Circa un mese fa si è appreso dalla stampa che la scuola elementare romana Sibilla Aleramo è stata devastata da quattro ragazzini con un danno stimato in 250.000 euro. La dirigente della scuola ha spiegato che si trattava soltanto dell’ultimo di una serie di raid e ha ribadito quella che dovrebbe essere un’ovvietà: «Chi fa danni deve assumerne la responsabilità secondo quanto prevede la legge». Era un richiamo coerente con l’invito del Ministro della Pubblica Istruzione a «fare in modo che siano i ragazzi stessi a risarcire la scuola vandalizzata, lavorando fino a quando i danni non saranno completamente ripagati». Del resto, è quel che si fa in Inghilterra, non in un paese a rischio di fascismo, o addirittura in mano a un regime peggiore del fascismo (Asor Rosa dixit). A distanza di quasi un mese, viene ancora da stropicciarsi gli occhi leggendo le dichiarazioni dell’assessore alla scuola del Comune di Roma Laura Marsilio che ha rimbeccato il ministro Gelmini affermando che «far riparare i danni ai 4 ragazzi non farebbe altro che frustrarli». Poveretti, che pena… Come se non bastasse, ha aggiunto che «le umiliazioni e le punizioni non servono», concludendo in piena fumisteria benaltrista: «tutti gli alunni dovrebbero essere coinvolti in iniziative che aumentino il senso di appartenenza alla scuola e alle istituzioni».
Forse abbiamo capito male. Dicono che a Roma abbia vinto il centrodestra. Ma allora perché c’è un assessore alla scuola che parla come un militante di Rifondazione Comunista mentre il ministro della Pubblica Istruzione del governo di centro-destra riafferma dei principi cui si è dovuta arrendere la migliore sinistra europea, come quella del laburista Tony Blair?
Lungi da noi stabilire collegamenti semplicistici con la vicenda della commissione Attali per Roma, ma qui c’è qualcosa che ha a che fare con una soggezione di taluni ambienti politici del centrodestra nei confronti della cultura di sinistra. È la soggezione che porta a inseguire ad ogni costo il consenso e i consigli di coloro che ripetono senza tema del ridicolo che in Italia ormai dilaga il fascismo, come Umberto Eco, secondo cui si sente di nuovo il “profumo” del ventennio. Apprendiamo in merito che anche Sergio Luzzatto sente addirittura, e proprio leggendo Libero, profumo di Farinacci. Provi a compilare un’antologia degli epiteti rivolti a Berlusconi e a tutto al centrodestra dall’“intellettualità progressista”: Farinacci farebbe la figura di un pivello.
La soggezione di cui si diceva è tanto più incondizionata in quanto il confine tra i “demonizzatori” e i “moderati” è tutt’altro che netto. Si prenda il caso di un moderato come Giorgio Tonini che non soltanto non ha preso le distanze dal proclama di Famiglia Cristiana (secondo cui il fascismo sta rinascendo tra di noi) ma anzi l’ha definito un giudizio serio, plausibile, «da prendere seriamente in considerazione». Possiamo anche spiegare questo atteggiamento come manifestazione della debolezza della dirigenza politica della sinistra di fronte alla lista nutrita di intellettuali di sinistra che ripetono lo slogan del ritorno del fascismo. Ma questa debolezza è soltanto l’ennesima prova di uno sfacelo politico-culturale. Cosa di buono si può cavare da chi non trova altri argomenti di contrasto se non quel ridicolo slogan, e da chi non trova la forza di liquidarlo come merita e di dedicarsi invece a imbastire un’opposizione degna di questo nome?
Sarebbe meglio entrare nella sostanza delle cose e chiedersi quali meriti abbia avuto la commissione Attali, tali da conquistarsi una fama tanto positiva. A ben vedere, nessuno. La commissione Attali si è fondata su un’idea completamente sbagliata, e ostinatamente ribadita da Attali medesimo in questi giorni, e cioè che sia possibile progettare una serie di soluzioni tecniche a problemi di sostanza in modo indipendente da qualsiasi visione politica e culturale. Il risultato è stato men che mediocre e, non a caso, il presidente Sarkozy si è tenuto alla larga da indicazioni quali l’abolizione dei dipartimenti e da una certa visione dell’autonomia che già in Italia ha dato pessime prove, per esempio con la riforma del titolo V della Costituzione. Se poi si guarda alle proposte per la scuola – ispirate al più vuoto tecnocratismo alieno da qualsiasi considerazione di merito – viene da dire: dimenticare Attali.
Nessuno, se non un estremista, può respingere il principio di un dialogo e di un confronto costruttivo tra posizioni diverse. Occorre saper accettare con spirito libero ogni apporto di idee e di progetti. Ma ciò non può essere fatto annacquando fino a renderle indistinguibili le proprie visioni di governo, magari fino al punto di adottare le idee e il linguaggio di chi è stato sconfessato dall’elettorato, dimenticando (come nel caso ricordato all’inizio di questo articolo) che la sinistra più lucida e consapevole li ha abbandonati. Quell’elettorato ha chiesto una svolta radicale rispetto al modello di gestione di una capitale in cui su un sottofondo di caos, degrado, illegalità e sporcizia impazzano feste e festival pseudoculturali. Se questo non è anche il punto di vista della “commissione Attali” allora l’impresa inizia con un equivoco di fondo a dir poco colossale.
(pubblicato su Libero)
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