Rimbalza nelle polemiche estive la questione dello strapotere degli “editor”, cioè di quei personaggi che vengono preposti dagli editori a tagliare, correggere, ricucire, o come si dice sinistramente a “riscrivere” i libri, in funzione della loro vendibilità. È ormai una prassi dilagante che avrebbe ucciso sul nascere autori come Proust e persino Tolstoi e Dostoevskij, che i canoni vigenti avrebbero giudicato verbosi, prolissi e pieni di inaccettabili digressioni. Qui vorrei aggiungere la testimonianza di come lo strapotere degli “editor” si stia diffondendo nella saggistica e anche nelle riviste scientifiche. All’origine si trattava dell’intervento di redattori interni alle case editrici o alle riviste che avevano il compito limitato e prezioso di rileggere il testo per scoprire sviste, errori di nomi o date, per rivedere le bibliografie e, naturalmente, per scoprire i refusi. Questa funzione ha tracimato in un doppio senso: perché si è estesa a interventi sullo stile e persino sui contenuti del testo e perché viene conferita in “esternalizzazione” a piccole ditte o singoli, dato che i tradizionali, competenti e preziosi redattori delle case editrici sono praticamente spariti. Abbiamo ora invece “esperti” che non hanno alcun titolo speciale se non quello che deriva automaticamente dall’appartenere a una corporazione o semplicemente dalla fiducia concessa loro dal datore di lavoro; e che spesso sono degli incompetenti, insensibili al significato del testo e allo stile dell’autore, cui pretendono di sovrapporre uno stile standardizzato appreso meccanicamente in qualche scuola di “editing” e che li gonfia di un’arroganza mai vista nei redattori. È una situazione che costringe spesso l’autore a una lotta defatigante per difendere il testo da petulanti e distruttive intrusioni.
Mi limito ad alcuni esempi. Si va da quell’editor che mi chiese di sopprimere in un libro qualsiasi riferimento a Marx e al marxismo (trovandoli troppo critici) a quello che riscrisse un brano citato di Benedetto Croce reputandone deplorevole l’italiano! Il correttore di stile di una rivista storica americana trovò troppo retoriche e trombonesche delle frasi di articoli del periodo fascista, che assieme a un traduttore specializzato avevamo reso nel modo più accurato: ci volle una rissa epistolare per fargli capire che quello era lo stile dei fascisti; niente, lui voleva riscriverle in stile di flemma anglosassone… Un altro editor smontò l’intera bibliografia di un libro seguendo criteri sconcertanti tra cui quello, nel caso di più autori, di citare soltanto il primo mettendo gli altri in fondo tra parentesi. Poi voleva spostare interi paragrafi del testo dove gli sembrava più opportuno. C’era quello che chiedeva se “Bollettino” è una rivista oppure no e se esistono davvero dei “verbali d’esame”, il tutto con supremo sprezzo del ridicolo e anzi con un tono di rimprovero all’autore per non aver spiegato bene le cose. Ometto di parlare delle più insensate richieste di correzioni stilistiche, come quella di sopprimere l’espressione “ciurlare nel manico” in quanto troppo colloquiale… Inutile dire che, per questi esperti, correggere i refusi è un’attività troppo bassa e vile, per cui, se non ci pensi tu, te ne troverai il testo pieno, inclusi quelli aggiunti da loro.
Il fenomeno degli “editor” è un cascame della tendenza a imporre la dittatura della metodologia e del “saper fare” sulla conoscenza e a porne gli “esperti” fuori di ogni controllo. Si tratta di uno dei maggiori fattori di distruzione della cultura in ogni campo, a cominciare da quello dell’istruzione, dove dilaga la retorica della supremazia della metodologia sulla conoscenza.
(Tempi, 6 agosto 2009)
3 commenti:
Uno di questi signori mi invitò caldamente ad abbassare i toni della polemica contro il "didattichese".
Inutile dire che innalzai il livello della polemica contro la sua pretesa.
Professore,
per quel che vale, sappia che ho imparato ad usare l'espressione "ciurlare nel manico" proprio grazie alla lettura del suo libro "Chi sono i nemici della scienza?". E la trovo adorabile.
La saluto con stima,
Francesca Nardini
La storia è molto vecchia. Ricordo i frequenti articoli di auto giustificazione che la rivista "Nuova Elettronica" doveva, anche agli inizi della sua quarantennale storia, pubblicare, a causa delle frequenti "correzioni" dei succitati "editor". Esempi rimastimi in mente: un transistor NPN al silicio diventava un transistor non al silicio (di cosa era fatto?); ed una funzione circuitale che realizzava un OR, diventava un circuito che (meno male) ora funziona... Ma "perle" simili ce n'erano (e ce ne sono) a bizzeffe.
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