone una visione di Dio come una sorta di intelligenza cosmica, ma non del tutto liberato dalla visione personalistica, una sorta di «teismo annacquato». Invece, il panteismo sarebbe nient’altro che un ateismo che concede alla religione soltanto il vezzo di usare il nome di Dio: un «ateismo “ornato”». Ora, si può pensare quel che si vuole del panteismo – e legittimamente ritenere che esso implichi il rischio di declinare verso l’ateismo – ma non che esso sia identico all’ateismo e che Spinoza sia il maestro dell’ateismo nella storia della filosofia. Se non altro, chi compie simili identificazioni dovrebbe tener conto delle ricerche recenti che hanno mostrato la derivazione della formula Deus sive Natura da correnti religiose cabbalistiche e precisamente nella “ghematria” (o equazione numerologica) che identifica uno dei nomi di Dio (Elohim) con la natura (ha-Teva). Si tratta di un’idea che, ripercorsa all’indietro, riporta a fonti della teologia medioevale (a Maimonide, in particolare) e, in avanti, conduce alla visione del libro divino come chiave che permette di comprendere il libro della natura. Questa visione divenne un tema centrale del pensiero rinascimentale e, a sua volta, condusse – attraverso una serie di passaggi – all’idea di Galileo secondo cui il libro della natura è stato scritto da Dio in linguaggio matematico. Quindi, le radici del panteismo ci riportano a un’idea di una stretta solidarietà tra religione e razionalità scientifica, la quale è peraltro caratteristica del pensiero di gran parte dei protagonisti della rivoluzione scientifica. Eppure, l’interpretazione del panteismo come ateismo è oggi diventata il cavallo di battaglia della polemica antireligiosa dello scientismo ateo e non c’è nulla che riesca a scalfire questo slogan ripetuto acriticamente, come dimostrano gli inutili tentativi compiuti da Paul Ricœur nel suo libro-dialogo La natura e la regola con il neurologo Jean-Pierre Changeux. Il fatto è che si tratta di uno slogan utile. Serve a Dawkins per “dimostrare” che Einstein era ateo e che la religione per lui era nient’altro che la convinzione che esistano leggi scientifiche universali che governano la natura. A prendere Dawkins alla lettera, la frase einsteiniana che tanto lo infastidisce – “La scienza senza religione è zoppa, la religione senza scienza è cieca” – diventerebbe una ridicola filastrocca del tipo: “La scienza senza scienza è zoppa, la scienza senza scienza è cieca”… Al contrario, quella frase contiene un’idea molto profonda e cioè che la razionalità scientifica non può avanzare se non è sorretta da una coscienza della trascendenza – la convinzione che esistono fattori non suscettibili di fondamento razionale, per dirla proprio con Einstein – e, viceversa, che gli occhi con cui la religione guarda al mondo naturale sono inevitabilmente quelli dell’intelletto razionale scientifico. Dawkins si guarda bene dal citare la frase di Einstein secondo cui «un legittimo conflitto tra scienza e religione non può esistere» – che nella sua vulgata diventerebbe un conflitto tra scienza e scienza… – perché il suo scopo è di alimentare questo conflitto a tutti i costi. La manifestazione più evidente di questa faziosità rissosa si ha a proposito di Newton. Non sappiamo se Dawkins abbia letto la celebre conferenza di John Maynard Keynes in cui l’economista inglese, dopo aver acquistato all’asta e letto gli scritti teologici di Newton dichiarava: «A partire dall’Ottocento, Newton è stato visto come il primo e più grande degli scienziati moderni, un razionalista, uno che ci ha insegnato a pensare nei termini di una ragione fredda e incontaminata… Non lo vedo in questa luce…». Keynes lo descriveva come un religioso, un «monoteista giudaico della scuola di Maimonide», con un’accentuata propensione al misticismo. Che Dawkins abbia letto o no questa conferenza, che sappia o no della religiosità di Newton dalla letteratura di storia della scienza, è evidente che il grande scienziato rappresenta per lui un problema non superabile neppure col trucco dell’equazione panteismo = ateismo. Egli se la cava dicendo che Newton «sosteneva» di essere religioso, ma che così facevano tutti fino all’Ottocento, «fino al momento in cui si allentò la pressione sociale e giudiziaria alla professione di fede». Insomma, un vero scienziato o è ateo (o panteista che dirsi voglia) oppure fa finta di essere religioso per paura. Quelli che ancor oggi dicono di esserlo, se non lo fanno per residue condizioni di oppressione, sono semplicemente degli imbecilli, anzi dei “cretini”.
Ci siamo soffermati a lungo su questo esempio per mostrare la straordinaria povertà intellettuale e il carattere truffaldino di questi testi che vengono sostenuti – come un bastone sostiene l’incedere di uno zoppo – da una dose smisurata di insulti e improperi nei confronti dei religiosi e di Dio medesimo (che si tratti del «Dio delinquente e psicotico dell’Antico Testamento» o di Gesù Cristo). Quel che è tragicamente comico è che il fanatismo e l’intolleranza delle religioni vengono denunciati con accenti violentemente fanatici e intolleranti: la possibilità che qualcuno osi accostare il Dio «metaforico e panteistico dei fisici» a quello delle religioni – ovvero quel che qui abbiamo osato – viene preclusa con il minaccioso avvertimento che si tratterebbe di «un atto di alto tradimento intellettuale». Come è noto, gli atti di alto tradimento si puniscono con la pena di morte, sia pure intellettuale.
È evidente che una siffatta violenza verbale, un simile rifiuto del dialogo civile, una simile ansia di annientare l’avversario, sono manifestazioni di profonda debolezza. Lo è parimenti l’ossessione di prodursi in confutazioni delle religioni che vanno ben al di là di un generale discorso filosofico, come era nel caso del libro di Russell. No, qui lo scienziato si addentra direttamente nell’esegesi dei testi biblici, senza vergogna delle proprie modeste conoscenze e della povertà dei propri mezzi analitici: una mancanza di pudore che non sarebbe mai ammessa nel campo scientifico. Chi agisce così sa bene – e proprio su questo gioca – di non muoversi su un terreno scientifico rigoroso, bensì presentando a un pubblico vastissimo un’esegesi confezionata a scopo polemico. Scegliendo la platea più vasta possibile per sviluppare argomentazioni che dovrebbero essere riservate a platee più ristrette si ottiene il vantaggio di fare propaganda con scarso rischio di essere confutati.
La questione più interessante è che cosa significhi l’impegno accanito di tanti scienziati sul fronte della lotta contro la religione. La risposta più evidente è che si tratta di una manifestazione di quell’“odio di sé” che ormai caratterizza gran parte del pensiero occidentale e che, in nome di una scienza che non è più sé stessa e che si è separata dalle proprie stesse finalità fondatrici, mira a mettere in discussione i capisaldi della nostra stessa cultura. Ma vi è anche un’altro motivo. Si tratta della volontà di abbattere il principale ostacolo ad un libero corso della tecnologia e delle sue manipolazioni della natura e della vita: la concezione morale ed etica del mondo di cui la religione è vista come un baluardo. A ben vedere non si tratta di un’“altro” motivo, bensì dello stesso. Difatti, quest’ansia esprime i virulenti “spiriti animali” di una tecnologia che si è affrancata del rapporto con la scienza e non risponde più a un progetto conoscitivo. Non è un’“altro” motivo perché è la manifestazione del declino di quel progetto conoscitivo della scienza che la collegava in un unico disegno con il pensiero filosofico e religioso e che ha informato parecchi secoli di pensiero europeo e occidentale. Oggi, mentre tecnologia e tecnoscienza dilagano senza freni, manipolando prima ancora di sapere, è fin troppo evidente che la scienza teorica (conoscitiva) soffre una crisi senza precedenti, al punto da far dire a taluno che si stia chiudendo un’era. È all’interno di questa crisi che un gruppo consistente di scienziati, svuotati di obbiettivi propriamente scientifici e surrogandoli con quello della difesa a oltranza della manipolazione tecnologica, si sono trasformati in ideologi dell’ateismo.
(articolo pubblicato su L'Osservatore Romano)
13 commenti:
google alert "matematica" stamattina mi ha segnalato il seguente passo.
Si trova in un sito abbastanza non di mio interesse ma il il passo mi ha comunque fatto sorridere.
AFORISMA DI MACRCO CIPOLLINI
L’egr. prof. Piergiorgio Odifreddi sostiene che l’unica croce che conti è quella per fare i conti.
L’egr. prof. Piergiorgio Odifreddi sostiene che la fede nella Trinità è un’offesa alla matematica.
L’egr. prof. Piergiorgio Odifreddi afferma che l’unica religione veramente “cattolica”, cioè universale, è la matematica, e che lui ne è quindi un alto prelato.
L’egr. prof. Piergiorgio Odifreddi s’impunta di convincere il Papa che è un corruttore di menti semplici, in quanto tutti i cristiani, in specie i cattolici, sono cretini.
L’egr. prof. Piergiorgio Odifreddi si fa quotidianamente venire l’ernia per dimostrare che chi è bravissimo a matematica può anche essere un grandissimo kretino.
Perché affaticarsi per provare ciò che è tanto evidente?
Professor Israel, da semplice ingegnere mi sono sempre appassionato a quei temi filosofici che al liceo si classificavano sotto il nome di "meta-fisica". Un amico e compagno di università, da tempo mi dice: "ma siamo sicuri che la scienza ci spieghi il perchè delle cose? o ci spieghi solo il come?".
Io porto sempre l'esempio del pi-greco. Perchè quel numero? Perchè questo numero decimale, illimitato, non periodico, non esprimibile nel sistema decimale se non con un numero infinito di cifre? Curioso, un rapporto che sappiamo "quasi" definire come valore, quel 3.1415 ecc. ma che possiamo solo approssimare e che contiene al suo interno un concetto di infinito, non le pare?
Chi lo sa se quelli che scherniscono l'esistenza di Dio o il disegno intelligente o l'esistenza di un qualsivoglia trascendente si sono mai posti questo quesito. E soprattutto, avranno una risposta?
Piccola premessa: la Gude des égarés maimonidea è stata una lettura che ho molto faticato dato il mio francese claudicante – ma è stata anche di grande godimento intellettuale. Per cui trovare che il vecchio Isaac era di stampo maimonideo me lo fa ancor più simpatico.
Ad essere sincero credo che se (rubando le parole a Keynes) Newton è stato visto come il primo e più grande degli scienziati moderni, un razionalista, uno che ci ha insegnato a pensare nei termini di una ragione fredda e incontaminata… è proprio per essere stato questo «monoteista giudaico della scuola di Maimonide», con un’accentuata propensione al misticismo di cui si dice.
Ed ora la cosa strana. Da piccolo, quasi mezzo secolo fa, mi rompevano l’anima preti che volevano dimostrare come la scienza dimostrasse D-o. Erano ovviamente caso per caso, sciocchi, illusi od in malafede. Ma come le sottrazioni non esistono, infatti sono solo “diverse addizioni”, se è stupido dimostrare l’esistenza di dio a teoremi (l’unica vera buona ragione per credere a D-o la dà Kant, mi pare ma non trovando la fonte di quel che mi pare di ricordare taccio) lo è altrettanto il contrario.
Debbo dare ragione al curatore di questa pagina. Se questi son scienziati, non avrebbero altro da fare?
Come non condividere queste intelligenti riflessioni su deismo, teismo, panteismo e di converso, "ateismo militante e da reggimento"? Oramai gli ideologi dell'ateismo imperversano per ogni dove. Basta vedere la becera e isterica crociata che ha fatto seguito alla lucida provocazione di Giuliano Ferrara sulla moratoria per l'aborto nel suo articolo comparso sul Foglio di cui al link:
http://www.ilfoglio.it/articolo.php?idoggetto=37387
Quell'aborto visto sempre più come strumento di pianificazione selettiva e discriminatoria (si veda in Cina con le bambine) . Ma questa è un'altra storia e non voglio andare OT. Buon anno, Professore. Keep going...
Premesso che sono completamente d'accordo che proporsi di dimostrare l'esistenza di Dio mediante teoremi è tanto assurdo quanto volerne dimostrare l'inesistenza allo stesso modo (se ho capito bene), non ho alcuna difficoltà a scrivere Dio per intero, anziché D-o. Anzi, trovo questa nuova usanza del rabbinato ortodosso contemporaneo - è facile constatare come non fosse affatto in uso da parte di grandi autorità rabbiniche anche del recente passato - del tutto assurda. Sarebbe lungo spiegare bene, ma basti dire che quel è inpronunciabile è il nome di Dio. Ma "Dio" non è il nome di Dio... Infine, per pietà, lasciamo stare questa faccenda della sottrazione come "diversa" addizione. La sottrazione esiste ancora: è l'operazione inversa dell'addizione. Il fatto che la sottrazione di un numero b dal numero a sia uguale alla somma di a dell'opposto di b significa appunto soltanto questo, ma certamente non che la sottrazione non esiste, né che la divisione non esiste.
impronunciabile, con la emme. Mi scusi ma in un contesto così "colto" l'orrore di ortografia non lo posso vedere.
:-)
saluti
Grazie, fa molto piacere la collaborazione costruttiva. Però forse dimentica la differenza tra errore di ortografia e refuso (o errore di battitura: sulla tastiera la m è accanto alla n). Succede spesso. E le restituisco il favore: si dice "errore di ortografia" e non "orrore di ortografia". :-)
LA CHIMERA DI GÖDEL
Uno dei massimi logici del XX secolo, Kurt Gödel, di origine boema, è autore di due teoremi fondamentali della Logica Matematica, strettamente collegati tra loro, i celebri Teoremi di Incompletezza (1931).
(Nella sintesi che segue mi risparmierò qualche precisazione troppo tecnica.)
Nel primo Teorema si dimostra che se supponiamo che l’Aritmetica classica (quella di Peano, intendo), opportunamente formalizzata, sia ‘non-contraddittoria’ (ovvero, che non si possa derivare al suo interno alcuna proposizione per la quale siano dimostrabili sia essa sia la sua negazione), allora essa è ‘sintatticamente incompleta’ (ovvero, esisterà almeno una proposizione esprimibile nel linguaggio aritmetico per la quale non sarà possibile dimostrare né essa né la sua negazione: in gergo tecnico, una tale proposizione si dice ‘indecidibile’).
Nella dimostrazione del Teorema si costruisce esplicitamente una proposizione indecidibile: si tratta proprio della proposizione che esprime la non-contraddittorietà (o ‘coerenza’) dell’Aritmetica stessa (tale proposizione risulta, comunque, intuitivamente ‘vera’, dal momento che esiste un modello effettivo – i numeri naturali, appunto – del sistema formalizzato di cui si sta parlando, ma è essenziale, in questo contesto, la distinzione tra ‘verità’ e ‘dimostrabilità’). Questo ha come conseguenza (secondo Teorema) che, sempre nell’ipotesi di coerenza dell’Aritmetica classica, tale coerenza non può essere dimostrata con metodi puramente aritmetici (la coerenza dell’Aritmetica classica è stata in seguito dimostrata, ma utilizzando strumenti più potenti di quelli aritmetici ordinari).
Ma Gödel è autore anche di un altro ‘teorema’: nientemeno che il ‘teorema di esistenza di Dio’!
Il filosofo Anselmo d’Aosta aveva formulato, alcuni decenni dopo l’anno Mille, una famosa prova ontologica dell’esistenza e unicità di Dio. (Tale prova, nel corso dei secoli, era stata però abbondantemente criticata, principalmente per il fatto che Anselmo aveva operato un salto logico arbitrario dall’ordine dei concetti mentali a quello della realtà effettiva. Kant, nella seconda metà del XVIII secolo, giungerà addirittura a sostenere l’impossibilità di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, e la ridurrà a un postulato di carattere pragmatico.)
Riprendendo l’argomentazione ontologica di Anselmo (ma perfezionandola sotto vari aspetti, e utilizzando oggetti logici molto sofisticati quali gli ‘ultrafiltri’), Gödel elaborò un teorema con il quale si dimostra che Dio esiste ed è unico (relativamente all’ultrafiltro da lui considerato, ma ultrafiltri diversi possono determinare… dèi diversi!). Il teorema fu pubblicato però solo alcuni anni dopo la morte dell’autore. Piergiorgio Odifreddi (da alcuni scritti del quale ho tratto le informazioni che ho appena riportato) commenta giustamente: “il risultato fu che ora la prova ontologica da un lato non ammette più la minima confutazione, e dall’altro non suscita più la minima convinzione”.
Nell’ambito del Neopositivismo (una corrente filosofica sviluppatasi tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del XX secolo) è stata sollevata contro l’idea di ‘Dio’ una obiezione radicale: ‘Dio esiste’ sarebbe un’affermazione metafisica e quindi, come tutte le affermazioni metafisiche tradizionali, risulterebbe non solo inverificabile, ma addirittura priva di significato.
“Proposizioni del tipo ‘Dio è l’essere supremo’ o ‘Dio è trascendente’ non dicono niente di più, per esempio, che ‘X è pectabile’. In una tale proposizione, si dice di un qualcosa indeterminato (X), un predicato indeterminato (pectabile)”. Questo pensiero è stato espresso dal filosofo e critico letterario Max Bense, e denota anch’esso l’opposizione condotta contro l’idea di ‘Dio’ nell’ambito di certo ‘razionalismo’ contemporaneo.
“Credo che la scienza recherà infine danno alle religioni, nel senso che dimostrerà realmente l’inesistenza di Dio”.
Lo ha affermato, in un libro del 1970, il matematico Paul Lévy.
Papa Ratzinger, naturalmente, non è molto d’accordo, come risulta da questo passo del discorso pronunciato in occasione del Convegno Ecclesiale di Verona (ottobre 2006):
“La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’Universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’Universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Lógos creatore”.
Contro argomentazioni di questo tipo alcuni hanno osservato che la corrispondenza “tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura” di cui parla Ratzinger deriva dal fatto che anche l’uomo è parte della natura, e che pertanto tale corrispondenza non dovrebbe sorprendere più di tanto.
Però “l’uomo è l’unico essere capace di fare matematica. L’esistenza di attività umane precluse al mondo animale corrobora la plausibilità di una differenza qualitativa tra l’uomo e le altre specie. Riconoscerla, significa dare plausibilità all’idea di un elemento di trascendenza”, commenta Giandomenico Boffi, ordinario di Algebra.
(Da notare che sia Ratzinger che Boffi non pretendono di poter ‘dimostrare’ l’esistenza di Dio, ma solo di poterne ‘corroborare’ la plausibilità razionale.)
“Come potrebbe essere una buona idea postulare, per spiegare l’esistenza di cose improbabili, un ideatore che dovrebbe essere ancora più improbabile?” si chiede invece, in un recente scritto, lo scienziato Richard Dawkins, uno degli odierni paladini dell’ateismo ‘fondato sulla scienza’, contro le classiche definizioni di Dio come ‘Causa prima incausata’, ‘grande Orologiaio’ ecc.
Il matematico probabilista (del XX secolo) Bruno De Finetti gli avrebbe però risposto che la probabilità di un evento è solo una misura del grado di ‘fiducia’ che abbiamo (soggettivamente, quindi) riguardo al verificarsi dell’evento stesso, in base alle informazioni che possediamo in quel momento.
“La nostra concezione di Dio deriva dall’antico dispotismo orientale, ed è una nozione indegna di uomini liberi”.
Lo ha affermato il logico e filosofo Bertrand Russell nel libro ‘Perché non sono cristiano’ (1957).
Dio c’È (intendo il Dio della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, non i vari ‘dèi dei filosofi’, che ne sono molto spesso un’asettica riduzione, a volte addirittura una palese distorsione), sebbene questa affermazione, a mio parere, pur essendo vera, non sia dimostrabile logicamente, non costituisca cioè un teorema.
Sembra quasi un’applicazione ‘metaforica’ dei Teoremi di Incompletezza di Gödel…
Giorgio Della Rocca
(Non basta lo ‘intellego ut credam’, occorre anche il ‘credo ut intellegam’: dopotutto, il tanto bistrattato Anselmo un po’ di ragione ce l’aveva…)
CHIARIMENTO SUL TERMINE ‘RAZIONALISMO’
Da una moderna enciclopedia che possiedo:
“Razionalismo: qualsiasi atteggiamento teorico o pratico che assuma la ragione a suo principio fondamentale e sia quindi ispirato a criteri strettamente razionali [cioè, conformi alla ragione].”
Nel mio precedente intervento ho qualificato ‘razionalismo’ con le virgolette (e quindi con intento volutamente ironico) la posizione dei filosofi neopositivisti (o del filosofo M. Bense, preso ad emblema di certi razionalisti contemporanei, del quale ho riportato un pensiero) secondo la quale tutte le affermazioni metafisiche tradizionali, quindi anche quelle riguardanti Dio, poiché simulerebbero un contenuto di realtà inesistente, vanno bandite dal regno della conoscenza e relegate in quello della mitologia (attenzione, però: i neopositivisti considerano metafisiche anche le proposizioni della Logica e della Matematica, ma di una metafisica ‘buona’, in quanto figlia, in questo caso, della razionalità).
Nel mio intervento ho cercato di mostrare, ispirandomi metaforicamente ai Teoremi di Incompletezza di Gödel, come anche il fatto che vi possano essere affermazioni intuitivamente vere, ancorché non dimostrabili logicamente (come, a mio parere, l’affermazione ‘Dio c’È’), risulti plausibile razionalmente. D’altra parte, riferendomi di nuovo al pensiero di M. Bense, se l’entità Dio fosse troppo determinata… che Dio sarebbe?
Tutto ciò, spero, dovrebbe giustificare il perché del ‘razionalismo’ con le virgolette.
Giorgio Della Rocca
PERCHÉ?
“Tu dici: ‘Non uccidere’, però ci uccidi tutti. Non c’è dubbio che sei il grande assassino universale”.
Il parlante di questo dialogo immaginario è un filosofo, l’interlocutore è nientemeno che…
il Dio della Bibbia!
(si tratta infatti di un passo del capitolo ‘Non uccidere’ del recente libro ‘I dieci Comandamenti nel ventunesimo secolo’ del filosofo spagnolo Fernando Savater.)
Una delle obiezioni più frequenti riguardanti il Dio della Bibbia è come si possa accettare l’immagine veterotestamentaria di un Dio apparentemente minaccioso, crudele e vendicativo.
Ma si dimentica che questa immagine va completata, necessariamente, con quella neotestamentaria di un Dio palesemente dolce, buono e misericordioso, che, attraverso Gesù Cristo, ci dice di perdonare, benedire e amare i nostri nemici, per essere perfetti come Lui lo è.
“Perché le guerre?”, “Perché i lager o i gulag?”, “Perché la fame nel mondo?”, “Perché terremoti e tsunami?”, “Perché incidenti che possono segnare in maniera indelebile la vita di tante famiglie?”, “Perché dei bambini vengono assassinati?”, “Perché l’aborto?”, “Perché le ingiustizie?”
Già: perché?
“Dio, o non vuol togliere i mali e non può, o può e non vuole, o vuole e non può, o vuole e può.
Se vuole e non può, è impotente, il che non può essere in Dio. Se può e non vuole è invidioso, il che del pari è contrario a Dio. Se non vuole né può è invidioso e impotente, perciò non è Dio. Se vuole e può, il che solo conviene a Dio, da che cosa deriva l’esistenza dei mali e perché non li toglie?”
Questa argomentazione è dovuta ai filosofi epicurei (il filosofo greco Epicuro è vissuto a cavallo fra il IV e il III secolo prima di Cristo; ha avuto seguaci fino a circa il IV secolo dopo Cristo), e potrebbe costituire un argomento a favore della presunta incompatibilità tra l’attributo di ‘onnipotenza’ di Dio e la presenza del male nel mondo, un classico cavallo di battaglia della ‘dubbiologia’ (mi si passi il termine) nei riguardi dell’esistenza di Dio.
Il filosofo Paolo Flores d’Arcais riporta tale argomentazione nel suo scritto di alcuni anni fa ‘Ateismo e verità’ (presente nel supplemento ‘Dio esiste?’ al n. 2/2005 della rivista MicroMega, dedicato ad un dibattito su fede e ateismo tra Papa Ratzinger e Flores d’Arcais [direttore della rivista], moderatore il giornalista Gad Lerner), e commenta: “Questa domanda [quella con la quale si conclude l’argomentazione] non ha avuto risposta e non può averla”.
Prendendo come esempio la sofferenza degli innocenti, umanamente un’evidente ingiustizia che il credente ascrive invece ad una giustizia di grado più elevato, Flores d’Arcais, nello scritto citato, afferma: “Ma se di questa giustizia si tratta, il dilemma della teodicea ne esce radicato e ineludibile: in Dio infinita potenza e infinita bontà si escludono. Il credente deve scegliere: o l’una o l’altra. Oppure l’assoluto silenzio, poiché nessun termine è adeguato ad esprimere un mistero davvero insondabile”.
Il filosofo giunge quindi alla conclusione che al credente – in particolare, al credente cristiano – non rimanga che un rifugio irrazionalistico in un ‘credo quia absurdum’ (espressione attribuita al pensatore cristiano Tertulliano, vissuto a cavallo fra il II e il III secolo dopo Cristo). Fede e ragione sono inconciliabili. La fede può solo essere considerata una (libera) opzione della coscienza, legittima quanto la mancanza di fede, il che, evidentemente, consente diverse e legittime scelte di senso nei riguardi dell’esistenza umana. Meno che mai quindi, sempre secondo il filosofo, potrebbe esistere una Chiesa che pretenda, affermando il suo credo, di derivarne conclusioni normative (per tutti) in campo etico, sociale o politico.
Anzi, le (presunte) antinomie rilevate riguardanti la teodicea, oltre a quelle (presunte) riguardanti, ad esempio, la creazione dell’Universo dal nulla, portano il filosofo a una conclusione decisamente sbilanciata a favore dell’ateismo. Inoltre, egli afferma, “c’è una grande asimmetria, perché il credente è interessato a convertire il non credente (è interessato nel senso più alto del termine, ovviamente), l’ateo non è assolutamente interessato a convincere il credente della inesistenza di Dio, non ha nessun interesse a far perdere la fede a qualcuno”. Detto in termini scherzosi, l’ateo non vuole ‘sconvertire’ nessuno.
Riprendendo l’argomentazione del filosofo, quando egli conclude “in Dio infinita potenza e infinita bontà si escludono”, non tiene conto, a mio parere, del fatto che, oltre al concetto di ‘giustizia’, andrebbe ‘relativizzato’ anche il concetto di ‘bontà’: non sempre la bontà di Dio (e ribadisco che io mi riferisco sempre al Dio della Bibbia) coincide con la nostra idea di bontà (le Sue vie non sono le nostre vie, secondo la Scrittura). In un modo apparentemente paradossale, anche il sussistere dei mali, come la sofferenza di innocenti e di giusti, può essere in funzione di una giustizia e di un bene più elevati rispetto a quelli puramente umani, che però possono essere compresi fino in fondo solo se ci si pone in una prospettiva escatologica (questa, penso, potrebbe considerarsi anche una risposta alla domanda con cui si conclude l’argomentazione degli epicurei).
Inoltre, Dio a volte sottopone gli uomini a prove anche molto dure per verificare l’autenticità della fede in Lui (sempre in vista di un bene maggiore, vedi Abramo o Giobbe).
Infine, a proposito dell’apparentemente inspiegabile tolleranza, da parte di Dio, verso chi compie il male, non dimentichiamo che, secondo la Scrittura, Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.
La mia conclusione, quindi, già adombrata in un mio precedente intervento, e che contrasta con la conclusione di Flores d’Arcais, è che il carattere distintivo e imprescindibile della fede cristiana sia riconducibile più alla somma ‘intellego ut credam’ + ‘credo ut intellegam’ – o meglio, ad una sorta di ‘sintesi dialettica’ tra fede e ragione – che ad un esclusivo ‘intellego ut credam’ o ad un esclusivo ‘credo ut intellegam’ (il che non implica certamente che allora potremmo legittimamente credere a qualsiasi cosa, come, ad esempio, l’esistenza della Chimera o delle Sirene).
Rimarrebbe, in effetti, un altro perché: anche ammettendo l’esistenza di una divinità, perché dovrebbe trattarsi proprio del Dio della Bibbia (ribadisco, Antico e Nuovo Testamento) e non, per esempio, di Allāh?
E perché non di Bwanga (Africa), o di Tumpa (Argentina), o di Aigres (Guatemala), o di Manitù (America del Nord), o di Kami (Giappone), o di Tengri (Cina), o di Indra (India), o di Manang (Indonesia), o di Megwa (Papua Nuova Guinea)?
(si è notato… il giro del mondo?)
Potrei tentare di rispondere anche a quest’ultimo perché, ma non voglio.
Penso, con tutto il rispetto, che il Dio della Bibbia sarebbe d’accordo con la mia scelta.
Penso, ma non ci giurerei.
Giorgio Della Rocca
“Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede”, afferma San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi.
La morte in croce di Gesù Cristo – che, come afferma sempre San Paolo, è ‘stoltezza’ o ‘follia’ rispetto alla sapienza umana – poteva forse anche essere evitata dal Dio della Bibbia, se Egli avesse voluto, ma evidentemente l’umanità andava redenta solo mediante un attraversamento completo da parte di Dio – nella Persona del Suo Figlio Unigenito concepito per opera dello Spirito Santo – della vita umana, dalla nascita alla morte, senza evitare la croce.
Non sarebbe stato possibile redimere l’umanità se (teisticamente) Dio si fosse attestato su una imperscrutabile trascendenza, o se (deisticamente) si fosse limitato ad una aristocratica indifferenza, o se (panteisticamente) si fosse confuso in una equivoca immanenza.
AHI AHI LA LOGICA…
È uscito da poco il libro intitolato “La prova matematica dell’inesistenza di Dio” del matematico statunitense, di origini greche, John Allen Paulos (prefazione di Piergiorgio Odifreddi; casa editrice Rizzoli).
Si tratta di un libro molto interessante (a parte il titolo, come spiegherò tra breve), in quanto presenta una disamina in chiave logico-critica della maggior parte degli argomenti che sono stati avanzati, nel corso dei secoli, per tentare di “dimostrare” l’esistenza di Dio, da quelli classici (l’argomento della causa prima, quello del disegno intelligente o, più in generale, del finalismo, quello del principio antropico, i vari argomenti ontologici) a quelli soggettivi (l’argomento delle coincidenze, quello delle profezie avveratesi, quello dei bisogni emotivi, quello degli interventi divini miracolosi, suscitati o meno da preghiere) e a quelli psicomatematici (l’argomento della complessità del mondo, quello delle predisposizioni o tendenze cognitive, quello dell’universalità della moralità, quello dell’adeguatezza della Matematica nel descrivere il mondo, quello della scommessa di Pascal o, più in generale, del desiderio del premio o del timore del castigo divino).
Occorre riconoscere, tuttavia, che nella prefazione Odifreddi afferma: “gli argomenti a favore o contro l’esistenza di Dio sono controvertibili e controversi”, e che lo stesso Paulos, in un passaggio del libro, precisa: “Gli argomenti e le confutazioni riportate in questo libro dimostrano definitivamente che Dio non esiste? Effettivamente no”, aggiungendo comunque subito dopo: “Però abbiamo visto che non c’è neanche un argomento per dimostrare una volta per tutte che non esiste un cane che parla inglese dal suo didietro. E neanche per escludere con assoluta certezza che esista Babbo Natale”.
Si sa, infatti, che da un punto di vista strettamente logico:
- le affermazioni “universali”, del tipo, ad esempio, di “tutti i corvi sono neri”, possono essere smentite ma mai confermate al 100% (per smentire l’affermazione precedente basterebbe trovare un corvo che non sia nero, ma sarebbe impossibile confermarla al 100%, perché nessuno potrebbe mai escludere che in passato sia esistito un corvo non nero o che in futuro se ne possa trovare uno);
- le affermazioni “esistenziali”, del tipo, ad esempio, di “gli extraterrestri esistono”, possono essere confermate ma mai smentite (per confermare l’affermazione precedente basterebbe incontrare un extraterrestre, ma sarebbe impossibile smentirla, perché nessuno potrebbe mai escludere che in passato sia esistito un extraterrestre o che in futuro se ne possa incontrare qualcuno).
Credo, però, che non occorra aver frequentato un corso di Logica per comprendere che lo smontare logicamente le presunte dimostrazioni dell’esistenza di Dio non equivale a produrre una dimostrazione logica della sua non-esistenza, ma, come si sa, i titoli dei libri sono molto spesso scelti dagli Editori più che dagli Autori dei libri stessi, e lo scopo, naturalmente, è quello di attirare l’attenzione dei lettori (a volte possono esistere anche scopi più tendenziosi): è chiaro che un titolo (più corretto da un punto di vista logico) come “L’impossibilità di dimostrare logicamente l’esistenza di Dio” avrebbe attirato meno l’attenzione dei lettori rispetto a quello scelto.
D’altra parte, in precedenti interventi, io ho precisato che la proposizione “Dio c’È” non costituisce, a mio modo di vedere, un teorema nel senso tradizionale del termine, non è cioè “dimostrabile logicamente”, ma è solo un’affermazione “plausibile razionalmente” (anche gli argomenti della plausibilità razionale sono criticati nel libro di Paulos, ma solo quando essi conducono in modo fallace a dedurre logicamente l’esistenza di Dio, cosa che il sottoscritto non ha mai pensato di fare) o “vera intuitivamente” (questa seconda qualificazione, però, è giustificata evidentemente da esperienze soggettive). Lo stesso ha fatto (prima del sottoscritto) il prof. Israel, con la differenza che quello di cui parla il prof. Israel è il Dio della Bibbia e della Tradizione Ebraica, mentre quello di cui parlo io è il Dio della Bibbia e della Tradizione Cristiana: anche la coincidenza fra questi due Dèi, a mio avviso, non è dimostrabile logicamente.
Mi pare, invece, abbastanza evidente che entrambi questi Dèi siano diversi sia da Allāh che da Geova (se non altro, per motivi di anzianità…).
Un’ultima osservazione. Il fatto che, al momento attuale, non sia nota una dimostrazione logica, accettata da tutti, dell’esistenza di Dio, non permette di escludere che, in passato, qualcuno ne abbia elaborata una, non pubblicata o andata perduta (il che, comunque, è altamente improbabile), o che in futuro qualcuno riesca a produrne una (anche questo, per la verità, mi sembra abbastanza improbabile; in ogni caso, non so se Dio ne sarebbe soddisfatto…). Questo per dire che anche il titolo che avrei proposto io per il libro di Paulos andrebbe rivisto…
Giorgio Della Rocca
Gli atei aderiscono in realtà ad una fede, ma spesso non si rassegnano ad avere questo status.
Parafrasando Kraus: l'ateismo è quella fede di cui pretende di dimostrare l'insussistenza.
PREGHIAMO…
Com’è noto, il prof. Piergiorgio Odifreddi ha pubblicato, molto recentemente, un libretto a difesa della teoria dell’evoluzionismo, intitolato: “In principio era Darwin”.
Al termine del primo capitolo, Odifreddi sintetizza il suo credo religioso (già espresso in altre occasioni), scrivendo: “Su queste basi [quelle, appunto, dell’evoluzionismo] gli scienziati stanno oggi ricostruendo il vero Albero della Conoscenza, riscrivendo il vero Genesi e scoprendone il vero Autore, all’insegna del motto coniato da Spinoza e condiviso da Einstein: Deus, sive Natura (Dio, cioè la Natura)”.
Ebbene, io ho provato a pregare Darwin (o la natura…), ma non mi ha mai risposto…
Il Dio della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), invece, mi risponde sempre!
Qualcuno potrebbe obiettare: “Io prego solo il Dio dell’Antico Testamento, e mi risponde sempre!”.
Un altro potrebbe dire: “Io prego Geova, e mi risponde sempre!”.
Un altro ancora potrebbe sostenere: “Io invece prego Allāh, e mi risponde sempre!”.
Può darsi che le divinità menzionate non siano altro che “approssimazioni” diverse (più o meno buone) del vero Dio…
“E chi stabilisce quale approssimazione sia la migliore?”
Solo il vero Dio può farlo!
Qualcun altro potrebbe ora obiettare: “Io ho provato a pregare il Dio della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), ma non mi ha mai risposto!”.
Beh, dipende da ciò che si chiede, da come lo si chiede, dalle condizioni in cui lo si chiede ecc..
In ogni caso, non mettiamo limiti alla Provvidenza.
Saluti
Giorgio Della Rocca
P. S. Un’ultima osservazione. Qualcun altro ancora potrebbe affermare: “IO non sento il bisogno di pregare alcun dio!”.
Forse, abbiamo finalmente trovato il vero dIO…
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