Tornano gli esami di maturità e torna l’annosa e irrisolta
questione: la disparità di giudizi che rende inconfrontabili i titoli ottenuti.
I singoli insegnanti, le singole scuole danno degli alunni valutazioni diverse
(di maggiore o minore manica larga), il che incide sul voto di maturità, il
quale incide sulla scelta del percorso universitario, il quale è, a sua volta,
caratterizzato da larghe disparità di valutazione, per cui i titoli con cui il
giovane si presenta sul mercato del lavoro non sono equivalenti, e spesso non
riflettono le sue effettive capacità.
Due sono le vie per risolvere questo problema. La prima è di
rinunciare al tentativo ambizioso e complesso di affrontarlo a monte e lasciare
la soluzione al mercato, in funzione della credibilità dell’istituzione che ha
conferito il titolo di studio, eventualmente certificata da una valutazione di sistema.
Questa via ha senso soltanto se si abolisce il valore legale del titolo di
studio. È quasi superfluo dire che questo è possibile, ma vanno sottolineate le
difficoltà e le implicazioni di una simile scelta. In primo luogo – come è
stato segnalato da chi conosce gli aspetti giuridici della materia – non esiste
uno specifico articolo di legge da sopprimere per conseguire d’un tratto
l’abolizione del valore legale: esso è talmente incastrato in ogni piega nella
legislazione che, per sradicarlo, occorre intraprendere un’azione complessa,
ramificata e delicata che, se non condotta in modo perfetto può sollevare
problemi (e contenziosi) che rischiano di far impallidire la vicenda degli
esodati. Inoltre, si dimentica che la normativa europea – non è curioso che si
evochi lo slogan “l’Europa lo chiede” soltanto quando fa comodo? – stabilisce
precisi requisiti per la circolazione del lavoro, per cui l’abolizione del
valore legale dei titoli di studio aprirebbe problemi a non finire anche sul
fronte comunitario.
Per queste ragioni è sorprendente che un governo tecnico,
anziché affrontare la questione sul piano a lui più congeniale, l’abbia
“scaricata” sul terreno di un sondaggio “popolare” con il quale la prospettiva
dell’abolizione è stata affondata in termini emotivi anziché razionali.
Resta l’altra via: “forzare” le istituzioni educative a
emettere giudizi basati su criteri quanto più possibile omogenei e
confrontabili. Questo approccio conduce alla tematica di moda della cosiddetta valutazione
“oggettiva”, ossia di una valutazione indipendente dalle idiosincrasie
soggettive dell’insegnante, dei consigli di classe, delle politiche di questa o
quella scuola o università. Purtroppo, le questioni complesse non possono
essere risolte in modo semplice e tutte le tecniche di valutazione “oggettiva”
manifestano inconvenienti spesso più gravi dei mali che vogliono curare. Il
primo degli inconvenienti è conseguenza del modo più banale di risolvere il
problema: sostituire alla soggettività del docente e dell’istituto un giudizio
basato su parametri “impersonali”, di carattere quantitativo. Il guaio è che
tutti i parametri finora escogitati hanno rivelato difetti clamorosi. Per
esempio, giudicare un istituto dal numero di abbandoni scolastici o di
“successi formativi” significa suggerire un percorso poco corretto con cui si
soddisfa il parametro in barba alla realtà: promuovere tutti o comunque essere
più corrivi. Sono soluzioni che ricadono nella situazione descritta dalla
famosa legge di Campbell: «quanto più un indicatore sociale viene usato per
prendere decisioni, tanto più sarà soggetto a pressioni corruttive e sarà atto
a distorcere e corrompere i processi sociali che dovrebbe valutare»; o
l’equivalente legge di Goodhart: «se un indicatore sociale o economico viene
scelto come obbiettivo di una condotta sociale o economica, esso perderà il
contenuto d’informazione che dovrebbe qualificare il suo ruolo».
Inoltre, la pretesa che esistano procedure di valutazione
esenti da fattori soggettivi è poco scientifica e priva di fondamento. Quale
che sia il meccanismo usato esso sarà inevitabilmente frutto di operazioni
umane (per lo più la proposizione di test) in cui intervengono dei soggetti con
le loro idiosincrasie, le loro scelte e le loro opinioni opinabili. Lo si vede
bene nelle discussioni in corso sulla valutazione della ricerca universitaria,
per esempio quando si dibatte sull’attendibilità della classifica di qualità
delle riviste scientifiche, e si mette così ironicamente in luce che il
tribunale finale del valore di certi parametri “oggettivi” è il giudizio della
comunità scientifica. È bene, al riguardo, tenersi alla larga dall’ossessione
dell’oggettività che, pretendendo di risolvere in modo meccanicistico ciò che
non vi si presta e imitando ingenuamente i metodi delle scienze “esatte”, di
fronte agli insuccessi finisce col produrre esiti tragicomici. Ne è un esempio
la proposta di Bill Gates, che si è gettato a corpo morto investendo più di
trecento milioni di dollari per migliorare la qualità dell’insegnamento
mediante criteri di valutazione “oggettiva” degli insegnanti: introdurre un
braccialetto elettronico al polso degli studenti per misurare la loro “risposta
galvanica epidermica” e con essa il grado di attenzione suscitato
dall’insegnante, e in tal modo valutarlo. A tanto si può arrivare, persino
nella patria delle libertà individuali.
Infine, questa via “oggettivista” rischia di gettare via
l’aspetto qualitativo più importante dell’istruzione: la figura
dell’insegnante, ridotto a un passacarte di istruzioni che vengono dall’alto,
soggetto a valutazioni di organi che si pretende essere “indipendenti” e
deprivato anche della facoltà di valutare gli studenti. E rischia di
dimenticare che un buon insegnamento si fonda soltanto sulla base di un
profondo e valido rapporto tra “persone”.
Tutto questo significa che non si può far nulla? Certamente
no. Purché si parta dal principio che le questioni semplici non si risolvono
con fallaci tagli gordiani. La soggettività è una componente ineliminabile –
diciamo pure strutturale – nel sistema dell’istruzione e della sua funzione
centrale, la valutazione. Occorre puntare, più che a un’irrealizzabile
oggettività assoluta, a creare le condizioni per rompere le barriere e i
meccanismi di isolamento che impediscono lo sviluppo di un sistema basato su
procedimenti quanto più possibile omogenei
ed equanimi. Il sistema per farlo –
l’abbiamo già ricordato – non è nuovo, anche se deve essere ripensato e
adattato alla natura del sistema attuale dell’istruzione: è quello delle
ispezioni. Non si può più pensare a un meccanismo di ispezione ottocentesco
condotto in modo centralistico da un corpo ministeriale: occorre qualcosa di
più vasto e articolato che coinvolga l’intero corpo docente e altre componenti
(ispettori ministeriali, insegnanti in pensione, le università) in un processo
interattivo che generi una situazione di confronto trasparente. Esso può
sgretolare le sacche di incompetenza e di comportamenti poco rigorosi mettendo
a confronto realtà diverse e costringendole a interagire con le realtà migliori
affinché queste riescano a far prevalere il loro modello. È un meccanismo che
richiede impegno per essere messo in opera, e che non può produrre frutti prima
di un tempo non breve. Prima ci si accingerà a metterlo in opera e meno lunghi
saranno i tempi per ottenere un miglioramento effettivo e profondo, lasciando
perdere le scorciatoie di un illusorio managerialismo che può soltanto
ammazzare il malato più che la malattia.
(Il Messaggero, 16 giugno 2012)
13 commenti:
Bell'articolo professore, con un'analisi lucida del problema, per quanto lo possa permettere la dimensione giornalistica. Ma non crede che in un paese come l'Italia il sistema delle ispezioni risulti troppo suscettibile di corruzione e di intrighi? Si ripeterebbe - mutatis mutandis - la situazione della valutazione dei PRIN: ciascun proponente si muove e si dimena per scoprire che saranno (o sono) i suoi valutatori e cerca di … sappiamo il resto. Credo che la via maestra sia la prima da lei indicata, quella dell'abolizione del valore legale del titolo di studio. Capisco che non è semplicissima da attuare, ma non dovrebbe essere così proibitiva se ci fosse la volontà di farlo.
Cordialmente,
Lucio Demeio.
Il problema è che l'abolizione non è poco semplice, è di una difficoltà proibitiva,: così mi è stato detto da chi se ne intende, io non ne capisco nulla... Inoltre, ricordi che il governo è ricorso al sondaggio popolare perché in consiglio dei ministri alcuni (in particolare il ministro della giustizia) hanno posto un veto, sia per le ragioni precedenti, sia perchè sarebbe contro la normativa europea. Avremmo dei problemi gravi con Bruxelles e il valore legale c'è quasi dappertutto in Europa!...
E chi dice che anche per quella via non si pongano problemi deontologici? L'abolizione del valore legale non avrebbe senso senza una rigorosa valutazione: e su questo terreno si possono fare le cose più efferate. A mio avviso non se ne esce: o si fa una battaglia di educazione alla legalità, alla correttezza, ecc. scontando anni per vincerla, oppure non vi sono scorciatoie. Ma per questa battaglia ci vogliono governanti adatti: né persone che mettono l'etica sotto i piedi, né tecnocrati senz'anima che non sono capaci di dare una prospettiva alla gente.
Santo Cielo, quella del braccialetto non la sapevo! o.O
La mia impressione è che certe persone, per quanto intelligenti, abbiano avuto così tanto successo coi computer da dimenticare che gli esseri umani funzionano diversamente...
Per il resto, complimenti per l'articolo! Altro che premi allo studente dell'anno!
Alla faccia dell'oggettività: i test INVALSI "proposti" agli esami di licenza della scuola secondaria di 1° grado (scuola media) quest'anno sono risultati difficili al punto (per fortuna non avevo la terza) che forse in tutta la mia scuola non si riuscirà a dare un 10 e i colleghi si stanno dannando per parare il colpo, aumentando (che altro si può fare?) i voti negli scritti delle discipline.
Infatti il voto finale viene determinato rigidamente dalla media matematica del voto di ammissione e dei voti ottenuti nelle singole prove, Invalsi conpresa. Se al momento degli scrutini di ammissione all'esame i voti nelle singole discipline e del comportamento non sono tutti 10 o molto vicini al 10 e non si attrbuisce 10 come voto di ammissione, dopo non ci sono quasi più margini di discrezionalità che permettano di correggere il tiro (e chi fa parte di un consiglio di classe sa a quali sottili alchimie e a quanta diplomazia, veti incrociati, ricatti più o meno espliciti si debba ricorrere per armonizzare dei risultati che altrimenti denoterebbero la schizofrenia del corpo docente, la sua umoralità e a volte la sua inadeguatezza). Figuriamoci se poi un test INVALSI, inopinatamente, attribuisce un 6 o un 7 a un potenziale candidato al 10. Mi dicevano le colleghe che stanno facendo gli esami, che alunni che aspiravano all'8 hanno avuto 5 nella prova Invalsi di Italiano. Capirei se il metro usato fosse sempre lo stesso. Vorrebbe semplicemente dire che noi siamo stati di manica troppo larga, ma all'esame dello scorso anno, nella mia classe e in generale nella mia scuola, le valutazioni di Italiano e Matematica e i risultati del test INVALSI risultarono perfettamente allineati.
Mi domando allora con quali criteri vengano "pesati" i test e che valore abbia una unità di misura così incerta da variare da un anno all'alro per valutare il sistema dell'istruzione.
Sarà una grande delusione per gli alunni e per i loro genitori e ciò non migliorerà certo il loro rapporto con la scuola.
Concordo sulla sua idea di valutazione basata su un sistema ispettivo moderno. Purtroppo in questo nostro amato paese si è andata diffondendo da troppi decenni una filosofia basata sull'egualitarismo e l'individualismo che rifiuta la valutazione come il diavolo l'acqua santa.
Mio padre ha fatto le superiori negli anni 60 e mi racconta che il preside senza preavviso entrava in classe e faceva delle domande agli studenti per testare la loro preparazione...
l'anno scorso la prova invalsi all'esame di terza media tirò su i voti in modo pazzesco. gente che non sapeva niente (e che aveva fatto moltissimi errori nella prova), si ritrovò con voti alti, ben più che negli scritti.
quest'anno è stato il contrario, un'ecatombe. a parte le solite domande opinabili e ambigue con risposte opinabili e ambigue (e già questo è un bel problema), la prova di italiano era lunga e difficile. di matematica non posso dire niente. fatto sta che i punteggi sono risultati molto bassi in entrambe le materie.
è poi possibile che i problemi non riguardino solo la prova, ma anche la griglia di attribuzione dei punteggi.
La gioventù diventa sempre più bella al passar del tempo.
Vero verissimo, egregio Pippo Pippa 6/20/2012 12:06:00 PM; lei sollecita i miei ricordi remoti, e io cedo: questo succedeva anche nei miei anni 60. E nei miei anni 50 capitavano misteriosi ispettori alle elementari.
Non credo che il Preside desse preavvisi e quali desse (a proposito delle domande che avrebbe fatto?); certamente domandava il permesso di accedere in classe.
Diversi miei insegnanti - quelli di tedesco, di matematica, di filosofia sicuramente - davano l'impressione, seppur con l'educazione e il rispetto dovuti, di essere nella posizione del comandante sulla nave, riguardo al permesso da concedere, come se il placet all'ingresso in aula fosse una loro precisa facoltà.
E il Preside in un paio di occasioni - e non c'era compito in classe - fu “pregato” di ripassare un'altra mattina, per non interrompere o non alterare un momento deteriorabile, dico io (potrei azzardare: per questioni legate alla cenestesi giovanile).
Ottenuto il benestare all'ingresso, il Preside ascoltava semplicemente oppure faceva domande al “personale discente” - limitandosi, poiché non era un coglione, all'ambito delle sue conoscenze, lettere e filosofia - e si inseriva magari più o meno brevemente nella lezione. Dico che fra il “personale docente” della mia classe c'era più di un tipaccio, sia di un sesso sia dell'altro (e alla mia età non posso che dirlo con rispetto e riconoscenza).
Regolare e scontato il velo di tachicardica emozione che avvolgeva noi studenti, ma non abbiamo mai captato alcunchè di minaccioso o vessatorio nei confronti di alcuno.
Non si possono "valutare" gli alunni senza avere loro prima insegnato; ecco soprattutto perché le prove INVALSI non sono, secondo me, idonee alla valutazione dei nostri ragazzi. Tuttavia, riferendomi al commento di Grazia Dei, anche cercare di "parare il colpo, aumentando (che altro si può fare?) i voti negli scritti delle discipline" non mi sembra una buona pratica per valutare quello che un alunno dimostra di avere imparato; gli scritti, oltre tutto, sono documento di prove d'esame: "verba volant scripta manent".
Per coccinella:
gli alunni capaci fanno talvolta meno bene agli esami che durante le verifiche in corso d'anno, e perciò, non di rado, con il vecchio sistema, si accentuava il peso del curriculum nella valutazione per evitare di penalizzare qualcuno cui l'emozione aveva giocato un brutto tiro.
Ora semplicemente non ci sono più margini di manovra.
Si presume che gli alunni ammessi all'esame siano già stati valutati dai docenti, che ormai li dovrebbero conoscere a memoria. L'esame di terza media ha oggi, mi sembra, più che altro una funzione rituale, come un momento iniziatico: è il primo esame che gli studenti affrontano nella loro vita.
Mi pare che sia bene, se possible, risparmiare loro o almeno attenuare la delusione che può derivare da una valutazione non tanto inferiore alle aspettative, quanto non in linea con i risultati abituali, eppure formulata dallo stesso consiglio di classe e perciò percepita come ingiusta (conservo intatto il ricordo delle cocenti delusioni sperimentate da alcuni amici e parenti all'esame di maturità per valutazioni incoerenti e penalizzanti).
Poi credo che, per quanto chiari possano essere i criteri di valutazione, ad esempio, di uno scritto di Italiano, essi non siano mai immuni da un certo grado di soggettività, che varia, nonostante i propositi, anche nello stesso individuo. Dunque, anche se scripta manent, chi può sindacare su un otto e mezzo al posto di un otto? La realtà che conosco io, al netto di ogni ipocrisia, è questa: calcolatrice alla mano, si vede cosa si può fare.
Del resto, scusate, c'è qualche commissione che segua alla lettera le norme per le correzioni (che dovrebbero essere collegiali e per le quali si convoca tutta la commissione sì e no per un'ora o due, perché non c'è altro tempo, durante le quali si dovrebbero correggere tutte le prove scritte e procedere alla ratifica)? Come si farebbe se ogni anno non ci fosse la pantomima del presidente di commissione che finge di ignorare che i docenti delle discipline vanno a scuola a correggere, mentre si svolgono le altre prove? Come potrebbero reggere i documenti d'esame, pur ineccepibili formalmente, davanti a una ispezione seria?
Fare legna dichiara che l'anno scorso ai test gli asini sono andati benissimo. Beato lui (o lei), i suoi alunni e la realtà in cui vive. Forse erano facilini, ma, credo, sostanzialmente adeguati e nella mia classe i risultati rispecchiavano in modo abbastanza preciso la situazione.
Due anni fa, nella mia scuola, c'erano state difficoltà nei test, poco sentite in verità perchè era ancora a discrezione della commissione esaminatrice il peso da attribuire alla prova. Ci furono proteste e discussioni a livello nazionale e l'anno scorso i test sembrarono più equilibrati. Pensavo che avessero aggiustato i tiro, invece quest'anno (in terza, all'esame, meno invece nei test per la prima) di nuovo difficoltà e ambiguità senza senso.
A cosa serve un metro che si allunga o si accorcia a piacimento e senza preavviso?
Condivido in larga parte l'analisi e anche la proposta di un sistema "ispettivo", che forse è più corretto chiamare "di valutazione".
Un'aggiunta all'intervento successivo: non avremo governanti adatti fin quando non saremo cittadini responsabili. E qui di strada da fare ce n'è tanta.
Sono un'insegnante e condivido molte delle sue affermazioni. Mi chiedo, però, come mai Lei pensi alle ispezioni. A mio parere, il loro effetto potrebbe essere simile a quello della fissazione degli obiettivi: in vista dell'ispezione, tutto bene. E prima? E dopo? Personalmente, anche in virtù di un'esperienza maturata in passato, impiegherei le stesse figure di cui Lei parla, in un lavoro di "sviluppo delle professionalità": un accompagnamento verso il miglioramento di cui tutti, chi più chi meno, noi insegnanti necessitiamo.
Buongiorno professore,
non faccio parte del mondo dell'istruzione ma seguo da tempo il suo blog che trovo interessantissimo. Mi ha insegnato molto pur trasmettendomi un po' di sconforto: non vedo futuro se la supponenza degli innovatori finirà per recidere quel filo ininterrotto che ha permesso l'accumulo e la crescita della nostra cultura. Temo seguirà un'età oscura: vera questa volta.
Di commentare i Suoi articoli non mi sento all'altezza ma mi permetto di segnalarLe questo simpatico articolo sull'istruzione in età medievale.
http://www.medievalists.net/2011/01/11/the-role-of-riddles-in-medieval-education/
Credo che il confronto coi famigerati test si evidenzi da solo.
Cordiali saluti
Gabriele
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