Siamo in tempi di dittatura delle statistiche in cui si
crede a tutto purché sia espresso in numeri. Quando si legge che il 44% degli
italiani sarebbe ostile agli ebrei ci si chiede che cosa s’intenda per
“ostilità” e quali domande siano state fatte per arrivare a questa cifra
esplosiva. Il numero degli atti di antisemitismo verificatisi in Francia nel 2011
è impressionante, ma occorrerebbe analizzare la natura di questi atti e
verificare se non si siano aggregate vicende di importanza diversa. È tuttavia
indiscutibile – se solo si pensa alle vicende francesi, al caso Günther Grass, ai
segnali provenienti dall’Ungheria – che stia montando in Europa un antisemitismo
di proporzioni mai viste da mezzo secolo. Ma il modo con cui si sta affrontando
il fenomeno è insoddisfacente.
Tanto per cominciare, sarebbe opportuna una moratoria sulle
statistiche per affrontare invece il compito di analizzare i processi sociali e
politici che determinano il diffondersi di una rinnovata ostilità contro gli
ebrei. Può sembrare una proposta ovvia, ma è un compito che viene per lo più
eluso. Come osservò André Neher, la lezione della storia è che gli antisemiti
«dispongono di un guardaroba inesauribile: vi trovano la maschera appropriata
all’hic et nunc del loro folle
ruolo». Ma è proprio l’hic et nunc – il
contesto politico e sociale presente – che viene quasi sempre evitato per
rifugiarsi dietro la deprecazione del passato. Se era paradossale che negli
anni trenta la piccola minoranza ebraica fosse imputata di tutte le disgrazie
dell’Europa, ora che questa minoranza è evanescente il paradosso è esplosivo: è
l’odio per chi non c’è. La storia passata insegna a ricercare nell’hic et nunc le modalità con cui si
ripropone il tentativo di scaricare su una minoranza le colpe di tutti i mali
di cui soffre la società. In analogia con quel che accadde negli anni trenta, sta
tornando di moda additare gli ebrei come i burattinai della finanza speculativa
che provoca la crisi economica e il suo corteo di sofferenze. Ma c’è qualcosa
di molto più serio: si tratta della crisi di orientamento delle leadership
europee di fronte al declino dell’influenza mondiale del continente e alla
sfida che viene dall’altro lato del Mediterraneo, in particolare con il
fenomeno dell’immigrazione. L’attentato di Tolosa è il tragico simbolo di
questa sfida, la quale invia un segnale preciso: rompete con Israele,
abbandonate gli ebrei al loro destino, contrattate le basi di una società
multiculturale che contempli zone franche per la legislazione islamica, e
avrete la pace. La scelta dell’obbiettivo ebraico punta con perversa lucidità a
riaprire la ferita ancora purulenta dell’antisemitismo. Se le classi dirigenti
e i ceti culturali influenti in Europa non capiranno che respingere il ricatto equivale
a respingere il tentativo di distruggere i fondamenti della democrazia
liberale, non saranno soltanto gli ebrei a soffrirne ma l’Europa subirà il
secondo colpo distruttivo, dopo quello di mezzo secolo fa.
Questa tematica è in cima all’agenda, ma di grande
importanza sono i compiti che spettano a chi vuole combattere il nuovo
antisemitismo, e in particolare all’ebraismo europeo. Avanziamo un appello:
basta con l’overdose di “memoria”; dimagriamo radicalmente la Giornata della
Memoria; nelle scuole si parli dello sterminio degli ebrei durante le ore di
storia e si limitino al massimo gli “eventi” (che qualcuno ha chiamato con
lapsus freudiano “feste della Shoah”). Si moltiplichino piuttosto le iniziative
volte a conoscere la cultura ebraica e a valorizzare tutto ciò che lega
profondamente per il passato e per il futuro il mondo ebraico alla civiltà
europea. Viceversa, non c’è nulla di tanto insopportabile quanto una presenza
che si presenti esclusivamente sotto la veste di vittima il cui ruolo è di
suscitare sensi di colpa anche a chi colpe non ha. Non potrò mai dimenticare un
“evento” della Giornata della Memoria cui partecipai assieme ad alcuni politici
e intellettuali che gareggiarono non per spiegare a duecento adolescenti la
vicenda del razzismo nella sua complessità storica, ma per gridare che l’Italia
è stato un paese di assassini e di cinici, peggiori dei nazisti, e che questo passato
spiega perché l’Italia di oggi sia un paese orrendo. Vedendo i volti turbati
dei ragazzi mi chiesi quanti antisemiti erano stati generati da quei comizi. E
decisi che, quantomeno per il mio modesto ruolo, d’ora in poi avrei combattuto
l’antisemitismo come italiano tra gli italiani, come un italiano ebreo di oggi,
e non come testimone di una colpa. La gravità della situazione non consente di insistere
su questo devastante errore: poniamovi fine una volta per tutte.
(Avvenire 27 aprile 2012)