Sono stati proposti a livello ministeriale due modelli di valutazione da sperimentare in gruppi di scuole per valutare scuole e docenti.
Mi astengo al momento da una analisi specifica di questi modelli, su cui ho le più grandi perplessità: lo farò in altra prossima occasione.
Mi limiterò, per ora, a proporre un documento che presenta una serie di idee e che non è stato degnato di alcuna considerazione.
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Uno dei problemi principali che si pone nel progettare un sistema di valutazione è quello delle fonti da cui deve esso attingere nelle sue varie articolazioni (input) e quello della destinazione e dell’uso del suo lavoro (output). A questo va aggiunto il problema dell’uso degli input, inclusi quelli che il sistema di valutazione costruisce con il suo stesso lavoro. Al riguardo non condivido l’idea diffusa secondo cui «la scelta e la definizione delle prove spetta all’autonomia scientifica dell’Istituto» (in buona sostanza, all’Invalsi). Essa è corretta in termini stretti, ma ritengo che non ci si possa esimere da una definizione precisa dei metodi che debbono essere applicati dall’Istituto (altrettanto dicasi per la componente esterna di valutazione, ovvero per il sistema di ispezione). Altrimenti si rischia di costruire una struttura di cui non è chiara l’utilità e che può benissimo risolversi nella creazione di un gigantesco e dispendioso carrozzone che non assolve alcuna funzione utile nella valutazione del sistema dell’istruzione, acquisendo dati di scarsa utilità, elaborando valutazioni inattendibili e, in fin dei conti, fornendo elementi che rischiano di essere persino fuorvianti.
Un esempio di carattere generale è rappresentato dal dato della dispersione scolastica, degli abbandoni o delle “bocciature”. A mio avviso, tale dato viene usato in alcune procedure di valutazione in modo assolutamente superficiale e poco responsabile, poiché esso non ha soltanto una fortissima dipendenza sociale e territoriale che rende i dati spesso non omogenei e inconfrontabili. Ma, soprattutto, è banale che la consapevolezza di essere valutati mediante il fattore “abbandoni” o “insuccessi scolastici” produca un effetto immediato, che è quello di abbassare l’asticella della valutazione, promuovendo tutti. Ho potuto sperimentare in modo diretto questo effetto all’università, dove l’introduzione del parametro “laurea in tempo” ha immediatamente prodotto un effetto di promozione di massa. Pertanto, trovo necessario che sulla questione delle informazioni di tipo amministrativo si diano indicazioni generali che escludano parametri che interferiscano con la qualità dell’insegnamento.
Vorrei tuttavia soffermarmi su una questione più di merito che riguarda i test, ovvero il tipo di test da usare e i limiti che ci possiamo generalmente attendere da test a risposta chiusa, gli unici che possono essere adatti a una valutazione quantitativa, poiché nel caso di risposte aperte è evidente che la valutazione non può andare oltre la classica scala del voto.
Qui sono costretto a tornare su una questione che ho sollevato più volte, ovvero che non bisogna farsi troppe illusioni circa la possibilità di raggiungere valutazioni “standard”, “oggettive”, “esatte”, basate su “misurazioni di prestazioni qualitative”, ecc. Prego di riflettere sul fatto che non si tratta di una diatriba accademica o ideologica, ma di una questione che ha implicazioni pratiche estremamente concrete, come cercherò di mostrare con qualche esempio. Ritengo che non si possa passare sopra le modalità della valutazione, finendo con l’ignorare che - come dicevo prima - rischiamo di avere in mano risultati privi di qualsiasi utilità.
Uno dei pochi casi in cui si può parlare di una valutazione “oggettiva” e grossolanamente quantificabile delle capacità dell’alunno, è quello dell’ortografia e della grammatica e, entro certi limiti, anche della sintassi. Non appena si va oltre, ovvero sul terreno della capacità espressiva e dello stile, il ventaglio delle capacità si allarga a un punto tale che è difficile costruire una scala di merito esente da giudizi qualitativi con forti componenti soggettive.
Ho raccolto scetticismo riguardo la mia tesi secondo cui anche nel caso della matematica le indicazioni fornite dai test sono estremamente limitate. Voglio motivare con alcuni esempi questa affermazione: le implicazioni sono rilevanti, perché mostrano a cosa possono servire i test.
Chiunque abbia una sufficiente esperienza di insegnamento della matematica sa che la risoluzione corretta di un problema proposto (ottenimento del risultato esatto con procedure corrette) è una componente di base minima nella valutazione. Diciamo che essa rappresenta niente più che la “sufficienza”. Al di là di questo livello minimo, vi sono molti fattori: e, in particolare, la scelta della metodologia più adeguata ed efficace. Questa efficacia è quella che in matematica viene spesso chiamata “eleganza” nella procedura che non è affatto un fattore meramente estetico, bensì espressione delle capacità di uso autonomo e persino originale delle conoscenze acquisite e riflette la creatività e autonomia dello studente (proprio quel livello generalmente incluso nelle “competenze”). Il ventaglio di queste capacità può essere molto ampio. Sarebbe un grave errore ritenere che ciò si manifesti soltanto a livelli superiori. Al contrario, esso si manifesta fin dai primi contatti con l’apprendimento della matematica. Due esempi e alcune osservazioni.
Esempio 1. - Un problema posto a un gruppo di bambini della scuola elementare (quarta): un sommozzatore è sceso 8 metri sott’acqua; scende ancora di 4 metri e poi risale di 9; a quanti metri sott’acqua si trova dopo queste manovre? Un problema del genere può ovviamente essere dato come test a risposta chiusa. La risposta esatta è stata conseguita dalla maggioranza dei bambini con procedure assai diverse: c’è chi ha semplicemente tradotto il problema in somme e sottrazioni; c’è chi addirittura ha ragionato in termini di numeri negativi, avendo evidentemente acquisito tale conoscenza in altra sede; c’è chi ha invece fatto ricorso a una rappresentazione grafica, del tipo ordinata cartesiana, pur non avendone esplicita consapevolezza, il che è ancor più significativo. Tralascio altre soluzioni. In generale, osservo che in molti casi, semplicissimi problemi danno luogo a un numero impressionante di risposte diverse. La valutazione della risposta al problemino precedente in termini di correttezza numerica dice certamente qualcosa circa l’esistenza di conoscenze di base tali da portare alla soluzione esatta, ma poco assai circa le capacità (o “competenze”) nella risoluzione del problema. Personalmente considererei il procedimento migliore quello geometrico-intuitivo perché dimostra capacità autonome e un’inventiva notevole da parte del bambino, e porrei al secondo livello il secondo e all’ultimo il primo. È probabile che altri insegnanti la pensino, legittimamente, in modo diverso. Ma quel che è certo è che una “somministrazione” (come si dice con linguaggio lassativo) del problema sotto forma di test, occulta in modo completo gran parte degli aspetti che vengono fatti rientrare comunemente sotto la voce “competenze”, perché ignora il modo con cui si è giunti al risultato corretto, e produce una valutazione sommaria, elementare e appiattita sulla voce “conoscenze di base” e capacità elementari di applicarle. Potrei produrre molti altri esempi di questo tipo ma mi limito a questo tanto per dare un’idea.
Esempio 2. - Nel corso di una procedura di valutazione sui “fondamenti e didattica della matematica” per un’abilitazione di insegnanti della scuola primaria che, dato il numero molto elevato di concorrenti, si è dovuto svolgere con test a risposta chiusa, si è svolta una approfondita discussione circa le modalità da seguire; discussione che ha visto la partecipazione di docenti universitari specialisti di tecniche docimologiche. Pur ammettendo la necessità inevitabile di ricorrere ai test chiusi, il parere unanime è che essi non potevano fornire altro che indicazioni estremamente rozze e di base tali da non accertare altro che il possesso di conoscenze elementari e di capacità elementari di farne uso, tali da non poter garantire altro che il futuro maestro conoscesse i concetti elementari della matematica e non commettesse errori di ragionamento clamorosi. Un esempio di test del genere: si consideri l’insieme dei numeri pari e l’insieme A dei numeri {1, 2, 3, 4, 5, 6}. Qual è l’intersezione? Risposte possibili: A, 2, {2, 4, 6}, l’insieme vuoto. Lascio a voi giudicare quale livello di conoscenza del sistema dei numeri interi si ricavi da un simile test, salvo la verifica indiretta che il maestro sappia cosa sia un numero pari.
Osservazione. - Nel corso di una discussione approfondita con esperti di valutazione a livello istituzionale si è concordemente ammesso che i test a risposta chiusa in matematica forniscono indicazioni estremamente limitate. Tali indicazioni si riducono, ai vari livelli scolastici, nella rilevazione di un possesso elementare delle nozioni richieste dai “programmi” e da una loro capacità basilare di applicarle. Es: nelle elementari, le tabelline, la conoscenza delle operazioni numeriche e le loro regole fondamentali, la conoscenza di alcune definizioni geometriche, di alcune formule delle aree o dei perimetri, ecc. Ma non riflettono in alcun modo le capacità autonome e quindi quei livelli che sono significativi per individuare una significativa qualità degli apprendimenti. Peraltro, non appena si sale a livelli superiori (licei) un problema matematico può essere risolto in moltissimi modi diversi difficili da collocare in una scala di qualità, se non con un giudizio qualitativo la cui traduzione quantitativa (rozza) non va oltre il voto. È superfluo inoltre dire che, se la valutazione del test può essere standardizzata in modo completo, la scelta dei test contiene un elemento soggettivo fortissimo, come mostra l’esempio 2 (siamo tutti d’accordo che un livello del genere e una simile domanda sia utile a stabilire la adeguatezza a insegnare la matematica nelle primarie?).
Una discussione analoga sul sistema dei test per altre materie molto più “qualitative” mostrerebbe criticità ancor più evidenti.
Tutto ciò per concludere che il sistema dei test non è da proscrivere ma bisogna essere perfettamente consapevoli che esso non può andar oltre il rilevamento di un livello di “literacy” e “numeracy” minimale. Esso può consentirci di verificare se il sistema scolastico forma dei giovani al di sopra di una soglia minima sul piano soprattutto delle “conoscenze”, molto meno sul piano delle “competenze” - adotto questa distinzione che non mi appassiona affatto, e quanto precede può far intuire perché. Sarebbe un grave errore attendersi qualcosa di più.
Nello specifico ritengo che l’Invalsi si sia mosso recentemente in modo accettabilmente “moderato”, utilizzando il sistema dei test cum grano salis. Ho anche apprezzato l’approccio ragionevole dei tecnici che vi lavorano e, in particolare, il non attribuire un valore salvifico e assoluto alle statistiche su un tema così intriso di aspetti soggettivi e qualitativi qual è il sistema dell’istruzione. L’auspicabile potenziamento dell’Invalsi, che può consentirgli di estendere la rilevazione mediante test all’intero sistema, non deve - a mio avviso - modificare la struttura istituzionale e l’approccio metodologico seguito. Anzi, è bene che contenga qualsiasi propensione ad ambizioni totalizzanti.
Se quanto precede è vero nel caso della valutazione degli apprendimenti degli allievi, esso è ancor più vero nel caso della valutazione dei docenti, come già osservato nel contesto dell’Esempio 2. Per quel che riguarda i compiti dell’Invalsi, ritengo che esso debba restare rigorosamente fuori da una valutazione dei docenti, se non, al limite, anche qui con test di base volti a individuare la presenza di elementi di minima decenza. Può fornire invece elementi di valutazione delle scuole nel loro complesso, integrando i test di base (nei limiti anzidetti) con tutte le informazioni provenienti dal livello amministrativo, ma con rigorosa esclusione di parametri fasulli e fuorvianti come abbandoni scolastici. e “insuccessi” formativi.
Da quanto precede deriva una conseguenza concreta: la valutazione dei docenti - elemento di grave criticità e di notevole urgenza, come osservato nel documento - deve essere affidata alle ispezioni. Queste ultime non debbono avere soltanto il compito di valutare il singolo istituto scolastico e il suo dirigente, ma anche i singoli insegnanti.
Anche qui occorre liberarsi di alcune scorciatoie illusorie che possono rendere il sistema di valutazione semplice quanto inefficace e fonte di veri e propri errori. Alludo, in particolare, all’idea circolante di fare degli “utenti” - studenti e famiglie - i principali attori della valutazione della scuola e dei docenti. È, ripeto, una soluzione facile: basta distribuire schede di valutazione. Lo si fa già da tempo in diverse università, per fortuna senza effetti pratici ovvero a scopo puramente sperimentale, con risultati tra l’inquietante e il grottesco; soprattutto se tale sistema viene fatto in regime di anonimato. Non intendo soffermarmi sui numerosissimi esempi negativi che è facile immaginare. Vale qui la considerazione generale che ci troviamo in un contesto che favorisce quella mentalità secondo cui troppi genitori si fanno “sindacalisti” dei figli e hanno come principale intento ottenere il massimo della valutazione in cambio del minimo impegno, costringendo talora a cedimenti i dirigenti scolastici soggetti a maggiori pressioni. Potrei produrre un’ampia documentazione di lettere di insegnanti e anche di dirigenti oppressi da questa situazione. Essa deriva da un’idea banalmente sbagliata e cioè che la scuola sia un’azienda fornitrice di beni e servizi e studenti e famiglia l’utenza. Ma il processo di formazione che la scuola realizza non è né un bene né un servizio che possa essere valutato in termini di “customer satisfaction” come si giudica il barattolo di conserva fornito dal supermercato o la qualità del servizio fornito da uno sportello bancario. Se la conserva è deteriorata è mio diritto chiedere il risarcimento, ma la bocciatura non equivale a una conserva deteriorata: può anzi riflettere un’attività formativa rigorosa e valida.
Pertanto, il sistema migliore di valutazione dell’istituto scolastico e dell’insegnante è quello condotto dai competenti in materia, non da chi può aver interesse a ottimizzare una funzione di utilità che mira a ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Come è stato giustamente osservato da un imprenditore a un recente convegno confindustriale cui sono intervenuto, una buona scuola è quella che stimola il bravo studente a studiare di più e quindi a trovare nel successo motivi per andare avanti e non quella che stabilisce “benchmark” standardizzati e persegue in tal modo l’appiattimento, magari verso il basso, per ottenere il successo formativo garantito. Questa non è una scuola meritocratica e risponde a criteri caratteristici di una società non liberale.
Siamo pertanto ricondotti al sistema delle ispezioni. Da quanto precede, discende anche una risposta alla questione se occorra seguire il modello Ofsted oppure no. Ritengo che il corpo degli ispettori non debba essere un’autorità indipendente a quella maniera, se pure deve godere di caratteristiche di indipendenza indiscusse. Penso che il modello migliore sia quello di un corpo composto da ispettori e dagli stessi insegnanti (beninteso quelli qualificati allo scopo), e da altre eventuali figure come insegnanti pensionati, universitari, ecc. - anche se molte questioni sono aperte e da discutere in dettaglio: come conferire il “patentino”, chi lo deve conferire, come costituire le commissioni d’ispezione, ecc.
Poiché la funzione delle ispezioni deve assolvere proprio a quei compiti non facilmente standardizzabili mediante test, questionari ed altre procedure del genere è bene che essi siano definiti in modo preciso, ma non mediante griglie meccaniche che riproducano surrettiziamente la procedura dei test. È necessario che venga definito in modo preciso e analitico l’insieme di tutti gli aspetti che l’ispezione deve esaminare, che venga fatto un elenco preciso ed analitico delle risposte che essa deve dare, ma non è affatto opportuno che il tipo di risposte sia standardizzato, altrimenti ci priviamo ancora una volta della possibilità di ottenere un giudizio autenticamente di merito. In altri termini, penso ad una relazione dettagliata e “libera” nello stile e nei contenuti, anche se, evidentemente, rispondente a un insieme di quesiti che si ritengono necessari per avere tutti gli elementi che sono stati stabiliti come significativi per una valutazione completa. È esattamente il tipo di procedura che viene seguito, per esempio, da una commissione di valutazione di un’università di tecnologia francese, di cui faccio parte e che ha iniziato i suoi lavori in questi giorni, e non vedo alcun motivo per cui una procedura del genere non possa essere applicata a un istituto scolastico.
Quanto ai destinatari del processo di valutazione - espresso quindi in relazioni d’ispezione dettagliata, prevalentemente verbali e di contenuto - penso che i referenti debbano essere: a) scuole stesse; b) Ministero; c) assessorati regionali. Trovo anche ragionevole l’idea della costituzione di una Direzione generale per la valutazione che però non abbia né composizione meramente burocratico-amministrativa né di “esperti” non meglio qualificati. In un sistema dell’istruzione come il nostro soltanto in questo contesto può prendere forma un sistema di premialità del merito. Tuttavia, anche questo è un aspetto estremamente delicato da approfondire.
Quel che mi sembra fondamentale assumere come punto di vista è che il processo di valutazione deve essere inteso come un processo culturale e non come un processo manageriale. Il secondo prevede la definizione di standard o obbiettivi predeterminati su cui gli “esperti” misurano i comportamenti virtuosi o meno del sistema. È persino da discutere se un processo del genere sia davvero efficiente persino nel caso di un’azienda: anzi, è ben noto che molti esperti del settore lo considerino del tutto inefficiente anche dal punto di vista aziendale, con buona pace degli ex-ingegneri McKinsey. Ma quel che è certo è che esso è totalmente inadeguato in un sistema i cui contenuti sono culturali, non misurabili, non passibili di una definizione oggettiva affidabile alla gestione di “esperti” esterni. D’altra parte, perché sia realmente efficiente, e non una foglia di fico, la valutazione deve investire con la massima energia e il massimo rigore l’intero sistema in un processo di feed-back di giudizi che, a loro volta, rimettano continuamente in discussione i criteri stessi di valutazione e permettano il loro continuo raffinamento. Un processo aperto, dunque, che rivitalizzi l’intero sistema sottraendolo ad ogni forma di gestione burocratica e standardizzata che, in questo specifico contesto, rischia di andare incontro a un rapida sclerotizzazione.
Viene ora la questione del terzo pilastro del sistema di valutazione prospettato in varie proposte, ovvero la formazione in servizio. Su questo per ora non mi soffermo perché mi pare che vi sia già abbastanza carne al fuoco. Come unico elemento generale mi sentirei di sottolineare il principio che, anche in questo caso, è da evitare la concentrazione dell’intero processo nelle mani di un organismo autoreferenziale. Esso dovrebbe avere piuttosto una funzione di coordinamento, questa sì necessaria, dei soggetti inevitabilmente coinvolti nel processo di formazione in servizio e che sono, in primo luogo, il mondo stesso della scuola e l’università. Al riguardo, osservo che il fatto che l’università non si sia comportata bene manifestando scarso interesse per questa tematica, non è un buon motivo per escluderla da una funzione che deve essere inclusa nei suoi compiti istituzionali. L’università è una sede elettiva per contribuire al processo di aggiornamento agli sviluppi più recenti e significativi. Non si vede, del resto, perché il ruolo dell’università debba essere considerato ovvio e scontato sul terreno metodologico - con la partecipazione finora massiccia di pedagogisti e cultori di didattica disciplinare - e debba invece essere esclusa sugli altri piani (con una divisione di piani ancora una volta sbagliata).
A me pare che la funzione di un ente come quello prospettato debba essere soprattutto quella di selezionare e garantire la qualità dei contributi alla formazione in servizio, il loro livello culturale. Non si vede perché debba esistere - com’è giusto - una forma di accreditamento delle commissioni di ispezione, e invece i contributi alla formazione in servizio siano fuori controllo. Posso ben comprendere tutte le legittime diffidenze nei confronti di una gestione statalista. Ma sarebbe bene prendere atto del fatto che la sbilenca autonomia di cui gode la scuola - troppa su certi terreni, nulla su altri - ha già aperto la strada a esperienze di aggiornamento selvagge che esprimono i peggiori difetti di una situazione del tutto fuori controllo. Anche qui non voglio affliggere con esempi, che potrei produrre a iosa. Ma è sufficiente un esame anche superficiale per constatare che molte scuole consigliano assai insistentemente - per la pressione congiunta di alcune associazioni sindacali e professionali - la “consulenza” di certi “esperti” o gruppi di “esperti” che vanno per tutta Italia a tenere corsi di aggiornamento a pagamento. Si da il caso di corsi di aggiornamento di matematica - mi scuso per l’esempio, ma è il campo che conosco meglio - tenuti al costo di 15-20 euro per partecipante e un ciclo di 6-8 lezioni i cui programmi e contenuti costituiscono un autentico scandalo e un contributo massiccio all’opera di degrado culturale della nostra scuola. È evidente che le persone che gestiscono queste iniziative sono anche le più attive nel promuoverle. Riuscire a contenerne gli effetti negativi è estremamente faticoso e difficile.
È quindi necessario che l’autorità prospettata abbia una funzione di coordinamento e accreditamento garantita da commissioni di alta e indiscussa qualità scientifica e culturale, soggette a rinnovamento periodico e che non siano mera espressione di gruppi d’interesse. A mio avviso, il principio che deve essere seguito - e che è costantemente capovolto nella nostra sbilenca autonomia - è: massima libertà metodologica e minima licenza sul piano dei contenuti. Non vedo perché un istituto scolastico non debba poter scegliere liberamente entro la più vasta offerta di contributi all’aggiornamento e formazione in servizio, ispirata alle metodologie e alle impostazioni culturali preferite - e poi sui risultati si valuterà l’opportunità della sua scelta. La condizione minima è che l’“offerta” sia sempre di qualità accertata e indiscussa sul terreno di quei requisiti di serietà, conoscenza che sono richiesti a qualsiasi studente per procedere nei suoi studi o a qualsiasi insegnante per abilitarsi ed esercitare la professione.
33 commenti:
Prof. Israel,
in precedenti commenti, su questo blog, ho espresso le mie riserve sull'utilità dei test che l'Invalsi ha formulato per le prove di italiano agli esami di licenza media. In un mio vecchio blog, ormai da me stesso poco frequentato, avevo analizzato, test alla mano, errori e incongruenze delle domande poste e delle risposte attese; errori e incongruenze relativi sia a quegli aspetti grammaticali, che si tende a considerare obiettivi, anche se non sempre lo sono, sia alle prove di “comprensione del testo”. Ovviamente, quegli errori sono gravi, se da quelli si deve ricavare un quadro del livello di conoscenze degli alunni italiani.
Ma, anche ammesso che un giorno si possa arrivare a formulare test di italiano corretti, in cui gli esperti formulatori non confondano più una “ipotesi” con una dichiarazione dubitativa, o una proposizione “modale” con una “strumentale”, etc., resterebbe il problema della utilità di una verifica basata sulla valutazione delle conoscenze “oggettive”. In questo tipo di valutazione, si dà per scontato il valore assoluto dell'oggettività del sapere, mentre, in sostanza, è funzionale, tuttalpiù, a individuare i livelli di alfabetizzazione. Ma pensano davvero che la scuola sia questo? Una fucina di alfabetizzazione?
Solo dei burocrati possono avere un'idea così astratta della scuola da non tenere in considerazione gli elementi “soggettivi” che sostanziano l'educazione, la formazione: e questi, soggettivi, sono gli elementi che configurano tanto la qualità di un alunno, quanto quella di un insegnante.
Il sapere soggettivo non c'è test con pallini che possa verificarlo. La soggettività, l'interpretazione, vale anche in quegli ambiti che si ritengono oggettivi, come la grammatica. Sapere, ad esempio, che i verbi di genere transitivo hanno forme attive, passive e riflessive e che quelli di genere intransitivo hanno solo forma attiva: questo è un sapere oggettivo, che un test coi pallini può verificare, ma che non ha nessun valore se un alunno non è in grado di spiegarne il perché, logicamente, se non sa interpretare questi dati.
Così, temo fortemente che l'ispettore che dovrà valutare il merito degli insegnanti dovrà trascurare le qualità soggettive che li qualificano e che, pur di far qualcosa di concreto, di oggettivo, andrà a contare i “progetti” a cui l'insegnante ha partecipato, o peggio ancora, a controllare l'ordine in cui ha tenuto il registro personale, con i puntini incasellati. E mi intravedo quasi licenziato.
Invece, nonostante le contraddizioni che in generale potrebbero venir fuori da una simile prassi, mi sentirei più tranquillo se un ispettore si rivolgesse ad alunni, ex alunni e famiglie, per chiedere semplicemente: quanto e come ha influito l'insegnante Tizio sulla formazione dei suoi alunni?
Come lei capirà, sono totalmente d'accordo con lei.
Quella, qui espressa, è una proposta "moderata" da me avanzata per pensare a un sistema di valutazione non basato su test, sulla customer satisfaction, e che concepisca la valutazione come un "processo culturale". È stato cestinato senza neanche discutere e la linea scelta è quella dei due modelli sperimentali di cui avrà letto sui giornali. L'aspetto tragicomico è che "profonde" analisi "tecnico-scientifiche" abbiano partorito questi due topolini deformi.
Pertanto, c'è davvero da preoccuparsi.
Sì, se proprio devo scegliere tra i test e i parametri "oggettivi", eventualmente costituiti dalla paccottiglia di progetti che proliferano nelle scuole, vorrei anche io essere "giudicato" dai miei alunni, dai miei ex alunni e dalle famiglie.
No, io non vorrei essere giudicato né nell'uno né nell'altro modo. Certamente non da famiglie e studenti - customer satisfaction - che mi indurrebbe a promuovere tutti. Le famiglie, nella loro grande maggioranza fanno i sindacalisti dei figli, e gli studenti non sono in grado di giudicare.
Trovo che la proposta Israel meriterebbe un approfondimento ed eventualmente di essere accolta come terza sperimentazione.
Caro Professore,(fermo restando la validità di quanto lei dice sul sistema delle ispezioni) naturalmente per me, questo giudizio dovrebbe provenire prevalentemente da studenti e famiglie ormai fuori dal circuito scolastico, in modo tale da tutelare e garantire la mia libertà di giudizio ma anche la loro ormai inattaccabile serenità.
La mia esperienza mi dice che gli studenti, anche quelli che non ne volevano sapere di studiare e "faticare", una volta usciti dal perimetro della scuola sanno bene chi ha lavorato scrupolosamente per loro e chi no, anche se questo lavoro ha avuto il prezzo di qualche loro bocciatura.
Bene, Prof. Bruschi!
Allora se ne faccia garante, Lei che può più di noi!
Inizierò da una considerazione ovvia, scontata, banale quasi: se c'è tutta questa "notevole urgenza" di valutare gli insegnanti è perchè lo Stato non si fida della nostra formazione e tanto meno di come siamo stati reclutati. E fa bene a non fidarsi. Tralascio le varie sanatorie i doppi o tripli canali con cui sono stati reclutati migliaia di insegnanti, ma anche chi ha ottenuto l'abilitazione per l'insegnamento della matematica nelle scuole primarie dimostrando la propria "profonda conoscenza disciplinare" nel trovare l'intersezione dei numeri pari ecc., non ci si deve meravigliare se poi questi stessi insegnanti pretendono dai loro malcapitati alunni di trovare il perimetro del triangolo conoscendo la base e l'altezza. Voglio, però,essere propositivo e lasciarmi alle spalle "l'ironia della realtà". Sono d'accordo con il Prof. Israel quando fa riferimento al sistema delle ispezioni come via sensata e seria per valutare la scuola e gli insegnanti aggiungendo che il corpo degli ispettori dovrebbe essere composto dagli stessi insegnanti (qualificati allo scopo) dagli ispettori (qualificati allo scopo aggiungo io) e da altre eventuali figure come insegnanti pensionati, universitari ecc. C'è un comune denominatore tra questa proposta e quella formulata dal gruppo di lavoro per la formazione degli insegnanti di cui lo stesso Prof. Israel era presidente. Lì si fa riferimento alla figura professionale dell'insegnante Tutor dei tirocinanti, figura di grande responsabilità, qui all'insegnante "valutatore" figura anch'essa di grande responsabilità. Credo sia giunto il momento di individuare nelle scuole queste figure professionali che vadano ad occupare il deserto che c'è tra gli insegnanti e il Dirigente. Non mi si venga a dire che già esistono queste figure professionali intermedie, identificabili nelle funzioni strumentali al POF, la cui funzione principale è raccogliere e catalogare i progetti nel "progettificio" che è diventato il POF.
Cordialmente Mignucci Ermete
Come puro elemento dialettico, osservo che la possibilità di avvalersi dell'opera di ispettori qualificati (ne ho conosciuti diversi e ne sono rimasto impressionato sul piano culturale), si scontra con il loro numero, ridotto ai minimi termini della pianta organica. Il concorso del 2008 è finito nelle secche italiche dei ricorsi (anche di chi ha ottenuto punteggi ridicoli nell'ennesimo test preselettivo, tanto per restare nella valutazione) e non se ne vede la fine.
Come puro elemento dialettico, osservo che la possibilità di avvalersi dell'opera di ispettori qualificati (ne ho conosciuti diversi e ne sono rimasto impressionato sul piano culturale), si scontra con il loro numero, ridotto ai minimi termini della pianta organica. Il concorso del 2008 è finito nelle secche italiche dei ricorsi (anche di chi ha ottenuto punteggi ridicoli nell'ennesimo test preselettivo, tanto per restare nella valutazione) e non se ne vede la fine.
Non è esattamente così. Non sono d'accordo che la figura del tutor sia professionalizzata. Sono stato e sono contrarissimo alla "professione" del supervisore. Penso che l'insegnante debba restare tale e svolgere temporaneamente la funzione di valutatore, se ha un curriculum adeguato. Poi ritorna a fare l'insegnante. E poi magari di nuovo il valutatore in una commissione. Così come il tutor non deve essere una figura stabile. Il regolamento non consente di essere tutor oltre due anni, prorogabili al massimo di uno. La mania tutta italiana di sedersi su una sedia a vita va combattuta con tutte le forze. Bisogna avere il buon senso di fare nuove esperienze senza che queste si cristallizzino in una professione e in un ruolo (magari con conseguente richiesta di diritti in termini sindacali).
Sulla questione tutor, sono assolutamente d'accordo con il professor Israel. Sono stato supervisore di tirocinio nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria; vi ho trovato colleghe distaccate presso l'Università da un decennio a tempo pieno e nel frattempo avevano perduto ogni contatto con il mondo vivo della scuola, ormai convinte che il loro ruolo non fosse più tra gli insegnanti di scuola primaria ma all'interno di una nuova professionalità più legata all'università che alla scuola (una volta una di esse ha dichiarato di sentirsi "maestra delle maestre", per chiarire la percezione professionale). Una situazione di tutoraggio come quelle del tirocinio o nel campo della valutazione deve essere temporanea e consentire lo scambio di esperienza/e tra colleghi esperti e colleghi che lo sono meno ma senza creare altre "caste" (tipo "il giudice dei maestri", per parafrasare la gentile collega).
Saluti, Manganaro
Condivido molte delle considerazioni di questo articolo (magari farei qualche maggiore puntualizzazione sul potere descrittorio di test a risposta chiusa, ma non è questo il punto). Quel che mi preme affermare è che, al di là dei dettagli, condivido profondamente lo spirito di questo scritto. In particolare:
- Laddove si parla di valutazione come "processo culturale" e non "manageriale". Io direi "culturale" e non "tecnicistico", nel senso che non è materia che può essere demandata acriticamente alla sfera di una supposta "neutralità tecnica", lasciata alla figura dell'"esperto" (vieterei questo vocabolo in qualsiasi documento ufficiale). Al contrario, è un processo di cui la scuola nel suo insieme e gli insegnanti stessi debbono riappropriarsi ed essere protagonisti attivi e non solo “oggetto di”. L'illusione di una sorta di entità "oracolare" che unilateralmente emette valutazioni circa processi di insegnamento e risultati di apprendimento non porta molto lontano, non genera alcun circolo virtuoso, ma, al più, adeguamento, addestramento, conformismo.
- Condivido profondamente l'idea delle ispezioni periodiche a carattere valutativo e anche formativo e di supporto (con eventuali equipe di ausilio e iniziative ad hoc laddove ne emerga la necessità). Attualmente, l'ispezione avviene solo in presenza di fatti patologici ed ha un carattere quasi totalmente formale-amministrativo (oltre che, invariabilmente, minaccioso). Occorre tutt'altro genere di ispezione: un'ispezione periodica, non necessariamente ostile, che prima di tutto si proponga come strumento di indagine e di avvio di un possibile supporto, che stabilisca interlocutori autorevoli e delle reti di riferimento per le scuole stesse nel processo educativo. Uno dei problemi gravi dell'autonomia è l'isolamento autoreferenziale al quale le scuole sono di fatto condannate, al di là del frastuono di progetti e progettini vari: anche quelle che necessiterebbero e magari desidererebbero un supporto attivo non ne trovano alcuno nelle istituzioni. La valutazione "oracolare" emessa dell'entità lontana può essere alquanto sterile, se non affiancata da elementi sostanziali e approfonditi da osservarsi direttamente sul terreno concreto. Essa può fornire alle scuole alcuni dati comparativi di massima, che possono avere una loro utilità se letti con senso critico; ma nulla più. Servono altri docenti, in carne e ossa, che stabiliscano una relazione reale con gli insegnanti e con gli alunni (e, nei modi giusti, magari anche con le famiglie), e che si assumano la responsabilità di formulare qualificate e motivate opinioni.
Paolo Francini
Condivido in toto questo commento
Condivido poi che il processo di valutazione debba riconnettersi alla formazione in servizio, uno dei settori più lasciati all'incuria della nostra scuola, dove è proliferato un po' di tutto. Oltre ad ispettori veri e propri (la cui figura sarebbe da ridefinire, o almeno riportare a quella prevista dai decreti delegati del '74, impantanata nella palude burocratica), delle equipe ispettive dovrebbe far parte anche un numero congruo di docenti in servizio nelle scuole, scelti tra i più qualificati, che potrebbero godere di esonero parziale dall'insegnamento. Andrebbero selezionati unicamente per concorso relativo ai contenuti delle discipline d'insegnamento. E non con l'esibizione dei soliti curriculum vitae che premiano chi affastella le più svariate esperienze, corsi, certificati e "progetti" vari, senza mai alcuna reale valutazione di preparazione culturale e scientifica (ciò che ha condotto alla degenerazione di una sorta di filiera produttiva dei CV che si alimenta su se stessa, con scarsissimi effetti virtuosi). Questi concorsi selezionerebbero per merito (in senso plausibile) delle nuove figure di sistema, a metà strada tra l'insegnante e l'ispettore: dei "docenti con funzioni di valutazione, supporto e formazione in servizio" che potrebbero costituire, finalmente, una forma intelligente di sviluppo professionale per gli insegnanti. Non appuntando medaglie o attraverso miracolose pagelline, sondaggi di gradimento, raccolte punti al mercato dei CV. Ma tramite la qualificazione scientifica e culturale, creando credibili e autorevoli figure di sistema che possano essere utili al sistema: i docenti “migliori” per il miglioramento del sistema stesso. In questo modo, la materia dell'ispezione, valutazione, supporto dei processi educativi si riconnetterebbe alla materia della formazione in servizio e allo sviluppo professionale, generando appunto un "processo aperto" e dinamico, vivo (al contrario della valutazione intesa nella mera accezione "premio/punizione"), da tenere al riparo da sclerotizzazioni burocratiche. Così come la buona scuola è quella che "stimola il bravo studente a studiare di più", ciò avrebbe appunto l'effetto di incoraggiare i bravi insegnanti a "studiare di più". Con effetto retroattivo di innalzamento tendenziale nel livello di quella che, a livello macroscopico, è l'unica variabile che conta veramente: la preparazione scientifica e culturale dei docenti.
Infine, sarei anche d'accordo sull'idea di una "Direzione Generale per la valutazione", che non imbocchi l'usuale china burocratico-amministrativa. A dire il vero, sono persuaso che tutta quanta la fisionomia dell'amministrazione scolastica sarebbe da ridefinire, quasi per intero, essendo al momento strutturalmente inadeguata al governo di un sistema di scuole che dovrebbe essere caratterizzato da dinamismo, varietà, unitarietà di fondo. Questo dovrebbero reclamare con forza anche gli insegnanti. Una decisa riappropriazione delle figure di direzione del sistema che dovrebbero, almeno in larga misura, provenire dal mondo dell'insegnamento, sottraendo terreno all'attuale supremazia giuridico-normativa (che si traduce in una “governance” di tenore invariabilmente formalistico). Gli esperti in materia giuridica dovrebbero per lo più essere dei funzionari tecnici a disposizione dei dirigenti (in larga misura provenienti dalla docenza), senza in linea di massima essere loro stessi preposti alla dirigenza. Per operare questo vero e proprio capovolgimento servirebbe però una profonda modificazione sul piano normativo, dell'inquadramento contrattuale, delle prove concorsuali stabilite per la dirigenza dell'amministrazione. Ciò non sarebbe di per sé impossibile, ma non può scaturire spontaneamente dalle esistenti gerarchie. Servirebbe una forte e determinata richiesta degli insegnanti stessi a riappropriarsi di un ruolo che sia attivo a tutto tondo.
Cordialità,
Paolo Francini
Professore, insegno in un liceo scientifico e non credo che gli studenti non siano in grado di giudicare i propri insegnanti; essi sanno invece valutare benissimo chi lavora con impegno e competenza e chi scansa la fatica. Per eliminare eventuali animosità e ripicche, si potrebbe ricorrere ai giudizi degli ex alunni, che si sono già inseriti nei successivi ordini di studi e che possono meglio valutare il lavoro fatto dai loro passati prof e il livello di preparazione ottenuto.
Sui contenuti no. Quando ero studente non ero in grado di valutare cosa fosse davvero importante apprendere e cosa no.
Sugli aspetti "impegno" e "competenza", le do ragione. Ma non appena si passa alla valutazione scritta con questionari, e magari anonima, inizia il disastro. All'università - dove esistono le schede di valutazione anonima - sistematicamente qualche imbecille o nullafacente scrive che il docente non viene quasi mai. È quel 10% circa di nullafacenti che trova finalmente il modo di vendicarsi. Ma la presenza o assenza è un fatto oggettivo e deve essere il superiore a verificarla. È soltanto un esempio. Ne potrei fare molti altri.
nelle valutazioni anonime, oltre a quelli in cattiva fede c'è anche una notevole percentuale di spiritosoni, che non contribuiscono certo alla validità e alla sensatezza del metodo.
Sui contenuti no, sono d'accordo. Esistono schede per la valutazione, all'Università? Ai miei tempi non c'erano, peccato. Ad ogni modo, non capisco perché debbano per forza essere anonime, dopo che lo studente ha terminato il suo corso di studi.
Eccome se esistono. Nella mia università gli studenti compilano una scheda di valutazione di ogni corso verso la fine del medesimo (e non alla fine del corso di studi!!) e prima di aver fatto l'esame. E la compilano in modo anonimo. È un autentica buffonata. E gli studenti sono i primi a essere stufi di questo rito servile. Salvo i peggiori, che godono finalmente di potersi vendicare di un docente che non gli sta simpatico. È già un miracolo che non scrivano nelle note che hai molestato qualche studentessa. Faccio sempre conto di un 5% per cento che barra la casella secondo cui non faccio MAI lezione. Tanto a raccontare balle non si paga pegno.
Sono ansioso di sentire cosa verrà detto da Lei e colleghi nel prossimo incontro di Padova dedicato all'argomento. Potrebbe gentilmente dirci qual è il luogo esatto del convegno e se è aperto a tutti? Grazie.
Leggendo i post che appaiono sul suo Blog, caro professore,il clima e l' ambiente dell'Università che ne emerge, è del tutto diverso da quello dei miei ricordi. Mi consolo della mia vecchiaia, cioè della mia anagrafe,e mi si allevia la nostalgia dei miei tempi, quando i professori erano amati o temuti, ma sempre rispettati.
A Myosotis. Certo, che è aperto. Ora metto l'indirizzo.
Chiedo venia: cosa sono le "domande aperte" e le "domande chiuse" cui si fa riferimento nel post?
Lucio Demeio.
Le domande chiuse sono i quiz a crocetta, le domande aperte sono quelle in cui si risponde liberamente.
Caro pensierini, son d'accordo con lei, gli studenti sono in grado di giudicare gli insegnanti, è quel che fanno tutti i giorni per anni, e i loro professori sono fonte continua di discussione e confronto.
Sull'argomento poi sono estremista: penso anche che siano gli UNICI a sapere davvero quanto vale il loro insegnante...perchè solo chi assiste alle lezioni può dare un giudizio che tiene conto di tutte le diverse qualità che un docente dovrebbe avere: competenza, ma anche entusiasmo per la materia , capacità di interessare e motivare i ragazzi, di mantenere la disciplina, di essere giusti ed equilibrati nelle valutazioni, per dire solo le più importanti.
Solo che non c’è barba di ispezione che possa accertarle.
Come utilizzare la conoscenza che hanno i ragazzi ai fini della valutazione del merito di un docente è certamente un problema, alcune obiezioni del prof. Israel sono fondate, eppure penso si debba trovare un modo per tenerne conto.
Mi spiace che la proposta da lei presentata sia rimasta in ombra; gli esempi da lei addotti circa l'importanza di valutare la procedura, attraverso cui si risolve anche un semplice problema, riguardano anche altre discipline; il pensiero corre subito alla traduzione dalle lingue antiche. Due alunni X e Y, di fronte a una medesima frase da tradurre, possono conseguire lo stesso risultato in termini di resa del pensiero, ma nessuno ci assicura che la procedura seguita sia la stessa in entrambi i casi. Esistono variabili individuali che il docente deve essere in grado di intercettare;a corredo di una traduzione significativa nella lingua d'arrivo si collocano delle procedure metalinguistiche che l'allievo deve aver seguito. Se così non fosse, ci si ritroverebbe su un'altalena di voti costruita dal fortuito.
Di sicuro non possono svolgere tale funzione i quiz a crocetta.
Ha tempo di fare un salto sul mio blog? Ci sono tanti commenti, vorrei anche un suo parere su molti di loro. Se ha tempo e voglia, s'intende.
Concordo solo in parte con Nautilus: non tutti gli studenti assistono alle lezioni, alcuni si limitano alla presenza fisica; certo sarebbe bene trovare un modo per utilizzare cio` che alcuni studenti sanno degli insegnanti ai fini della valutazione. Io una ideuzza ce l'avrei: diamo diritto di voto solo agli studenti con la media superiore a otto. Sono i soli veramente in grado di valutare la competenza degli insegnanti (gli altri non sanno cogliere la differenza tra un insegnante che sbaglia qualche segno nei calcoli alla lavagna e un insegnante che commette errori concettuali nelle spiegazioni, anche perche' vedono solo gli errori di segno); sono i soli che, in linea di massima, possono giudicare serenamente, non avendo vendette da porre in atto; sono i soli che possono valutare la capacità di un insegnante di "stimolare il bravo studente a studiare di più". Inoltre sarebbe un altro modo per promuovere una cultura del merito (degli studenti in questo caso). Il diritto di valutare un insegnante te lo devi meritare, non ti deve essere garantito solo perché respiri e magari non hai mai ascoltato un parola detta dall'insegnante che stai valutando.
Naturalmente non oserei fare questa proposta al di fuori di questo blog: mi immagino orde di pedagogisti inferociti...suppongo che si arriverebbe, da più parti, alla conclusione che solo gli studenti peggiori devono valutare gli insegnanti, in quanto sarebbe sulla capacità di far presa su questi ultimi che andrebbero misurate le capacità degli insegnanti, e via sproloquiando... Saluti.
Eliana Vianello
Invece deve avere il coraggio di osare, perché il peggiore errore è di farsi intimidire da questa gente.
Ch.mo Professor Israel, ho accolto con un certo stupore la notizia che il Ministro Gelmini ha pensato di premiare gli insegnanti meritevoli, tenendo conto dei risultati degli alunni e del gradimento dei genitori. È vero che si devono considerare soprattutto i risultati nell’attività dell’insegnamento, ma essi sono il frutto non solo dell’impegno e della creatività dell’insegnante, ma anche degli alunni e vi si intersecano molteplici variabili; si ripresenterebbe, inoltre, la situazione delle vecchie scuole sussidiate di campagna, dove gli insegnanti venivano retribuiti secondo il numero dei promossi! Dubito che anche l’altro aspetto di questo modello di valutazione sia frutto di un’ intuizione brillante: il merito legato al giudizio dei genitori; non credo che sia loro compito esprimere un parere sugli insegnanti, né sul loro metodo, né sulla valutazione, semplicemente perché non ne sono competenti. È giusto che si premino gli insegnanti più laboriosi, ma si dovrà trovare un sistema più attendibile, che consideri, per esempio l’impegno nella ricerca di un metodo sempre più consono alla personalità del giovane che cambia, senza però rinunciare ai valori più importanti e agli apprendimenti essenziali per procedere verso una vera e corretta conoscenza. Spero anche che il “premio” non sia mai direttamente proporzionale al numero delle adesioni ai progetti!
Sono d’accordo con Lei sulla massima libertà metodologica e minima licenza sul piano dei contenuti per quanto riguarda l’aggiornamento e la formazione, che rispecchia la libertà di metodo nell’insegnamento e qui vorrei manifestare il mio disappunto nel caso che un Dirigente Scolastico giudicasse il merito di un docente, riferendosi proprio sul metodo che adotta; ma, talvolta, non è solo una supposizione.
Ma io sono assolutamente contrario a entrambi i modelli e per le ragioni che lei dice, oltre che per altre ragioni. Non si è capito da questo rapporto? In futuro cercherò di essere ancora più chiaro.
Mi scuso per avere causato equivoco. Volevo semplicemente dire la mia idea.
La ringrazio per avere ospitato sempre i miei commenti, non importa per questo.
La saluto distintamente.
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