Ci sentiamo ripetere tutti i giorni che, per superare la crisi e far ripartire il paese, occorre mettere in campo un rinnovato senso di responsabilità e la capacità di fare sacrifici. Del resto, che cosa inspira la riforma delle pensioni, la politica fiscale e la riforma del lavoro se non il principio che occorre lavorare di più a fronte di minori redditi? Si ribadisce che la società – in definitiva, chi lavora sodo con senso di responsabilità – non può più sovvenzionare pensionati cinquantenni ed evasori fiscali. Ma per mettere in campo una simile energia di riscossa non è necessario soltanto che si diffondano atteggiamenti eticamente e socialmente corretti, ma anche una passione per il lavoro, la capacità di applicarvisi sopportando le fatiche che comporta, e le competenze per svolgerlo bene. L’istituzione in cui le società moderne educano cittadini che possiedano questa sintesi di spirito etico e di competenze è l’istruzione pubblica. La scuola non è soltanto il luogo dove si acquisiscono le conoscenze e le capacità adatte a svolgere qualsiasi attività lavorativa, ma anche il luogo in cui si acquisisce l’attitudine a lavorare, che significa anche (o soprattutto) impegno, sforzo, sacrificio. Difatti, non è naturale passare ore in un ufficio, in una fabbrica o in un’aula: è una costrizione che allenarsi allo sforzo e alla concentrazione può, paradossalmente, trasformare in qualcosa di stimolante e persino di piacevole. La scuola ha sempre avuto la funzione di fornire tale allenamento, che è rappresentato non soltanto dalle ore passate con l’insegnante e i compagni di classe, ma dal lavoro a casa, in cui si confronta individualmente, faccia a faccia con sé stessi, con i risultati del lavoro fatto. È qualcosa che non soltanto stimola il senso di responsabilità, e addestra allo sforzo inerente a qualsiasi attività lavorativa; ma è la via maestra per realizzare l’obbiettivo tanto proclamato dai pedagogisti “moderni”: la capacità di “saper fare”, di applicare le nozioni apprese, che non si stimola e non si verifica nelle attività collettive che spesso nascondono le magagne in un calderone indistinto. Di qui il ruolo dei “compiti a casa” di cui tanto si discute in questi giorni.
Tutto è nato da un appello di genitori francesi che si scagliano contro i compiti a casa. L’idea che i “compiti fanno male” è stata ripresa qui da alcune associazioni con svariati argomenti: i ragazzi sono stressati, le famiglie non ce la fanno a reggerne lo stress, i compiti impediscono le attività alternative, tutto deve essere fatto a scuola, e così via. È un atteggiamento da tempo diffuso: la scuola deve risolvere i problemi e non porli, garantire il successo formativo, la serenità dei ragazzi, deve essere un servizio per la famiglia giocoso e di intrattenimento. È una veduta che converge con quella di certa pedagogia secondo cui lo studio va ridotto a un’attività ludica.
Il ministro Profumo si è dichiarato a favore dell’abolizione dei compiti a casa. Ha osservato che una versione di latino può essere copiata da internet e che è meglio far lavorare i ragazzi con strumenti logico-deduttivi. Ma, a parte il fatto, che le versioni dal latino possono essere fatte in classe e quelle dall’italiano a casa, la traduzione mette in opera qualcosa di più della logica deduttiva, che è poca cosa persino in matematica. Il ministro ha incitato la scuola a preparare i ragazzi ai test d’ingresso all’università, come se non sapessimo a quali disastri abbia condotto l’insegnamento in funzione dei test, dove è stato praticato. Ha detto che in classe si apprende solo una parte delle competenze e quindi tutti fuori a seguire progetti organizzati dalla scuola. Infine, ha aggiunto che la scuola deve insegnare ai ragazzi a fare gruppo invece di chiudersi nella loro cameretta.
Certe reazioni hanno forse lasciato credere al ministro che simili propositi siano molto popolari, ma forse egli non sa quanto sconcerto e avvilimento abbiano provocato in tantissime famiglie che si battono quotidianamente – e contro mille ostacoli – per educare i figli al senso di responsabilità (che è anche stimolato dall’obbligo di fare i compiti), alla capacità di applicarsi, a non disperdere i pomeriggi bighellonando nell’ozio, ad allenarsi allo sforzo. È curioso. Quando pensiamo all’allenamento di un atleta troviamo naturale che egli passi ore ed ore a concentrarsi faticosamente sulla tecnica innaturale del salto in alto dorsale; e ammiriamo nel suo sguardo la concentrazione spasmodica su sé stesso (nella propria “cameretta”) quando tenta di superare una prova. Troveremmo ridicoli degli atleti che si addestrino salterellando su un prato, tutti insieme, e senza metodo. E invece per lo studio ormai sembra naturale pensare il contrario. Di certo, il ministro Profumo avrà studiato nella sua cameretta, per dire, l’elettrodinamica, e avrà risolto al chiuso tanti problemi per verificare la sua comprensione e il suo “saper fare” e non può credere che un impegno del genere possa essere sostituito da “progetti” collettivi all’aperto.
Anche un fautore dei “metodi attivi” come Lucio Lombardo Radice metteva in guardia contro l’idea di «una scuola in cui è sempre domenica», ridotta «a escursione, esercitazione, libera ricerca, lettura occasionale» a scapito di «un momento non eliminabile, per un solido sviluppo intellettuale in una direzione quale che sia, per la acquisizione di un permanente patrimonio culturale comunque configurato: lo studio-lavoro, la lettura-riflessione, lo sforzo di comprensione tenace, l’applicazione disciplinata, organica, paziente, la faticosa organizzazione della propria mente e del proprio sapere».
Colpisce anche che, mentre si parla continuamente di autonomia scolastica e di ridare dignità alla funzione docente, si avanzi un dirigismo soffocante che riduce gli insegnanti a burocrati. Non è consono a una visione liberale indicare soltanto gli obbiettivi ineliminabili nell’istruzione e poi lasciare a scuole e docenti piena libertà metodologica? Qualcuno darà più compiti, altri meno o niente: il confronto tra i risultati dirà chi ha operato meglio (non dovrebbe consistere in questo la valutazione?). E invece no. Il ministero sforna a getto continuo metodologie di insegnamento e ora appresta un “modello nazionale” per la certificazione delle competenze con annesse “linee guida” e parla addirittura di una campagna pluriennale di rieducazione autoritaria delle menti dei docenti alla didattica per competenze. Come non bastasse, ora si vuol prescrivere a scuole e insegnanti se e quanti compiti a casa debbano assegnare.
C’è da temere che abbia ragione Piero Ostellino quando dice che in Italia non si riesce altro che a passare da un dirigismo all’altro. Ed è tanto più sconcertante che un governo che tanto chiede agli italiani in termini di responsabilità, di sacrifici, di rigore, di impegno lavorativo, sulla scuola invece proponga il dirigismo del faticare il meno possibile. Si potrebbero citare tanti casi come quello del ragazzo extracomunitario di origine sudamericana che, posto di fronte alla scelta della lingua a scuola, ha detto: «Lo spagnolo no, perché per me sarebbe troppo facile». Siamo ineluttabilmente destinati alla decadenza? Ci ripensi, signor Ministro.
(Il Messaggero, 2 aprile 2012)
Un piccolo commento finale. Constato in tutti i modi che siamo in tanti a pensarla così e ad essere preoccupati per i nostri figli, per il fatto che li ridurranno a dei poveri sbandati, a dei disperati senza arte né parte. Bamboccioni, sfigati, giuggioloni che stanno a casa dei genitori: non sono queste le definizioni propinate dai tecnocrati che poi però propongono di fabbricare bamboccioni e sfigati in serie?
Bisognerebbe che ognuno - e siamo in tanti - con tutti i mezzi a sua disposizione, si faccia sentire con la massima energia e si opponga a questo andazzo sciagurato. Purtroppo non basta un articolo su un giornale.
Un piccolo commento finale. Constato in tutti i modi che siamo in tanti a pensarla così e ad essere preoccupati per i nostri figli, per il fatto che li ridurranno a dei poveri sbandati, a dei disperati senza arte né parte. Bamboccioni, sfigati, giuggioloni che stanno a casa dei genitori: non sono queste le definizioni propinate dai tecnocrati che poi però propongono di fabbricare bamboccioni e sfigati in serie?
Bisognerebbe che ognuno - e siamo in tanti - con tutti i mezzi a sua disposizione, si faccia sentire con la massima energia e si opponga a questo andazzo sciagurato. Purtroppo non basta un articolo su un giornale.
25 commenti:
E' un argomento sul quale, prima di leggere dai giornali o su questo blog, avevo sentito parlare per radio con un'intervista ad Alberto Pellai (lo conosce professore?). Ne venivano fuori due elementi: 1) ci sono certamente insegnanti che eccedono nell'assegnare compiti a casa, e purtroppo non sono pochi; ne ho esperienza diretta con i miei figli a livello di scuola media (decine e decine di espressioni da svolgere per il giorno dopo, tanto per fare un esempio, ma potrei portare esempi in tutte le materie); emblematico è il caso delle scuole a tempo pieno, dove i compiti per casa non dovrebbero esistere o essere comunque ridotti al minimo (fine settimana o vacanze). 2) I genitori che si lamentano dei troppi compiti, in generale, lo fanno perchè tendono a sostituirsi ai figli nel fare i compiti per casa, e quindi si trovano loro stessi ad avere un "carico didattico" eccessivo, vorrebbero essere più liberi. Qui Pellai diceva, e concordo in pieno (anche se confesso di non essere stato sempre coerente come padre): lo studente deve essere autonomo nel fare i compiti, il ruolo del genitore è quello di controllare, eventualmente aiutarlo nel reperire il materiale o chiarire qualche dubbio o fornire qualche spiegazione, dargli il tempo e lo spazio di cui ha bisogno, punto e basta, non mettersi lui (o lei) con il ragazzo a fare quello che il ragazzo dovrebbe fare da solo. Se cominciassimo da lì?
Cordialmente, Lucio Demeio.
Sono del tutto d'accordo e difatti evito di fare i compiti con i figli. Ma forse lei è troppo ottimista nel pensare che il problema sia quello. Ci sono molti genitori che detestano i compiti perché impediscono ai figli di fare attività alternative. Mi sono trovato io a scontrarmi con genitori che intimavano con arroganza inaudita ai professori di farli lavorare poco perché la scuola non deve "mettersi di mezzo" e "la prima cosa a cui tengo è che la bambina faccia danza"... Poi ci sono quelli che s'imbestialiscono se il figlio deve fare compiti nel week-end perché loro vogliono andare fuori e conosco tanti casi di genitori che giustificano i figli per non aver fatto i compiti perché volevano passare il week-end in agriturismo o che so io. Poi il pupo si stanca, gli fanno male gli occhi, deve giocare a calcio prima di tutto, ecc. ecc. ecc. Il prof. Ragazzini del Gruppo di Firenze mi scrive: «L'educazione e l'istruzione esclusivamente "piacevoli" bloccano i bambini e i ragazzi nel mondo dell'onnipotenza infantile, corteggiata irresponsabilmente dalle pedagogie del dialogo e della negoziazione perpetua con i figli e con gli allievi. Ho appena finito di leggere l'ultimo e importante lavoro sui bambini "tiranni", quello del pediatra e psicoanalista francese Aldo Naouri, intitolato Piccoli tiranni (non) crescono».
A me sembra che il problema a scuola è che si voglia fare troppo.
Io insegno in un liceo linguistico dove i ragazzi hanno 37 ore di lezione alla settimana, distribuite tra 12 materie. Sono 12 insegnanti con cui costruire un dialogo, 12 programmi da seguire e capire e fare propri, tutti contemporaneamente, e in ogni materia il ministero raccomanda ci sia un congruo numero di prove di valutazione. Con la riforma due di queste materie saranno in lingua straniera, con due ulteriori docenti/lettori con cui avere a che fare. Poi il ministero raccomanda le varie "educazioni", e poi i corsi di recupero obbligatori, i soggiorni studio, ecc.
I miei alunni non pensano alla scuola se non in termini di un percorso ad ostacoli e contro il tempo. Raramente hanno la possibilità di respirare, di apprendere con calma e con piacere. Aggiungiamo che molti di loro sono pendolari e devono farsi 30-40' minuti di trasporto all'andata e al ritorno. A me pare che stiamo sfiorando il ridicolo. Idem per i libri di testo: strapieni di informazioni, dvd allegati, filmati, testo in inglese. C'è un overflow di informazione e burocrazia e un... underflow di senso e cultura in questa scuola.
La mia ricetta per un liceo è: meno lezione, più studio individuale (in gruppo? si finisce per ridere, scherzare, giocherellare...), poche materie alla volta. Non 37 ore di lezione e 3 di compiti, ma 25 di lezione e 15 di compiti e studio.
Se un ragazzo volesse studiare seriamente dovrebbe potersene stare a casa, in barba alle leggi dell'obbligo scolastico, e pretendere un diritto all' home-schooling.
Completamente d'accordo. Ormai il dirigismo ha ridotto la scuola a un emporio di attività di ogni tipo e alla dispersione totale. E guardi che all'università non è diverso. Con i corsi e corsetti da pochi crediti per gli studenti è una corsa a ostacoli in cui non ci si ferma mai a pensare. Però c'è ancora chi loda l'autore di questi disastri, l'ex-ministro Berlinguer... Mah...
Quando è uscita la notizia dell'iniziativa dei genitori francesi, e degli italiani che si erano messi in coda, ho subito pensato che questa colossale idiozia avrebbe fatto proseliti. Ma, nonostante i molti anni di servizio in cui credevo di aver visto di tutto, confesso che non avrei mai pensato che il primo e più entusiasta dei proseliti divenisse il ministro dell'istruzione; e che addirittura ne sparasse una grossa come quella del copiare le versioni da internet. Il ministro stia tranquillo, che gli studenti lo hanno preceduto di un bel po', e da un pezzo copiano le versioni di latino (e pure quelle di greco, sebbene sia un po' più complicato per via dell'alfabeto, sa...)
scaricandole da internet sul cellulare. La novità riguarda più che altro noi docenti, che apprendiamo con sorpresa che, da oggi in poi, non dovremo più vigilare perché questi comportamenti non vengano messi in atto. E io che avevo fatto comprare perfino un disturbatore di frequenze da posizionare nei bagni per impedire imbrogli alla maturità! Da anni, e vedesse come funzionava! E che, se scoprivo una versione copiata, all'orale facevo un tale pelo e contropelo ai responsabili che la voce del trattamento, sparsasi come un lampo, aveva reso di gran lunga preferibile ai maturandi affrontare il rischio di un'onesta preparazione, sottoposta al giudizio di una valutazione seria e benevola, che le conseguenze della mia ira funesta: talché in pochissimo tempo il problema delle versioni copiate all'esame si era pressoché risolto, da solo. Apprendo invece oggi dal ministro che dovrò incoraggiare il copincolla, legalizzare l'imbroglio, fare in modo che i disonesti che non studiano abbiano voti più alti degli onesti che
affrontano la prova con le loro forze, e quindi commettono qualche errore e rischiano di prender voti più bassi. Apprendo che gli strumenti logico-deduttivi (ma lo sa il rispettabilissimo Ministro di cosa sta parlando?) non hanno
niente a che vedere con la traduzione di un testo dal latino o dal greco: che se è per questo, come giustamente lei osserva, professore, attiva e richiede anche ben altri strumenti. Ma, fuori dal sarcasmo, io credo veramente che se non ci rendiamo conto che il momento dello studio individuale, in cui si rielaborano e si fanno proprie le cose apprese in classe, è un momento essenziale nella formazione culturale di un giovane - e questo fin da bambino, dalle elementari -; se non ci rendiamo conto di questo e riduciamo l'andare a scuola a un piacevole e gratificante luna
park, noi davvero faremo il male dei nostri figli, e tireremo su una generazione di poveri ignoranti, incapaci di affrontare qualsiasi impegno e del tutto inconsapevoli, poi, del perché ogni loro tentativo di fare qualcosa di buono nella vita sia destinato al fallimento. Perché queste persone odiano così tanto i giovani da volerli condannare fin da piccoli ad essere schiavi dell'ignoranza e dell'incapacità indotta da anni e anni di finta formazione? Comunque, per quello che mi riguarda e come molta altra gente che conosco, metterò in atto una silenziosa e inespugnabile disobbedienza civile.
P.S. Com'è che Blogger per farmi postare mi chiede il numero di cellulare, e se no non inoltra il mio commento? O sbaglio? Non è un violazione della privacy?
«Perché queste persone odiano così tanto i giovani da volerli condannare fin da piccoli ad essere schiavi dell'ignoranza e dell'incapacità indotta da anni e anni di finta formazione?»
Me lo sono chiesto spesso, in questi ultimi anni. Io sono uno studente universitario (oltretutto ormai al mio sesto anno) e qualcuno potrebbe sostenere che ben poco mi riguardino le vicende del mondo della scuola, eppure non riesco a non sentirmi coinvolto. E il motivo è semplice: come ha ribadito il prof. Israel, all' università è praticamente la stessa cosa; Se Atene piange, Sparta non ride. All' università i "compiti a casa" non si danno spesso proprio più, non c'è tempo per le esercitazioni a lezione (in tanti corsi si fa solo teoria) e non c' è tempo per un minimo di approfondimento a casa. Nella corsa a ostacoli, dopo ogni ostacolo ce n' è sempre un altro e chi si ferma è perduto. Per tornare alla domanda posta da Pat Z: perché odiano tanto i giovani? Secondo me perché amano molto più i loro convincimenti e le loro idee di quanto non amino i giovani.
Gentile professore,
come insegnante e genitore concordo con lei. Ma il problema è anche che i ragazzi non sanno organizzarsi. Io con i miei studenti e con i miei figli cerco di aiutarli proponendo soprattutto un metodo organizzativo nella gestione delle consegne. Ho infatti notato che molti studenti hanno il panico e non riescono a gestire i compiti. Inoltre molti docenti assegnano i compiti ma poi non li correggono, trasmettendo un messaggio inadeguato.
Il compito a casa ha proprio questa funzione, a mio parere, permette cioè allo studente di revisionare autonomamente la lezione, estrarre le informazioni essenziali, sperimentare il proprio personale metodo di studio e il suo valore nella verifica. Sul metodo di studio poi ci sarebbe da parlare lungamente visto che la maggior parte degli studenti non ne ha uno ma si arrangia disperdendo energie. Forse chi si oppone ai compiti lo fa verso le troppe consegne a casa. In alcuni casi infatti i compiti sono troppi e mal gestiti. Anche su questo i docenti dovrebbero concordare delle strategie sia nei programmi sia nella quantità anche progettando in base alle risorse del gruppo classe.
E' indubbio che gli studenti di oggi non conoscono il sacrificio, lo stare ore sui libri, il risolvere quesiti, fare versioni esercizi.Ma non per questo sono persone più felici. Anzi trovo una notevole depressione di fondo in molti di loro che nasce dalla mancanza di sfida con sè stessi e di progettualità. Chissà se saremo in grado noi insegnanti di inviare questo messaggio: ciò che si è ottenuto con sacrificio vale di più, arricchisce l'autostima e genera profonda soddisfazione, quella soddisfazione che loro erroneamente cercano nel telefonino nuovo.....
Un saluto
Veronica
Le ho già scritto, professore, la profonda delusione causatami da questa uscita del Ministro Profumo. Tanto che, ripensandoci, cerco di darmene una spiegazione. Perché deve esserci una ragione se una persona dotata di una cultura certamente superiore alla media, e che ha raggiunto traguardi di carriera non comuni, possa ritenere inutile, anzi dannoso, il metodo scolastico di assegnare agli studenti dei "compiti a casa". Metodo impiegato da quasi tutti gli insegnanti. Essersi così decisamente dichiarato contro una prassi antica, applicata da educatori famosi, deve avere una causa!
Ma ciò che più interessa conoscere agli "utenti" della scuola sono le motivazioni scientifiche della esternazione del M inistro!
I genitori francesi comunque si riferivano alla scuola Primaria, e molti genitori italiani che condividono come me l’idea di "compiti utili solo se pochi e mirati”, parlano del carico di lavoro a casa di un bambino dai 6 agli 11 anni, quando anche il gioco e il tempo libero sono momenti di apprendimento, di esperienza e creatività (non parlo di tv e videogiochi). Da insegnante e mamma di tre figli condivido il parere di chi parla di organizzazione e progettualità: i bambini devono imparare a risolvere un problema e trarne soddisfazione, se i compiti non ti insegnano questo sono inutili, è meglio imparare a cucinare un uovo strapazzato che fare l’analisi grammaticale di 58 frasi. Se occupano più di 10 ore in settimana e se è indispensabile l’aiuto di un genitore non sono più utili, creano frustrazione, senso di inadeguatezza e la sensazione che il tempo si può usare meglio e con più gioia. Si deve insegnare a superare gli ostacoli con una giusta e sana fatica, ma il peso da sollevare deve essere adeguato alle capacità medie di un bambino, che comunque deve provarci da solo. Un papà che lavora dedica a suo figlio, in maniera esclusiva, una media di 45 minuti al giorno. Trovo abominevole che questo tempo (dopo 8 ore al giorno passate a scuola) sia dedicato ancora a “colorare la scheda fotocopiata” o risolvere il dodicesimo problema (non ne bastavano due fatti bene?). Ho vissuto 5 anni all’estero con i miei figli, e attualmente vivo in UK. I bambini all’estero non sono più ignoranti perchè fanno meno compiti, sono semplicemente più sereni ed educati al raggiungimento di obiettivi attraverso la soluzione di problemi alla loro portata, qui non ho mai visto mio figlio rabbuiarsi sulle pagine di un diario zeppo di consegne prevedendo un week end carico di nervosismo, frustrazione, giri in bici sfumati e genitori con l’orologio alla mano che insistono sullo sbrigarsi a finire i compiti... la scuola Primaria deve insegnare poche cose, e insegnarle BENE, ed assicurarsi che gli alunni li abbiano apprese. Con tante buone intenzioni la scuola italiana non insegna ancora l’autonomia ai bambini, in troppi consigli di classe sento dire”il ragazzo è bravo perchè è seguito a casa...”, ebbene che significa? Che i nostri figli non sono in grado di fare il loro dovere da soli, non sanno organizzarsi, non sono autonomi, non traggono soddisfazione dalla sfida con se stessi, ma hanno bisogno dell’aiutino, del fiato sul collo del genitore se non addirittura del lavorare fianco a fianco con il papà o la mamma perchè “questa cosa non l’ho capita...”. I compiti sono troppi e mal gestiti, e generano bambini infelici, che hanno una visione della scuola “gabbia” dove imparare è una pena. Non credo che il ministro Profumo parli di liceali ai quali sarà concesso d’ora in poi di bighellonare e divertirsi invece di studiare. Qui si parla di efficacia dei compiti a casa assegnati dalla scuola primaria e se c’è tanta differenza tra insegnanti che non danno nessuna consegna e insegnanti che impongono decine di ore di lavoro in più oltre a quelle scolastiche, forse è meglio sollevare il problema anche a livello ministeriale, confrontarsi con i Paesi Europei e lavorare sull’utilità e su una media di tempo-limite che i compiti a casa devono occupare prima di diventare inefficaci, se non addirittura dannosi. Qui non si tratta di crescere bambini senza spina dorsale, ma di lavorare su modelli di apprendimento sani e futuribili, che rendano entusiasmanti le sfide della vita. Un bambino di 8 anni capisce da solo che utilizzare 50 minuti del suo pomeriggio per "colorare i disegni di quattro fotocopie rimanendo nei bordi" è una cosa stupida, inutile e noiosa.
Non so verso quale deriva culturale siamo diretti, verso quale idea di uomo, di società. Se in India o in Cina leggessero queste cose, dopo una grossa risata, potrebbero pensare seriamente a come e quando colonizzarci (e infatti questi giorni qualcuno mi pare sia andato anche a chiederglielo!!!). Del resto il problema investe l’intero mondo occidentale. Tempo fa’ ho letto che una famiglia di nigeriani immigrati in Inghilterra ha scelto di mandare i figli a studiare nel paese d’origine perché ritengono che lì la scuola sia più seria.
Tempo fa partecipai a una riunione ministeriale in cui si discusse per un'ora buona sul modello della valutazione inglese, presente un ispettore che aveva soggiornato per mesi in UK per studiarlo. A un certo punto chiesi timidamente: "Scusate, ma com'è secondo voi la scuola inglese?". Si leva un coro: "Fa schifo! Non imparano niente. I ragazzini si picchiano tra di loro e picchiano gli insegnanti. È la scuola più violenta d'Europa!". E non è certo l'unica testimonianza… Ne trovate anche in questo blog. Serenità… Bah… Quanto alla scuola primaria italiana, vi si fa POCO e MALE. E certo non bisogna venire a parlare a me della faccenda del colorare, una fisima della pedagogia "avanzata" che ho criticato non so quanto. Sarebbero questi i compiti? Suvvia… Queste sono cialtronate, tipiche della scuola-gioco, che appunto diventa tortura e avvilimento. Colorare no, l'apprendimento della grammatica, per favore, sì, visto quel che arriva all'università. Qui non si tratta di torturare nessuno. Non pretendiamo neppure le 5-6 ore di compiti che si fanno in Corea del Sud o a Singapore, ma la mezz'ora o il niente è davvero troppo poco. Poi se vogliamo continuare così, ci si accomodi. Ho citato l'esempio del bambino sudamericano. Potrei citare quello del bambino figlio di un italiano e di una cinese che, dopo aver passato due anni in Cina, tornato in Italia, si lamentava a casa: "Mi annoio. So già tutto quello che fanno qui". Del resto più della metà dei PhD statunitensi sono coreani, cinesi, indiani, ecc. ecc. Andiamo avanti così, ad allevare "bamboccioni" e "sfigati" con il beneplacito del governo dei bocconiani, che poi si lamenta dei bamboccioni e degli sfigati.
Mi permetto di aggiungere due cose, le prime che mi vengono in mente leggendo l'ultimo commento del prof. Israel e quello di Miriam Paternoster. Prima, un'ulteriore nota biografica personale. Nella famiglia di mia moglie, che è bulgara, c'è il cuginetto dei miei figli, di due anni inferiore in età rispetto al mio più grande. Il confronto fra i programmi alle elementari e alle medie tra Bulgaria e Italia è impietoso. Mio figlio studiava nell'anno n del suo curriculum scolastico quello che suo cugino studiava nell'anno n-1 o anche n-2. Seconda osservazione: in Italia si legge poco e la scuola non fa nulla per incentivare la lettura. Non si assegnano libri da leggere, o comunque molto pochi. Ai miei tempi zero assoluto, adesso qualcosina c'è, ma nulla a confronto con il cuginetto bulgaro di cui sopra. Invece, decine e decine di "frasi con il verbo essere", "due pagine di espressioni", "colorare tutte le figure a pag. ...". Pur se in media soddisfatto delle esperienze scolastiche dei miei figli, non posso dire che i loro compiti per casa si discostassero molto da questo schema. Con le dovute eccezioni, si capisce.
Lucio Demeio.
Io insegno in una scuola media in lingua tedesca in Alto Adige. Da almeno un paio di decenni da noi, in base alla Schülerkarta, è vietato dare compiti dal sabato al lunedì e durante ponti e vacanze, vietato interrogare e fare compiti in classe, test o qualunque altro tipo di verifica di lunedì o il primo giorno dopo un ponte o una vacanza. La tendenza ovviamente è al ribasso: anche da chi non ha lezione di sabato per cui i compiti non sarebbero dal sabato al lunedì bensì dal venerdì al lunedì, ci si aspetta che si astenga dall'insano proposito di dare compiti. Recentemente una scolara mi è arrivata con un foglio in cui la mamma aveva scritto che non aveva fatto i compiti "perché non aveva tempo, perché se avesse fatto il compito per italiano avrebbe avuto troppo da fare per la scuola": sic. Non perché ha avuto mal di pancia o perché è andata a trovare la nonna all'ospedale, ma perché se no "avrebbe avuto troppo da fare" (naturalmente le ho fatto vedere i sorci verdi; poi ho saputo che aveva tentato il giochino anche con la collega di lettere, e anche lei le ha fatto vedere i sorci verdi. Non ci ha provato più). E in media i nostri scolari per tutte le materie, compiti scritti e studio, lavorano non più di un'ora al giorno.
Non hanno un metodo, ha scritto qualche commentatore che mi ha preceduto. Vero. E il disastro è cominciato con la moltiplicazione dei maestri alle elementari: prima c'era UNA persona, a volte brava a volte magari no, ma che aveva comunque la responsabilità della classe, che organizzava un programma, che impostava un metodo. Oggi ognuno dei tre insegnanti fa le sue materie e punto. Tranne i casi in cui sono i genitori a prendere in mano la situazione - non di rado scoraggiati dagli insegnanti stessi - ci arrivano alle medie incapaci di gestire un quaderno, incapaci di organizzare autonomamente dieci minuti di lavoro, capaci quasi solo di colorare.
Ci sono genitori e genitori.
Mi capitò, anni fa, che una mamma venne a lamentarsi perché assegnavo troppi compiti a casa; nello stesso anno scolastico, un'altra venne a lamentarsi perché ne assegnavo pochi!
I decreti delegati hanno fatto pensare a molti genitori di potere gestire anche l'insegnamento.
I compiti sono relativi alla disciplina, alle difficoltà o meno degli alunni, all’obiettivo che ci si propone di conseguire. Gli insegnanti recuperino la loro piena funzione e la loro dignità e si comportino in merito.
Anche il Ministro lasci lavorare in serenità i docenti e non interferisca sul metodo, che fa parte esclusivamente della loro professionalità.
Ho sentito tante volte ex-alunni affermare che l’insegnante che impegnava molto i ragazzi, anche se non emergeva al momento, nel tempo rimase quello più apprezzato e quello che ricordavano con maggiore stima: avevano capito che, se avevano realizzato qualcosa nella vita, lo dovevano proprio alla pratica dell’impegno e della laboriosità.
Con il post di Coccinella è stato già detto più o meno tutto ciò che anch'io avrei voluto dire. Aggiungerei un'altra tessera al mosaico dicendo che talvolta i compiti non sono troppi, ma il loro carico è mal distribuito nella settimana. Infatti, per tanti motivi (fra i quali la presenza in tutte le scuole delle cosidette cattedre orarie e, onestamente, anche la comodità di noi insegnanti) l'orario settimanale non è funzionale alla didattica. Ci sono giorni zeppi di materie "pesanti" (anche per gli zaini) e giorni didatticamente molto più leggeri. Ma gli alunni non sono in genere così saggi da distribuire i compiti in modo equilibrato. E in fondo perché dovrebbero esserne capaci? Anch'io, lo confesso, mi trovo ancora oggi a dover fare delle corse pazze per recuperare arretrati vari.
Quanto all'"orario interno", poiché insegno Lettere, memore delle mie esperienze di alunna, cerco sempre di non mettere Storia e Geografia il lunedì e di non fissare verifiche il primo giorno dopo un ponte. A costo di andare un po' più adagio, correggo tutto ciò che dò da fare e per le vacanze non assegno molto più che da un giorno per l'altro, se non qualche lettura, perché la pretesa che i ragazzi lavorino in vacanza più del solito mi sembra ingiusta e controproducente.
Mi sembrano misure accettabili ed efficaci, ma per qualcuno sarà ancora troppo e per altri troppo poco.
Bisogna dire che oggi, nelle scuole elementari e medie, assegnano compiti a casa anche i docenti delle discipline tecnico-pratiche (arte, musica, tecnologia, talvolta perfino scienze motorie) e di religione.
In definitiva come sempre basterebbe il buon senso, che però a volte difetta agli insegnanti, a volte ai genitori, a volte (ahimè) ai ministri.
Lavoro nella scuola primaria, è un osservatorio privilegiato rispetto a molti post precedenti. Un punto che mi preme mettere in evidenza riguarda la formazione iniziale degli insegnanti: negli ultimi dieci anni la qualità media degli assunti in ruolo si è rivelata nel complesso modesta, nonostante la preparazione universitaria richiesta. Ho già avuto modo di argomentare sui motivi e non vi ritornerò per non tediarvi.
Intendo mettere in luce però non tanto questo quanto il fatto che in molte università le linee pedagogiche impartite ai futuri insegnanti poggiano sui due pilastri di cui si parla: pedagogia del gioco e della creatività e didattica delle competenze. Il risultato è che insegnanti non adeguatamente preparati stanno entusiasticamente lavorando su due linee operative che hanno poca consistenza, per essere generosi; se a questi colleghi e colleghe aggiungete i tanti che hanno scelto la "linea di minore resistenza" nei confronti delle famiglie e del contesto professionale (collegio docenti, piano educativo della scuola, curricolo verticale 3-14 anni) e si adattano al momento senza resistervi, potete capire cosa accade in classe; e che il problema non è quello dei tre o più insegnanti in classe ma quello di mettercene qualcuno veramente capace. Non a caso stanno aumentando le "certificazioni" per il sostegno (ormai un settimo dei docenti italiani è di sostegno) e le segnalazioni di DSA: quando i titolari delle discipline si trovano di fronte a difficoltà di apprendimento su cui non sono in grado di intervenire, "il caso" si certifica e ci pensa qualcun altro. Lavoro in un istituto comprensivo (altra scelta ministeriale che in molti casi ha creato confusione nelle scuole) ma non mi pare che i docenti della scuola media cantino fuori dal coro: è vero che ricevono alunni in troppi casi impreparati, è altrettanto vero che le scelte metodologiche e didattiche non sono dissimili dalle precedenti e rese più complesse dalla diificoltà di gestire le classi sotto il profilo comportamentale; la "linea di minore resistenza" fa proseliti anche in questo settore formativo. Lo dico senza intenzioni offensive, come constatazione generale e consapevole che in molti tentano di opporsi, di proporre altro, di incidere almeno sulla didattica di cui si è responsabili; ma occorre un'autorevolezza che si conquista sul campo in anni di feroce applicazione professionale e discussioni con colleghi, dirigenti, famiglie, che molti colleghi più giovani non si possono permettere, anche perché spesso si tratta di docenti precari con scarso peso contrattuale nei confronti del contesto.
In tutto questo, i compiti a casa e le dichiarazioni del Ministro non sono che l'ultimo dei problemi ma piuttosto la spia che il modello di scuola delle competenze e del parco-giochi continuo ormai è diffuso a tutti i livelli e l'idea della rieducazione (!, retaggio della rivoluzione culturale?) dei docenti non sarà neppure necessaria perché stiamo provvedendo in proprio ad accettare qualunque idea senza farci troppo caso.
Purtroppo siamo arrivati ad un punto di rassegnazione che gli insegnanti accettano "qualunque idea senza farci troppo caso".
Se si ha una propria idea, della quale siamo convinti e che vorremmo attuarla con gli alunni, bisogna impegnarsi a portarla avanti, a discuterne con gli altri, a illustrarne i valori. Chiedo ai giovani insegnanti di andare sempre alla ricerca del metodo migliore per insegnare, di partecipare agli alunni quei valori che li faranno crescere e che li salveranno dalla e nella sconfitta. I docenti non restino passivi e riacquistino quella dignità che tanti interventi, calati senza il loro apporto, hanno sommerso. L'insegnamento è una vocazione e la propria vocazione si deve difendere.
E che dobbiamo dire allora della proposta del preside del liceo Berchet di Milano di abolire i voti inferiori al 4 perché umilianti per gli studenti? Perché allora non abolire anche i voti superiori al 7, non sia mai che qualcuno si monti indebitamente la testa pensando di valere più degli altri? A parte il fatto che non è molto frequente che un professore metta voti inferiori al 4 (io stessa lo faccio abbastanza di rado), ci sono casi in cui una grave insufficienza - magari dovuta alla mancanza assoluta di studio - va segnalata in modo molto chiaro, e allora il 3 o anche il 2 sono necessari. Ma soprattutto, vogliamo riconoscere ai docenti il diritto di fare il loro mestiere? Se dobbiamo anche toglier loro la facoltà di valutare e imponiamo dall'alto il voto che devono dare, perché avere ancora dei docenti, allora? Tanto vale far valutare i compiti dagli impiegati delle poste, o farli interrogare, che so, negli uffici della motorizzazione insieme con l'esame della patente...
Nell’apprendere la notizia alla radio, ho pensato che si trattava della solita notizia stupida, che avrebbe suscitato sulla stampa il solito stupido dibattito, da trasferire nelle trasmissioni televisive con l’inevitabile presenza in studio degli “esperti”, di cui uno noto psicologo. Avevo quindi deciso di non curarmi della impegnativa querelle – compiti sì, compiti no -, ma poi è accaduto il fatto: il ministro Profumo si è sentito in dovere intervenire. Da un po’ di tempo avverto una spiacevole sensazione, che i ministri del mio ministero ne sappiano meno di noi - semplici insegnanti - e che, pur sapendone meno, non si limitino ad ascoltare, valutare le questioni relative alla struttura e all’organizzazione della scuola italiana per trovare soluzioni in termini legislativi, ma si sentano in dovere di dare consigli su come si insegna. Ha quindi fatto molto bene, Professore, a rispondere sulla prima pagina del Messaggero, sebbene sia imbarazzante dover condividere cose così ovvie: il percorso formativo ha bisogno di momenti di studio solitario, di impegno ulteriore, di tempo sui libri, o quaderni o tastiere che siano. La società tutta ha altresì bisogno di giovani a cui qualcuno abbia insegnato il gusto per “il lavoro ben fatto”, quello che ha bisogno di cura, pazienza e impegno. Chi dice il contrario, chi nega la validità dei compiti a casa, secondo me parte da principi molto teorici, e non ha visto. Non ha visto diciottenni fragili, che cedono subito alle frustrazioni di un fallimento, che non reggono a spiegazioni più lunghe di 10 minuti, che fraintendono o non capiscono testi di media difficoltà, che scrivono in modo scorretto e parlano con grande approssimazione. Ma chi sono questi diciottenni che si apprestano ad affrontare la vita adulta con gambe così fragili? In gran parte proprio quelli che, nella loro carriera scolastica, hanno precorso la polemica sui compiti: semplicemente non li facevano. Bisognerebbe chiedersi il perché, per poi interrogarsi sul come; su come motivare gli alunni, su come selezionare i contenuti esplicitando un “senso” che sia condiviso; su come individuare metodi adeguati; su come impostare relazioni umane significative e belle, perché così si impara meglio. Sono problemi enormi, che vengono purtroppo poco affrontati, mentre si “perde tempo”, in altre questioni. Vedi la “didattica per competenze” . C’è in atto uno sforzo da parte dei vertici delle istituzioni scolastiche, di studiosi, di presidi e di qualche insegnante (nell’ordine) per convincere tutti che il male della scuola sta nel fatto che “trasmette conoscenze e non forma competenze”. Al contrario bisognerebbe “insegnare a pensare” (su quali pensieri, non si sa) e impegnare gli alunni “nell’acquisizione di competenze su contesti reali”. Tipo? “Cosa faresti tu al posto di Cesare se dovessi conquistare Alesia”. Il corpaccione della scuola forse resisterà anche stavolta, ma lo farà in modo passivo e invece non dovrebbe.
La giornalista di Sky TG 24 Paola Saluzzi ha intervistato il ministro di viale Trastevere. L' ultima domanda, a sorpresa:Lei ministro ha dichiarato di non essere favorevole ai compiti a casa, questa è una notizia! Il ministro,un po' sconcertato, risponde che essendo cambiati i "contorni" è bene cambiare anche gli "stimoli". Si presume che i contorni siano le tecnologie digitali su cui si era dilungato nel corso dell'intervista. Mentre gli "stimoli" non si è capito cosa dovrebbero essere. Ludici? Digitali? Di gruppo?
La delusione cresce.
A conforto delle argomentazioni di Israel ho scritto questo articolo: http://www.gildaprofessionedocente.it/public/news/documenti/128_XwqyN.pdf
Non vorrei sembrare prevenuto, ma spinto proprio dalla necessità di mettermi in discussione ho acquistato il seguente volume, dal titolo quantomai icastico: "Basta Compiti! Non è così che si impara.", Maurizio Parodi, Sonda edizioni 2012.
Sono per ora inorridito alla lettura e sono appena a pagina 21. Sospendo il giudizio fino all'ultimo punto fermo. Ma... ma... ho brutti presentimenti: l'ennesimo testo pieno di fesserie sessantottine spacciate per rivelazioni? Ho troppa paura di si.
Gentile Israel, lei ha per caso letto il volume? Grazie.
No, non l'ho letto e sinceramente penso che occorra usare bene il poco tempo che ci offre la vita. La valanga di idiozie "didattiche" che travolge la scuola merita solo di essere spazzata via.
Io non so come sia la situazione compiti attuale in Italia, ma conosco sia quella della Francia che quella dei Paesi Bassi e di quello che so della Francia ci credo benissimo che il carico, parlando in generale, sia eccessivo. anche perché la giornata scolastica standard in entrambi i paesi che conosco supera quella italiana di un paio d' ore.
Se il punto fosse l' allenamento al sacrificio direi che qualsiasi bambino appassionato di un' attività che richiede allenamenti, ore e ore noiose a fare le scale, i pliè e i saltelli per il risultato finale di un pezzo eseguito perfettamente o una partita giocata bene, dia molto piu` della scuola in quanto c' è l' ulteriore motivazione che si tratta di un' attività scelta dal bambino, si spera, e a cui piaccia.
Ci sono dei tipi di formazione che per me sono essenziali e che la scuola non prevede. Io trovo per esempio mio dovere di genitore che i miei figli arrivino a 10 anni in grado di leggere la musica e possibilmente, anche di scriverla, ma forse chiedo troppo. Fa parte a mio avviso del corredo minimo, come leggere e scrivere, necessario.
Per il resto mi rendo conto da dove vengano le sue convinzioni, ci sono stata cresciuta anch' io, ma con una laurea di magistero ed esperienze professionali in (e contatto con i sistemi scolastici di) Polonia, Canada, Francia e Paesi Bassi, in cui un ' approccio diverso dal nostro viene applicato da anni, ritengo di avere abbastanza materiale per dissentire su alcuni degli elementi da lei segnalati, poi il bello è che ognuno si tiene le convinzioni che la vita, il carattere e l' esperienza gli hanno fornito.
@mammansterdam
guardi se fosse per lei, se tutti i genitori fossero come lei, non mi preoccuperei granche dei compiti, anzi. pienamente d'accordo se partiamo dal beneficio del dubbio: penso anche io che a scuola si dovrebbe insegnare anche altro e abbbndantemente: danza, musica (ma seriamente), teatro, arti performative. il dramma mi creda è che più che altro assistiamo a una bulimia da impegno del tutto immotivata da parte di genitori che appioppano il figlio a varie attività compulsive pur di non doverselo sorbire, detta papale papale o per assecondare vogliette di grandezza (si veda alla voce calcio: basta recarsi a una qualunque partita di pulcini o giovanissimi per assistere a un odio da curva che fa sembrare le curve ultras un esempio di equilibrio gandhiano). fossero tutti come lei ci sarebbe più di un termine per ridiscutere e rinegoziare il senso del "fare i compiti".
Posta un commento