lunedì 3 dicembre 2007

I bravi censurati, i mediocri idealizzati

Molti non ti credono se spieghi che vi è chi sostiene che in matematica non bisogna “insegnare” gli algoritmi della divisione ma lasciare che lo studente se li reinventi da solo. Tutto in nome della delirante polemica contro l’insegnamento “trasmissivo” – che trova esilaranti manifestazioni come la proclamazione, in Spagna, del “diritto del bambino all’errore”, insomma a fare 2 + 2 = 5 – che è il cascame di un sessantotto che non muore mai. E poi ci si lamenta che un qualsiasi studente indiano o giapponese surclassa i suoi coetanei europei ed anche americani in matematica: perché studia come da noi trent’anni fa.
Leggo in ritardo un articolo su L’Unità in cui si esalta la seguente prosa di Tullio De Mauro: «C’è una fase di maturazione lenta, fino a 18 o 20 anni, che è preceduta da numerose oscillazioni. Per questo motivo ritengo che il sistema ideale sia quello di tenere conto della media complessiva dei risultati. Puoi andare male in matematica e bene in storia o viceversa, l’importante è che ci sia una certa media minima». Chi parla così forse non ha mai visto uno studente in vita sua. Soprattutto, trovo intrigante il concetto di “media minima”, che non ha alcun senso, perché la media di un insieme di risultati è una sola, né massima né minima. Forse De Mauro definisce (malamente) così la media ottenuta scartando i risultati migliori e i peggiori, che è la procedura in voga tra i docimologi.
Addentrandomi un poco in questa bizzarra disciplina ho constatato l’importanza attribuita alla curva a campana di Gauss, che dicono essere l’immagine della ripartizione delle attitudini e qualità, per cui gli individui medi abbondano, mentre i geni e gli idioti sono rari. Se ne deduce l'esistenza di una corrispondenza tra la curva gaussiana e la rappresentazione dei risultati scolastici degli studenti, quando essi sono "normalmente" distribuiti rispetto all'attitudine e quando ricevono un'istruzione uniforme in termini di qualità e di tempo.
Soltanto che: è del tutto arbitrario sostenere che le qualità si possano misurare in modo quantitativo fondato; la distribuzione gaussiana ha senso per grandi numeri ed applicarla a insiemi ristretti di studenti è assurdo; la distribuzione “normale” delle attitudini è un concetto privo di senso e ancor più lo è quello di istruzione “uniforme”. Insomma, il tutto è un’emerita cialtronata che, se la raccontate a uno scienziato propriamente detto, si mette a ridere e poi, preoccupato, ti chiede se esiste qualcuno che prende sul serio idee simili. Purtroppo è così. Su insiemi di valutazioni, voti, test, risultati di quiz (previa verifica della loro conformità alla distribuzione gaussiana) si scartano i risultati migliori e i peggiori, senza tener conto che è proprio in queste zone che si annidano le situazioni più interessanti e indicative. Poi si fa la media sul resto, e si ottiene così la soglia di sufficienza. Il vero movente di queste teorie scombiccherate e improbabili è, in realtà, l’identificazione ideologica di un modello sociale di riferimento. Esso non è dato dai più bravi: a prendere questi come modello si darebbe fondamento alla scuola “selettiva”, “classista” e “repressiva”. No, il modello è dato da coloro che, con orrido termine, vengono chiamati i “normodotati”. È probabilmente in questo senso del tutto qualitativo che si parla di media minima: è la mediocrità. La scuola deve prefigurare una società appiattita sulla mediocrità. Insomma, una triste visione di stile sovietico, propugnata col linguaggio aggressivo del pedagogismo sessantottino.
(Tempi, 29 novembre 2007)

11 commenti:

Ludwig Van Molleam ha detto...

Professore, la distribuzione "normale" (intesa come gaussiana) dei risultati è un dato di fatto.
La bontà di un professore e del suo metodo di insegnamento dovrebbe misurarsi (se proprio vogliamo dargli un parametro simil-matematico), nell'innalzarsi verso l'alto della media della suddetta distribuzione.
Purtroppo questo vorrebbe dire che i docenti siano disposti a valutarsi secondo un criterio - forse - oggettivo. E come sappiamo alle valutazioni sono allergici, sia a darle (perchè devono difenderle) sia a riceverle (perchè in Italia il giudizio di un arbitro quale che sia deve sempre essere discusso).

Unknown ha detto...

Un'altra voce che si aggiunge al coro!
Anch'io è da tempo che ho la medesima sensazione...più si va avanti, più l'effetto di questo livellamento diventa devastante!

Inutile ribadire che sono perfettamente d'accordo con Lei!

Giorgio Israel ha detto...

Ringrazio per il commento di Ludwig Van Molleam perché mi consente di precisare il mio pensiero. Infatti, sono in disaccordo su tutto... Purtroppo ora non ho tempo. Nei prossimi giorni risponderò in dettaglio.

Uomo del Monte ha detto...

professor Israel,
nonostante sia pienamente d'accordo con lei, credo che la frase di de Mauro (che peraltro non condivido) che lei ha stigmatizzato, possa essere interpretata diversamente da come ha fatto. A mio parere quello che voleva dire l'ex Ministro non era riferito alla dostribuzione gaussiana, ma a un più semplice "curiamoci non che ogni singola materia sia sopra o sotto il sei, ma che la media dei voti complessivi sia sopra una certa soglia minima", cioè, in poche parole, se hai 8 in storia e 4 in matematica, in totale farebbe un 6,il che a detta di de Mauro ci può stare perché i giovani hanno alti e bassi e bla bla.

credo ut intelligam, intelligo ut credam ha detto...

Purtroppo la situazione è assolutamente ben descritta dal Professore. La scuola non stimola i "bravi". Lo so per esperienza: fino a pochi anni fa, ero in un liceo, che comunque era al di sopra dei normali standard italiani. Ero tra i "bravi", ma nessuno stimolo se non da pochi professori. In generale una spinta all'appiattimento, una volontà di non sforzarsi nei docenti, ce ha portato all'abbandono dello studio di altri studenti meritevoli. Io avevo la famiglia dalla mia. Ma quanti son così fortunati? Posso capire che sia più facile appiattire una classe che gestirne una che richiede stimoli. Ma è uno scandalo che ciò sia fatto da persone che si vantavano di avere la "vocazione" del professore, questa chiamata divina (che non nego possa esseci, ma va anche curata). Han fatto più quei pochi professori che umilmente facevano il loro lavoro, dando sempre il meglio di sè e cercando di farci vedere quanto belle potevan essere l loro materie.
Grazie per il Suo intervento. Spero solo che non rimanga una singola voce, ma che qualcuno (magari dei nosri presenti e futuri governanti) la ascolti.
Cordialmente

ondeb ha detto...

Fino a quando la scuola pubblica italiana (e non solo) potrà "reggere"? Chi la amministra non si rende conto che il declino è rapido?

Mi scuso se esprimo concetti già scritti, ma non penso che potranno passare ancora molti anni senza introdurre sistemi di valutazione anche per i docenti. A proposito, verrà De Mauro a dirci che varrà la sua "media minima" anche per i docenti? Hmmmm spero di no...

Un cordiale saluto.

Pietro Cadelli ha detto...

gentile professor Israel,

io sono d'accordo con lei sui danni prodotti dal "tecnicismo pedagogico" e dalle buffe discipline connesse come la docimologia. Ho insegnato per alcuni anni nelle scuole italiane e ho dovuto subire i corsi di aggiornamento in un periodo in cui impazzava l'ingegner Ciampolini con la sua "didattica breve".
Questa disciplina, propugnata dal ministro di allora, sosteneva la necessitá di trasmettere il maggior numero di contenuti nel minor tempo possibile e era formalizzata come C/T ove c erano i contenutu e T il tempo il coefficiente di brevitudine il risultato!!!!!
Poi credo è andata anche peggio.
Non credo che il pedagogismo, peró sia solo sessantottino anche se lo è in gran parte. il comportamentismo di Skinner e Brunner con la reiterazione e gli automatismi mi pare che sia più di destra. Destra o sinistra qui si tratta di mode devastanti in ogni caso. Per quanto riguarda i problemi dell'eccellenza e della normalitá credo che sia importante comprendere che una spcietá capitalistica sviluppata come quella europea, in questa fase, ha bisogno di un numero crescente di giovani che si situino nei livelli medio bassi della produzione e del consumo. Medio bassi ma nonn bassissimi. I livelli di eccellenza sono un problema meno vitale e la riproduzione dell'eccellenza non è demandata alla scuola pubblica ma ad altre istituzioni private. Lo stato provvede alla formazione del lavoratore consumatore medio basso e in questo senso De Mauro fa bene il suo mestiere.
Lo stato provvede alla formazione di questo tipo di lavoratore consumatore e nello stesso tempo lo fa investendo sempre meno nella sua formazione. I paesi che hanno visto regredire di piú il livello della propria scuola: Francia e Spagna, sono quelli che piú drasticamente hanno tagliato i finanziamenti alla scuola pubblica. È un problema di equilibrio tra investimento ed esigenze di risultati. Oltretutto, se consideriamo il problema dal lato degli studenti dobbiamo anche tener conto del fatto che un'educazione eccellente non è in nessun modo nella percezione media uno strmento di accesso al mondo del consumo di lusso o eccellente che costituisce l'orizzonte della speranza dei giovani europei. I modelli di consumatori di successo presentati ai giovani dalle agenzie educative del marketing non sono De Finetti o Cantor ma alcuni decerebrati e cerebrolesi raccjhiusi in una casa e ripresi dalla televisione mentre confabulano in un idioma fangoso! O poveri discgraziati intellettuali come Beckham etc.
Insomma, anche se l'ideologia mainstream di sinistra ha le sua colpe non le tutte lei e non ha nemmeno le principali. Non voglio con questo difendere il sessantottismo, ma sottolineare che il Grande Fratello è in perfetta continuitá con il sessantottismo nel segno del profitto e del consumo.
Grazie per l'eospitalitá,
con stima
genseki

Giorgio Israel ha detto...

Lei ha perfettamente ragione. La mia polemica contro la sinistra è soltanto relativa al fatto che in Italia - ma più in generale in Europa - è la sinistra sindacal-sessantottina che si è fatta erede principale di questa ideologia che ha radici nel pedagogismo pragmatista anglosassone. È più facile trovare gruppi di persone nella destra che, per orientamento "conservatore" classico rifiutano queste follie. Ma questo non significa che la destra ne sia immune. Basti pensare alla scuola delle tre "i" di Berlusconi... E al modo con cui la Moratti ha sviluppato coerentemente il programma berlingueriano, assumendo gli stessi consulenti di Berlinguer. Le indicazioni nazionali della Moratti sono l'apogeo di un'ideologia ispirata al contempo a un efficientismo di basso profilo come quello che lei descrive e a ideologie sessantottine. Insisto soltanto sul fatto che se lei vuol trovare ambienti in cui qualcuno sia disposto ad ascoltare discorsi come quello che faccio io o quello che fa lei è ben difficile che li trovi oggi a sinistra. Ci è voluto un ministro cattolico moderato tradizionalista come Fioroni perché ritornassero in campo certi temi di contenuto. La responsabile scuola di Forza Italia Aprea ha accusato Fioroni di voler reintrodurre una scuola "repressiva" e "classista". Mi deve accordare che questo è un linguaggio tipico dell'estremismo di sinistra sessantottino. Insomma, un coniugio allucinante.
Ciò detto, questa situazione è il paradigma del dramma in cui vive l'Occidente. Gli Stati Uniti appaiono come il solo baluardo difensivo contro l'assalto dell'integralismo, ma al contempo, la visione del mondo e la cultura che diffondono è quella che produce il mondo di decerebrati che lei descrive; e aggiungo il mondo di persone prive di idealità e di scopi, oltre che di principi etici. Se si guarda a questo c'è da nutrire il più cupo pessimismo.

Pietro Cadelli ha detto...

Sono d'accordo con lei, io nel mio periodo di lavoro nella scuola italiana mi sono trovato ad oppormi soprattutto a persone e organizazzioni di sinistra, fino quasi al "mobbing" come si dice con pessimo"anglosassonismo. Tuttavia ho anche assistito a esilaranti corsi di aggiornamento nei quali si spiegava che l'alunno deve essere chiamato cliente e l'insegnamento servizio, le valutazioni debiti e crediti!!
Io sono di formazione hegelian marxista, peró, non di siistra, ma certo che la tradizione dialettica non ha niente a che spartire con le situazione che lei lamenta e io pure.
Nutro pure io il piú cupo pessimismo per le medesime ragioni del suo ultimo paragrafo.
Grazie per l'ospitalitá
genseki

francini ha detto...

La mia interpretazione della frase di De Mauro era diversa, e
forse ancora più pessimistica. E cioè, io credo che De Mauro avesse
voluto dire che fosse ammissibile avere, ad esempio, 4 in Matematica e
Latino, purché compensati da voti alti in altre materie (ad esempio
Inglese o Geografia). Sull'assurdità di ciò sul piano formativo, i
commenti sono qusi superflui: le lacune gravi non indicano alcuna
"oscillazione" che preluderebbe a successive "maturazioni", ma segnano
semplicemente uno stato di ignoranza non più recuperabile, per lo meno
nelle materie ad alto contenuto logico-sequenziale.

Infatti, ad una eventuale promozione formale (anche se non lo è sul piano
sostanziale). pur accompagnata da carenze anche radicali in certe
materie, farà poi seguito lo studio di temi più avanzati che
presupporranno quegli argomenti come prerequisiti: non solo non si capirà
nulla anche nel seguito, ma non sarà neppure più possibile riprendere ciò
che si è perso per strada, perché la trattazione va necessariamente
avanti e si occupa di altre cose. Il discorso di De Mauro presuppone dei
saperi "statici" dove gli argomenti vengono passati in rassegna ad uno ad
uno, in ordine e tempi più o meno intercambiabili, senza sequenzialità
logiche e stadi interdipendenti.

E' agghiacciante che una banalità simile venga espressa da un ex ministro
dell'istruzione, una persona assurta alla statura di maestro di scienza e
di pensiero per l'accademia italiana e soprattutto per la catechesi
scolastica della retorica educativa di sinistra.

E' tutto qui il pensiero che siamo riusciti a produrre in questo scorcio
di secolo? Non dimenticherei che fu lo stesso De Mauro ad affermare, in
un gesto d'amicizia bipartizan, che era grazie a D'Onofrio (autore della
soppressione dell'esame di riparazione) che si era potuta avviare la
stagione della riforma della scuola:

"Francesco D'Onofrio, che è stato un eccellente ministro.
Lui ha ideato del resto la riforma che andava verso una progressiva
unificazione tra elementare e media, e abolendo gli esami di riparazione
ha permesso la soluzione nella scuola dei problemi."

Impiegai un po' a capire cosa intendesse con la frase "ha permesso la
soluzione nella scuola dei problemi", che di primo acchito mi sembrò
semplicemente una barzelletta.

Intendeva che finalmente la scuola prendeva in carico il problema
dell'apprendimento, la responsabilità passava dallo studente e dalla
famiglia all'istituzione, e (parole sue) la soluzione dei problemi
spettava dunque alla scuola.

In altre parole: lo studente diventa da soggetto attivo a soggetto
passivo, è compito dell'istituzione fare in modo che, con qualche
strategia, lo studente ottenga il suo successo.
Lo studente è come un malato in una casa di cura. Non ha modo di
determinare lui stesso la sua evoluzione. E' in mani altrui.

Come poi ciò si sia tradotto, è facilmente constatabile, (e facilmente
prevedibile): se il docente è posto, più o meno esplicitamente sotto
processo o ritenuto responsbile nei casi di mancato apprendimento, e
viceversda esaltato a gonfie vele se tira fuori intere nidiate di
genietti, naturale che, in assenza di ogni controllo esterno sugli
apprendimenti effettivi, sul lavoro svolto e sulle valutazioni assegnate,
è naturale si sviluppi la tandenza a gonfiare i voti, nel segno delle
"magnifiche sorti" del "successo formativo" (espressione tanto cara a
Berlinguer, a parer mio da orticaria).

Se è questo che volete da me, se tutto è fatto in modo da spingermi in
questa direzione, perché negarvelo? Così inevitabilmente si è ragionato
nella scuola, tolto un drappello di resistenti, non così sparuto in
fondo, ma senz'altro in minoranza.

francini ha detto...

Quanto alle gare di matematica, la cosa mi tocca personalmente,
in qualità di componente, ormai da diversi anni, della Commissione
Nazionale UMI per le Olimpiadi di Matematica.

Con tutti i limiti del caso, io mi onoro di aver personalmente
contribuito a formare, regolarmente e con crescente capillarità, una leva
annuale di almeno un centinaio di ragazzi in tutta Italia che escono
dalle scuole superiori conoscendo la parte di matematica che TUTTI gli
studenti bravi (e per fortuna ce ne sono ancora) avrebbero DIRITTO di
conoscere e che invece gli viene negata da questa scuola che occulta le
eccellenze ed appiattisce i talenti. La nostra è stata una forma di
resistenza culturale, se vogliamo.

Infatti, lo studente bravo nella scuola italiana è quello che sa svolgere
SENZA ERRORI compiti facili, a differenza dello studente modesto che
invece commette errori. Lo studente bravo non viene mai incalzato da
sfide che non siano facili, dove si trova a dover soffrire, ad avere
dubbi, a dover cercare risposte o esplorare strategie incerte: deve solo
eseguire il compito con diligenza. Una scuola di conformismo e di
catechesi, che fabbrica in serie false eccellenze, che si alimentano nel
confronto quotidiano con classi disastrate e rischiano di squagliarsi appena ci
si trova a doversi misurare con altre situazioni.