giovedì 6 settembre 2007

Viva le tabelline di Fioroni, ora ci liberi dal pedagogismo democratico

Soltanto qualche mese fa il professor Odifreddi elogiava l’introduzione del calcolo numerico mentale negli asili francesi dicendo che, in tal modo, i bambini avrebbero smesso di credere a Babbo Natale e a Gesù. Ora, di fronte alle indicazioni del ministro Fioroni tese a ridare spazio alle tabelline e alle competenze specifiche rovescia la sua posizione e parla di “restaurazione”, in singolare consonanza anche verbale con alcuni esponenti del centro destra che parlano di visione “passatista” e “impositiva”. Dunque, lo slogan sessantottino dell’insegnamento disciplinare “oppressivo” e “impositivo” risorge a destra, fianco a fianco con la rivalutazione odifreddiana della metodologia: non conta quello che apprendi ma come lo apprendi. Difatti, il “matematico impertinente” è soprattutto preoccupato che i bambini siano sottratti al mondo delle favole e della religione e si deve essere convinto che la scienza in sé non basti allo scopo e che forse è meglio ricorrere alla metodologia.
Simili confusioni mentali e stupefacenti convergenze hanno due possibili spiegazioni. O siamo di fronte a persone che non hanno mai visto un bambino in vita loro, non hanno mai messo piede in una scuola e non hanno la minima idea di come si insegni la matematica, per esempio nelle elementari (e forse questo è il caso di Odifreddi). Oppure, siamo di fronte al tentativo di conservare a tutti i costi il primato del pedagogismo, ovvero della scuola come “laboratorio del processo di apprendimento”, alla teoria dell’allievo “al centro del sistema”, che costruisce da solo i suoi saperi, con l’ausilio di un insegnante visto come animatore culturale – del genere degli animatori delle feste di compleanno dei bambini. Insomma, è il tentativo di difendere la scuola come territorio della metodologia pura, scienza dei nullatenenti e scienza del nulla.
Facciamo chiarezza una volta per tutte. Chi scrive non ha nulla contro la pedagogia, disciplina rispettabilissima, né contro la metodologia. Se non altro per essere stato per anni direttore di un centro di ricerche in metodologia delle scienze… In quegli anni facemmo interessanti cicli di seminari in cui si analizzava, ad esempio, la metodologia della modellistica matematica nell’ingegneria industriale e gestionale dal punto di vista storico ed epistemologico. Cose certamente utili e istruttive anche per chi fa ricerca sul campo. Ma va detto chiaramente che, se qualcuno di noi fosse entrato in un centro di ricerca a dire “dovete fare così e così”, o addirittura fosse stato preposto istituzionalmente a esercitare un siffatto potere, avrebbe meritato di essere messo alla porta con un elegante calcio nei posteriori. Conoscere la storia della pedagogia, analizzare e confrontare varie scelte nei processi d’insegnamento, è di un’importanza indiscutibile che soltanto un stolto potrebbe sottovalutare. Ma si passa il segno quando si pretende che è nel contesto di questa disciplina che debbono essere definiti i metodi e i contenuti dell’insegnamento e che il docente deve ridursi a semplice passacarte delle determinazioni della corporazione dei pedagogisti e di una tuttologia che pretende di metter bocca imperativamente su tutto.
Purtroppo questo è avvenuto nell’ultimo trentennio. La pedagogia è stata pensata come una “iperdisciplina” e “metadisciplina” che presiede alla regolazione di tutte le altre, il cui ruolo sarebbe addirittura sostitutivo dell’interazione disciplinare. Il pedagogismo è stato un fenomeno sviluppatosi soprattutto sul fronte “progressista” e “di sinistra” ma non deve stupire affatto che esso sia riuscito ad allargarsi ad un fronte più ampio e trasversale, come constatiamo ora. Difatti, cosa vi è di più attraente, comodo e gratificante sul piano del potere di una metadisciplina che, poiché comanda e dirige tutte le altre, si sottrae automaticamente ad ogni forma di controllo? Non a caso il prepotere del pedagogismo si è accompagnato a quello della docimologia, o scienza “oggettiva” della valutazione. L’aspetto delirante è che i paradigmi centrali di tale prepotere – e cioè che l’educazione sia una questione di metodologie didattiche e che possa esistere una scienza “oggettiva” della valutazione avente lo stesso rigore delle scienze esatte – tanto sono opinabili quanto sono stati invece presentati come verità al di sopra di qualsiasi possibile discussione o contestazione. Perché mai i “valutatori” debbono saper valutare meglio degli insegnanti e non si possono mettere in discussione sul terreno disciplinare certe loro assurde teorie? Perché una nozione (che reputo legittimamente ridicola) come quella di “misurazione della cultura” può essere tranquillamente enunciata in una zona metadisciplinare? E perché certe dottrine pedagogiche non possono essere vagliate sulla base dei loro esiti sul terreno disciplinare? Questa autoreferenzialità, abilmente insediatasi in alcune zone politico-amministrative, ha creato una casta di intoccabili che ha progressivamente espropriato gli insegnanti della loro funzione educativa e della funzione valutativa, riducendoli a semplici esecutori delle scelte decise nelle “commissioni”.
Peraltro, poiché queste scelte sono state il frutto delle idee di tuttologi privi di competenze specifiche, o dotati talora di competenze modeste, i risultati sono disastrosi e sono sotto gli occhi di tutti. Non vi è qui lo spazio per diffondersi nel merito. Ma sarei pronto a una sfida, documenti alla mano, per mostrare nel dettaglio quale scempio sia stato compiuto dell’insegnamento della matematica fin dalle elementari, riducendola a una disciplina altra da sé; nonché dello scempio compiuto dell’insegnamento della storia – ridotta a borborigmi sul tema dell’irreversibilità del tempo – e della geografia – ridotta a ossessive elucubrazioni sul tema astratto della spazialità.
Ben venga quindi questo passo del ministro Fioroni, in direzione della reintroduzione dei contenuti della matematica propriamente detta, incluso il coltivare le capacità di calcolo mentale, della grammatica, della geografia intesa come apprendimento dei luoghi dello spazio reale e della storia come narrazione di eventi realmente accaduti. Purché non si tratti di una semplice mossa polemica di natura politica a cui, dopo gli annunci, non segua nulla; o, peggio, segua qualche nuova commissione controllata di nuovo dalla stessa ideologia e dalle stesse persone che ci hanno portato al disastro. Come ha scritto il matematico francese (e Fields Medal) Laurent Lafforgue, «tutte queste persone hanno oggi uno scopo soltanto: scaricare le loro responsabilità e quindi mascherare con tutti i mezzi la realtà del disastro». Che prendano un po’ di riposo non potrà che far bene a tutti.
Nel nostro paese, sembra che tutti abbiano paura di pronunziare la parola “indietro” e che sia indecente non andare comunque “avanti”, verso il sol dell’avvenire, costi anche il precipitare in una scarpata. E tutti si riempiono la bocca di Sarkozy, ma non guardano a quale sia il nucleo del messaggio che – di nuovo, proprio oggi – egli manda sul tema dell’educazione e della scuola. È la rottura col “pedagogismo democratico”, figlio del sessantotto. Se si capirà che questa è la posta in gioco, qualcosa potrà cambiare. Altrimenti sarà il solito chiacchiericcio di “politique politicienne” mentre le termiti continueranno a fare il loro lavoro.
(Il Foglio, 6 settembre 2007)

6 commenti:

Nessie ha detto...

Non ho nulla di personale contro il ministro Fioroni che ha un 'aria paciosa e simpatica e se devo dire la mia, è il più presentabile tra i ministri di questo sgangherato governo. Ma temo che ancora una volta dovrà vedersela direttamente coi suoi. Dopo decenni e decenni di "controscuola" sessantotara, di "descolarizzatori della società", di "pedagogia degli oppressi",(che ancora ci opprime) di docimologia e di "griglie di valutazione", di mappe di ricognizione e di altro bestiario pedagogico, temo che la sua riscoperta dell'acqua calda (ovvero delle tabelline e della grammatica) nonché di quel sano nozionismo che esercita un po' le meningi degli alunni - visto che nessun bambino sa più mandare a memoria una poesia - temo troverà non pochi oppositori intestini.
Se anche alla destra mancherà il buon senso di apprezzare i suoi sforzi, significa che la colonizzazione "pedagogica" della sinistra, sfida tutte le latitudini e le longitudini.A prescindere...

GiuseppeR ha detto...

Per quanto riguarda la geografia sono rimasto esterrefatto dal metodo proposto in un libro di testo per la terza media. Il globo terrestre non è suddiviso in continenti o in stati bensì in regioni rese omogenee secondo il loro punto di vista. Il medio oriente (comprendente Israele e le svariate comunità cristiane) è chiamato "regione islamica". Nello stesso testo ovviamente ci si guarda bene dal definire "regione cristiana" l'Europa o l'America.

Anche i testi di inglese sono infarciti di dialoghi, esercizi, moduli che rimandano a CD allegati ma se cerchi una tabellina che riepiloghi semplicemente le regole grammaticali rischi di perderci mezz'ora.

Gianfranco Massi ha detto...

Per fortuna anche in questo Governo, ogni tanto, qualcuno si muove con i "piedi per terra". Sarei disposto ad aderire ad un partito di "volenterosi ben intenzionati" a costo di passere per "inciucista", se nascesse una coalizione "trasversale" di solo BUON SENSO che punti a ripristinare la scuola e l' informazione.
Gianfranco Massi

Anonimo ha detto...

Mi chiamo Donato De Renzis. Inaegno storia e filosofia presso il liceo scientifico di Campobasso. Vorrei sapre come fare per inviarle il manoscritto di un saggio sulla scuola, cui ho dato questo titolo: "RISPOSTE SENZA DOMANDE E DOMANDE SENZA RISPOSTE: la scuola costruita dalla cinica indifferenza dei vecchi".

Credo di poter affermare che, se non è nuovo l’oggetto trattato, nuovo è senz’altro il modo in cui lo si affronta, se ne parla e lo si offre al lettore. L’oggetto è la scuola. Non quella degli stereotipi delle periodiche campagne di stampa e televisione, non quella rappresentata dagli sociopsicopedaqualcosa, non quella dei politici, ma quella in carne e ossa, vissuta nel mio lavoro decennale di insegnate. Il mio modello è stato la saggistica divulgativa e per così dire di consumo, di stile anglosassone e, proprio per questo, ho cercato di evitare ogni accademismo. Il tentativo è quello di appassionare e coinvolgere il lettore, attraverso una interlocuzione diretta, simulando la condizione che, mentre egli legge, quasi può parlare e discorrere con l’autore. Nel mio lavoro non c’è trattazione manualistica, quanto rappresentazione della parola e non solo di chi vive la scuola, ma forse anche delle cose che di essa fanno parte. Il saggio è inevitabilmente polemico, perchè non è la prudenza che occorre dinanzi all’urgenza di dover ricostruire dalle rovine. In casi siffatti, sono proprio gli appelli alla prudenza e moderazione ad essere temerari e imprudenti, mentre ciò che serve è solo un po’ di coraggio. E ciò perché la scuola è il luogo dove forse più che altrove, è messa a nuda l’irresponsabilità di chi ha la titolarità della responsabilità, vale a dire il mondo degli adulti e, nel contempo, dove è più facile leggere la responsabilità di chi per età ha diritto alla irresponsabilità, cioè i nostri ragazzi e ragazze.
Certo dell’importanza non soltanto di quello che si dice, ma anche del come lo si dice, mi sono espresso in un linguaggio piano ed accattivante, non specialistico ma rigoroso, con uno stile ricco di esempi ed aneddoti, veloce e a tratti ironico, punteggiato di situazioni e dialoghi, nella convinzione che un saggio che parla di cose importanti non debba essere, giocoforza, noioso.
Il saggio non si divide in capitoli. E’ una specie di spartito di note, con una frase centrale, che si snoda in situazioni e occasioni, cercando di far sentire emozioni e ragioni, sensibilità e intelligenza, ottusità e negligenze.
Ho scritto questo saggio nel tentativo di rendere più forte la speranza che, nel destino degli individui di una comunità civile, la passione, l’intelligenza, il merito, il coraggio e il libero pensiero possano ritrovare quella cittadinanza, che mi pare così dannosamente smarrita.

Con Cordialità,
Donato De Renzis

Giorgio Israel ha detto...

Occorre inviarmi un indirizzo di posta elettronica che non verrà pubblicato

Anonimo ha detto...

Questo è uno degli ultimi patragrafi del mio libro "Risposte senza domande e domande senza risposte" chew sto cercando di pubblicare.

I giganti di Lilliput.

Da un pò di giorni la stampa è tornata a insistere sulla scuola dopo le ultime esternazioni del Ministro della Pubblica istruzione. Il ministro del precedente governo aveva annunciato il programma delle tre I: internet, informatica, inglese. Quello attuale vuole tabelline e sintassi prima delle tre I. L�opposizione politica insorge e grida alla controriforma, sostenendo che essa non aveva mai pensato che il programma delle tre I, dovesse significare l�abbandono della aritmetica e della lingua italiana, e accusa che si vuole riportare indietro la scuola rispetto alle sue necessità di modernizzazione. La maggioranza replica che è nella sua intenzione una scuola moderna e che, proprio per questo, tabelline e sintassi costituiscono la premessa per l'attuazione del programma delle tre I, Ci capite qualcosa? No? Volete un aiutino? So Bene, allora mettiamola così il ragionamento può prendere le mosse partendo dalla scelta di una di questa supposizioni: la buona fede o la mala fede di chi governa. La mala fede la lascio a voi e traetene tutte le conseguenze che vi paiono sensate. Quanto a me scelgo la buona fede e ispirandomi alle parole di quel Grande, che implorava il perdono per quelli che �non sanno quello che fanno�, penso che questo ceto politico va perdonato perchè non sa ciò di cui parla. Il governo precedente dinanzi alla conclamata inefficienza della scuola annunciava un programma di modernizzazione delle tre I. Si trattava di una dannosa velleità quel programma non avrebbe sortito nessun effetto, perchè lasciava immutato il quadro generale degli attuali programmi della scuola. Era come pretendere di costruire un solaio in cemento armato in un edificio dalle fondazioni in via di sgretolamento. Il risultato sarebbe stato l'accelerazione del crollo. Internet non è la modernità nè il futuro. E' solo uno strumento di lavoro, che in ragione di come lo si usa può grandemente potenziare il cretinismo generale o costituire un utile mezzo di cui un comportamento intelligente può avvalersi. Un ragazzo che dispone di internet a casa sa come si usa, ciò che non concepisce ancora è che esso è una grande agorà un�immensa piazza virtuale, nella qualche può incontrare ogni genere di umanità. La questione di scegliere chi incontrare è un fatto di buon senso e cultura. Si capisce allora ciò che la scuola deve fare: non deve dare internet, ma strumenti per aiutare la formarsi del buon senso e saperi, punto! L'informatica è un altro affare. L'informatica è una tecnoscienza che fornisce strumenti e internet è una sua applicazione. L'informatica è il risultato della combinazione di matematica, logica e elettronica. La scuola non deve insegnare a diventare ingegneri informatici, ma solo insegnare quelle conoscenze di matematica e logica di base, che consentiranno di poter proficuamente frequentare un corso di laurea specialistica in informatica. Ma la moda informatica non affligge solo i legislatori nostrani, ma anche quella dell'Europa Unita, se è vero, come è vero, che nei documenti del vertice di Lisbona dei Capi di Stato e di Governo del 2001, venne varato il programma suggestivamente definito di costruzione dell'Europa della Conoscenza, laddove conoscenza stava come sinonimo di computer, internet e informatica. Quanto all'inglese il problema non è quello di limitarsi ad anticipare l'insegnamento nelle scuole elementari, ma riformare da cima a fondo l'insegnamento della lingua straniera nella scuola superiore. E veniamo all'attuale governo. Doveva pur fare qualcosa e che si inventa? Il punto di partenza è lo stesso di quello del precedente governo. I politici che stanno attualmente governando l'Italia sanno anch'essi dell'inefficienza della scuola, o almeno ne sentono parlare, e allora che fanno? Dicono che servono tabelline e sintassi. Per runa volta potrei anche dichiarare il mio accordo, ma chiedo: come lo si fa? Sentite la proposta: si attua nella scuola elementare la sperimentazione per un po� di anni di tabelline e sintassi. E ci risiamo:. nel mentre la matematica, le scienze naturali, la lingua italiana e straniera è negletta e languono in tutti gli ordini della scuola italiana, si spaccia la banalità delle tabelline e della sintassi nella suola elementare, da praticarsi in via sperimentale, come se si trattasse di una mezza rivoluzione. Tutto continua come prima, ma pochi se ne accorgono, perchè la lotta tra nani s�annuncia con il clamore dei giganti.
In quasi settant�anni di vita repubblicana, la scuola non è stata interessata da nessuna vera riforma. Il risultato è un monstrum, con ordinamenti vecchi di un secolo, che si dimena impazzito in un mondo profondamente cambiato. La scuola a vario titolo coinvolge gli interessi di milioni di persone. In particolare di insegnati e burocrazie, che rappresentano una cospicua parte della pubblica opinione dell'intero Paese. Riformare la scuola, comporta la modifica di comportamenti, pratiche consolidate, abitudini, interessi di corporazione, redistribuzione di ruoli e poteri di interdizione più o meno forti. Così essa continua ad essere terreno di scorribande e occupazione di partiti e sindacati. Ma non bisogna troppo pensar male di questi. Soprattutto in democrazia, questi non sono nè migliori, nè peggiori di coloro i quali, e sono decine di milioni, li scelgono. Se dunque peggiore è il ceto politico, diviene inevitabilmente concluderne che altrettanto lo è la comunità che lo esprime.