lunedì 15 novembre 2010

Alla scuola mancava solo la riforma hi-tech



Uno dei fenomeni più – come dire? – bizzarri del periodo presente è che di questioni come la cultura, la salute, l’istruzione si sentano in diritto di pontificare più che gli addetti ai lavori (intellettuali, professori, medici), imprenditori o manager. Intervengono su tutto. Arrivano al punto di ammonire che dobbiamo comprendere l’importanza di misurare le “competenze della vita”, che sarebbero non soltanto le nostre capacità sul lavoro, ma quelle di educare i figli, di avere buoni rapporti con la moglie, di coltivare le amicizie, e via dicendo.

Ho letto di recente un’intervista all’ad di Microsoft Italia, Pietro Scott Jovane. Anche lui non si esime dal fornire ricette sulla sanità e la scuola. È del tutto ragionevole la sua tesi che sia opportuno digitalizzare settori come quelli delle imposte e della giustizia. Ma sulla sanità bisognerebbe andarci più cauti e prevedere un sistema di digitalizzazione con qualche parete stagna per garantire la privacy e anche l’efficacia del sistema. Dice l’ad che «con un sistema di database incrociati, aggiornabili in tempo reale, la salute del cittadino sarebbe sempre sotto controllo». A parte il brivido nella schiena che fa venire quel «sempre sotto controllo», il fatto è che la relazione tra medico e paziente è un rapporto di fiducia personale che non può essere trasformato in un rapporto tra il paziente e il “sistema” senza rischiare di compromettere l’efficienza del sistema stesso stimolando la pigrizia del medico che sarà tentato di affidarsi alla diagnosi fatta da altri che gli appare sullo schermo. E poi: se mi avessero fatto una diagnosi fasulla, se il medico che mi ha visitato non riscuotesse la mia fiducia perché troppo frenetico o troppo lassista, e tra me e lui non si fosse creato quel rapporto personale indispensabile a rendere possibile una cura efficace, cosa accadrà? Dovunque vada subirò la condanna delle vicende trascorse e non potrò mai avere un rapporto nuovo e “azzerato”? Scherziamo?

Poi il nostro ad vanta la digitalizzazione dei libri di testo, francamente una delle poche novità di questo ministero che non mi convince. Certo le famiglie risparmieranno sull’acquisto dei libri di testo. Ma, a meno che non si creda che lo studio scolastico si possa fare tutto sullo schermo (scherziamo?), quei file bisognerà stamparli, a suon di costose cartucce di stampante e di carta strappata alle foreste amazzoniche. Per giunta pacchi di orrida cartaccia che si sparpaglieranno dappertutto, creando disordine fisico e mentale, e che andranno ristampati in continuazione.

Infine, il nostro ad osserva: «c’è una cosa che mi sembra pazzesca: che a scuola si insegni ancora informatica. Oggi informatica è in tutte le materie». Lo racconti agli informatici che la loro disciplina è ormai dissolta. E poi che vuol dire? Le lettere dell’alfabeto sono in tutte le materie, così la grammatica e la sintassi. Anche la matematica sta dappertutto. Dovremmo per questo sopprimere l’insegnamento della lettura e scrittura, della grammatica e della matematica? Peraltro, studiando storia, geografia o fisica non si apprende l’informatica. E neanche la matematica è riducibile all’informatica o la insegna.

Si può ben capire che i sogni di un imprenditore dell’informatica siano fatti di aule piene di lavagne interattive, di computer (anche se in alcuni paesi li stanno eliminando perché atrofizzano le capacità di calcolo mentale), di smartphone e di tablet. È il loro mestiere vendere questi prodotti e vanno capiti. Ma, per favore, non vengano a fare lezioni “culturali” sull’impianto disciplinare della scuola. Come diceva Totò, a ogni limite c’è un tutto.

(Tempi, 17 novembre 2010)

7 commenti:

Luigi Sammartino ha detto...

Purtroppo di fanatismi ce ne sono di diversi tipi. Quelli più famosi sono il fanatismo politico e quello religioso. Quello politico è chiamato "Ideologia", quello religioso "Fondamentalismo".

Poi però ce ne sono degli altri di cui si parla un po' meno, anche perché non hanno fatto i danni mostruosi dei precedenti due, ma che vale comunque la pena citare.

I fanatismi sono tutti conseguenza dell'egocentrismo umano e hanno la caratteristica di ridurre tutto il mondo alle poche formule che il fanatico c'ha nella testa sua.

Il "fanatico aziendalista" allora è convinto che la scuola funzionerebbe meglio se funzionasse come un'aula di training aziendale, che la cultura si debba ridurre tutta a un insieme di "skill" e che esistono metodologie per misurare tali skill in maniera oggettiva. Il fanatico aziendalista però dimentica che quello che sta in aula non è un 26enne laureato o un ingegnere, ma un bambino piccolo che ancora deve crescere. Ma questo elemento sta fuori dei suoi schemi. E quindi non esiste.

Poi c'è il fanatico tecnologico, secondo cui la chiave di volta per risolvere tutti i problemi del mondo sta solo nella tecnologia. Non so se ha mai sentito parlare del "Venus Project", per esempio.

Infine il fanatismo informatico, secondo cui tutto è informatica e il mondo andrebbe alla grande se fosse strutturato al modo di un'architettura più o meno complessa di processi software.

Io non se se lei abbia mai sentito parlare degli "evangelist". Si tratta di figure tecniche e aziendali che non si limitano a dire che una determinata soluzione software può risolvere o migliorare i processi aziendali di un certo tipo di cliente. Si tratta altresì di persone che considerano quel determinato software una "cosa sacra", la cui promozione ha lo stile di un vero e proprio proselitismo.

Forse lei, a leggere questo mio post, si starà facendo una risata. E, ad essere sincero, verrebbe voglia di ridere pure a me. Ma le assicuro che questi "evanglist" ci stanno per davvero, e dovrebbe vedere che personaggi!! Dei nevrotici che vivono in un mondo folle e in cui è il narcisismo a farla da padrone.

Io queste persone le ho subite sulla pelle...non molte volte per mia fortuna.

Cordialmente.
Luigi Sammartino.

Unknown ha detto...

Mi permetta solo un appunto.
Oggi siamo abituati ad avere un rapporto molto "cartaceo" con le informazioni, sorrido quando entro in un ufficio e vedo che la prima cosa che fanno quando ricevono una mail è stamparla.
Questo è dovuto in primis all'abitudine oltre che all'assenza (fino a pochi mesi fa) di strumenti tecnologici che possano sostituire la carta, trovo impensabile dover accendere il pc per leggere un libro in relax.
Se al primo problema possiamo porre rimedio solo con la buona volontà, per il secondo sembra che la soluzione stia arrivando. Gli eBook reader con tecnologia e-ink che finalmente stanno invadendo il mercato ci permettono di leggere comodamente qualunque documento senza i difetti del pc (ingombro, affaticamento della vista, legame con il cavo elettrico) e con notevole risparmio in termini di carta, inchiostro, peso.

Detto ciò trovo molto più assurdo pensare che gli "e-libri" verranno stampati piuttosto che letti direttamente.

Grazie
Pietro

Giorgio Israel ha detto...

Tutto quello che lei dice è giusto se riferito a una scelta individuale. Ma immagini che cosa significa determinare uno standard unificato per tutte le scuole... Bisogna scegliere un lettore adatto, perché lai sa meglio di me che i lettori sono diversi e i file non si adattano a tutti. Poi bisogna convincere (imporre?) le famiglie a comprarli. Occorre che i costi siano inferiori alla soluzione cartacea. Risolvere tutto questo a livello globale è semplicemente un compito al di là delle possibilità attuali.
Difatti, è inevitabile che per ora non si possa pensare ad altro che a libri elettronici (pdf) che uno si stampa o si legge come gli pare. Già ora lei saprà, se ha figli, che le ricerche in rete richieste a scuola implicano un enorme dispendio di carta e inchiostro per stampare figure, foto, ecc.
Infine, andiamoci piano con la sostituzione del libro nello studio. Anche io che sono iperinformatizzato se debbo leggere un articolo, un giornale o anche un libro di consultazione posso leggerlo sul computer o su iPad, ma se debbo STUDIARE un libro, non ci penso neppure a lavorare su un ebook. Con tutto il rispetto, è roba da ignoranti, induce una lettura superficiale. Il libro cartaceo resta lo strumento "tecnologicamente" più efficace e funzionale per leggere, rileggere, tornare indietro, sfogliare, mettendo un dito in mezzo, prendere appunti, sottolineare a matita, mettere una freccetta a fianco, ecc. ecc. Il rapporto fisico con il libro è insostituibile.

Andrea Cortis ha detto...

Non sono d'accordo con il Sig. Pietro. Le versioni elettroniche non sono affatto comode da leggere ed affaticano la vista. Io le uso solamente per dare una prima scorsa veloce al materiale, e poi se la cosa mi interessa veramente la stampo per leggerla con calma. In altre parole, la mia lettura sullo schermo e' sempre una lettura "distratta e superficiale".

Ma non e' solamente un mio problema: il fatto dimostrato anche su un gruppo campione di studenti dell'Universita' di Yale (mi pare di ricordare) che hanno rispedito i loro lettori al mittente.

Poi se e' questo che si vuole dai nostri ragazzi, allora ben venga.

Fabio ha detto...

Un buon lettore, con un buon software, può superare i difetti della lettura al monitor (distrazione, affaticamento della vista), e rende possibile anche gli appunti presi a mano.
Ciò non toglie che, quando si studia, funziona come dice il prof. Israel. E con più libri alla volta.

Avendo frequentato ingegneria informatica poi penso tutto il male possibile dell'informatizzazione forzata della scuola.
In primo luogo perché costituisce l'ennesima trovata per spendere soldi e studiare meno le discipline, e in secondo luogo perché il rapporto utente-macchina è giunto ad un tale grado di astrazione e trasparenza che esso finisce per essere fuorviante per chi poi volesse andare a sporcarsi le mani con l'informatica vera.

mike ha detto...

trovo personalmente inutile parlare di "insegnare informatica" nelle scuole senza saperne neanche le basi.

In un paese (o meglio, una civilta' globale) digitale quale siamo diventati oggi la distanza del cittadino dal "mezzo" e' infinitamente aumentata.
nessuno sa cosa sia una motherboard, un hard drive, la ram, una scheda video o audio. cosa sono e come funzionano le periferiche.
e se questo vi sembra troppo,
potremmo parlare di sistemi operativi.
Un cittadino normale non sa installarsi un router, non sa scegliersi un sistema operativo, non sa programmarselo.
non sa nenache che esiste qualcosa oltre windows, e considera i software apple solo come una cosa che e' "figo" avere a casa.
una VERA conoscenza informatica a scuola dovrebbe partire dall'imparare perche' e come ripartirsi il computer in windows+linux. imparare a capire il sistema di dipendenze richieste da fedora o ubuntu, capire i vantaggi (anche economici) di questi sistemi.
imparare a installarsi una versione funzionante di flash e di skype sotto linux, imparare a gestire le periferiche audio-video, rendere i cittadini in pratica capaci di gestire la macchina che li interfaccia col mondo globale, e scegliersi e saper padroneggiare il sistema operativo che meglio gli si confa.
imparare a gestire un firewall, le impostazioni di sicurezza, e via dicendo.
siamo SCHIAVI delle macchine. schiavi dei servizi di assistenza.
schiavi di office quando esiste openoffice o latex

siamo arrivati a un tale grado di ignoranza informatica che per il procuratore nazionale antimafia la liberalizzazione del wi-fi significa piu' difficolta' nel perseguire i reati informatici.
come se i mafiosi andassero nei bar con internet free a fare le transazioni, o i pedofili andassero a cercare, scaricare e guardare filmati proibiti nei luoghi pubblici.
e come se non fosse possibile tracciare un macaddress

Caroli ha detto...

Ancora una volta (come nel post successivo, che avevo letto prima di questo) mi torna in mente Churchill...
E poi, volete mettere i litri di collirio per i danni provocati agli occhi dagli schermi dei computers? Io, che uso il computer per progettare (ahi, Pro/Eng, quanto mal mi hai fatto! Eppure mi dai da mangiare, in combutta col tuo amico AllPLan...) so quello che spendo, annualmente in collirio... E so anche che arriverà il momento in cui questo non servirà più. Nulla, spero di andare in pensione prima.