Questo è il paese in cui un ex-Presidente del Consiglio si è vantato di aver indotto i suoi compagni di corso in un college americano a copiare; e in cui un ex-Presidente della Confindustria si è vantato di essere stato il più abile a copiare di tutta la scuola. Di che stupirsi quindi che, nell’esecuzione dei test dell’Invalsi, si sia manifestato un diffuso fenomeno di “copiatura”? Questa prassi, che è considerata negli Stati Uniti immorale e vergognosa al pari del furto con scasso, da noi è considerata per lo più normale. Chi non la mette in atto è un fesso e l’insegnante che la reprime è un fanatico repressivo. Ancora una volta scontiamo nei fatti che, nel campo dell’istruzione, parlare di qualità, rigore, merito e valutazione – la quale deve incentivare i primi, altrimenti non serve a niente – è pura chiacchiera se non si riesce ad imporre un’etica dei comportamenti.
Nella diffusione di comportamenti truffaldini ha avuto indubbiamente un effetto moltiplicativo la teoria demagogica ed egualitarista secondo cui la scuola deve portare ogni allievo al “successo educativo”, altrimenti l’insuccesso è suo e mai dell’allievo. Se un siffatto obbiettivo viene affermato come un valore assoluto, nella mente di soggetti di per sé poco amanti della legalità ogni azione atta a conseguire tale successo riceve una legittimazione “etica” (si fa per dire); e tra queste azioni – perché no? – anche il copiare. Se è giusto che tutti vadano avanti, a che pro bocciare o dare voti secondo una scala di merito? Tanto vale spingere avanti tutti allo stesso livello, anche con un “aiuto”. Nei commenti di questi giorni colpisce l’affermazione strampalata secondo cui i risultati dell’indagine Invalsi mostrerebbero l’inutilità delle bocciature come strumento di recupero. Il nesso è inesistente e manifesta soltanto l’ostinato tentativo di difendere una visione ideologicamente contraria al premio del merito e alla sanzione del demerito.
La polemica di questi giorni si è appuntata sul fatto che gli imbrogli si concentrerebbero soprattutto in certe regioni del sud. Se certe prassi appaiono più diffuse nel meridione sarebbe opportuno non imputarle soltanto a una maggiore diffusione di comportamenti tendenti all’illegalità, che sono alimentati dalla propensione alla raccomandazione e al favoritismo, contro cui per primi combattono tanti cittadini meridionali. Occorrerebbe anche analizzare fino a che punto la demagogia del successo educativo abbia trovato terreno di diffusione in determinati contesti ambientali piuttosto che in altri, inducendo anche i professori alla prassi di “aiutare” gli studenti a copiare tutti insieme lo stesso risultato giusto. E, per converso, bisognerebbe anche approfondire le ragioni culturali che rendono difficile a molti accettare certe procedure di valutazione basate su test.
Ad ogni modo, i commenti di questi giorni dimostrano che di fronte alle analisi dell’Invalsi si può reagire in due modi: prospettando un intervento “umano” che renda i test affidabili sia nella loro formulazione sia nel modo in cui sono gestiti, per esempio introducendo forti elementi di mobilità territoriale nella nomina dei presidenti delle commissioni; o, invece, puntando soltanto sul raffinamento dei metodi di valutazione e sul potenziamento delle analisi statistiche. Ritengo che la prima via sia quella giusta. Certe locuzioni come «valutazione oggettiva degli apprendimenti» sono ridicole, come se nella storia della umanità non si fosse mai stati capaci di valutare in modo serio, oggettivo e di successo. Sarebbe più serio dire che le metodologie a base di test e statistiche sono rese necessarie dal carattere di massa della scuola; e tenere presenti i limiti di valutazioni compiute con test standardizzati – che unificano realtà profondamente diverse secondo criteri inevitabilmente rudimentali – e i limiti di analisi statistiche che vanno usate cum grano salis e non sono la bocca della verità. Colpisce la leggerezza con cui si indicano come modello perfetto le indagini Ocse-Pisa senza rendersi conto degli elementi altamente soggettivi e discutibili su cui esse sono basate: per esempio, quando assumono un’idea della matematica come “matematica del cittadino”. Da questo punto di vista, occorre riconoscere all’Invalsi il merito di rifarsi a modelli più ragionevoli, come le indagini Timss, e di seguire un approccio che mira a valutare la formazione disciplinare e che, per quanto è possibile, introduce test di valutazione non soltanto a risposta chiusa.
Ritengo invece profondamente sbagliata la linea di chi diffida dell’intervento umano e crede che la via sia il potenziamento tecnico della valutazione. Costoro mirano a costituire carrozzoni di “esperti” la cui dubbia competenza si pone al riparo dalla valutazione in quanto sarebbe intrinsecamente “oggettiva”.
Lasciamo lavorare l’Invalsi in questa direzione ragionevole ed equilibrata, utilizzandone le indagini per individuare strumenti atti a indurre comportamenti eticamente corretti e a migliorare la qualità disciplinare dell’istruzione. Perché in definitiva l’obbiettivo deve essere questo. Viceversa, chi pensa la valutazione come un processo autoreferenziale e pretende di invertire i ruoli, come se i test offrissero i contenuti dell’istruzione – anche questa assurdità è stata profferita in questi giorni – non fa altro che promuovere la dittatura dell’abbrutimento culturale.
(Libero, 12 agosto 2009)
14 commenti:
Caro professore, la valutazione resta nel nostro paese un grosso problema. Ne sono un esempio gli esiti a livello nazionale degli esami di stato. Non funzionavano le commissioni interne,non funzionano le commissioni miste per le pressioni che i membri esterni subiscono da parte dei colleghi interni, che evidentemente vivono gli insuccessi dei loro allievi come insuccessi personali. Non va la terza prova, perché non c'è nessuna possibilità di garantire la segretezza (e la qualità) delle domande. Non va il voto unico, media fasulla che poco dice delle capacità dello studente. Il grave è che l'esito dell'esame influisce sulla posizione in graduatoria di molte facoltà a numero chiuso. O gli esami (e gli insegnanti) cambiano radicalmente o è auspicabile che ciascuna università valuti gli aspiranti con strumenti propri, senza tenere in alcun conto la valutazione della scuola.
Lasciar copiare è solo uno dei modi in cui gli insegnanti "imbrogliano" per non essere ingiustamente incolpati degli insuccessi dei loro alunni. Non è il più diffuso (se non in fase di esame). Si ricorre più spesso ad una valutazione eccessivamente generosa. Qualche insegnante particolarmente "onesto" si tiene sul facile. In fondo, chi ha diritto di stabilire quanto difficile deve essere un prova?
La tecnica più subdola e sicurmente più diffusa, almeno per materie che prevedono esercizi nelle verifiche, è quella di svolgere in classe, nei giorni precedenti la prova, esercizi quasi uguali a quelli che saranno assegnati. Agli studenti basterà memorizzare le istruzioni da eseguire, come fosse una ricetta di cucina. Non è detto che si prendano la briga di memorizzarle o che, una volta memorizzate, riescano ad eseguirle correttamente. È un metodo che comporta comunque un certo numero di insuccessi, ma tutela il buon nome dell'insegnante, perché garantisce una maggioranza di risultati soddisfacenti in una prova che può apparire di difficoltà elevata.
È il metodo più diffuso, come si deduce dal fatto che gli studenti ritengono di avere il diritto di vederlo applicato. Sono abituati ad essere, in fase di verifica, dei meri ripetitori di quanto è stato detto o fatto in classe. Nulla di più si deve pretendere da loro! Non si può biasimare un insegnante che fa quello che si pretende da lui, magari dissentendo!
Ovviamente tutti assegnamo, inevitabilmente, esercizi simili a quelli svolti in classe, ma, il più delle volte, basta spostare una virgola per distinguere chi ha capito da chi ha solo memorizzato le istruzioni! Attenzione però, quell'invisibile virgola spostata può avere molteplici conseguenze:
1)forte aumento del numero di insufficienze di cui si sarà genericamente ritenuti responsabili
2)qualche studente giustificherà l'insufficienza lamentando di non capire le lezioni in classe. La cosa corrisponderà generalmente a verità, ma chi la sentirà non indagherà sulle cause, non si chiederà come mai non venga capito nemmeno il libro di testo o come mai Tizio e Caio la lezione la capiscano. È molto più facile incolpare l'insegnante: un bravo insegnante deve farsi capire da tutti, punto! Questo è un dogma che non si discute! Se qualche studente non ti capisce, la cosa non deve trapelare: ne va della tua reputazione!
3)Gli studenti, privati del diritto di ottenere i massimi risultati, in termini di voti, con il minimo sforzo, lamenteranno che l'insegnante mette nei compiti "cose" che non ha fatto in classe (cose=esercizi!). L'affermazione verrà interpretata in vari modi da chi non ha la più pallida idea di cosa significhi:
a)l'insegnante è un lavativo che in classe non fa nulla, ma poi mette nelle verifche quello che avrebbe dovuto fare
b)l'insegnante è un imbecille che, quando prepara le prove non si ricorda nemmeno cosa ha fatto in classe e cosa no, oppure non si rende conto che per svolgere un certo esercizio sono necessarie informazioni che gli alunni non hanno
c)l'insegnante è un sadico che pretende l'impossibile (che i ragazzi capiscano da soli cose non spiegate intenzionalmente) per il gusto perverso di dare voti bassi. Mi sono sentita accusare da un preside di fare di tutto per mettere in difficoltà i miei alunni. L'ho spiazzato rispondendo "ovviamente lo faccio: è il mio mestiere!" Che ci posso fare se insegno discipline (matematica e fisica) in cui le difficoltà sono intrinseche, discipline che si comprendono a fondo solo se costretti ad affrontarle le difficoltà? Che ci posso fare se, in fase di verifica, sono le piccole difficoltà (la virgola spostata) a consentirti di distinguere chi memorizza acriticamente da chi fa lo sforzo di capire e sono le grosse difficoltà a permetterti di distinguere uno studente eccellente da un bravo "esecutore"? E che ci posso fare, infine, se per alcuni sono proprio le difficolà a rendere queste materie affascinanti?
Caro Professore,
l'Invalsi oltre che per i metodi adottati funziona perché è esterno alla scuola. Forse non saranno perfettamente oggettivi ma sicuramente lo sono di più di altre valutazioni. E allora diciamolo togliamo ai docenti il peso di decidere se un allievo può accedere all'anno successivo e lasciamolo valutare ad un ente esterno.
Riusciremo così a premiare il merito, a incentivare i docenti, gli alunni ed anche i genitori (avranno tutti interesse a compiere il massimo sforzo per far arrivare gli alunni preparati alla fine dell'anno).
Sui risultati tra ingresso e uscita mediati su 2-3 anni si potranno valutare i docenti e creare la possibilità di una carriera.
Cordiali saluti, Fabio Milito Pagliara
E gli insegnanti cosa dovrebbero fare? Fare i "facilitatori" neutrali astenendosi da ogni giudizio, demandandoli alla corporazione dei "tecnici della valutazione oggettiva"? Ma ci facciano il piacere, avrebbe detto il Principe De Curtis... Ritengo l'ideologia che sta dietro questa visione aberrante, pericolosa e soprattutto priva di qualsiasi serio fondamento. L'idea della valutazione scientifica obbiettiva è quanto di più scientificamente infondato possa darsi. Avendo scritto un libro e non so quanti articoli contro questo modo di vedere, proporlo proprio a me è la mossa più difficile che si possa escogitare...
Chiarissimo Prof. Israel, lungi da me l'idea di provocarla, anzi come lei penso che non esistono metodi scientificamente obiettivi di valutazione.
Il punto centrale che proponevo non è la valutazione perfettamente oggettiva, ma avere una valutazione esterna dei risultati conseguiti dagli allievi, da un agenzia indipendente.
Penso che sia questo uno dei motivo per cui i test Invalsi hanno un qualche significato e penso che andrebbero estesi a tutti gli anni
a tal proposito mi sembra che una buona bozza di partenza è quella avanzata dal professor Checchi et. all, rintracciabile qui: http://www.lavoce.info/binary/la_voce/articoli/invalsi_pro_111.1245760092.pdf
A mio parere oltre al vantaggio di riuscire in qualche modo a valutare i risultati conseguiti si andrebbe a ricreare un circolo virtuoso tra studenti-docenti-genitori-dirigenti
Docenti: i docenti che verranno valutati anche in base ai risultati dei loro allievi faranno del loro meglio per aiutare gli allievi a migliorarsi, cercheranno di prepararli al meglio per affrontare la prova annuale (mettendo voti, esprimendo giudizi, facendo lezione e insomma facendo gli insegnanti!); non che ora gli insegnanti non lo facciano, ma non hanno incentivi dal sistema a farli e non basta parlare di carriera se non si trova il modo di premiare chi lavora bene, e per farlo bisogna in qualche modo capire chi è a lavorare bene.
Alunni: gli alunni non avrebbero più interesse a cercare di fare il meno possibile in classe (oggi sanno bene che meno si fa durante l'anno meno gli può essere chiesto a fine anno) sapendo che a fine anno non potranno evitare di affrontare una prova che copre le conoscenze minime per quell'anno (sia in estensione che in profondità).
I genitori: i genitori non avrebbero più interesse a fare i difensori d'ufficio dei figli o a scaricare le colpe sui docenti, ma dovrebbero preoccuparsi che i docenti facciano il loro dovere spiegando con competenza, verificando la preparazione dei figlio ecc, che la scuola funzioni bene e anche che i figli facciano il loro dovere (sembra banale, ma le assicuro che non lo è).
I dirigenti: infine i dirigenti avrebbero di nuovo motivo di preoccuparsi dei risultati didattici degli insegnanti che lavorano nella loro scuola e non solo che tutte le carte siano a posto e che non ci siano troppi bocciati in modo da evitare eventuali ricorsi.
Il sistema scolastico: a questo punto scomparirebbero i "diplomifici" e tutte le scuole sarebbero davvero in competizione perché ci sarebbe un qualcosa su cui confrontarsi
Senza una valutazione esterna e puntuale del sistema io non riesco a capire come possiamo parlare di merito, se non si stabilisce su cosa viene valutato questo merito ognuno riempirà questa parola di significati diversi ed avremo creato un altra mostruosità lessicale che significa tutto e quindi non significa nulla.
Spero di aver chiarito il mio pensiero, a me interessa che la scuola italiana migliori e sia in grado di preparare le future generazioni alle sfide che inevitabilmente ci troveremo ad affrontare e cerco di contribuire come posso al discorso.
nel ringraziarla per l'attenzione le porgo i miei più cordiali saluti
Fabio Milito Pagliara
...una piccola aggiunta, leggo sul blog di Max Bruschi la normazione della prova invalsi ai fini della valutazione finale all'esame di stato, la trovo una cosa positiva.
Se la prova nazionale Invalsi fosse estesa a tutti gli anni affiancando la valutazione dei docenti (assegnando dei crediti o con altro meccanismo) potrebbe essere un meccanismo più che sufficiente a valutare approfonditamente e precisamente il sistema scolastico nel suo complesso.
ancora cordiali saluti
L'insegnante non è soltanto uno che impartisce nozioni, ma ha un rapporto umano con lo studente di cui è parte essenziale la valutazione. Dire che decurtando l'aspetto della valutazione farebbe "davvero" l'insegnante è, appunto, aberrante. Tanto vale fare una scuola per corrispondenza, con le lezioni date in registrazione o per powerpoint. Come è assurda l'idea che un'agenzia esterna di valutazione (indipendente, da che? e perché mai la valutazione deve essere "indipendente"?) valuti addirittura individualmente uno studente con cui non ha costruito alcun rapporto, come quello quotidiano della scuola. È proprio questa la valutazione aberrante, assurda e certamente non seria che va evitata. L'Invalsi deve restringersi strettamente a una valutazione complessiva del sistema scolastico e per il resto deve stare al suo posto.
Non condivido neppure affatto l'idea di sopprimere l'esame di maturità e di sostituirlo con una certificazione di un organo di valutazione esterno.
Queste sono le posizioni ufficiali della Compagnia delle Opere, ovvero del settore scuola di CL (dubito che siano condivise dalla loro base). Personalmente non le condivido affatto.
E insisto che, avendo discusso a lungo questi temi, non reputo utile discuterli in pillole sul blog.
La ringrazio dei chiarimenti, certamente non è qualcosa che si può esaurire in questa sede e mi procurerò il materiale che ha prodotto per approfondire il suo punto di vista sull'argomento.
Sono profondamente in sintonia con lei anche quando dice che l'insegnante costruisce un rapporto umano con lo studente, ben venga la valutazione dell'invalsi se riesce a valutare il sistema nel suo complesso.
Indubbiamente la valutazione del sistema e del merito dei singoli è un problema complesso che come tutti i problemi complessi non ha soluzioni semplici.
Ancora grazie per la pazienza e la chiarezza.
Cordiali saluti, Fabio Milito Pagliara
Al di la' del problema della valutazione, che viene certamente toccato dall'argomento del post, mi pare che il fenomeno della copiatura sia solo una manifestazione della tendenza diffusa all'illegalita' di cui e' pervasa la nostra mentalita' italica, dai parcheggi in doppia fila agli acquisti senza scontrino, etc. etc. E' quello che va dicendo da un po' di anni Gherardo Colombo, nei libri e nelle conferenze, dopo che e' uscito dalla magistratura. Non vedo una via d'uscita se non quella di un profondo cambiamento nel nostro modo di pensare su queste cose. Un aneddoto: negli Sati Uniti le prove scritte d'esame si svolgevano senza la presenza del docente in classe, e nessuno copiava (e' un'esperienza che ho vissuto da entrambe le parti della barricata). Ci arriveremo mai, noi italiani?
Cordialmente,
Lucio Demeio
Nella scuola media del profondo sud (Messina) in cui insegno, le prove Invalsi di italiano e matematica non sono state somministrate dai docenti delle relative discipline, proprio per evitare la tentazione di eventuali suggerimenti, nonostante la protesta di alcuni colleghi.
Io ho letto soltanto dopo i testi delle prove d'italiano e non mi sono certo chiesto se durante le prove, a cui non ho presenziato, gli alunni avessero copiato. La maggior parte delle domande era di una banalità disarmante. Neanche i più scarsi avrebbero avuto bisogno di copiare. Altre domande erano, a dir poco, incongruenti. Anzi, diciamolo chiaramente: ci sono domande mal formulate, e risposte (dell'Invalsi) sbagliate. In un mio vecchio blog, stanco, riaperto per l'occasione, ho denunziato gli errori Invalsi, uno per uno. E non certo per il gusto della facile polemica, ma perché queste prove hanno poi un peso (non ho ancora capito esattamente quale: i colleghi di matematica si sono accapigliati tra loro per determinarlo, attraverso calcoli per me inavvicinabili) nella formulazione del voto finale. Che banalità ed errori debbano influenzare, anche minimamente, la valutazione degli alunni, questo per me è grave. Nel momento in cui lo Stato dovesse affidare ad Istituti esterni alla Scuola, come l'Invalsi, la valutazione complessiva degli alunni, io divento un'altra volta comunista, come quando avevo quindici anni. :-)
Anch'io nutro molti dubbi sulle modalità della "somministrazione" e le sue informazioni me le confermano. Sulla considerazione finale si figuri se non sono d'accordo. Ma quanto a diventare di nuovo comunista... non prenda cantonate (glielo dico cordialmente) perché quella scelta sarebbe di uno statalismo ancor più smaccato. L'Invalsi non è un ente privato. Sarebbe una forma di controllo di tipo sovietico. Perciò, per essere coerenti, bisognerebbe diventare ancor più anticomunisti...
Professore, la mia era una battuta, mi sembrava di essere stato paradossale.
L’Invalsi non è un ente privato e quindi va compreso come “un affare di Stato”, che, per un verso, controlla che nella Scuola tutto funzioni, per altro, rassicura che tutto funziona. Un po’ (per insistere sull’analogia col comunismo, scherzando ma non del tutto) come certi bollettini della rivista Italia-Urss, o della radio Tirana anni Settanta, rassicuranti circa il fatto inconfutabile (altrimenti Siberia) che sotto quei regimi si vivesse, candidamente, “nel migliore dei mondi possibili”.
In questo clima, è bene che il popolo degli alunni, se necessario, copi. E’ bene formulare domandine semplici, per evitare delusioni. E’ bene essere approssimativi. Se poi l’Invalsi crea confusione tra un “modo” e uno “strumento”, tra un “dubbio” e una “ipotesi”, tra uno “scandalo” e una “contraddizione”, se pretende come risposta “cambiamento di lavoro” alla domanda cos’è la mobilità professionale, o inserisce un testo in cui si scrive che i giovani devono assumere il “Virus dell’internazionalità”, senza badare al fatto che il virus è sempre patogeno, orrenda locuzione, allora questi, probabilmente, sono solo miei problemi personali, che non rientrano nel quadro di una strategia politica nazionale, di controllo e rassicurazione.
Per favore non toccate la scuola e ridateci i Presidi e i collaboratori scelti dal collegio dei docenti.
Scusi, Plapa, ma non ho capito. Secondo me la scuola va toccata, e come! Oramai, se la paragoniamo ad un edificio, sarebbe come se si fosse beccato in sequenza terremoto di Messina, del Friuli, della Valnerina, de L'Aquila e, per buona misura, lo tsunami del sud-est asiatico! E non è ora (anzi, è fin tardi) di rimetterla a posto, o perlomeno provarci?
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