venerdì 2 novembre 2007

Per poter valutare gli insegnanti bisogna imporre le regole e rinnovare i contenuti

(Tempi, 1 novembre 2007)

Il presidente dell’Associazione TreeLLLE Attilio Oliva ha stigmatizzato, sul Corriere della Sera, il nuovo contratto per la scuola, che ha ancora rinviato la definizione di un collegamento tra progressione della remunerazione e qualità di lavoro degli insegnanti. La protesta è pienamente condivisibile: è un andazzo che mortifica il merito, induce gli insegnanti a un comportamento impiegatizio e dequalifica la scuola; e farà ulteriormente crescere il numero degli insegnanti che hanno una preparazione modesta e talora gravemente insufficiente.
Vorrei tuttavia aggiungere alcune osservazioni di metodo e di sostanza. È impensabile affrontare il problema del merito degli insegnanti e del suo collegamento alla retribuzione se non si risolvono alcune questioni preliminari. È impossibile persino parlare di “scuola” se non sono soddisfatti alcuni requisiti ovvi e che invece non lo sono più: la disciplina (ingresso in orario, silenzio in aula, divieto di cellulari, severa repressione di ogni forma di violenza), il rispetto della persona dell’insegnante, il principio che a scuola si studia e si viene premiati o penalizzati a seconda del rendimento, un comportamento civile delle famiglie che si rendano conto che la scuola è un’istituzione educativa e non un supermercato. Come sottoporre a giudizio un insegnante in un contesto che non rispetti nemmeno questi requisiti di civiltà? Viene poi il problema dei contenuti dell’insegnamento, sempre trattato come se fosse un orpello accessorio, mentre è la questione centrale, perché gran parte dello sfacelo attuale deriva dalle pessime riforme dell’ultimo trentennio. Un conto è se un’insegnante è chiamato a insegnare la matematica propriamente detta, un conto è se è chiamato a trasmettere un’accozzaglia di nozioni pseudo-intuitive, di inutili formalismi, presentando la geometria come una sorta di esperienza fisica della spazialità e magari con il condimento della delirante “matematica del cittadino”. In tal caso, è certo che gli insegnanti più incompetenti, traviati dal “didattichese” più vacuo e parolaio, risulteranno i migliori, e i migliori risulteranno i peggiori. Nasce qui il problema delle Scuole di Specializzazione universitarie, preposte alla formazione e abilitazione degli insegnanti, che troppo spesso si basano sull’assurda idea che il laureato sappia già tutto della sua disciplina e che debba soltanto essere istruito in metodologie didattiche. Con quali risultati, si è visto.
Nasce quindi il problema della “valutazione” di cui parla molto Attilio Oliva ammettendo che è difficile valutare le qualità con indicatori oggettivi. Difatti, quando si mette il naso nel laboratorio della “docimologia” si ricava l’inquietante impressione che si manipolino – al riparo da valutazioni – concetti e metodi (come quello di “distribuzione normale”) in modo superficiale per trarne conclusioni avventate. Su questo argomento tornerò. Per ora mi limito a osservare che è discutibile attribuire un ruolo primario nella valutazione all’“utenza” e, in particolare, agli studenti usciti dalla scuola. In primo luogo, perché – lo ripeterò fino alla noia – una scuola degna di questo nome non è un’azienda e quindi non ha “utenti”. In secondo luogo, perché la valutazione delle capacità può esser fatta soltanto da chi ha conoscenze ed esperienza. La valutazione nel sistema dell’istruzione può essere soltanto autovalutazione, anche la più severa, tra scuole diverse o tra scuole e università, ma autovalutazione, l’unica che può responsabilizzare gli insegnanti.

1 commento:

Gianfranco Massi ha detto...

Sul tema della valutazione degli insegnanti attendo, caro professore, con grande speranza il suo promesso ritorno.
Cordialmente,
Gianfranco Massi