martedì 9 ottobre 2007

Il pantano della politica italiana

Michele Salvati ha sollevato un dibattito molto interessante sul Corriere della Sera, sostenendo, in sostanza, che il problema fondamentale del Partito democratico sia continuare sulla linea degli accordi e dei compromessi con la sinistra radicale, oppure evitare alleanze che forse possono condurre alla vittoria elettorale ma che condannano all’ingovernabilità. Nell’attuale situazione, è quanto dire: «È meglio perdere da soli o in compagnia?». Ha risposto Marco Follini che la seconda scelta è quella giusta: «prima i contenuti e poi gli schieramenti, prima le idee riformiste e poi la compagnia (rigorosamente riformista anch’essa». Secondo Follini non è neppure detto che così si perda, se si accetta di rischiare credendo alla sfida. Tuttavia, l’intervento di Nicola Rossi ha messo il dito sulla piaga dicendo, in buona sostanza, che se la linea riformista non si afferma davvero, se non è profondamente condivisa all’interno dello stesso Partito democratico, l’alternativa posta è fallace. La consapevolezza della vera natura delle sfide da affrontare «è solitamente la conseguenza di battaglie senza quartiere, culturali prima ancora che politiche, combattute all’interno dei singoli schieramenti, associate alla convinzione che un sistema bipolare vive dello scontro trasparente tra i poli, ma soffoca se allo sconto sulle issues si sostituisce la pura e semplice negazione dell’avversario».
Rossi ha messo il dito sulla piaga. Perché il dato dell’omogeneità all’interno dello stesso Partito democratico è tutt’altro che scontato. Al contrario, l’immagine è quella di una disomogeneità che riproduce, in forme appena attenuate, la stessa disomogeneità che caratterizza l’attuale coalizione di governo. Non è un caso che il Pd si sia scelto un segretario di mediazione come Veltroni: perché, al di là delle affermazioni di principio, Veltroni è l’uomo della mediazione per eccellenza, che tenta di tenere assieme tutto e il contrario di tutto con gli equilibrismi più arditi. Ciò non si riflette soltanto nella scelta delle personalità di punta del Pd, che spesso stanno assieme come il diavolo e l’acqua santa, ma nell’impossibilità di dire che cosa voglia il Pd su tutti i temi cruciali: politica economica, politica estera, questioni etiche posti dagli sviluppi tecnoscientifici, politiche dell’istruzione e della ricerca scientifica. Il Pd non ha seguito il percorso del partito di Sarkozy, che è stato da quest’ultimo riplasmato da cima a fondo attraverso una dura e tenace battaglia politica, che ha lasciato emergere una linea chiara, talmente chiara da poter essere polo di attrazione persino per alcuni settori dell’opposizione socialista.
Il guaio è che questa situazione affligge anche il centro-destra. Al di là di un generico riferimento all’abbattimento delle imposte non si capisce bene quale politica economica verrebbe perseguita. Prospettare alleanze con personalità come Lamberto Dini apre inquietanti domande circa la futura politica estera del centro-destra, se solo si ricordano i viaggi in Siria e le dichiarazioni di quest’ultimo sulla crisi mediorientale e sull’Iran. Sulla politica scolastica la confusione è totale.Il centro-destra è generalmente più sensibile ai temi di bioetica, ma non poche personalità al suo interno professano posizioni che si spingono fino al laicismo.
Il richiamo di Nicola Rossi a battaglie culturali “senza quartiere”, prima ancora che politiche, che conducano a scelte consapevoli all’interno degli schieramenti, è quanto mai opportuno, perché se non si perverrà a un simile livello di chiarezza il paese non uscirà mai fuori dalla crisi che lo attanaglia.

2 commenti:

Gianfranco Massi ha detto...

sarebbe bello conoscere chi, in Italia, dovrebbe combattere le "battaglie culturali, prima ancora che politiche, senza quaretiere". La cultura dominante è badare a sé stessi, a partire dagli eletti. I quali si comportano esattamente come gli "ottantamila abitanti" che li hanno eletti, in barba all' articolo 67 della Costituzione.
Gianfranco Massi

theBloggertheBetter ha detto...

Sono d'accordo che il Partito democratico nasce tra mille divisioni perché la finta campagna per la leadership le ha lasciate tutte vive seppur nascoste. Mi pare però che Veltroni, intervistato, dica ultimamente cose abbastanza chiare (cfr. intervista a Repubblica) sulla vocazione maggioritaria e riformista del Pd. I fatti vedremo,le parole non sono malissimo.