Dunque l’Ocse raccomanda di sopprimere le bocciature a scuola. Con quali argomenti? Il più inconsistente è quello economico, e cioè che le bocciature inciderebbero del 10% sul bilancio educativo. Con questo criterio tanto varrebbe tornare a qualche secolo fa: chi ha i mezzi paga un precettore, gli altri si arrangiano come possono. L’istruzione moderna è un investimento e non un lusso. Tuttavia, l’Ocse sostiene che il sistema delle bocciature è inefficace, produce perdita di fiducia, isolamento, ingresso ritardato nel lavoro e che la qualità dell’istruzione è migliore nei paesi in cui non si boccia, secondo le sue stime; circa le quali vi sarebbe molto da dire, visto che i modelli da imitare sono la disastrata scuola inglese e quella finlandese i cui “successi” – come mostrano numerose analisi – sono molto discutibili.
Il nodo a cui l’Ocse non da risposta è: quali strumenti restano per premiare il merito? In Italia, la soppressione degli esami di riparazione autunnali non ha conseguito l’effetto di eliminare le “ripetizioni” private, che sono diventate ora un immenso giro d’affari da far impallidire quello artigianale di un tempo. In cambio, ha tolto alla scuola uno dei principali incentivi allo studio diligente. Il mantra già diffuso, «Chi me lo fa fare di studiare, visto che tutti vengono promossi?», diventerà il primo comandamento dello studente. Se non si chiarisce quali incentivi e penalizzazioni efficaci introdurre in cambio, vuol dire soltanto che si mira a una scuola in cui il merito non vale niente.
È malinconico dover precisare un concetto evidente: offrire pari opportunità è ben diverso che garantire il successo a tutti. Il primo punto di vista è tipico di una società aperta, liberale, che riconosce che non siamo e non saremo mai tutti uguali. Non tutti possono diventare premi Nobel, ma è giusto e nobile che la società offra a tutti la possibilità di concorrere a diventarlo. Su questa base, i migliori hanno il diritto a un riconoscimento che non spetta ai peggiori. Il secondo punto di vista è tipico delle società illiberali, che conducono alla frustrazione dei migliori e all’inefficienza. Tutti vanno avanti comunque e, alla fine, ottengono un “portfolio” che inserisce in un canale sociale predeterminato. Tale visione ha al centro l’obbiettivo del “successo formativo garantito” come espressione di un demagogico egualitarismo secondo cui il successo scolastico è un “diritto”.
Non è possibile in un articolo di giornale analizzare l’intreccio di influssi culturali che sta dietro queste concezioni. Ma non va dimenticato che l’idea del successo formativo garantito ha un antecedente nell’attacco alla “scuola di classe”, “selettiva” e “repressiva”. Ricordo bene, quando ero giovane assistente, i professori “progressisti” che – distruggendo una tradizione di rigore degli studi cara alla sinistra – aprivano i verbali di fronte a una fila di studenti registrando un voto unico per tutti, e i cui epigoni di oggi permettono di copiare agli esami, fornendo essi stessi traduzioni e soluzioni. Quella demagogia ha infettato non solo l’Italia e l’Europa. Molto tempo è passato e i sogni rivoluzionari sottostanti a quelle pratiche si sono spenti e trasformati in ideologie pedagogiche che hanno trovato asilo nella tecnocrazia. Quando un superispettore francese dichiara che una decina d’anni di “lotta militante” (testuale) basteranno a “distruggere” la scuola tradizionale, non si assiste soltanto alla fine di una figura di funzionario ligio alle direttive democraticamente stabilite, ma al riproporsi dell’ideologia totalitaria del successo garantito sotto vesti tecnocratiche e la cui essenza è il rigetto di ogni forma di meritocrazia.
A dire il vero, tale affermazione va corretta, perché se gli studenti vengono esentati da ogni controllo di merito, questo viene riservato soltanto agli insegnanti, trasformati in burocrati delle ideologie egualitarie, non più maestri ma meri esecutori delle prescrizioni tecnocratiche, meri “facilitatori” (secondo uno squallido neologismo). Non a caso il massimo astio dei fautori della scuola del successo formativo garantito è riservato alla categoria degli insegnanti, accusata di “resistere” e di arroccarsi su un’idea “vecchia” e “superata” di scuola, cui si vuole contrapporre la scuola-azienda volta alla soddisfazione dell’utente.
Con tutto il rispetto per l’Ocse, ci sembra che l’eliminazione della scuola meritocratica – un modello che ha garantito straordinari successi culturali e scientifici all’occidente, imitati in tutto il mondo – è una scelta troppo importante per essere delegata agli “esperti”. È in gioco qualcosa che coinvolge il futuro delle nostre società e che non può essere deciso con l’esibizione di statistiche e al livello di organismi tecnocratici. La vicenda in oggetto può apparire minore, ma in realtà è solo l’ultimo gradino di un declino delle strutture europee dell’istruzione che sembra inarrestabile, consegnato com’è a organismi e gruppi che si mostrano totalmente insensibili, se non sordamente ostili, alle denunce e critiche di tanti insegnanti, uomini di cultura e tanta parte dell’opinione pubblica.
(Il Messaggero, 27 luglio 2011)
UN ULTERIORE COMMENTO:
Lo spazio mancava per un il seguente commento: «Numeri alla mano, l'organizzazione internazionale dimostra che laddove esistono molti "ripetenti" peggiorano i risultati complessivi delle classi e, in finale, anche la percentuale degli alunni che riescono a diplomarsi.» Numeri alla mano l'illustre organizzazione ha scoperto l'acqua calda e l'ombrello. Ma forse la filosofia dell'Ocse è quella del filosofo Catalano (per chi ricorda "Quelli della notte" di Arbore) da declinare qui al seguente modo: «È meglio una classe in cui tutti gli studenti sono bravi che non una classe in cui vi sono molti somari perché in tal caso la media dei risultati della seconda classe è inferiore a quella dei risultati della prima».