Secondo Cartesio la matematica è la scienza «più facile e necessaria di tutte» perché «forma e prepara gli intelletti a comprendere altre scienze più elevate». Immagino l’ilarità che può suscitare l’affermazione secondo cui la matematica è facile… Ma Cartesio aveva ragione. Egli osservava che tutte le difficoltà che la matematica racchiude si trovano nelle altre scienze, mentre queste comportano «molte altre difficoltà che provengono dai loro oggetti particolari e che essa di per sé non possiede». La fisica, la biologia, l’economia, le scienze sociali, sono scienze di difficoltà crescente perché riguardano aspetti della realtà sempre più complessi, resistenti a ogni tentativo di semplificazione e la cui struttura non è riducibile a schemi di natura puramente logica. La scienza in cui la matematica ha avuto più successo è stata la fisica. Non a caso, qui è nata l’idea che la realtà fisica sia semplice e descrivibile in modo semplice mediante leggi espresse in forma matematica. Non deve quindi stupire che questo successo sia divenuto un modello da seguire: visto che la matematica ha dato risultati così brillanti in fisica, perché non ripetere l’operazione nelle altre branche della conoscenza, dalle scienze della vita a quelle umane? È una storia iniziata quasi tre secoli fa e di cui vediamo gli sviluppi ancor oggi nella tendenza fortissima a introdurre metodi quantitativi-matematici in ogni ambito.
Il guaio è che l’efficacia dei metodi quantitativi non è scontata a priori. In fisica ha funzionato egregiamente, anche se oggi si ammette che anche i fenomeni fisici sono più complessi di quanto pensava Galileo secondo cui la natura è essenzialmente “semplice”. Ma quando si va oltre, i problemi diventano immensi. Ad esempio, sono chiaramente definibili le unità di misura delle grandezze fisiche (lunghezza, peso, ecc.), ma come definire le unità di misura di di nozioni come “gusto”, “propensione”, “interesse”, “concorrenza”, “competenza”, “socialità”, “benessere”? In realtà, è impossibile, e questo gli scienziati fisico-matematici lo sanno bene. Ma la legione degli specialisti della trattazione quantitativa di qualsiasi cosa al mondo si espande, assolutamente noncurante delle difficoltà teoriche, a costo di costruire sulla sabbia.
Nella crisi finanziaria che stiamo vivendo ha avuto non poche responsabilità l’uso spregiudicato di una certa modellistica matematica. Nonostante la letteratura sul “malessere” scientifico ed etico provocato da questi sviluppi cresca ogni giorno, si fa finta di non vederla. Così come si fa finta di non vedere le critiche crescenti all’uso spregiudicato e agli effetti disastrosi delle “misurazioni” dei processi di conoscenza. Le cronache raccontano dell’introduzione crescente di metodi di analisi ergonomica – come l’Ergo-UAS Universal Analyzing System) – per misurare il carico “biomeccanico” del lavoro operaio, pesando ogni azione del corpo, persino la torsione del polso nell’avvitamento dei bulloni, per determinare tempi ottimali di produzione. In verità, questi metodi più che rispondere a criteri di efficienza, servono a evitare cause per malattie professionali, come la misurazione delle “competenze” serve a dare copertura “scientifica” ai licenziamenti della manodopera in eccesso. Il problema è che qui non si tratta di “gestire” una macchina, bensì esseri umani: questo non inficia solo la scientificità di questi metodi (rivelatisi fallimentari da Taylor in poi) ma pone problemi morali enormi. Una società che non abbia al centro l’uomo, bensì il benessere dei “parametri”, non soltanto è inaccettabile e risveglia sogni di tipo comunista, ma alla lunga è anche inefficiente, al pari del comunismo.