Da
un lato un boom di iscritti ai test d’ingresso al Politecnico di Milano e una
propensione per le lauree di ingegneria o direttamente correlate a una
professione definita; dall’altro, un declino delle iscrizioni ai licei, in
particolar modo al liceo classico. Alcuni commenti salutano questi dati come
espressione di una tendenza positiva verso la “laurea utile”, verso l’abbandono
delle propensioni “generaliste”, verso una preparazione corrispondente alle
figure richieste dalle aziende. A noi sembra invece che la valutazione vada
divisa: ottima è la prima tendenza, perché la rivalutazione delle professioni
ingegneristiche e tecnologiche anche a livello della formazione professionale,
è essenziale per un paese in via di declino industriale; pessima è la seconda
tendenza per motivi che dovrebbe essere superfluo dire. Come può un paese che
possiede più della metà dei beni culturali, artistici, architettonici del mondo
non preoccuparsi di coltivare un ceto di persone di altissima competenza capace
di valorizzare quel patrimonio che, se non altro, ha un enorme potenziale
economico? Si badi bene: non si tratta solo della necessità di formare un
esercito di archeologi, di restauratori, di persone all’altezza di gestire
musei e l’immenso, quando degradato e depredato, patrimonio librario del paese.
Si tratta di non disperdere la memoria dell’identità storico-culturale italiana.
Come è possibile pensare che il patrimonio culturale del paese possa essere
preservato se quasi nessuno conosce più neanche i nomi degli architetti, dei
pittori, dei letterati, degli scienziati che l’hanno costruito e finisce col
considerarlo un irriconoscibile ciarpame? Il disprezzo dell’umanesimo (anche
sul fronte della cultura scientifica!) è la via per il sicuro declino.
Ci
potremmo fermare qui, ma c’è di peggio. A chi ha sempre difeso le assurde
accuse di stampo idealistico alle scienze esatte non può piacere il disprezzo
simmetrico per l’“altra cultura” tacciata di non fornire né conoscenze né
saperi pratici, insomma di essere un cumulo di prodotti inutili e di
chiacchiere di dubbio valore. La sciagurata diatriba tra le due culture
danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate
dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che
ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della
parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”.
Invece,
lo straordinario successo della scienza occidentale è stato fondare la tecnica
sulla scienza, creando la “tecnologia”. Tutte le grandi scoperte scientifiche
che hanno cambiato il volto del mondo – a partire dal computer digitale – sono
frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di base”. Un grande ingegnere
come Leonardo da Vinci ammoniva: «Studia prima la scienza, e poi seguita la
pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza
son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha
certezza dove si vada». Oggi questo è più vero di ieri. Giorni fa un illustre
ingegnere osservava che nel contesto odierno, sempre più complesso e ricco di
interrelazioni, servono persone di formazione vasta e aperta, in breve di
formazione umanistica, che spesso solo il liceo classico può dare.
L’innovazione tecnologica richiede una cultura vasta capace di attingere ai
campi più disparati, altro che specializzazione. Mi ha profondamente colpito
l’osservazione che ho sentito da diversi ingegneri che le automobili di oggi
sono, in fondo, ancora “bricolage” del modello originario, mentre occorrerebbe
ripensarne uno nuovo non soltanto in termini tecnici stretti, ma tenendo conto del
senso del “trasporto” nella realtà economico-sociale di oggi. Come può farlo questo
chi non sappia di economia, di sociologia, di storia? In un’università
tecnologica francese mi raccontarono: «Un’importante ditta automobilistica ci
chiede come migliorare una difficoltà di carburazione. Un ricercatore elabora
un modello e conclude che occorre aumentare di tot millimetri il diametro di un
tubo. Cosa di veramente nuovo può venire da questo?».
È
comprensibile che le imprese abbiano fretta e desiderino un sistema
dell’istruzione funzionale alle formazione di addetti. Ma ciò può portare solo al
disastro. Nè vale produrre l’esempio di paesi che imboccano questa via: qui il
mal comune non è mezzo gaudio. Tanto meno può esserlo in un paese che non solo
possiede gran parte del patrimonio culturale e artistico mondiale, ma ha una
grande tradizione: aver saputo sintetizzare con successo, dal periodo postunitario,
visione umanistica, scientifica e tecnologica. Di tale sintesi è stata
espressione l’ingegneria italiana, costellata di grandi personalità che non
erano solo “pratici” di prim’ordine, ma scienziati e umanisti. Tale fu Luigi
Cremona, matematico puro, fondatore della Scuola di Ingegneria e ministro
dell’istruzione. Tale fu Francesco Brioschi. Tale fu Vilfredo Pareto ingegnere
ferroviario, imprenditore, e grande teorico dell’economia e della sociologia.
Scienziato umanista fu il creatore della plastica Giulio Natta (diplomato in un
liceo classico). Questa è la tradizione cui riallacciarsi, invece di credere
che sia un progresso distruggere la formazione umanistica classica, proprio
mentre viene riscoperta in paesi privi delle nostre tradizioni.
Abbiamo
bisogno di persone di ampia formazione e capaci di scelte autonome, e non di
polli di batteria formati per una sola funzione che, col procedere tumultuoso
della tecnologia, potrebbe diventare obsoleta nel giro di poco tempo. Per
formare persone del genere serve anche il liceo classico. Chi gioisce per il suo
declino ride mentre è segato il ramo su cui sta seduto.
(Il Mattino e Il Messaggero, 25 agosto 2013)
33 commenti:
Egr. prof. Israel,
è davvero piacevole tornare a leggere i suoi articoli dopo questa pausa estiva (che spero sia stata riposante). Quest' ultimo, in particolare, mi ha fatto tornare in mente il seguente aneddoto, che mi è sempre rimasto impresso, a proposito dell' adolescenza di Cauchy (tratto dal libro di E.T.Bell):
"un giorno, in presenza di Laplace e di parecchie altre persone, Lagrange, indicando il piccolo studioso che lavorava nel suo angolo, dichiarò: «lo vedete? Ebbene, vi dico che come matematico ci soppianterà tutti». Lagrange dette qualche buon consiglio al padre di Cauchy, temendo che il ragazzo, di salute delicatissima, si affaticasse troppo. «Non gli fate toccare un libro di matematica (voleva dire di matematica superiore) prima dei diciassette anni». E un' altra volta: «se non vi affrettate a dare ad Agostino una solida educazione letteraria, le sue inclinazioni lo allontaneranno in seguito, e per sempre, dagli studi letterari, ed egli sarà un grande matematico, ma non saprà scrivere correttamente la propria lingua». Il padre seguì il consiglio del più grande matematico dell' epoca e fece dare al figlio una seria educazione letteraria prima di lasciargli le briglie sul collo nei riguardi della matematica."
Buonasera. Intanto mi complimento per la cura nella scrittura di questo articolo, che affronta un problema complesso e che mi tocca da vicino. Solo ieri mi sono sentita dire che le discipline in cui mi sono laureata e che vorrei insegnare, le Lettere Classiche, sono inutili e inutile è ostinarsi a studiarle, e di nuovo mi sono scontrata con l'ottusità di chi crede che il greco e il latino si studino per essere in grado di parlare due lingue morte. Non è compresa la funzione logica di queste discipline, così come non è compreso il valore delle materie non numeriche, il metodo che ad esse si connette, la duttilità mentale che richiedono. Sembra, inoltre, che sia ritenuto dannoso avere una cultura letteraria, artistica e filosofica, come se queste conoscenze ne precludessero altre. Probabilmente è inutile continuare a sostenere questi argomenti con chi non vuole starli ad ascoltare, ma è importante per coloro che ne riconoscono l'importanza sapere sempre che c'è chi li porta avanti con convinzione ed eleganza. Grazie. Cristina
A dire il vero, il calo di iscrizioni riguarda solo il liceo classico, non tutti i licei, che anzi, vengono scelti da 1 studente su 2, ormai.
Che il liceo classico sia destinato a essere una scuola scelta da pochi è nella sua stessa natura, molto sbilanciata verso le lingue morte e le materie non scientifiche.
Pareto come sociologo non mi è mai piaciuto, di una sicumera insopportabile che credeva di avere sempre la verità in tasca. Applicava agli umani i parametri della tecnica. Vero è che formulò delle tesi originali, però...
No, caro Prof, Giorgio, il Mondo Classico vive in coloro che amano il Vero, il Bello e il Buono! Vive in coloro che, avendolo nella propria anima, lo donano agli altri, aliievi o meno, con l'insegnamento, con la pratica di un'etica luminosa, con l'esempio. Vive in coloro che amano la Sapienza Eterna ed hanno in sé l'angelica intelligenza del cuore, in coloro che hanno Intelletto d'Amore, e come l'Ulisse dantesco seguono "virtute e canoscenza"!
Franco De Pascale
Non sono "del mestiere" vogliate scusare la mia ingerenza. Il termine lingue morte che si affibbia al greco antico e al latino mi sembra ingiusto, ritengo siano strumenti per comprendere più a fondo la nostra realtà. Ritengo anche che lo studio di queste lingue sia un formidabile "palestra" per il cervello. In una inchiesta fatta qualche anno fa presso delle facoltà di ingenieria, ai professori era stato chiesto quale fosse la differenza tra studenti diplomati al liceo scientifico e tra quelli del liceo classico, la risposta è stata che il primo anno quelli del liceo classico facevano più fatica e pareggiavano nel secondo anno, nei successivi andavano in molti casi oltre quelli del liceo scientifico.
Alessandro Vergine
Da diplomato al liceo classico e laureato in fisica, non posso che confermare la assoluta necessità di una scuola come il liceo classico. Le discipline scientifiche richiedono, come fondamento, lo spirito critico e la capacità di ragionare che solo discipline umanistiche possono fornire, almeno in una fase formativa come quella della adolescenza.
Il latino non ´una lingua morta, essendo la lingua ufficiale dello Stato del Vaticano. E chi vive a Roma sa quanto il Vaticano conti.
Io non credo che se uno faccia il classico sia formato meglio degli altri. Ritengo però che la cultura umanistica abbia un valore in sé, e debba essere studiata indipendentemente dalla utilità diretta o indiretta che essa comporti. Sarebbe come dire che se tutti i turisti che vengono a Roma smettessero di visitare il Colosseo, questa sarebbe una ragione più che sufficiente per abbatterlo e sostituirlo con un centro commerciale.
Ancor meno accetto che ancora oggi si dica che il Classico sia l'indirizzo migliore perché prepara a fare i dirigenti (alcuni presidi ancora oggi lo affermano pubblicamente),
Però, professore, al di là dei grandi scienziati che hanno avuto una formazione classica, io credo che in termini di "persone comuni" una formazione tecnica permette certamente un inserimento più rapido e proficuo al mondo del lavoro.
Gli ITIS, soprattutto dopo le utlime riforme, rappresentano il modo migliore per inserirsi nel mondo del lavoro prima del compimento dei 20 anni, mentre scelte alternative richiedono più tempo.
Un rientro alla grande con un bellissimo articolo. Un ringraziamento "interessato" (scherzo) da chi, come me, insegna greco e latino al liceo classico da anni, e ha sempre sostenuto e difeso il valore della trasmissione disinteressata del sapere, che è ciò che fornisce una vera e feconda cultura in ogni settore. Però vorrei chiederle, professore, se non le sembra che il liceo classico sia stato penalizzato di fatto anche dalla riforma Gelmini: la quale, sì, lo ha toccato meno di altre scuole, ma in effetti lo ha confinato un po' al ruolo di riserva indiana per topi di biblioteca e aspiranti filologi, quando invece la completezza della formazione classica è utilissima (per usare un termine di moda) anche a chi poi segue studi d'altro tipo. Per esempio, la giusta esigenza di eliminare le sperimentazioni selvagge ha spesso eliminato, con la riforma, anche delle sperimentazioni importanti (anche quella della mia scuola, ad esempio, che aveva aumentato di alcune ore la matematica e la fisica) rendendo per ciò stesso meno "appetibile" un'iscrizione al classico per chi pensi a una carriera che richieda conoscenze un po' più approfondite nelle due materie. Noi stiamo cercando di correre ai ripari, però le sottopongo il problema come mamma, e non come docente, perché il mio mi sembra un caso significativo: ho un figlio che quest'anno andrà in terza media e va dicendo di voler fare l'ingegnere nella vita. Io, dati i tempi, ringrazio tutti gli dei dell'Olimpo, perché forse come ingegnere un lavoro lo troverà. Ma ora che lo devo iscrivere alle superiori, cosa faccio? Se mi avesse detto che voleva fare il medico non avrei dubbi, ma così? Se uno ti dice che vuol fare l'informatico o il matematico? Lo mando al classico, come vorrei tanto, ma con la consapevolezza che di fatto lo costringerò a penare parecchio, almeno all'inizio, quando sarà all'università? Di fatto i nostri programmi di matematica e fisica non sono come quelli dello scientifico, e non è detto che ce la faccia, se poi mi va in qualche politecnico. Sì, quelli molto bravi ce la fanno, ma... Oppure lo iscrivo allo scientifico e lo privo per sempre della conoscenza e del piacere di una cultura umanistica a tutto tondo, che gli fornirebbe stimoli grandissimi anche nel settore scientifico (tra l'altro lo scientifico ha ridotto molto materie come il latino, che già era fatto a livelli molto inferiori ai nostri)? Lo mando al classico e spendo migliaia di euro in lezioni di rinforzo in matematica? Insomma, il dubbio mi attanaglia. Ovviamente penso che bisognerà sentire l'opinione del pargolo, ma devo dire onestamente che, nonostante sia parte in causa, ho un po' di incertezze sul da farsi.
Grazie!
Caro prof. Israel, io ho studiato al liceo scientifico e poi mi sono laureato in Fisica: sono felicissimo di conoscere il latino e di aver avuto, a scuola, un'ottima formazione umanistica. Tuttavia, vorrei porle le seguenti domande:
- perche', quando si parla di formazione o cultura umanistica, si parla sempre e solo del liceo classico, cioe' del latino e del greco, e mai, per esempio, delle letterature straniere, delle arti figurative, del teatro o della musica?
- perche' si parla sempre dell'importanza della formazione umanistica per gli scienziati o i tecnici, e mai dell'importanza della formazione scientifica per i letterati o gli artisti?
- perche' si parla sempre di geniali scienziati con formazione classica, e mai di bravi scrittori o artisti che in passato erano scienziati, o magari svolgevano lavori manuali?
Sarò ottimista, ma penso che latino e greco non morranno mai, non fosse altro che per il fatto che rappresentano e contengono i caratteri della cultura occidentale. L'Italia, poi, come sfrutterebbe il suo patrimonio culturale senza esperti che abbiano conoscenza di queste lingue? Bisogna, però, operare nelle scuole scelte realistiche e lungimiranti sui programmi e, soprattutto, sulla loro articolazione, adeguando la didattica alle esigenze dei ragazzi della generazione digitale. Sarebbe il caso di entrare in contatto con qualche associazione di docenti di Classics. Soprattutto quel che manca in Italia è un organo di discussione e di coordinamento di tutti gli insegnanti di latino e greco che promuova una reale crescita dell'offerta formativa.
Buongiorno,
Condivido appieno le preoccupazioni che esprime. Vorrei rivolgermi a chi descrive il liceo classico come una scuola "sbilanciata" sulle lingue morte e le materie non scientifiche dicendo che se è questo che ha compreso del senso della scuola allora ha compreso ben poco.
Personalmente ringrazio i miei genitori per avermela quasi "imposta", dal momento che mi ha donato una grande flessibilità e una inusuale capacità di adattamento ai contesti e alle svariate discipline che ho affrontato nel mio percorso di vita.
Gentile Marco, chi parla "sempre" in quei modi sbaglia. Io sono un matematico di formazione, come potrei svalutare la cultura scientifica? Ma troppi dei nostri colleghi "scienziati" svalutano sic et simpliciter la cultura. Ho scritto un libro "Pensare in matematica" che finisce col motto "restituire la matematica alla cultura". Vorrei che vi fosse rispetto per la cultura da entrambi i lati: questo è umanesimo. Quanto al terzo punto, dirò soltanto che ho un figlio che ha fatto il liceo scientifico (non da me ostacolato) e che oggi è un antropologo di successo. Quindi...
Mi segnalano questo commento fuorviante: http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=16541
Ecco la mia risposta:
Gentile professore, ho l'abitudine di leggere i commenti ai miei articoli che mi vengono segnalati, non soltanto per un generico doveroso rispetto delle opinioni altrui, ma perché sono interessato soprattutto agli argomenti critici. La ringrazio quindi degli apprezzamenti, persino eccessivi. E di certo ogni tanto anch'io scrivo sciocchezze. Ma forse bisognerebbe pensarci prima di appioppare un'etichetta così pesante, perché altrimenti si rischia di incorrere non dico nella stessa accusa (me ne guardo) ma nelfare la figura di chi legge male (non mi sognerei di dire, travisa). Difatti, se avessi veramente detto "solo il liceo" avrei detto una sciocchezza. Ma non l'ho detto. Me l'ha appioppato lei, e addirittura l'ha virgolettato. Né ho detto mai e poi mai che che bisogna conservare il liceo classico mandando in malora ogni altro indirizzo: vera sciocchezza questa. Vuole una controprova? Sono pronto a scrivere un articolo intitolato "Perché se muore l'istruzione tecnico-professionale, muore il paese”. L'una e l'altro, sono indispensabili, lo dico con chiarezza e fermezza, e Gentile non c'entra proprio niente. Il piccolo dettaglio è che è il secondo sotto attacco, non la prima: in questo momento vi sono forze influenti (sostenute dalla Confindustria) che dicono che l'unica via è puntare tutto sull'istruzione tecnico-professionale a scapito dei licei e della formazione generalista e che, come primo passo, bisogna far fuori il liceo classico. Se non l'ha notato legga i giornali, per esempio l'articolo compiaciuto comparso sul Corriere il giorno prima del mio, e tanti tanti altri che manifestano un'aspra insofferenza per tutto ciò che non serve direttamente alle figure aziendali. Perciò è a questi che dicono "solo la formazione tecnica e professionale" – lei deve rivolgere la sua accusa. Non a me che non pretendo affatto di assegnare al classico il compito di salvare il paese: dico che se si cancella il classico crolla il paese, che è cosa ben diversa (proporrei l'analisi della differenza logica di questi due asserti come esercizio in classe). Per il resto, lo so benissimo che la scuola italiana è morente, e penso che oltretutto questa compagnia di giro che si aggira su di essa ne ha fatto davvero una scuola di classe. Ma non pensa che bisogna fare qualcosa, anche se la situazione è disperata?Diceva un certo Tale: "pessimismo della ragione, ottimismo della volontà". Oggi sono i licei sotto attacco e questi vanno difesi contro chi crede che l'intera istruzione italiana debba diventare un sistema di formazione di addetti per le PMI e non capisce che anche la Corea poggia sulla Samsung e non sulle imprese di sedie e piastrelle (con tutto il rispetto di chi non si sogna neanche alla lontana di combatterne la funzione egregia). Potevamo essere un paese leader nell'informatica, nella chimica e nella siderurgia. Abbiamo distrutto tutto. Ci salveremo trasformandolo in un paese di idraulici (con tutto il rispetto, visto che trovarne uno è un'impresa)?...
A Michele Brami:
lo "sbilanciamento" è nei numeri del quadro orario dei nuovi licei (ed era ancora maggiore nei vecchi) e non l'ho usato in senso negativo. Nel liceo scientifico il rapporto scienza/lettere (generalizzo, usare umanesimo per le materie non scientifiche non mi piace, anche la scienza è umanesimo) è più equilibrato che al liceo classico. Il che non toglie che sia legittimo che chi ha interesse per il latino e greco sia entusiasta di questo sbilanciamento.
La mia esperienza mi dice che le persone con una formazione scientifica hanno interessi "non scientifici" (letteratura e forme d'arte varie) in misura maggiore di quanto le persone con formazione letteraria ne hanno per argomenti di carattere scientifico (per non parlare di quello economico). Sarà anche perché il liceo scientifico dà loro una formazione più "equilibrata"?
Infine, vorrei un po' intaccare questo mito del liceo classico come "scuola formativa per eccellenza": studiare è formativo comunque, se è fatto bene con senso critico, indipendentemente dall'indirizzo scelto.
Chi si iscrive al liceo, presumibilmente, si iscriverà a una facoltà universitaria e per farlo dovrà affrontare quiz che gli consentiranno l'accesso alla maggior parte dei corsi di laurea. Purtroppo, è così, c'è questa selezione pregiudiziale e arbitraria che ruota intorno a un vergognoso giro d'affari.
Ora, sono molte le scuole superiori che vanno organizzandosi, soprattutto le private, per formare gli alunni a quel tipo d'intelligenza che è la scaltrezza, in vista dei quiz d'ingresso alle facoltà.
Fino a pochi anni fa, i genitori responsabili, che pretendevano per i propri figli una formazione complessa, li iscrivevano al classico, nella consapevolezza che, a partire da quel tipo di formazione, ogni successiva scelta universitaria, umanistica o scientifica, sarebbe stata possibile.
Oggi, qualcosa va cambiando, grazie anche ai quiz. Genitori di alunni bravi, studiosi, che escono dalla scuola media, con i quali discuto di quello che dovrebbe essere una scelta conseguenziale, pongono la riserva: ma il classico forma alla scaltrezza? Sanno che è improbabile. E hai voglia a spiegare che è meglio essere umani, che scaltri.
Il mondo greco ha creato anche il mito dell'uomo polymetis, molto astuto, quello di Ulisse. Ma una società di scaltri che potrà fondare?
Credo di aver capito di quale articolo del Corriere lei parla. D'altro canto, sul medesimo quotidiano, il giorno dopo, Armando Torno ha detto le stesse cose, dal punto di vista amareggiato di chi non può far altro che constatare la realtà. E cioè che a fare fuori la cultura umanistica, per primo, è lo Stato italiano: se è vero che persone con laurea, dottorato, pubblicazioni e partecipazioni a conferenze finiscono a lavorare gratis per l'università, ciò non lo si può di certo imputare a Confindustria, per quanto quest'ultima sia influente.
Gentile professore, l'autore del "commento fuorviante" ritiene che un blog sia in qualche modo la "casa" di chi lo crea. Lei ha perciò il diritto di farci entrare chi vuole e non sarà così invadente da linkare la breve risposta alla sua replica. Forse non gliel'hanno segnalata o magari le sarà sembrata così povera cosa da non meritare di esser riferita. Si limita pertanto a prendere atto: le ha risposto invano. Pazienza. Qui naturalmente termina una discussione che in fondo non è mai nata. Cordiali saluti.
Giuseppe Aragno
Mi dispiace, ma ieri sono stato molto preso. Ho cercato e trovato la risposta ed ecco il link, ci mancherebbe che faccia orecchie da mercante...
http://giuseppearagno.wordpress.com/2013/08/26/5094/
Nel merito, non penso che la lettura del contenuto del mio articolo lasci le cose immutate. Probabilmente le hanno trasmesso soltanto il titolo che, da solo, potrebbe risultare fuorviante (e ovviamente è redazionale, anche se in congiunzione con il contenuto, lo condivido). Non capisco perché dovremmo essere tanto in disaccordo. Non attribuisco al classico alcun valore salvifico, da solo. E neppure al tecnico-professionale o allo scientifico. Penso che l'Italia dovrebbe valorizzare tutto, e che se si priva del classico, come vorrebbe taluno influente, sarà un disastro. Vorrei sottolineare l'importanza di una tradizione, tipicamente italiana, e che ho esemplificato con alcuni nomi, che lega strettamente la formazione umanistica e di base con quella scientifico-tecnica e che è stata all'origine di rilevanti successi. Che abbiamo disperso, massacrando il settore tecnico-professionale e dimagrendo in modo assurdo i licei classici e scientifici. Io ci ho provato, assieme ad alcuni colleghi, con le nuove Indicazioni nazionali per i licei, ma le restrizioni orarie hanno vanificato questa operazione culturale. Cordiali saluti.
Era il titolo, infatti, che ritenevo inadatto e limitativo e non c'è tra noi davvero nessun gran dissenso. Come lei, credo anch'io che l'Italia dovrebbe valorizzare tutto e che se si priva del classico, come vogliono gruppi che hanno interessi ben precisi, sarà un disastro. Conosco e apprezzo il suo impegno e - per quel che può valere la mia opinione - la ritengo una risorsa preziosa in una difficile e per certi versi disperata battaglia. Per alcuni anni - ahimè, da sindacalista a tempo pieno della Cgil - mi sono occupato molto delle politiche culturali dell'Italia postunitaria da Cavour ai primi anni della repubblica. Prima che me ne andassi sbattendo la porta, ne nacque un saggio a quattro mani. Tullio De Mauro e Sylos Labini furono così generosi, da fargli vincere il premio Laterza. Sono trascorsi meno di vent'anni e pare sia un secolo. Il libro è ormai fuori commercio e non credo se ne trovi più in giro una copia. Nella mia biblioteca ne ho due. Una è un po' malmessa, ma leggibile. Se sapessi dove inviargliela, mi farebbe piacere di regalarla a un lettore sicuramente competente a appassionato. Ha i suoi anni ormai ma, a leggerla, vedrebbe che, se non altro, condividiamo almeno un impegno civile.
Anch'io ho collaborato con De Mauro, nei tempi lontani della collezione di tascabili Editori Riuniti, ed abbiamo firmato molti documenti insieme. Poi, secondo me, il suo spostarsi su posizioni di pedagogismo costruttivista ha portato gravissimi guai alla scuola italiana. Il mio indirizzo è ancora quello del Dipartimento di Matematica della Sapienza. Grazie.
Complimenti, Professore! Io che ho sempre creduto nella cultura umanistica (insegno latino e greco in un Liceo Classico purtroppo in decadenza) sottoscrivo OGNI PAROLA di quanto da Lei scritto. E mi fa sommamente piacere che sia un matematico, un uomo di scienza, ad aver esposto così lucidamente i valori dell'"altra" cultura, condannando un contrasto tra lettere e scienze che non è mai stato proficuo per nessuno.
Sì però...quando ero alle medie al classico andarono i due o tre migliori della mia classe, un paio figli di insegnanti, uno di medico.
Ho avuto anche molti amici che han fatto il classico, eran tutti bravi in partenza.
Voglio dire, non è inconfutabilmente dimostrato il legame causa-effetto fra frequentare il classico e il successo negli studi successivi: tutti quelli del classico che ho conosciuto erano abbastanza capaci e volenterosi di suo che non sarebbe stato difficile pronosticare il loro successo negli studi...qualunque strada avessero seguito.
Merito degli studi umanistici o delle diverse capacità individuali rispetto a chi andava ai tecnici e pure alla diversa severità del percorso?
Dall'"Unità" una critica a questo articolo:
"Nessuno sembra voler ricordare che il liceo classico, oltre a essere quella famosa fucina di intelligenze eclettiche che il mondo ci invidierebbe, è sempre stato considerato uno status symbol: ci andavano i rampolli delle buone famiglie, non necessariamente i più dotati o motivati. Gli stessi poi proseguivano attraverso l’università, approdando a un buon posto di lavoro a cui erano destinati, spesso non per i meriti maturati studiando i classici...Sono sicuro che di studenti di materie classiche abbiamo bisogno. Ma non di tantissimi. Anzi, meglio se pochi, ma bravi veramente...Io non credo che il liceo classico ‘apra la mente’ più di altri indirizzi di studio. Non capisco in che modo lo studio della grammatica e della letteratura latine o greche riuscirebbero a sviluppare le capacità critiche degli studenti meglio di qualsiasi altra materia...È vero, molti studenti con la maturità classica ottengono ottimi risultati anche nelle facoltà scientifiche, ma trovo più semplice dedurne che si tratti di alunni brillanti, che avrebbero avuto ottimi risultati in qualsiasi cosa si fossero applicati: il fatto che in Italia li si addestri per cinque anni nella traduzione di testi in lingue morte mi sembra una resistenza culturale, forse uno spreco di risorse e di potenzialità. Non penso che il liceo classico favorisca una qualche forma di eclettismo culturale: mi sembra viceversa un indirizzo di studi molto specifico, da cui in teoria si dovrebbe uscire con competenze già molto raffinate. E ho la sensazione che questo non accada più, perché tutti questi latinisti e grecisti in giro non li vedo"
(Prof. Leonardo Tondelli)
Personalmente non sono del tutto d'accordo: il latino è davvero un'ottima palestra mentale...purchè fatto seriamente, il che a oggi non mi risulta nè forse sarebbe possibile, con l'aura polverosa che ha. Però la fisica fatta bene, che secondo me ha le stesse caratteristiche di addestramento al pensiero logico, potrebbe sostituirlo con il vantaggio di essere utile e più aderente alla realtà quotidiana.
L'avevo visto e avevo anche visto questo commento di un lettore:
Ma quando la finite con questa stronzata delle conoscenze immediatamente spendibili ??????
Faccio notare che :
- Gli ITIS sono stati e continuano ad essere degradati proprio perchè si insegue la "specializzazione " spinta. Questa è la più grande stronzata fatta nel 1967 e che continua ad essere perpetuata. Un perito industriale che usciva fino al 1967 in due anni di lavoro diventava un tecnico che poteva spaziare e fare molteplici attività professionali che oggi sono devolute a laureati in ingegneria. Si è di fatto impoverito il ciclo di studi al punto che fa ridere assistere agli esami di stato dei diplomandi.
- I due licei erano vere e proprie fucine di giovani che all'università incontravano alcune difficoltà il primo anno , di ambientamento, ma che potevano eccellere in qualsiasi facoltà si volesse.
Ovviamente io parlo di giovani che amassero studiare ed una società intorno che volesse cittadini preparati alla vita ......... purtroppo questa società ha bisogno di schiavi e non pensanti e così mentre i figli del popolo devono adeguarsi i figli dei papà ed in particolare dei politici, dei sindacalisti, degli imprenditori studiano in scuole private costosissime, in Italia ma più spesso all'estero, preparandosi a perpetuare il potere dei padri.
Questo commento che ha postato, professore, mi trova completamente e accoratamente d' accordo. Sulla base e in nome di questa ossessione dell' utilità immediata contro gli inutili astrattismi sono state compiute vere e proprie infamie. E quel che è peggio e fa proprio piangere il cuore, nella sostanziale e crassa indifferenza dei più; basta pensare alla sproporzione con l' eco mediatica che si propaga non appena spira anche solo un' alito di vento in Val di Susa. E certo non si può che ridere agli esami di maturità, così come si può tranquillamente piangere assistendo a molti esami universitari. Riguardo a quanto viene detto sui figli dei politici e dei sindacalisti, è meglio che lascio perdere.
Gentile prof. Israel
Non sono d'accordo con il suo articolo su tanti livelli, ma prima di ogni considerazione generale vorrei chiederle lumi su alcuni punti.
Donde ha ricavato la notizia che l'Italia possiede "più della metà dei beni culturali, artistici, architettonici del mondo"?
Le sembrerà un dettaglio, ma è un'esagerazione di un'evidenza e di un'assurdità tali da lasciare perplessi.
Altra idea curiosa è che l'Occidente abbia creato la tecnologia. Un antropologo credo guarderebbe con riprovazione alla sua affermazione: la tecnologia l'hanno inventata alcuni misconosciuti uomini primitivi quando hanno cominciato a scheggiare le pietre, a dominare il fuoco, a vestirsi di pelli. E non c'è civiltà umana che non abbia avuto un qualche sviluppo tecnologico.
Se si vuole un parallelo con l'Occidente, Needham disse brillantemente della Cina che ha avuto tanti Leonardo ma nessun Galileo...
Su un piano più generale, lei scrive: "Come può farlo questo chi non sappia di economia, di sociologia, di storia?"
Faccio notare che le prime due materie al classico non ci sono, mentre la terza è presente in tutte le scuole.
In un articolo che vuole essere la difesa di una cultura vasta, razionale, profonda e piena di acribia lei ha inserito diversi luoghi comuni, imprecisioni e fallacie logiche.
Lei è la tipica persona che fa la lezioncina su internet con supponenza senza il minimo dubbio.
Mi sono tenuto sul prudente visto che comunemente i dati delle agenzie internazionali parlano di un 70%. Ha mai viaggiato e si è fatto un'idea di quanti beni culturali vi siano nel complesso dei vari paesi europei? Probabilmente meno di quanti ve ne siano a Firenze e Venezia?
Ho molti buchi culturali ma, guarda caso, da qualche decennio faccio lo storico della scienza. Forse avrebbe evitato di fare una figuraccia confondendo tecnica con tecnologia. La prima è quella di cui parla lei. La tecnologia - tecnica fondata sulla scienza – è un prodotto caratteristico della rivoluzione scientifica occidentale. Galileo appunto... di cui Koyré disse che il cannocchiale, a differenza di tutte i ritrovati tecnici precedenti, era un oggetto concettuale. La tecnologia permette la standardizzazione, a differenza della tecnica artigianale. Ma non vado oltre. Approfondisca, caro Rocchi... Detesto internet quanto diventa il luogo in cui tutti si permettono con quattro frasette di fare i Needham di turno.
Il classico fornisce (o almeno dovrebbe...) una preparazione culturale generale umanistica che predispone più di altri licei a una visione complessiva e integrata. Non è una questione di "materie".
Gentile Israel
Sarei curioso di sapere quali agenzie internazionali parlano di questo fantomatico 70%. La sfido a citarle con un riferimento bibliografico serio.
Nel frattempo le chiedo: L'Italia e la sua superficie dovrebbero contenere tanti manufatti (o addirittura molti di più, se dobbiamo credere al suo rilancio) quanti ne abbiano non solo l'Europa, ma anche la civiltà indiana, la civiltà cinese, del sud est asiatico, del Sudamerica, della civiltà araba, e mi fermo per carità di patria? Le sembra che abbia citato civiltà povere di realizzazioni?
Ha senso?
Aggiungo un ipse-dixit cui avrei preferito non far ricorso, ma forse lei è sensibile a questo tipo di argomento (tipico della cultura classica, peraltro):
http://archiviostorico.corriere.it/2011/marzo/24/quei_Numeri_che_Non_Tornano_co_9_110324068.shtml
Nell'articolo scoprirà quali sono gli accreditati enti internazionali che lei potrebbe trovarsi a dover citare. Dopodiché chi legge potrà farsi un'idea di approfondisce e chi no.
Per quanto riguarda la tecnologia vs tecnica, beh, è interessante la sua definizione, ma gratuita: quando il mondo -non il solo i prof. Israel- parla di tecnologia parla di qualcosa che è praticamente connaturato all'homo sapiens o quasi. Come ad esempio in questo manuale, che risale molto più indietro della rivoluzione scientifica:
http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842074878
E' anche questo un ipse-dixit, per certi versi, ma è valido, perché questa è una disputa nominalistica, un cercare di capire cosa stiamo parlando: un manuale come questo accredita l'idea che quando si parla di tecnologia si intenda quel che dicevo prima. Basta capirsi: se lei mi dice che la bussola non è un progresso tecnologico perché l'hanno scoperta i cinesi, io mi regolo e procediamo serenamente.
Per l'ultimo punto: se economia, sociologia e storia sono materie che vanno a genio all'umanista, profonde, utili, ampie e ricche (e lo sono) perché non dovrebbero essere formative come le altre materie del classico?
Se può evitare di rispondermi con argomenti ad personam (tipo quanto io sia tipico di cosa), le sarei grato.
Senta, io pubblico, ma se crede che io debba rispondere sulla distinzione tecnica/tecnologia confutando il blurb di un libro, e prendendo come base la mia distinzione come "gratuita", quando fa parte della letteratura professionale in materia, si sbaglia. Mi consideri pure arrogante, faccia come vuole, ma il mio tempo lo impiego in modo migliore. O dovrei considerare ogni manufatto come bene artistico? Ma per favore...
Caro prof. Israel
La ringrazio di avermi pubblicato. Per il resto, credo che a questo punto ognuno possa farsi un'idea chiara di chi è arrogante oppure no, di chi argomenta oppure no e di risponde oppure no.
Alla prossima.
Segnalo che il 26 ottobre 2013 a Castellammare di Stabia si terrà una conferenza sul tema "Il linguaggio tra rigore scientifico e creazione poetica" (http://raffrag.wordpress.com/2013/10/11/il-linguaggio-tra-rigore-scientifico-e-creazione-poetica/), nella quale ci saranno sconfinamenti in ambito umanistico di Bruno Galluccio, fisico e autore di poesia, Gianluca Masi, astrofisico e studioso di Van Gogh, e Raffaele Ragone (il sottoscritto), chimico ed autore di poesia. Mi sembra un tema stimolante nel contesto di questo articolo.
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