Non c’è nulla di più sbagliato che voler vedere sempre la
parte vuota del bicchiere, essere programmaticamente pessimisti e piangersi
addosso. Per questo non ci sfugge quanto di positivo rappresenti l’incontro
avvenuto a Berlino alla conferenza internazionale dell’OCSE in occasione del
decennale della dichiarazione dell’Organizzazione contro l’antisemitismo.
L’intervento del ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier è stato
franco e diretto. Egli ha sottolineato che l’invito della comunità internazionale
a Berlino era dettato dalla constatazione che, a distanza di dieci anni,
l’impegno contro l’antisemitismo è più necessario che mai. Ci sembrano
particolarmente importanti queste affermazioni: «Non c’è alcun posto nella nostra società per chi minaccia con azioni e con
manifestazioni propagandistiche la sicurezza dei cittadini ebrei e delle
istituzioni ebraiche e spera in questo modo di suscitare gli orrori del
passato, Così come non c’è spazio per chi cercando di sfruttare la crisi
mediorientale spera di mascherare le proprie azioni antisemite sotto la
copertura di un preteso dissenso dalle azioni del governo israeliano». Non meno
importante è il vertice che Steinmeier ha avuto con i suoi colleghi ministri
degli Esteri italiano, francese e spagnolo.
Qui iniziano le
osservazioni di merito circa la situazione in cui ci troviamo a distanza di
dieci anni dalla dichiarazione OCSE. Va detto che, in tempi in cui la Germania
è oggetto di non poche critiche per il suo atteggiamento circa le politiche
economiche dell’Eurozona, va riconosciuto che, sul tema specifico
dell’antisemitismo, essa è uno dei paesi che ha le carte più in regola assieme
all’Italia. Dando per scontato che una certa dose di antisemitismo è
“fisiologica” (si fa per dire…), in Germania è stata esercitata con rigore una
tolleranza zero nei confronti di queste manifestazioni. Ben altra è la
situazione in paesi come la Francia, la Gran Bretagna e la Spagna, che hanno
davvero molto lavoro da fare per estirpare un antisemitismo sempre più diffuso
che si maschera nella seconda categoria indicata da Steinmeier (e più volte dal
nostro presidente Napolitano) e cioè quella di chi per fare antisemitismo si
maschera da “critico” delle politiche israeliane o da antisionista. Ed è
proprio su questo terreno che si manifestano tutte le insufficienze – per non
dire le ipocrisie e i tartufismi – delle politiche estere dell’Unione Europea e
che rischiano di vanificare i generosi e (ne siamo certi) sinceri intenti dei
ministri degli Esteri europei.
Prendiamo il caso
dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, Federica Mogherini, fino a pochissimo tempo fa ministro degli Esteri
italiano. Sembra che il cambiamento di ruoli l’abbia trasfigurata. Con tutti i
problemi sul tappeto – tra cui dovrebbe il primo posto la questione dirompente
dell’espansione del “califfato” fino a un paese di importanza nevralgica per
l’Italia come la Libia – Mogherini non ha trovato di meglio che compiere, come
uno dei suoi primi atti, un viaggio in Medio Oriente in cui ha patrocinato il
riconoscimento dello “stato palestinese”, nella cornice della formula “due
popoli, due stati”, inserendovi anche l’idea di fare di Gerusalemme la capitale
di questi due stati. Non sa l’Alto rappresentante che l’entità che dovrebbe dar
luogo allo stato palestinese è composta di due pezzi di cui uno è gestito da
un’organizzazione riconosciuta come terroristica, che ha nel suo programma (sempre
ribadito) la distruzione dello stato di Israele e che utilizza gli ingentissimi
fondi che gli arrivano da ogni parte per riarmarsi ogni volta e provocare un
conflitto? Non è consapevole l’Alto rappresentante che (casomai non fossero
noti i sentimenti della dirigenza iraniana e i suoi legami con Hamas) circola
ora anche un documento del supremo ayatollah Khamenei in cui egli spiega in
nove punti come si deve e si può eliminare Israele, e che questi punti
corrispondono puntualmente alle strategie di Hamas? Vi si indica l’opportunità
di evitare scontri frontali che sarebbero perdenti e si consigliano conflitti
di logoramento, notando che se i palestinesi del West Bank avessero soltanto
una parte degli armamenti di cui dispone Gaza, Israele crollerebbe come un
castello di carte. Non è consapevole che l’altro pezzo dell’entità che dovrebbe
dar luogo allo stato palestinese è gestita da una dirigenza sempre più debole e
in procinto di cadere in ginocchio di fronte a Hamas e che, comunque, non ha
mai riconosciuto davvero la formula “due popoli, due stati”, propugnando
piuttosto la formula “uno stato per due popoli e l’altro per uno soltanto”?
Le parole
sono pietre e l’inevitabile rigetto da parte israeliana di una simile proposta
di soluzione in un contesto in cui non si chiede nulla alla controparte
palestinese (segnatamente a Hamas) in termini di riconoscimento dello stato di
Israele, non può che essere benzina per chi nasconde il proprio antisemitismo
dietro il rigetto delle “politiche” israeliane. Ecco come i nobili propositi
enunciati in sede OCSE possono essere vanificati dall’inconsistenza e
leggerezza della politica estera dell’Unione Europea.
(Shalom, dicembre 2014)